TEORICI
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GIORDANO BRUNO contro Lutero e Calvino
I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X “Bruno esprime una visione della religione diametralmente opposta a quella sostenuta dalla teologia protestante. Per Lutero e Calvino il rapporto tra uomo e Dio si materializza in un legame individuale fondato solo ed esclusivamente sulla fede. E finanche le Leggi, che nella visione veterotestamentaria sanzionavano il contratto tra humanitas e divinitas, non garantiscono più la salvezza. Tutto ciò che riguarda l’orizzonte mondano viene escluso, espunto, neutralizzato. Solo la «grazia» produce le opere. Nel senso che la «grazia» non può essere meritata attraverso le opere e le nostre azioni non hanno nessuna virtù salvifica in sé. Il credente, insomma, deve sottomettersi passivamente alla volontà di Dio. Qui la religio viene proiettata in un universo dove i valori della fede vengono chiaramente separati da quelli morali e civili. Bruno capisce con chiarezza le conseguenze funeste che la dottrina della iustitia sola fide può avere sulla società: svalorizzare le opere e l’etica, ma anche la ragione e le scienze speculative, non incoraggia certamente gli uomini ad intraprendere la durissima strada del riscatto dalla feritas”.[1] Bruno considera il cristianesimo una cattiva religione, ma pensa che Lutero e Calvino siano riusciti a renderla ancora peggiore, esasperandone gli aspetti più negativi, quelli che distanziano il cristianesimo dalla religione dei Romani. I Romani, infatti, avevano ben chiara la funzione morale e civile della religione, la funzione del religare, del tenere unita la società, costituendone il cemento sociale, e non quella del celebrare la gloria di Dio. Nello Spaccio de la bestia trionfante Bruno mette in bocca a Sofia parole molto nette in questo senso: agli dei interessano soltanto quegli atti che promuovono la buona vita sociale e politica. “E’ cosa indegna, stolta, profana e biasimevole pensare che gli Dei ricercano la riverenza, il timore, l’amore, il culto e il rispetto da gli uomini per altro buon fine et utilitade che de gli uomini medesimi: atteso che essendo essi gloriosissimi in sé, e non possendosegli aggiongere gloria da fuori, han fatto le leggi non tanto per ricevere gloria, quanto per comunicar la gloria a gli uomini: e però tanto le leggi e giudicii son lontane dalla bontà e verità di legge e giudicio, quanto se discostano dall’ordinare et approvare massimamente quello che consiste nell’azzioni morali de gli uomini a riguardo di altri uomini … e però li peccati interiori solamente denno essere giudicati peccati, per quel che mettono o metter possono in effetto esteriore; e le giustizie interiori mai sono giustizie senza la pratica esteriore, come le piante in vano sono piante senza frutti o in presenza o in aspettazione. E vuole che de gli errori in comparazione massimi sieno quelli che sono in pregiudicio della republica; minori quelli che sono in pregiudicio d’un altro particolare interessato; minimo sia quello ch’accade tra noi d’accordo; nullo è quello che non procede a mal esempio o male effetto, e che da gl’impeti accidentali accadeno nella complessione dell’individuo … Ha comandato ancora al giudicio che sia accorto che per l’avenire approve la penitenza, ma non che la metta al pari dell’innocenza; approvi il credere e stimare, ma giamai al pari del fare et operare … non faccia che colui che doma vanamente il corpo sieda vicino a colui ch’affrena l’ingegno. Non pona in comparazione questo solitario disutile con quello di profittevole conversazione … Non tanto arrida a quello che ha frenato il fervor della libidine, che forse è impotente e freddo, quanto a quell’altro ch’ha mitigato l’empito de l’ira, che certo non è timido ma paziente. Non applauda tanto a quello che forse disutilmente s’è ubligato a non mostrarsi libidinoso, ch’a quell’altro che si determina di non essere maledico e malfattore. Non dica maggior errore il superbo appetito di gloria, onde resulta sovente bene alla republica, che la sordida cupidiggia di danari. Non faccia tanto trionfo d’uno che abbia sanato un vile e disutil zoppo, che poco o nulla vale più sano che infermo, quanto d’un altro ch’ha liberata la patria e riformato un animo perturbato. Non stime tanto o più gesto eroico l’aver in qualche modo e qualche maniera possuto estinguer il fuoco d’una fornace ardente senz’acqua, che l’aver estinte le sedizioni d’un popolo acceso senza sangue. Non permetta che si addrizzeno statue a poltroni nemici del stato de le republiche e che in pregiudizio di costumi e vita umana ne porgono parole e sogni … E guarde di promettere amore, onore e premio di vita eterna et immortalitade a quei che approvano gli pedanti e parabolani (= chiacchieroni, fanfaroni): ma a quelli che per adoperarsi nella perfezione del proprio ed altrui intelletto, nel servizio della communitade, nell’osservanza espressa circa gli atti della magnanimità, giustizia e misericordia, piaceno a gli Dei. Li quali per questa caggione magnificarono il popolo Romano sopra gli altri: perché con gli suoi magnifici gesti più che l’altre nazioni si seppero conformare et assomigliare ad essi, perdonando a’ summessi, debellando gli superbi, rimettendo le ingiurie, non obliando gli beneficci, soccorrendo a’ bisognosi, defendendo gli afflitti, relevando gli oppressi, affrenando gli violenti; promovendo gli meritevoli, abbassando gli delinquenti: mettendo questi in terrore et ultimo esterminio con gli flagelli e secure, e quelli in onore e gloria con statue e colossi. Onde consequentemente apparve quel popolo più affrenato e ritenuto da vizii d’incivilitade e barbaria, e più esquisito e pronto a generose imprese, ch’altro che si sia veduto giamai”.[2] Lutero, con la sua ossessione del peccato, con la sua teoria della salvezza per sola fede, col suo letteralismo biblico ozioso e pedantesco, ha prodotto pessimi frutti sociali e culturali, ha compromesso la verità e il bene, ha scatenato la guerra nella società europea e prodotto la crisi della scienza. E’ dai loro effetti civili, nella convivenza umana, e culturali, nella ricerca della verità, che Bruno valuta le religioni. Nello scontro tra Erasmo e Lutero, Bruno sta decisamente col primo, maestro di pace e di un rapporto col testo biblico che punta sul “valore esegetico dell’allegoria e della metafora, sulla scia di una tradizione che muovendo da Origene perviene a Girolamo, per arrivare ad Erasmo”.[3] Non a caso lo Spaccio de la bestia trionfante si chiude con l’elogio di Enrico III di Valois, re “santo, religioso, puro” che “ama la pace”. “Erasmianamente, la pace è per Bruno la pietra di paragone delle religioni. Germoglia qui, per contrasto il drastico rifiuto della Riforma e di Lutero. Basata su aberranti dottrine, essa sconvolge l’ordine del mondo”. Ma, “la teologia a sé considerata non è il bersaglio principale della critica di Bruno. Ciò cui essa mira sono le conseguenze «civili» che scaturiscono da quella teologia”.[4] Lutero ha esasperato gli aspetti socialmente negativi del cristianesimo, dovuti al carattere diretto e interiore del suo rapporto con la divinità. C’è però un testo di Bruno in cui il giudizio su Lutero è ben diverso. E’ il discorso di commiato, l’Oratio valedictoria pronunciata a marzo del 1588, prima di partire da Wittemberg, dopo un sereno soggiorno di due anni. In essa Bruno esprime “la sua gratitudine profonda ai dottori dell’università che, a differenza di quelli parigini e oxoniensi, l’avevano accolto con cordialità e gli avevano consentito d’insegnare, di lavorare e di stampare in serenità”.[5] Esprime la sua viva stima per la cultura tedesca, esalta figure come Alberto Magno, Niccolò Cusano, Copernico, Palingenio e Paracelso. Esalta, sorprendentemente, anche Lutero. Ma, avverte Michele Ciliberto, l’elogio “non si connette in alcun modo a considerazioni di carattere teologico … Al tempo stesso sarebbe sbagliato ridurre questo mutamento a ragioni puramente occasionali, se non addirittura opportunistiche. Il fatto è che Bruno a Wittemberg fece esperienza di un clima di «libertà» filosofica connesso, evidentemente, a una scelta politica consapevole del ceto dirigente di matrice luterana”.[6] Insomma, quest’uomo “esule”, “fuggiasco”, “zimbello di fortuna”, “piccolo di corpo”, “scarso di beni”, “privo di favore”, “premuto dall’odio della folla”, è capace, non solo di gratitudine, ma di cambiare giudizio in base alla lezione dei fatti. Poco dopo, però, i suoi rapporti con l’ambiente protestante tornano tempestosi: nel 1590 il Senato di Francoforte respinge la sua richiesta di poter alloggiare in quella città e nel febbraio del 1591 Bruno deve andarsene. [1] Nuccio Ordine, Introduzione a Opere italiane 1, Utet 2002, pp. 104-5. [2] Spaccio de la bestia trionfante, in Opere italiane, Utet 2002, pp. 264-8. [3] Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Laterza 1990, p. 54. [4]Ibidem, p. 157. [5]Ibidem, p. 211. [6]Ibidem, p. 214-5. Fonte Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Testi di Giordano Bruno
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