STUDI LAICI SUL CRISTIANESIMO PRIMITIVO
Dal Gesù storico al Cristo della fede


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I PARTITI POLITICI

FARISEI

Gesù e l'adultera, di H. A. Van Meegeren, 1941
Gesù e l'adultera, di H. A. Van Meegeren, 1941

La corrente dei farisei, la più numerosa, ebbe origine, secondo lo storico Giuseppe Flavio, dalla scissione degli assidei in farisei ed esseni verso il 150 a.C., durante il regno dei Maccabei (detti anche Asmonei), anche se esistono ancora opinioni contrastanti tra gli studiosi.

Infatti, secondo altre fonti che sembrano più attendibili, sacerdoti e scribi formarono due sette in forte conflitto tra loro: dalla classe dei sacerdoti sarebbero nati i sadducei e da quella degli scribi, i farisei.

I farisei costituirono, probabilmente, il gruppo religioso più significativo all'interno del giudaismo, nel periodo che va dalla seconda metà del II secolo a.C. al 70 d.C. ed oltre.

Le testimonianze più note sui farisei le troviamo nel Nuovo Testamento e nelle opere di Giuseppe Flavio. Poiché, tuttavia, l'ebraismo rabbinico o moderno è essenzialmente derivato dal fariseismo, in questo si trovano molti aspetti della dottrina e del pensiero di tale corrente spirituale.

I farisei alla nascita corrispondevano ad una nuova aristocrazia fondata sulla cultura, ossia sulla conoscenza della Scrittura. Con essi si creò, nella società ebraica, una classe di intellettuali e di persone colte, in opposizione alla vecchia aristocrazia, chiusa e tradizionalista, dei sacerdoti e delle famiglie ad essi collegate.

L'ambiente fariseo comprendeva gli scribi, vale a dire quanti insegnavano la Legge; ma gli scribi non erano necessariamente farisei. Pur annoverando nel suo seno individui spregiudicati, il movimento fariseo rappresentava nel giudaismo la corrente più fervente, più aperta e più moderata.

Emersi sulla scena sociale alla fine del II secolo a.C. durante la dinastia degli Maccabei, si collegano alla reazione non solo culturale, ma anche religiosa, contro l'ellenismo imposto dai seleucidi e accettato dai sadducei.

A differenza dei sadducei che non uscirono mai dalla Palestina, i farisei erano molto diffusi anche tra gli ebrei della diaspora. I farisei ruppero con la casa regnante degli Asmonei, sotto Giovanni Ircano, etnarca (cioè re) e sommo sacerdote (134 - 104 a.C.) e fu verso quest'epoca che apparvero costituiti in partito, chiamati da Giuseppe Flavio col nome di farisei, ossia i "separati". Probabilmente il termine fu coniato dagli oppositori con intento dispregiativo; tra loro si chiamavano invece chaverim ("congregati", "compagni").

Sul piano dottrinale, caratteristica dei farisei è l'adozione contemporanea della Legge e della Torah orale, ques'ultima come ulteriore rivelazione di Dio a Mosè sul monte Sinai. Intransigenti sulla sostanza della fede e della Legge, si mostravano duttili sulle sue applicazioni. Le tendenze progressiste dei farisei si ritrovano sul piano teologico. Anzitutto le troviamo sullo sviluppo delle dottrine sul destino dell'uomo dopo la morte e sulla fine del mondo (escatologia): "...per loro ogni anima è eterna, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo, mentre quella dei malvagi è punita con un castigo eterno..." (Giuseppe Flavio, "Guerra Giudaica" ).

Grandi figure di farisei hanno costellato il periodo ellenistico-romano: Hillel, sotto il regno di Erode il Grande, fu l'iniziatore della cultura farisea. Questi, di posizioni moderate, aveva in Shammai un interlocutore dalle rigide tesi dottrinali.

Tra il 30 e il 70 circa, incontriamo Gamaliele, che intervenne nel sinedrio in favore dei cristiani e fu maestro di Paolo di Tarso. Il fariseo Gamaliele, dottore della Legge, fece rilasciare gli apostoli appena arrestati paragonandoli a due famosi capi zeloti, Giuda il Galileo e Teuda. Si riporta a proposito un passo dagli Atti degli Apostoli:

"...essi, udendo queste cose fremevano d'ira e si proponevano di ucciderli. Ma un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, alzatosi in piedi nel sinedrio, comandò che gli apostoli venissero un momento allontanati. Poi disse loro: «Uomini d'Israele, badate bene a quello che state per fare circa questi uomini. Poiché, prima d'ora, sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini. Egli fu ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento e si trascinò dietro della gente; anch'egli perì, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi. E ora vi dico: tenetevi lontani da loro e ritiratevi da questi uomini, perché, se questo disegno o quest'opera viene dagli uomini, sarà distrutta, ma se viene da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio".

Circa la contiguità tra i farisei e gli zeloti, leggiamo la testimonianza di Giuseppe Flavio ("Antichità Giudaica"):

"Giuda il Galileo introdusse una quarta setta i cui membri sono in tutto d'accordo con i farisei, eccetto un invincibile amore per la libertà che fa loro accettare solo Dio come signore e padrone. Essi disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo signore."

Fallita la ribellione dei giudei ai romani nel 73 d.C. con la distruzione di Gerusalemme nel 70, i farisei emersero dalla catastrofe che aveva travolto la loro nazione quale unica corrente spirituale vitale, capace di coagularne attorno a sé i resti che non furono assimilati dalla società romano-ellenica o che non si convertirono al Cristianesimo. Uno dei maestri sopravvissuti, Yochanan Ben Zakkai, fondò l'Accademia di Yaveh e riorganizzò il giudaismo, permettendogli di sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. Dai farisei trae quindi origine l'ebraismo rabbinico o moderno.

SADDUCEI

Giotto, Cacciata dei mercanti dal tempio, Cappella degli Scrovegni, Padova
Giotto, Cacciata dei mercanti dal tempio, Cappella degli Scrovegni, Padova

I sadducei costituirono un'importante corrente spirituale del tardo giudaismo, che si costituì anche quale distinta fazione politica verso il 130 a.C. sotto la dinastia regnante dei Maccabei. Rappresentava eminentemente l'aristocrazia di nascita e di ricchezza delle antiche famiglie terriere, nell'ambito delle quali erano reclutati i sacerdoti dei ranghi più alti, nonché, in particolare, il sommo sacerdote.

La corrente dei sadducei si richiamava, nel proprio nome, all'antico e leggendario Dado, sommo sacerdote al tempo di Salomone. Cercavano di vivere un giudaismo illuminato, consono allo standard spirituale del corpo e quindi di trovare un compromesso anche con il potere, dei seleucidi prima e dei romani dopo.

La loro fazione, ritenuta colpevole di collaborazionismo nei confronti dei romani, fu letteralmente sterminata, durante la rivolta giudaica del 66 d.C., dagli insorti più esagitati e violenti, probabilmente gli zeloti, come ci narra lo storico Giuseppe Flavio in quella "Guerra Giudaica" che, oltre ad essere stata una lotta di liberazione dalla dominazione romana, fu anche una vera e propria guerra civile, cruenta e spietata.

Gli eventuali residui superstiti dei sadducei o furono assimilati dalla società romano-ellenica nella quale si rifugiarono, oppure si convertirono al cristianesimo. In ogni caso, dopo la catastrofe nazionale giudaica del 73 d.C., che vide la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio tre anni prima, l'ebraismo riemerge, coagulandosi attorno alla corrente spirituale dei farisei, avversaria dei sadducei e di questi ultimi non vi è più alcuna traccia.

Sui sadducei cala, quindi, un velo che assomiglia molto ad una sorta di punizione: i romani, che si erano appoggiati a loro per governare la Giudea, dovettero constatare il sostanziale fallimento della setta in quanto amministratori ed alleati. Dai farisei, che già ne avevano avversato la dottrina, i sadducei furono parimenti ritenuti responsabili della catastrofe che aveva colpito la nazione ed il tempio nel 70 d.C.; per i cristiani, infine, i sadducei rimasero indelebilmente associati alle figure di Caifa ed Anna, rispettivamente, il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare a morte Gesù e suo suocero. In buona sostanza, mancarono ai sadducei buoni avvocati che ne perpetuarono la memoria storica con dovizia di particolari.

Sul piano dottrinale, si ritiene, in base alle scarse informazioni pervenuteci, che i sadducei, a differenza dei farisei, considerassero vincolante solamente la così detta Legge scritta, ossia quanto tramandato nei libri della bBbbia ebraica, o Torah, costituita dai cinque libri del Pentateuco. Al contrario dei farisei, i sadducei non credevano alla resurrezione dei morti, ossia alla perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito.

Sembra che essi respingessero anche l'esistenza di un'anima immortale, tuttavia, è lecito dubitare che avessero, al riguardo, una posizione di netta preclusione, sia perché ciò non si concilierebbe con il contenuto della stessa Legge scritta, sia perché l'evidenza archeologica delle modalità di sepoltura seguite dai sadducei attesta, in ogni caso, una fede nella esistenza di un mondo ultraterreno del quale il defunto, alla morte, entra a far parte. Pare che non accettassero nemmeno la dottrina degli angeli.

Il rifiuto della tradizione orale, fu, probabilmente, il fattore che consentì ai sadducei di aprirsi alla cultura dell'ellenismo, pur conservando la fede nel giudaismo. Ciò fece di loro un'elite intellettuale ed imprenditoriale, detentrice del potere e capace di esercitare notevole influsso persino nell'ambito della politica imperiale romana. La loro permeabilità agli influssi stranieri connessa alla capacità di mantenere intatta la propria identità, è tipica dei ceti aristocratici di ogni tempo e di ogni nazione e l'opposizione ai sadducei da parte dei farisei, riecheggia motivi di orgoglio nazionale e di rivalsa anti-aristocratica che troviamo, nella storia umana, replicati infinite volte in contesti diversi.

Il calendario liturgico dei sadducei differiva leggermente da quello adoperato dai farisei, la qual cosa spiega le lievi divergenze temporali relative ai racconti della Passione tra i Vangeli sinottici e quello di Giovanni.

Fonti

ZELOTI

La parola ebraica Jahvé
La parola ebraica Jahvé

Le masse contadine della Palestina non trovavano risposte ai loro problemi nella passività dei notabili sadducei ed il processo di concentrazione fondiaria andava nel senso di aumentare l'inurbazione dei contadini poveri, a cui l'appello esseno di ritirarsi in montagna doveva suonare quanto meno inefficace. Il processo di differenziazione ideologica tra gli ebrei andò avanti soprattutto in Galilea, dove i contadini poveri cominciarono ad appoggiare idee sempre più radicali.

La ragione del conflitto risiedeva nel rifiuto di pagare le tasse e i debiti, strumenti di concentrazione della ricchezza nelle mani dei proprietari terrieri. Molti contadini, rovinati dai grandi proprietari, piuttosto che finire schiavi per debiti, si davano al banditismo e alla guerriglia. Aiutava anche la vicinanza del deserto, tradizionale luogo di rifugio dei ribelli, anche per la presenza di tribù beduine, ostili a ogni potere urbano, che davano loro protezione.

Da questo processo turbolento nacque una corrente organizzata, quella degli zeloti, che cominciò un'opera di propaganda e di azioni di guerriglia contro i re vassalli dei romani. La storia di questo gruppo inizia con un certo Giuda, figlio di Ezechiele e capo guerrigliero fatto uccidere nel 47 a.C. come bandito. Egli era un intransigente difensore della ortodossia religiosa ebraica, che non tollerava la presenza dei dominatori romani e nemmeno l'atteggiamento di connivenza opportunistica con gli stranieri, mostrato da alcune componenti della società giudaica, come i sadducei.

Ovviamente, Giuda si era proclamato re dei giudei e veniva considerato un messia dai suoi seguaci. Sebbene la setta fosse originaria di Gamala nel Golan, i suoi seguaci venivano definiti i "galilei", in quanto il loro teatro di operazioni era appunto la Galilea.

Nei decenni precedenti alla tradizionale data di nascita di Gesù, gli zeloti erano penetrati in città e vi avevano riscosso un certo successo, tanto da tentare una rivolta contro Erode il Grande, repressa nel sangue nel 4 a.C.

Alla morte di Erode la rivolta scoppiò di nuovo e la repressione fu ancora più brutale. Alla fine i romani ritennero che il loro protetto Erode Archelao, figlio di Erode il Grande e re della Giudea, non fosse più in grado di controllare la situazione e decisero di intervenire direttamente. La brutalità dell'azione romana suscitò la reazione del popolo di Gerusalemme.

La nuova insurrezione ebbe una tale forza da mettere in serie difficoltà la guarnigione romana. Mentre i legionari vivevano assediati in Gerusalemme, buona parte delle truppe ebraiche erano passate con i rivoltosi. La Galilea era fuori controllo e i ribelli vi stavano formando un esercito. Sebbene le legioni romane avessero avuto ragione della rivolta con enormi difficoltà, quel che accadde dopo è facilmente prevedibile: migliaia di ebrei crocifissi, saccheggi, devastazioni, abitanti di interi villaggi venduti come schiavi.

Tutto questo successe attorno all'anno 0 dell'era cristiana. Da allora, con alti e bassi la rivolta non cessò mai fino alla presa di Gerusalemme nel 70 d.C. Sempre appartenente a questa setta era Eleazar ben Jair (forse il Lazzaro dei Vangeli), capo della fortezza di Masada, che resistette tre anni all'assedio dei romani prima di decidere per il suicidio di massa, preferito alla resa, nel 73 d.C.

L'ultimo atto della setta si ebbe fra il 132 e il 135 d.C., quando i suoi ultimi militanti, sotto la guida di Simon bar Kokba, utilizzarono il sito di Qumran come base da cui compiere azioni di guerriglia, prima di essere definitivamente sconfitti dalle legioni.

Come ci riferisce Giovanni, durante la cattura di Gesù, Pietro staccò con un colpo di spada l'orecchio destro del servo del sommo sacerdote. Questo episodio ci fa lecitamente ipotizzare che Pietro militasse negli zeloti, visto che era armato.

ESSENI

Alcune grotte di Qumran nel deserto di Giuda, ove vissero gli esseni
Alcune grotte di Qumran nel deserto di Giuda, ove vissero gli esseni

Sulla loro origine e sul significato del nome (puri, bagnanti, silenziosi, pii) non c'è accordo tra gli studiosi, ma il termine si applica anche a numerosi gruppi diffusi in tutta la Palestina che includevano anche la comunità di Qumran. Il riferimento di Giuseppe Flavio ad un "cancello degli esseni" nel tempio suggerisce che una comunità essena visse in un quartiere della città o che regolarmente accedesse a quella parte del tempio.

Come già detto, molto probabilmente ebbero inizio dalla metà circa del II secolo a.C. durante il regno dei Maccabei, dalla scissione degli assidei in farisei ed esseni, come ci ha riportato Giuseppe Flavio. Alcune fonti li fanno discendere da una separazione dai farisei. Tra i gruppi ebraici di età ellenistico-romana, conosciuti e documentati anche da autori greci e latini, quello degli esseni è forse oggi il più noto, grazie alla scoperta, effettuata a Qumran nel 1947, dei manoscritti detti "del Mar Morto", appartenenti a una comunità di questo tipo. Già nell'antichità avevano scritto su di loro, per ricordare i più rilevanti, Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica), che ci attesta di averne fatto parte e Plinio il Vecchio (Naturalis Historia).

Di vita appartata e solitaria, si erano organizzati, fuori dal contesto sociale, in comunità isolate. Protetti da Erode il Grande, al tempo di Gesù erano oltre 4000 e vivevano dispersi in tutto il paese; circa 150 erano quelli residenti a Qumran.

Questo sito andò incontro ad una fine violenta nel 68 d.C. ad opera dei romani a causa del coinvolgimento degli esseni nelle sommosse negli anni della guerra che si concluse con il crollo di Gerusalemme. Prima della fine però, riuscirono a nascondere la loro biblioteca nelle grotte presenti nel loro territorio. Qui, grazie alle particolari condizioni ambientali, i manoscritti si sono conservati fini ai giorni nostri. Alcuni esseni scampati ai romani, sembra, si unirono agli zeloti di Masada e ne condivisero la sorte. Lo proverebbe il ritrovamento, duranti gli scavi del 1963 a Masada, di un frammento di pergamena dei "canti della santificazione del sabato".

Dopo questo evento, non se ne seppe più nulla, segno che gli asceti avevano lasciato il posto ai guerrieri. La comunità essena era un elemento di completa rottura nell'atmosfera di continui e sanguinosi conflitti che agitavano la Palestina dell'epoca. La loro ideologia di rifiuto dell'oppressione, ma anche della battaglia aperta, può considerarsi come un riflesso delle sconfitte subite dai movimenti anti-romani.

Di fronte all'oppressione dei legionari, gli esseni si ritirarono dalle città e crearono comunità con tratti che ricordano il villaggio rurale basato su una struttura sociale gentilizia. Le testimonianze che abbiamo sulla loro vita sono di un rigoroso comunismo basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e di consumo.

Filone Alessandrino racconta che non solo il cibo ma anche i vestiti erano in comune e usa un'espressione felicissima: "quello che uno possiede tutti lo considerano loro, quello che tutti possiedono ognuno lo considera proprio". Gli esseni rifiutavano la schiavitù e vivevano della terra e di artigianato. Era loro vietata la produzione di oggetti di lusso e di armi, così come il commercio. Filone ci descrive la loro comunità in questi termini: "Prima di tutto non v'è alcuna casa che sia di proprietà di una persona: ogni casa è di tutti. Giacché oltre al fatto che abitano insieme in confraternite, la loro casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi parte giungano, che condividano le loro convinzioni. In secondo luogo, hanno un'unica cassa per tutti e le spese sono comuni: in comune sono i vestiti, in comune è preso il vitto, avendo essi adottato l'uso dei pasti in comune. Una maggiore realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e della stessa mensa invano la si cercherebbe altrove.

Giacché tutto ciò che ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in proprio, ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio di tutti quanti desiderano servirsene. Non sono trascurati i malati per il fatto che non possono produrre nulla. Infatti, quanto occorre per curarli è a loro disposizione grazie ai fondi comuni e non temono di fare larghe spese attingendo a ricchezze sicure. I vecchi sono circondati di rispetto e cure come genitori assistiti nella loro vecchiaia da veri figli con larghezza generosa, aiutandoli con innumerevoli mani e circondandoli di premurosa attenzione....".

Questa descrizione può essere paragonata solo ad una società socialista realizzata e lega idealmente il passato dell'uomo, nel comunismo tribale, al suo futuro, basato sul socialismo scientifico. Ovviamente, mancando il livello di sviluppo economico e sociale sufficiente, il comunismo esseno presentava diversi punti deboli e, in ultima analisi, non superava le comunità rurali di stampo mediorientale.

Allo stesso modo, faceva parte dell'ideologia essena l'odio per la famiglia patriarcale e per il matrimonio, visti come pratiche corrompitrici dell'ordine gentilizio. Ciò induce a credere che anche le donne fossero in comune come le altre cose.

Sempre secondo Giuseppe Flavio, gli esseni dimoravano "non in una sola città" ma "in moltitudine in ogni città". Filone parla di "più di quattromila" esseni che vivevano nella "Siria Palestinese", più precisamente, "in molte città della Giudea e in molti villaggi e raggruppati in grandi comunità composte da numerosi membri".

Alcuni studiosi ed archeologi moderni hanno individuato un insediamento abitato dagli esseni a Qumran, un altopiano nel Deserto della Giudea lungo il Mar Morto. Mentre la testimonianza di Plinio tende ad essere utilizzata a supporto di questa identificazione, non esiste tuttavia nessun'altra prova conclusiva di questa ipotesi. Ciò nonostante, essa ha finito per dominare la discussione scientifica e la percezione collettiva sugli esseni.

I resoconti di Giuseppe Flavio e Filone Alessandrino ci dicono che gli esseni conducevano una vita strettamente celibe, ma comunitaria, spesso paragonata dagli studiosi alla vita monastica buddista e, in seguito cristiana, anche se Giuseppe Flavio parla di un altro "rango di esseni" che si sposavano. Secondo lui, avevano usanze e osservanze come la proprietà collettiva, eleggevano un capo che attendeva agli interessi di tutti e i cui ordini erano obbediti, gli era vietato prestare giuramento e sacrificare animali, controllavano la loro collera e fungevano da canali di pace, portavano armi solo per protezione contro i rapinatori e non avevano schiavi, ma si servivano a vicenda e, come conseguenza della proprietà comune, non erano dediti ai commerci. Sia Giuseppe Flavio che Filone danno lunghi resoconti dei loro incontri comunitari, pranzi e celebrazioni religiose.

Da quanto si è dedotto, il cibo degli esseni non poteva essere alterato (ad esempio, evitando la cottura) e potrebbero essere stati strettamente vegetariani, mangiando principalmente pane, radici selvatiche e frutta.

Dopo tre anni di prova, i membri, appena aggregatisi, prestavano un giuramento che comprendeva l'impegno a praticare la pietà verso la divinità e l'aderenza a principi morali verso l'umanità, mantenere uno stile di vita puro, di astenersi da attività criminose e immorali, di trasmettere intatte le loro leggi e di preservare il libro degli esseni e il nome degli angeli. La loro teologia includeva il credo nell'immortalità dell'anima e il fatto che avrebbero ricevuto indietro le loro anime dopo la morte.

SAMARITANI

Ebreo in preghiera ricoperto dal talith
Ebreo in preghiera ricoperto dal talith

I samaritani (dall'ebraico shamerim, cioè "osservanti della Legge") erano e sono ancora i membri di una comunità ebraica in Terrasanta, attualmente ridotta a qualche migliaio di individui. L'omonima città e regione (Samaria, oggi Nablus in Cisgiordania) prende il nome da loro.

Da un punto di vista strettamente storico, i samaritani sono i discendenti di quanti, fra le popolazioni ebraiche delle tribù del regno settentrionale di Israele, rimasero sul posto al momento della deportazione delle élites urbane esiliate dagli Assiri (il re assiro Sargon II si vanta in una sua iscrizione di avere deportato dalla regione ben 27.290 persone, quindi palesemente non l'intera popolazione).

Questa popolazione di "rimasti", si fuse nel corso dei secoli con una parte delle popolazioni pagane a loro volta deportate in Israele.

Tuttavia, secondo quanto afferma la Bibbia, per la quale solo i discendenti delle tribù del Regno di Giuda erano i "veri" e "puri" ebrei dopo l'esilio babilonese, i samaritani erano i discendenti unicamente degli stranieri pagani deportati in Israele nel 721 a.C. per sostituire le popolazioni ebraiche totalmente deportate.

La visione biblica contrasta, però con la persistenza nei territori dell'ex regno di Israele, anche durante il periodo dell'esilio, sia della cultura materiale esistente prima della conquista degli Assiri (il che indica che le popolazioni erano le stesse), sia soprattutto del culto del Dio ebraico, peraltro considerato "illegittimo" dai compilatori dei libri biblici post-esilio.

La Bibbia spiega tale persistenza con una visione divina che aveva insegnato ai popoli pagani nuovi arrivati il culto di Dio, dopo la totale scomparsa degli ebrei dal paese. Ovviamente, da un punto di vista strettamente storico, si trattò invece di un classico fenomeno di assimilazione dei nuclei stranieri da parte delle popolazioni già esistenti in luogo, numericamente prevalenti.

Nella realtà storica, gli ebrei di Samaria non si convertirono al paganesimo né si abbandonarono ad una mescolanza di dottrine religiose, secondo l'accusa rivolta loro da alcuni ebrei. Essi si preoccuparono di preservare il culto di Dio, fino ad arrivare a costruire (in una data non determinabile del IV secolo a.C.) un loro tempio, separato da quello di Gerusalemme, sul Monte Garizim, officiato da sacerdoti di diretta discendenza da Aronne.

Inoltre i samaritani hanno sempre osservato i precetti di Mosè così come espressi nel Pentateuco e si sono sempre considerati discendenti di Abramo e quindi eredi del suo patto con Dio. Di più, secondo la versione samaritana della storia, sono stati semmai i Giudei a deviare dalla retta religione, "aggiungendo" innovazioni "devianti" alla corretta fede mosaica, di cui ovviamente loro si ritengono i soli ed ultimi depositari.

Secondo la versione dei fatti fornita dalla Bibbia, dopo il ritorno dall'esilio di Babilonia, i samaritani tentarono di opporsi alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme e sotto il re Antioco IV si allearono con i gli invasori persiani contro i giudei.

Tuttavia la Bibbia stessa ammette che le "genti del paese", cioè i discendenti di coloro che non erano stati mandati in esilio e che si erano mescolati con i popoli deportati in Israele, offrirono la loro collaborazione per costruire assieme il tempio ed officiarlo assieme. Solo quando i "ritornati" resero chiaro che non intendevano mescolarsi con le "genti del paese" (considerate "razzialmente impure" per i loro matrimoni con non ebrei), costoro assunsero un atteggiamento ostile, appellandosi ai persiani perché fermassero la costruzione del tempio ed anche la fortificazione militare di Gerusalemme, correttamente letta come un'intenzione di dominio sulla regione circostante.

Questo è il quadro che emerge dal racconto biblico, che, però semplifica in pochi episodi un processo che fu molto meno lineare ed univoco di quanto racconti il testo che abbiamo recepito. Lo stesso caos in cui ci sono pervenuti i due libri principali sul ritorno dall'esilio, il libro di Esdra ed il libro di Neemia, ricchi di anacronismi e contraddizioni, mostra che essi sono una compilazione "a posteriori" e molto rimaneggiata di una storia che fu molto più complessa di quanto ci sia stato tramandato.

Ad esempio, il fatto che i samaritani abbiano adottato come propria la redazione del Pentateuco elaborata dai giudei durante l'esilio babilonese (sia pure epurandola in seguito per mostrare che il "vero" culto era quello sul Monte Garizim e non quello di Gerusalemme), mostra che almeno all'inizio ci fu un'intesa pacifica fra le due popolazioni dei "rimasti" e dei "ritornati" e un profondo scambio culturale.

La Bibbia giudaica stessa conserva tracce di un dibattito, che fu sicuramente aspro, fra il partito politico dei "ritornati" che volevano fondersi coi "rimasti", e quello dei "ritornati" che intendevano mantenere la separazione assoluta dalle "genti del paese" come condizione per preservare la purezza del culto ebraico.

Il Libro di Ruth rappresenta per esempio una voce dissenziente, che mostra una donna non ebrea, vedova di un ebreo, mentre si comporta in modo esemplare verso l'ebraismo e il popolo ebraico, tale da meritarsi di diventare bisnonna del re-eroe Davide (la polemica politica in questo punto doveva essere palese ai destinatari dello scritto, anche se oggi a noi può sfuggire). La presenza di questo ed altri testi nel canone biblico dimostra che il partito politico di cui erano l'espressione fu a lungo sufficientemente forte da impedirne la messa al bando prima che diventassero "canonici".

Se dunque i libri della Bibbia, scritti dopo l'esilio, presentano la decisione di separare la comunità giudaica dei "ritornati" da quella delle "genti del paese" come una decisione chiara, netta, presa senza tentennamenti, la documentazione storica - a iniziare proprio della Bibbia - mostra che essa fu la conclusione finale di un lungo scontro politico che per un lungo periodo iniziale sembrò far prevalere il partito della fusione fra i "rimasti" e i "ritornati".

Quale che sia il modo in cui si svolse lo scontro, è la Bibbia stessa ad attestare che, quando fu imposto a tutti i membri della classe sacerdotale di cacciare le loro mogli non ebraiche e i figli avuti da loro, un sacerdote che non volle sottostare a questa imposizione considerava i samaritani sufficientemente "ebrei" ed "ortodossi" da fuggire presso di loro con la famiglia, garantendo così la continuazione della linea sacerdotale legittima al culto del loro tempio.

Quanto all'ostilità fra le due confessioni religiose, essa è un dato di fatto storicamente accertato, ma nel giudicarla vanno tenuti in considerazione anche elementi quali il fatto che alla fine non furono i pagani bensì i giudei a radere al suolo il tempo di Samaria (sotto Giovanni Ircano, nel 123 a.C.).

Al tempo di Gesù, l'ostilità fra giudei e samaritani era ancora viva: i samaritani erano considerati scismatici, se non veri e propri pagani. Gesù stesso proibì ai suoi discepoli di predicare in città samaritane, trattandole come ostili a priori.

Ma è proprio per questo motivo che Gesù, raccontando la parabola del buon samaritano, sceglie uno di loro come esempio per spiegare l'attenzione che bisogna avere verso il prossimo (Luca), mostrando che è preferibile un "eretico senzadio" come un samaritano, ma che si comporta con amore verso il prossimo, che non dei sacerdoti, le cui convinzioni siano pure del tutto ortodosse ma che si comportano senza alcuna carità verso il loro prossimo. Il vero credente, per questa parabola, è chi nelle azioni fa le cose giuste e non chi si reca al culto nel tempio più "ortodosso". La parabola perderebbe quindi una parte del suo significato se si trascurasse il carattere di "miscredenza" che la parola "samaritano" portava con sé presso la mentalità ebraica ortodossa.

Lo stesso vale per l'episodio della "samaritana al pozzo" (Giovanni), il cui comportamento è ancora più "paradossale" in quanto lei, "miscredente" se non "pagana", è capace di comprensione di cose che i credenti ortodossi, che pure hanno avuto l'educazione necessaria per comprenderle, non arrivano a capire.

Ancora in Luca, quando Gesù guarisce dieci lebbrosi, uno solo di loro è capace di gratitudine e va da lui a ringraziarlo ed è, guarda caso, un samaritano.

Gesù stesso (Giovanni) è accusato dai suoi nemici di essere o posseduto dal diavolo, oppure essere un samaritano. L'ebraismo di discendenza giudaica, che è quello praticato ormai da tutti gli ebrei del mondo ad eccezione di appena un migliaio di samaritani, ha respinto fin da dopo l'esilio lo status ebraico dell'ebraismo di discendenza israelitica, giudicando gli ebrei samaritani scismatici, stranieri, pagani, impuri; la loro ebraicità era considerata incerta da alcuni rabbini, che li accusavano di adorare le colombe; il matrimonio tra ebrei e samaritani era proibito.

Oggi una piccola comunità di un migliaio di samaritani, di lingua araba, ancora guidata da una gerarchia sacerdotale, sacrifica l'agnello pasquale sul monte Garizim, luogo santo samaritano da oltre due millenni, vicino Nablus. I samaritani possiedono una loro versione del Pentateuco, che interpretano letteralmente e anche se non considerano i profeti e gli agiografi come testi sacri, credono nel messia e nella resurrezione. Buona parte delle discordanze fra la versione samaritana del Pentateuco e quella giudaica mira peraltro a stabilire sul monte Garizim, anziché sul monte del tempio di Gerusalemme, il vero luogo del culto di Dio. Come altri settari posteriori, quali i sadducei, anche i samaritani possiedono un loro calendario.

Al giorno d'oggi in Svizzera vengono anche così chiamati quei volontari che si rifanno agli ideali di Henri Dunant, fondatore della croce rossa. Il movimento samaritano si occupa di diffondere nozioni basilari e approfondite sul primo soccorso, in particolar modo impartisce corsi soccorritori, obbligatori per ottenere la licenza di condurre ambulanze. I corsi dai samaritani svizzeri sono riconosciuti dall'associazione internazionale ResQu.

Fonti

CORRENTI MINORI

Delle correnti minori, battisti ed erodiani, è sufficiente dare alcuni accenni, essendo ininfluente il loro contributo alle vicende narrate dai Vangeli.

Battisti: seguaci o discepoli di Giovanni il Battista. Molti di loro, su invito dello stesso maestro, si unirono ai seguaci di Gesù. Tra questi, come ci riferiscono gli stessi Vangeli, vi erano Giovanni l'Evangelista ed Andrea fratello di Pietro.

Erodiani o boethusiani: sono riconducibili ai sadducei di cui costituivano una setta o corrente. Sostenevano le stesse dottrine ed erano più attaccati al potere politico. In apparenza erano membri e sostenitori della famiglia sadducea dei Boethus, ordinati sommi sacerdoti (kohanim) da Erode il Grande dopo il matrimonio politico di sua figlia Mariamne con un membro di quella famiglia, donde il nome biblico di "Erodiani". Le fonti storiche li chiamano invece "Boethusiani".

Accanto alle descritte correnti politico-religiose, occorre prendere in considerazione anche la categoria degli scribi e dei pubblicani per completare, anche se sommariamente, il quadro della società giudaica al tempo di Gesù.

Scribi: esperti di scrittura, tra i quali figuravano non pochi sacerdoti colti, gli scribi erano specializzati nella trascrizione dei testi sacri, sempre in lingua ebraica, quindi erano conoscitori di dottrine e di regole cultuali ed etiche. La loro presenza è già segnalata nel VI secolo a.C. da Geremia come categoria concorrenziale ai sacerdoti. Diedero origine alla setta dei farisei come già detto, ma non tutti gli scribi erano farisei.

Lo scriba era colui che, nei primi tempi della sua affermazione come soggetto culturale, doveva anzitutto conservare la Legge di Dio contenuta nelle Scritture, ma a partire dall'esilio in Babilonia, ebbe anche l'incarico di leggerle, tradurle e interpretarle al popolo in quanto "uomo del libro". La sua posizione si andò così sempre più affermando, organizzandosi come professione ambita e riverita in confronto ai lavori manuali. L'ascesa degli scribi nella società ebraica fu determinata dal venir meno dei profeti, di cui essi si fecero continuatori e ideali eredi.

Pubblicani: con la conquista romana della Palestina, si sviluppò la professione dei pubblicani. Questi erano incaricati di incassare i tributi per conto di Roma, spesso con minacce e soprusi ed erano perciò considerati dei traditori e dei venduti all'invasore. Molto spesso anticipavano le somme di tasca propria e praticavano quindi l'usura per il recupero dei crediti. Erano disprezzati e erano indicati come l'emblema della corruzione.

IL SINEDRIO

Duccio di Boninsegna, Cristo percosso
Duccio di Boninsegna, Cristo percosso

Detto anche "Consiglio degli anziani", il Sinedrio era composto da settanta uomini. Benché non vi sia traccia di questa istituzione nel primo millennio di vita della nazione ebraica, la sua origine viene fatta risalire a Mosè perché Dio gli aveva chiesto "settanta uomini scelti fra gli anziani di Israele".

Nel periodo detto "periodo ellenico" che va dalla conquista del regno di Giuda da parte di Alessandro Magno (332 a.C.) e prosegue con l'occupazione dei Seleucidi, il Sinedrio comprese gli organi dello Stato, sia amministrativi che giudiziari. Per questo Gesù fu portato - secondo i Sinottici - davanti al Sinedrio per essere giudicato. Il che però: non viene detto nel IV vangelo, che parla solo di una udienza informale davanti all'ex sommo sacerdote Anania e di trasferimento davanti al sommo sacerdote in carica Caifa, il quale lo consegnò il mattino presto a Pilato, quindi senza alcuna convocazione "notturna" del Sinedrio

Fonti

Lémann Agostino; Lémann Giuseppe, L'assemblea che condannò il Messia. Storia del Sinedrio che decretò la pena di morte di Gesù, 2006, Libreria Editrice Fiorentina

Costantino Biglietto (morto nel 2019)


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Nuovo Testamento - Sez. Religioni - Sez. Storia
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