Il processo comunicativo

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6. Il processo comunicativo

Molti termini della lingua corrente sono vecchie metafore, il cui carattere metaforico non è più avvertito. Marouzeau

Il modello generale della comunicazione di basa sull'interazione di sei elementi fondamentali:

  1. emittente, colui che invia il messaggio;
  2. ricevente, colui che lo riceve;
  3. messaggio, il contenuto che si comunica;
  4. referente, l'oggetto della comunicazione;
  5. codice, i segni con cui è formulato il messaggio;
  6. canale, il mezzo attraverso cui passa il messaggio.

Per esserci comunicazione devono essere presenti tutti questi elementi, nessuno escluso. Spesso ad essi si aggiungono altri due elementi, che vengono considerati secondari, ma che nella civiltà occidentale hanno una funzione primaria: rumore e ridondanza.

Ovviamente il fatto che tutti questi elementi debbano essere presenti non sta a significare che in un contesto comunicativo se ne abbia una perfetta consapevolezza. Spesso infatti il ricevente non sa di esserlo o se ne accorge solo dopo un certo tempo; oppure l'emittente crede di esserlo in un modo e invece lo diventa in un altro, del tutto involontario.

Il processo comunicativo è una delle cose più complesse che esistano e la presenza contemporanea dei sei elementi suddetti non garantisce ch'esso avvenga in maniera regolare, ortodossa… I fraintendimenti sono all'ordine del giorno su tutti e sei gli elementi. D'altra parte, la possibilità dell'equivoco è uno dei fattori che distingue la comunicazione umana da quella animale.

Il settimo elemento infatti, quello assolutamente più importante, che dà senso a tutti gli altri elementi, è anche quello che non si vede, poiché rappresenta un processo mentale o spirituale o interiore: è la comprensione adeguata del messaggio nel momento in cui lo si riceve. Questa comprensione provoca una reazione psicologica particolare nell'animo umano, non solo da parte di chi riceve il messaggio, ma, di conseguenza, anche da parte di chi l'ha inviato.

Se ci limitassimo a discutere sui sei elementi suddetti, noi avremmo precisato le modalità tecniche della comunicazione, ma non avremmo detto nulla sulla sua effettiva riuscita, la quale non può dipendere unicamente da quegli elementi.

I) Emittente e ricevente

Emittente viene dal latino e-mittere, cioè mandare fuori, inviare. In lingua italiana si dice anche mittente, trasmittente (cioè colui che trasmette un messaggio), codificatore (cioè colui che trasforma in segni il senso di ciò che vuole trasmettere).

Ricevente viene dal latino recipere, cioè ricevere. In lingua italiana si dice anche destinatario (colui al quale è destinato un messaggio) o decodificatore (cioè colui che trasforma i segni in concetti).

In un reale processo comunicativo i due ruoli sono continuamente intercambiabili. Se non c'è interazione, la comunicazione infatti viene detta unidirezionale, unilaterale… Un insegnante che si prepara a voce alta la lezione che il giorno dopo farà ai suoi allievi, può essere più comunicativo, nel momento in cui parla da solo, di quell'insegnante che parla ai propri ragazzi senza mai chiedere loro se hanno capito, se hanno domande da fare e soprattutto senza avere la pazienza d'aspettare una loro reazione (o informazione di ritorno o retroazione o feed-back).

L'efficacia di un qualunque messaggio comunicativo è direttamente proporzionale al grado d'interattività che permette. Si badi: il fatto che l'interattività debba esistere non significa ch'essa possa essere considerata come un limite da sopportare. L'interattività è la precondizione fondamentale che permette ad un messaggio d'essere non solo condiviso, ma, proprio per questa ragione, anche modificato.

Ovviamente qui si dà per scontato che la comunicazione sia un processo attivo, che coinvolge emittente e ricevente… Alcuni sostengono che esiste comunicazione anche tra due persone che in uno scompartimento del treno non si dicono una sola parola. Questa forma di comunicazione è però al negativo e non porta ad alcun risultato meritevole di considerazione.

I due individui possono non parlarsi per vari motivi, ma finché non si parlano questi motivi restano indecifrabili (soggetti a molte congetture) - ciò che appunto la comunicazione deve evitare, poiché essa ha lo scopo di aiutare a comprendere (anche, eventualmente, per modificare degli atteggiamenti o delle opinioni).

La comunicazione più perfetta è quella tra due persone che possono servirsi di tutto il loro corpo per comunicare. Quanto più tra queste due persone si frappongono mezzi meccanici, tanto più la comunicazione diventa imperfetta. 

Per non risultare impossibile, a causa della presenza di questi mezzi artificiali, la comunicazione deve darsi delle regole molto precise, che vanno rispettate sia dall'emittente che dal ricevente. (A dir il vero oggi, nella civiltà occidentale, è netta la dittatura comunicativa e informativa dell'emittente, cioè di colui che dispone della proprietà dei mass-media e che non tollera interferenze che possano mettere in discussione tale monopolio).

Questo naturalmente non significa che ci sia più possibilità di "reciproca comprensione" tra due persone vicine (prossemiche) che non tra due persone lontane, divise da vari mezzi artificiali. Probabilmente anzi il bisogno dell'umanità di darsi dei mezzi artificiali con cui poter comunicare con persone lontane, è nato proprio dalla difficoltà di instaurare rapporti normali (umani) con persone vicine.

Tuttavia è fuor di dubbio che nessun mezzo artificiale è in grado di ovviare alle carenze di un normale rapporto comunicativo tra due persone vicine. Chi pensa il contrario, si crea delle illusioni.

Oltre a ciò bisogna precisare che nel mondo degli umani, tra emittente e ricevente spesso si frappongono non tanto mezzi meccanici, quanto altri esseri umani, che svolgono funzioni particolari e che rendono la comunicazione a volte più facile e altre volte più difficile. Si pensi p.es. alla funzione del giornalista, quando deve riportare le parole di una persona intervistata, oppure alla funzione di un ambasciatore.

Normalmente qualunque intermediario (ricettore) modifica in qualche sua parte il messaggio ricevuto che deve trasmettere: se non lo fa nel contenuto, lo fa nella forma o nel tono. Questo è un limite assolutamente inevitabile.

D'altra parte un mezzo meccanico non potrebbe essere più fedele di un soggetto umano. Anzi, mentre un intermediario può in qualche modo rimediare a una possibile cattiva ricezione del messaggio (l'emittente può averglielo fornito in maniera inadeguata o imprecisa o insufficiente), una macchina non può certo farlo. Quante volte si sono avuti ambasciatori migliori dei loro capi di Stato?

Si può addirittura dire che tra due involontarie falsificazioni, quella dell'intermediario umano e quella della macchina, la prima sia sempre meno grave della seconda, proprio perché di fronte a una macchina ci si aspetta la perfezione, mentre di fronte a un soggetto umano si è disposti a tollerare delle manchevolezze.

E' comunque vero che più intermediari ci sono e più diventa rischiosa l'interezza della comunicazione. 

A volte gli intermediari rendono più facile la comunicazione nel senso che sanno semplificarla senza banalizzarla, oppure sanno smorzare toni troppo eccessivi da parte dell'emittente. Tuttavia, un mediatore viene accettato come tale dall'emittente proprio perché questi può fidarsi dell'onestà di quello. Un mediatore non potrebbe mai falsificare un messaggio fino al punto che l'emittente non decida di sostituirlo con un'altra persona di fiducia.

II) Messaggio, Referente e Contesto

Il contenuto della comunicazione di chiama messaggio (dal latino missum, "ciò che è stato inviato").

L'oggetto cui il messaggio esplicitamente o implicitamente si riferisce si chiama referente. L'oggetto può essere una cosa reale o immaginaria, un concetto o uno stato d'animo… P.es. il messaggio "piove" ha come referente la "pioggia".

Il referente, in un certo senso, dà sostanza al messaggio, che altrimenti apparirebbe incomprensibile, troppo astratto e generico o poco significativo.

Tuttavia, sarebbe un errore pensare che sia sufficiente individuare il referente per comprendere in maniera adeguata un messaggio. Messaggio e referente possono essere compresi in maniera adeguata solo se collocati in un contesto spazio-temporale e semantico sufficientemente definiti (che poi sono il substrato e lo sfondo in cui le parole acquistano un significato più o meno specifico).

Per restare all'esempio di prima: l'espressione "piove" se viene detta in una zona desertica, dove l'acqua scarseggia, può far pensare a uno stato d'animo collettivo di felicità, ma se viene detta in una zona geografica caratterizzata da una forte presenza industriale, può anche suscitare delle preoccupazioni, in quanto la collettività già conosce il pericolo delle "piogge acide".

Come si può notare, il referente pioggia non dice nulla di particolarmente significativo se estrapolato da un determinato contesto. L'affermazione "piove" continua a restare di tipo generico. A tale proposito, si pensi solo a quanti malintesi suscitano molte previsioni meteorologiche, e non solo perché, nonostante i mezzi tecnico-scientifici, spesso si rivelano molto approssimate o addirittura infondate, ma anche perché sono continuamente soggette agli umori popolari. Il sole, p.es., viene sempre presentato come indice di "bel tempo" e la pioggia come indice di "cattivo tempo". Solo quando vi è troppo caldo si dice che dovrebbe piovere.

Questo modo d'impostare le cose non tiene assolutamente conto della naturale alternanza di sole e pioggia, né, tanto meno, del fatto che p.es. l'agricoltura ha bisogno delle piogge non meno che del sole per potersi sviluppare (aspetto, questo, che in una società basata prevalentemente sull'industria e i servizi risulta del tutto marginale).

Dunque, per comprendere o per formulare adeguatamente un messaggio occorre saper bene in quale contesto (o per quale contesto) è nato (o è indirizzato).

Occorre avere una consapevolezza storica o sociale o culturale o ambientale sufficientemente sviluppata, altrimenti non si fa "scienza", ma solo chiacchiera.

Si badi: la comprensione o la formulazione adeguata di un messaggio non è inversamente proporzionale al numero di possibili referenti cui quel messaggio può collegarsi: un messaggio non viene più facilmente compreso o formulato quanto minori sono i referenti cui esso può connettersi.

In ultima istanza è sempre e solo il contesto semantico (extra-linguistico) che decide in merito, ed esso è essenzialmente un contesto sociale, cioè basato su rapporti umani che si presume siano caratterizzati da un'esperienza di valore, situati in uno spazio e in un tempo determinati.

Questo ovviamente non significa che un messaggio formulato correttamente non possa essere frainteso. Significa semplicemente che se uno pensa di poter essere capito meglio utilizzando un linguaggio ritenuto inequivoco, si illude.

Un linguaggio potrebbe essere inequivoco se avesse pochissime espressioni da comunicare, cioè se fosse vicino a quello animale, ma in un linguaggio del genere nessun essere umano si riconoscerebbe. Senza poi considerare che una delle caratteristiche degli umani è proprio quella di voler equivocare sulle parole (fatto, questo, che produce situazioni paradossali, comiche, tragicomiche…, assolutamente sconosciute al mondo animale). La possibilità di equivocare appartiene all'esercizio della libertà umana.

II.1. Contesti specifici

Il contesto dunque aiuta sia l'emittente a codificare che il ricevente a decodificare il messaggio in modo adeguato alla situazione da cui esso dipende.

Il contesto non solo collega il messaggio al referente in modo univoco, ma collega fattivamente l'emittente al ricevente, precisando i ruoli di ciascuno e stabilendo le regole cui ciascuno si deve attenere.

Il problema infatti è quello di realizzare, anche a distanza di tempo e con spazi molto ampi, una comprensione la più possibile adeguata del messaggio.

Ed è appunto il contesto che permette di conoscere tutta una serie di elementi extra-linguistici o meta-linguistici che aiutano in maniera decisiva la comprensione del messaggio.

L'ambiguità della comunicazione non è un limite, ma una ricchezza del linguaggio umano, proprio perché le sfumature di senso sono tantissime.

Va poi considerato che spesso e volentieri l'emittente, quando lancia un messaggio, poiché pensa di riferirsi ai suoi contemporanei, lascia sottintesi molti elementi del contesto cui il messaggio si riferisce, per cui, a distanza di tempo, può risultare abbastanza difficoltosa la comprensione del messaggio, quando non addirittura impossibile.

I presupposti, i rimandi impliciti sono spesso la chiave di volta che permette al ricevente di decodificare il messaggio, ma essi, per essere individuati, necessitano di una conoscenza adeguata del contesto originario.

Tale conoscenza può apparire tanto più difficile quanto più il contesto è lontano nel tempo e nello spazio. Tuttavia non è sempre così. Oggi sappiamo molto di più sui misteri delle piramidi o di Stonhenge che sui misteri della strategia della tensione o del disastro di Ustica.

Molto dipende, nel campo della comunicazione, dalla volontà di farsi capire, oppure dalla possibilità effettiva di farsi capire. Spesso infatti chi lancia un messaggio deve tener conto di divieti e censure cui il potere politico, in modo diretto o indiretto, lo obbliga.

Semplificando, si può forse dire che, a seconda dei vari tipi di messaggio, esistono tre forme contestuali:

a) linguistica e testuale, la quale permette di comprendere il significato di un messaggio rapportandolo al testo cui appartiene. Questo per evitare indebite estrapolazioni o le ricostruzioni del senso di un messaggio prendendo pezzi di frasi in ordine sparso, usando il contesto linguistico solo in maniera molto approssimata (questo è il criterio di certe antologie o di molti riassunti che si usano in ambito scolastico);

b) situazionale o extra-linguistica, la quale permette di comprendere il significato di un messaggio inserendolo in una particolare situazione o circostanza. Qui l'analisi del tempo e dello spazio diventa decisiva. Bisogna saper rispondere alle domande "quando" e "come";

c) culturale, la quale permette di chiarire il significato di un messaggio inserendolo in un insieme più o meno vasto e complesso di elementi collegati alla cultura di un gruppo sociale, di un ambiente, di una collettività, facendo bene attenzione a non isolare mai un individuo dal gruppo cui appartiene. Qui occorre, rispondendo alla domanda del "perché", analizzare gli sviluppi delle idee, delle concezioni di vita, delle scelte normative, delle decisioni politiche ecc. E' indubbiamente il lavoro più difficile. Chi si limita a fare questo, prescindendo dagli altri due lavori, costruisce senza fondamenta.

Spesso, ingenuamente, si ritiene che un messaggio sia tanto più efficace quanto più si presenta privo di riferimenti contestuali. Addirittura si pensa che un messaggio possa aspirare all'eternità quanto più si distacca dalla storicità che lo condiziona. Niente di più falso. Un messaggio può essere utile ai posteri solo se è stato utile ai contemporanei. Ovviamente ai posteri sarà utile solo come "lezione di metodo", come "criterio generale dell'agire", ma questo è quanto basta per essere concreti e determinati storicamente.

Il tempo che deve caratterizzare massimamente l'individuo è il presente. Ogni messaggio è tanto più utile, interessante, vero e profondo quanto più ha saputo aiutare gli uomini del presente a risolvere i loro problemi.
Si può in tal senso sostenere che un messaggio è tanto più destinato a durare nel tempo (come "insegnamento"), quanto più esso ha saputo collocarsi nel tempo in cui è stato formulato.

III) Il canale

Il messaggio, per giungere dall'emittente al ricevente, deve passare attraverso un mezzo, chiamato canale.

I cinque sensi del corpo umano rappresentano, in tal senso, i cinque canali fondamentali naturali. Di essi la società occidentale ne ha sviluppati, in forza soprattutto dei mezzi tecnici, soprattutto due: visivo e uditivo. Viceversa, gusto, olfatto e tatto sono stati abbastanza penalizzati.

Il tatto, nella nostra società, è legato più che altro a situazioni di tipo sessuale, oppure viene usato in ambiti meramente ristretti (p.es. quello familiare o parentale). Tra estranei il tatto viene scarsamente usato come mezzo comunicativo, e comunque lo è molto di meno nei paesi nord-europei che in quelli mediterranei.

Si ha come il timore di toccarsi, oppure si pensa che, toccandosi, si voglia trasmettere un messaggio che va al di là della pura e semplice amicizia o cordialità.

Il gusto è uno dei sensi più ricercati dai messaggi pubblicitari, i quali però non possono trasmetterlo che attraverso la vista e l'udito. Esso viene letteralmente bombardato da messaggi voluttuari che minano la salute del corpo.

L'olfatto è decisamente il senso più trascurato nella nostra società. Infatti i media ci hanno così convinto che il capitalismo sia la civiltà migliore del mondo, che sopportiamo come cosa del tutto naturale l'aria irrespirabile delle nostre città, i condizionatori che ci illudono di renderla più respirabile ecc. La trascuratezza delle esigenze dell'olfatto porta i cittadini ad ammalarsi seriamente di tutte le moderne malattie del capitalismo.

Quanto agli altri due canali: visivo e uditivo, essi hanno acquistato, con l'avvento della tv, un primato talmente grande che praticamente sono in grado d'indurre l'utente a credere che la vera realtà sia solo quella che trasmette la tv e che tutto quello che non si vede o non si sente praticamente è come se non esistesse.

Fino allo sviluppo della radio la prevalenza era ovviamente dell'udito. Con l'invenzione del cinematografo è subentrata la visione di immagini in movimento, che però per molto tempo sono rimaste mute e in bianco e nero.

Prima della radio e del cinema la prevalenza era del testo scritto, per chi aveva studiato, e del discorso orale, per la stragrande maggioranza. Si era allora senza dubbio più capaci di raccontare le cose e si aveva più pazienza di ascoltarle. Quanto alla lettura dei libri, essi indubbiamente allenavano la mente alla fantasia.

Ora la prevalenza è passata decisamente alle immagini, al punto che le parole fanno loro da contorno. Le immagini devono essere in continuo movimento e multicolorate, capaci di trattare qualunque argomento.

La grande mistificazione della tv si produce allorquando si sostiene che le immagini parlano da sole. Ovvero che l'autenticità di un messaggio è direttamente proporzionale alla sua ripresa televisiva (specie se in diretta).

Nella scuola italiana non sono previsti insegnamenti obbligatori che aiutino lo studente ad assumere un atteggiamento critico nei confronti della comunicazione radio-televisiva e dell'informazione multimediale in genere.

Grazie alla tv la passività dello spettatore è diventata quasi totale, benché oggi da più parti si rivendichi l'esigenza dell'interattività. Si chiede cioè all'utente d'interagire su un oggetto di consumo deciso da altri.

I mezzi di comunicazione di massa sono diventati sempre più potenti, ma il loro uso è prevalentemente negativo, poiché, anche quando vuole essere positivo, l'utente, preso singolarmente, non è in grado di controllare di persona alcunché.

Non può esistere alcun valore positivo nell'uso di mezzi la cui gestione è talmente complessa da sfuggire alla comprensione del cittadino di media cultura.

Nessun potere politico, oggi, può fare a meno dell'uso di questi potentissimi mezzi di ricerca del consenso sociale. Quanto più il canale è in grado di raggiungere il maggior numero possibile di persone, tanto più esso rischia di essere oggetto di un uso distorto.

Censure e strumentalizzazioni potrebbero essere evitate se la proprietà del mezzo mediale appartenesse realmente ai cittadini, cioè se fosse veramente "pubblica" e non "statale", cioè "governativa", "parlamentare", "partitica", o di una classe sociale egemone.

Sul piano tecnico si può affermare che la scelta del mezzo condiziona il contenuto stesso del messaggio. Non c'è nessun canale che di per sé possa offrire maggiori garanzie di autenticità di un altro. Un messaggio può essere falsificato con qualunque mezzo; anzi, normalmente la falsificazione è tanto più grande quanto più è complesso e sofisticato il mezzo.

Un ultimo aspetto da considerare nella scelta del canale comunicativo, in relazione a un determinato messaggio da trasmettere, è la questione del momento in cui trasmetterlo. L'emittente deve sapere quando è il momento giusto per lanciare un messaggio e quando non lo è.

L'emittente deve conoscere anche la modalità migliore di trasmissione che un determinato canale permette. Non si può usare liberamente un mezzo senza conoscerne a fondo le effettive potenzialità. (Naturalmente molte di queste potenzialità vengono apprese nel corso dell'utilizzo del mezzo).

Tuttavia un emittente, per essere veramente democratico, dovrebbe darsi delle regole preventive, che gli impediscano di usare in maniera indebita un determinato mezzo.

Ogni emittente deve sapere che per trasmettere un messaggio non sono sufficienti i mezzi tecnici o la loro padronanza specialistica. Un messaggio, per essere efficace, deve essere adeguato alla sensibilità umana di chi lo riceve, e quest'ultimo deve poter reagire mostrando apprezzamento o disappunto.

IV) Il codice

L'insieme dei segni convenzionali con cui viene formulato un messaggio si chiama codice.

Il codice deve essere conosciuto sia dall'emittente (che in tal caso diventa un codificatore) che dal ricevente (il decodificatore), altrimenti la comunicazione è impossibile.

Quanto meno il codice è sviluppato, tanto più è facile la comunicazione, ma solo per concetti e idee molto semplici, che non possono certo soddisfare le complesse esigenze dell'interazione umana.

D'altra parte se un codice è troppo complesso, esso diventa patrimonio solo di una ristretta minoranza di persone.

Dunque, una comunicazione è tanto più interessante quanto più è possibile formulare pensieri o sentimenti profondi (eventualmente usando anche messaggi semplici, a tutti comprensibili).

La vera comunicazione deve strutturarsi come un linguaggio pedagogico.

Tuttavia, non tutti i messaggi, usati in maniera pedagogica, possono essere comprensibili. Molti di essi vengono compresi ma non accettati, perché non condivisi; altri non vengono neppure compresi sino in fondo, pur essendo espressi in un linguaggio semplice: questo perché quando esistono pregiudizi e stereotipi non si è disponibili a comprendere l'interezza del messaggio.

Non solo, ma, poiché l'essere umano è di una complessità estrema, spesso accade che una stessa parola può essere intesa in modi alquanto differenti.

Non basta conoscere un codice per poter comunicare nella pienezza delle nostre possibilità: occorre anche un'intesa extra-linguistica (o meta-linguistica) tra emittente e ricevente, che, se manca la condivisione di un'esperienza comune, è una delle cose più difficili da realizzare.

Se dunque il codice è frutto di una convenzione, la necessità di vivere un'esperienza umana, per una adeguata e reciproca comprensione, non può essere il frutto di una semplice convenzione.

Da questo punto di vista, la vicinanza fisica di due persone (p.es. di due colleghi di lavoro, di due condomini ecc.) non è di per sé garanzia sufficiente per realizzare un'esperienza comune.

Né si può sostenere che un codice tanto più riflette la realtà di tali esperienze comuni quanto più è diffuso a livello geografico.

Un'esperienza va considerata "comune" quando i suoi valori fondamentali sono condivisi, e quindi quando i codici che utilizza per esprimere sono il frutto di una libera scelta da parte delle persone coinvolte in quell'esperienza.

Questo ci porta a credere che molti dei codici attualmente in vigore (p.es. quello stradale, quello braille, quello marittimo internazionale ecc.) non siano il frutto di una vera e propria convenzione tra persone libere, ma imposizione che gruppi di persone "potenti" (sul piano politico, economico, ecc.) hanno esercitato sulle masse popolari nel corso dei secoli.

Taluni codici sono soggetti a mutamenti perché le classi egemoni ad un certo punto sono costrette ad accettare le modificazioni avvenute spontaneamente tra le masse popolari. Per principio il potere dominante cerca sempre d'impedire che avvengano dei mutamenti, ma poi, quando essi sono talmente diffusi che è diventato impossibile ignorarli, si sente costretto ad accettarli (si pensi p.es. alla differenza tra l'inglese europeo e quello americano o tra questi e quello sudafricano).

Il codice più immediato e diretto è quello gestuale del corpo. Tuttavia questo codice, poiché non esaurisce le possibilità comunicative degli umani, risulta anche essere quello meno adatto a esprimere la complessità dell'agire umano.

Normalmente chi usa la gestualità lo fa per sintetizzare dei concetti che, se espressi col linguaggio orale o scritto, sarebbero sicuramente più articolati.

Un'altra caratteristica del linguaggio gestuale è la sua capacità simbolico-evocativa, che è molto forte appunto perché chi lo usa sa di poterlo mettere in alternativa al linguaggio meramente orale e scritto.

L'essere umano non è fatto solo per gesticolare, ma anche e soprattutto per parlare. Se dicessimo che è fatto per comunicare, diremmo senza dubbio una verità di carattere generale, ma nello specifico la particolare comunicazione che nella normalità gli compete è quella della parola detta con la voce. Tanto è vero che nessun comico o attore tragico si è mai limitato a usare dei semplici gesti: di tanto in tanto ha avuto bisogno di didascalie (se il film era muto), oppure ad un certo punto ha avvertito il bisogno di ricorrere alle parole.

Tutti sanno che il codice dei gesti è più universale di quello delle parole, ma lo è anche perché è più semplice e quindi meno adatto a esprimere la complessità dei nostri pensieri ed emozioni.

Potremmo a questo punto chiederci se mai un giorno esisterà una lingua comune universale… Per rispondere a questa domanda dovremmo prima chiederci se ha senso un codice universale immutabile.

La bellezza della lingua sta proprio nella sua perenne mutevolezza, cioè nella capacità di trasformarsi a seconda delle esigenze dei parlanti.

Una lingua comune universale non potrà essere che una seconda lingua, meno complessa della prima lingua, quella materna.

V) Rumore e Ridondanza

Ogni comunicazione può essere disturbata o addirittura impedita: è il rumore; oppure può essere facilitata e rafforzata: è la ridondanza.

"Rumore" è un termine tecnico, che fa riferimento a inconvenienti di tipo fisico: p.es. una voce rauca o balbettante da parte dell'emittente, oppure la distrazione o la sordità da parte del ricevente.

Anche quando il termine intende riferirsi, in maniera più traslata, a un codice troppo difficile o troppo oscuro o alla mutevolezza eccessiva del referente - si tratta sempre d'inconvenienti di tipo tecnico.

In realtà i veri ostacoli alla comunicazione, quelli che difficilmente possono essere rimossi, in quanto esiste una volontà pervicacemente negativa, sono quelli che pone il potere costituito fra sé e le opposizioni. P.es. negli anni '70 un "rumore gigantesco" che sviò l'attenzione dell'opinione pubblica dai problemi reali (socio-economici e politici) del paese, concentrandola verso quelli creati a bella posta (il terrorismo), fu la cosiddetta "strategia della tensione". I governi allora in carica si servirono delle forze estremiste (di destra e di sinistra) per indurre a credere che il terrorismo fosse la contraddizione principale della nazione, per cui l'opposizione avrebbe dovuto cercare l'intesa colle istituzioni statali per sconfiggerlo, mettendo in secondo piano le rivendicazioni di tipo sociale. In quel caso il "rumore" ebbe la meglio sulla comunicazione alternativa (o controinformazione).

Viceversa, i fattori che facilitano o rinforzano la comunicazione, agendo su uno dei suoi elementi, prendono il nome di "ridondanza", la quale non ha come scopo quello di aumentare l'informazione contenuta nel messaggio, ma solo quello di renderla più chiara.

La ridondanza è tipica della pubblicità o di certo insegnamento nelle scuole. In certi casi la ridondanza può aiutare a risolvere i problemi causati dal "rumore", ma un'eccessiva ridondanza il più delle volte produce l'effetto contrario, cioè l'assuefazione, per cui essa, invece di apparire come un mezzo specifico in una situazione particolare, viene percepita come cosa naturale, normale, benché fastidiosa, e quindi da evitare il più possibile.

Un altro caso di ridondanza assolutamente insopportabile è la ripetitività delle notizie offerte dai telegiornali, anche di emittenti diverse. Più del 90% delle notizie sono assolutamente identiche, ed esse vengono ripetute con una frequenza snervante, tanto che lo spettatore ad un certo punto le mette tutte sullo stesso piano: futili o tragiche che siano, hanno per lui la stessa poca o nulla rilevanza.

Il fatto è abbastanza curioso, perché il giornalismo è nato inventando uno stile letterario conciso, stringato, in un certo senso "anti-letterario" per definizione. La sua ridondanza oggi è dovuta al fatto ch'esso si è totalmente staccato dalla vita della gente ed è diventato uno strumento che discute solo di cose futili o che usa un linguaggio futile per parlare di cose serie. Il giornalismo è la chiacchiera per eccellenza e, come tutte le chiacchiere senza costrutto, è un fenomeno ridondante in quanto tale.

La ridondanza veramente utile è quella che propone in maniera diversa uno stesso messaggio (p.es. usando un'immagine al posto delle parole, oppure usando un'immagine semplice per spiegare un concetto difficile). In tali casi la ridondanza può servire per accorciare i tempi della comprensione del messaggio, oppure per allungarli, ma solo perché si vuole raggiungere il massimo numero possibile di persone.

"Rumore" e "ridondanza" in un certo senso si equivalgono: sono strumenti che il potere costituito può usare a propria discrezione in qualunque momento. Si pensi p.es. al concetto di "democrazia". Questo concetto viene usato come "rumore" quando si parla di "socialismo" e viene usato come "ridondanza" quando si vuole sostenere che il capitalismo non ha alternative.

Tutti si riempiono la bocca di questa parola, semplicemente per dimostrare che non vogliono uscire da questo sistema. La "democrazia" ha la stessa funzione che nel passato aveva la parola "Dio". In nome di "Dio" non si sono forse compiute stragi di eretici, guerre sante, inquisizioni, crociate…? Ebbene, oggi si fanno le stesse cose, in forma ovviamente diverse, usando la parola "democrazia". Le forze di opposizione devono a loro volta usare "rumore" e "ridondanza" per ostacolare quelle che legittimano il sistema.

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Fonti


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 27/08/2015