I RACCONTI EROTICI DI LUIGI PIRANDELLO (1867-1936)
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Quanto meno Luigi Pirandello meriterebbe d'essere letto
per la sua grande padronanza linguistica, che in questi Racconti erotici
(21editore, Palermo 2015) raggiunge vette sublimi proprio in ragione del
loro argomento "scabroso" (che tale va considerato per il tempo in cui
vennero scritti). Solo un grande scrittore poteva permettersi il lusso di
trattare con grande maestria un tema che negli anni Venti e Trenta del
secolo scorso era un tabù per la stragrande maggioranza della popolazione
italiana, contadina almeno al 60 per cento, e di quella meridionale in
particolare. Solo una certa intellighenzia borghese (si pensi a
D'Annunzio, ma anche a certe novelle del Verga, in primis "La lupa") poteva
azzardare un proprio sviluppo letterario "libertino". Vedere il sesso non
tanto come organo preposto alla riproduzione della specie, ma principalmente
come una fonte di piacere fisico, non era cosa che la cultura dominante,
cattolica per definizione, poteva tollerare, salvo appunto le "case di
tolleranza" per gli uomini non sposati. La Chiesa romana chiudeva un occhio sulle "debolezze
sessuali" dei rappresentanti del potere politico ed economico, ma a
condizione che si salvassero le apparenze. La dicotomia tra apparenza
formale e realtà concreta è una costante nei testi pirandelliani, anche in
quelli non espressamente erotici. In taluni momenti la padronanza linguistica gli
permette di giustapporre o d'intersecare strategie letterarie tra loro
differenti, come la novella, la commedia, una velata autobiografia (la
descrizione della signora Piovanelli, nella prima novella, sembra essere
quella di sua moglie), il dramma teatrale. Il tutto sempre condito con una
sottile ironia, il più delle volte amara. Emblematico è l'esordio del primo racconto, "L'uscita
del vedovo": neanche tre righe di prosa piana, tipica di una novella
classica; poi improvvisamente s'introduce, con un punto esclamativo, un
discorso indiretto tra i due protagonisti, che si potrebbe tranquillamente
trasformare in un dialogo teatrale. È semplicemente geniale. Leggendo queste e tante altre sue novelle appare molto
nettamente la possibilità di una loro trasposizione verso altri generi
letterari e persino cinematografici. A volte addirittura si sfiora la
poeticità, come p.es. in questo incipit del racconto "Un cavallo nella
luna". Basta mettergli degli slash per accorgersene: Di settembre / su
quell'altopiano di aride argille azzurre / strapiombante franoso sul mare
africano / la campagna già riarsa / dalle rabbie dei lunghi soli estivi /
era triste: / ancora tutta irta di stoppie annerite / con radi mandorli / e
qualche ceppo centenario / di ulivo saraceno qua e là. Sembra di leggere Quasimodo. Tuttavia Pirandello merita d'essere letto soprattutto
perché rappresenta uno spaccato psicologico di notevole spessore della
borghesia italiana degli anni Venti e Trenta. Considerando che ha vinto il
Nobel per la letteratura, si può addirittura sostenere che le sue opere
abbiano un respiro che va ben oltre i confini nazionali. Sarebbe infatti un grave errore pensare che la classe
di riferimento di questo grande autore sia la borghesia meridionale di
cultura cattolica, quella da cui lui pur proveniva. Sarebbe meglio dire che
in lui vi è il tentativo freudiano di superare i limiti assiologici di una
borghesia europea non più disponibile a riconoscersi, soprattutto in
rapporto alla sfera sessuale, nei valori del cristianesimo, sia esso
cattolico o protestantico. Pirandello, in tal senso, sembra essere la
trasposizione letteraria (come lo fu Svevo, con cui fa coppia nei manuali
scolastici) della critica freudiana al perbenismo borghese, relativamente
all'atteggiamento da tenere sulle questioni sessuali. Paradossalmente un
involontario anticipatore della liberazione sessuale sessantottina. Le parti in cui descrive gli indugi, le incertezze, i
sensi di colpa…, allorquando deve prendere una decisione che, in qualche
maniera, riguardi la sessualità, sono semplicemente meravigliose. Certo,
possono apparire un po' stucchevoli a chi è figlio inconsapevole del
Sessantotto, e non conosce la fatica di una transizione socioculturale di
portata storica. Possono apparire datate a chi ha investito nella sfera
sessuale gran parte della propria "istanza di liberazione" e non ha più
intenzione di ritornare sui propri passi, di ripercorrere il suo faticoso
cammino di emancipazione. Ma farebbe un torto a se stesso chi non sapesse
riconciliarsi, ironicamente, col proprio passato, chi non sapesse rivedersi
con sereno distacco, con quel senso dell'umorismo tanto caro alla filosofia
di vita pirandelliana, la quale, qui e in ogni dove, offre degli strumenti
eccezionali per capire l'evoluzione della storia del costume e della
mentalità. In Pirandello vi è una sorta d'interpretazione
soggettiva della sessualità costantemente fatta passare per una
constatazione apodittica, secondo la lezione freudiana, appresa quando
studiava in Germania: l'inconscio umano è dominato da pulsioni che la
religione è sempre meno in grado di controllare. Il racconto "La trappola" sembra addirittura un
condensato, in forma di monologo interiore, di una delle tesi principali del
capolavoro di A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione
(privilegiato punto di riferimento filosofico di Freud), ove si afferma che
l'istinto sessuale è l'arma di cui si serve la natura matrigna per
costringere gli uomini a riprodursi, senza mai renderli felici. L'attrazione fisica sarebbe quindi del tutto
indipendente dalla volontà umana; e illusoria la convinzione di poter
scegliere un partner adeguato sulla base dei sentimenti dell'amore. Questo
perché esistono forze ancestrali in grado di fare degli esseri umani ciò che
vogliono. Sicché l'unico modo di resistere a queste ataviche pressioni è
quello di non desiderare alcunché, cioè di non volere assolutamente nulla. È
la filosofia del misogino, che fa continuamente capolino in tutta l'opera
pirandelliana, pur contornata da una manifesta e insistente esigenza, da
parte dell'autore, di ottenere un certo successo con le sue opere. Quando messi a confronto con le donne, gli uomini
spesso appaiono come mezze figure, ma proprio questo modo di rappresentarli
serve a Pirandello a titolo giustificatorio della propria misoginia. Ne "L'uscita del vedovo" lo dice chiaramente: le donne
fanno "perdere tempo" (a uno come lui, artista della penna e del
palcoscenico); creano "impicci" (con le loro esigenze particolari, coi figli
che mettono al mondo...); procurano "una certa difficoltà" (e qui è evidente
la questione sessuale stricto sensu). Se nelle sue novelle erotiche la religione riesce
ancora ad avere un certo controllo sulla sessualità, lo fa in una maniera
piuttosto nevrotica, a motivo dell'arretratezza culturale dell'Italia, cui
si devono aggiungere le frustrazioni personali dell'autore in materia.
Queste ultime si sono per così dire cristallizzate in uno sfortunato
matrimonio con una donna particolarmente gelosa e ossessiva, affetta da
deliri di persecuzione, tanto da finire in manicomio. Si può in un certo senso dire che la moglie e il
fascismo rappresentano, culturalmente, il limite oltre il quale Pirandello
voleva andare e possibilmente lontano dall’Italia. L'enorme sforzo
linguistico-letterario ch'egli fece per dimostrare che questa barriera
culturale era assolutamente insopportabile, l'ha portato ai vertici della
letteratura europea, anzi mondiale. Certo, guardando retrospettivamente la sua produzione,
dopo l'emancipazione sessuale degli anni Sessanta e Settanta, gli intrecci
delle sue novelle oggi possono apparire incredibilmente superati; eppure
sono proprio loro che permettono di scorgere le prime crepe che avrebbero
fatto crollare la diga. Come spesso succede in campo letterario, o artistico in
generale, il meglio di sé un autore lo dà non quando è libero di scrivere
ciò che vuole, ma proprio quando non lo è: basta vedere la letteratura
sovietica prima della perestrojka gorbacioviana. Oggi uno come Pirandello,
in un mondo, soprattutto quello occidentale, dominato dal permissivismo in
campo sessuale, si troverebbe come un pesce fuor d'acqua. Ma è anche per
questa ragione che non si trovano più grandi scrittori alle prese con forti
lacerazioni interiori da sublimare. Il rapporto tra i sessi è diventato talmente libero che
chiunque si permette di fare osservazioni morali su un argomento del genere,
rischia facilmente di apparire obsoleto. La delicatezza letteraria con cui
Pirandello affrontava le nevrosi sessuali, oggi verrebbe considerata una
superfetazione, un orpello barocco, quando invece stava proprio lì la sua
grandezza. Usare un linguaggio diretto, dire le cose come stanno è
un esercizio più semplice di quello che occorre quando il "non detto" deve
svolgere la parte del protagonista. Che è poi la differenza tra erotismo e
pornografia. In questo Pirandello è un maestro assoluto, soprattutto quando
nelle novelle riesce a condensare in poche righe dei drammi esistenziali di
ampio respiro. Naturalmente qui ci stiamo riferendo ai suoi
Racconti erotici, che sono però solo una piccolissima parte della sua
enorme produzione letteraria, i cui temi esistenziali sono molto vari e
complessi. Di tali Racconti forse l'unica cosa su cui non
troveremo mai una risposta definitiva è la seguente: essendoci in ballo
degli argomenti osé, possiamo dire che la trattazione indiretta, non
esplicita, da parte dell'autore, era una scelta consapevole, utilizzata per
dare maggiore enfasi all'argomento, o invece era il frutto di un
condizionamento socioculturale, da cui l'autore non poteva in alcun modo
prescindere? In altre parole, se fosse vissuto oggi, Pirandello
avrebbe continuato a trattare il tema con la stessa intelligenza soft,
oppure, avendo interesse per il successo, avrebbe scelto una soluzione più
hard? Ch'egli fosse consapevole delle sue qualità letterarie
è non meno indubbio dell'ambizione nutrita per la notorietà. Di sicuro
possiamo dire che oggi Pirandello non avrebbe avuto nei confronti della
sessualità le remore provenienti dalla tradizione cattolica. Ma noi sappiamo
che il suo ingegno è stato speso al meglio proprio nel modo letterario con
cui ha saputo affrontare, superandola, tale tradizione e cultura. |
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