Kant: il fondamento della matematica e delle sue applicazioni al mondo fisico

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Kant: il fondamento della matematica e delle sue applicazioni al mondo fisico

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Giuseppe Bailone

Sul carattere scientifico della matematica Kant non ha mai avuto dubbi.

Nella maturità ha espresso questa sua certezza dicendo che i giudizi della matematica sono sintetici a priori, cioè dicono col predicato qualcosa che non è già implicito nel soggetto della proposizione e lo dicono con una validità universale e necessaria.

7 + 5 = 12, scrive ad esempio, è un giudizio sintetico a priori.

È sintetico, e non analitico, perché il 12 non è contenuto implicitamente nella prima parte del giudizio, nel 7 + 5: va, infatti, trovato compiendo intuitivamente la somma, aggiungendo 5 unità alle 7 iniziali. Il suo valore però non dipende soltanto dall’operazione intuitiva di risoluzione del problema, né si possono avere esperienze intuitive che smentiscano quel risultato. L’esperienza, cioè, è indispensabile ma non sufficiente: permette di scoprire il 12, ma non ci offre la validità universale e necessaria del risultato. Se ripetessimo mille volte la somma, potremmo sempre soltanto dire che per mille volte abbiamo trovato quel risultato: l’esperienza cioè, per ampia che sia, è sempre particolare, è quella compiuta e mai la totalità dell’esperienza possibile in ogni spazio e in ogni tempo. Noi, però, fin da bambini impariamo a pensare che quell’operazione darà sempre lo stesso risultato, che quel risultato è sicuro, valido sempre, sia quando le unità da sommare sono quelle astratte dell’aritmetica, sia quando si tratta di sommare sassolini, soldi, perle o qualsiasi altra cosa, in ogni spazio e in ogni tempo.

Su che cosa si fonda questa validità universale e necessaria delle operazioni aritmetiche e delle loro applicazioni alle cose del mondo fisico?

I Pitagorici, dicendo che il numero è l’arché, il principio di tutte le cose, hanno impostato una risposta metafisica fatta poi propria, con variazioni secondarie, da molti filosofi nel corso dei tempi. Per Kant, però, noi non conosciamo le cose nel loro essere in sé, ma solo come si presentano a noi: non possiamo pertanto dire se il numero sia il loro principio, la loro arché. Le cose come ci appaiono, però, si prestano molto bene a essere misurate ed esaminate con gli strumenti matematici: la fisica galileiana nasce proprio come lettura matematica delle cose del mondo fisico.

Se all’arché delle cose in sé non possiamo arrivare, come si spiega che la matematica, come dimostra il successo della scienza galileiana, funziona benissimo come codice di lettura dei fenomeni fisici?

Si può provare a pensare che ci sia un’arché delle cose come appaiono, un’arché del loro apparire, del loro presentarsi a noi, dei fenomeni? Si può supporre che esista un qualcosa che non deriva dall’esperienza, ma è in funzione dell’esperienza stessa, come sua condizione formale universale?

Kant si muove in questa direzione: è convinto che un arché, un a priori, ci sia e ne va in cerca. Avvia una ricerca che lo impegna per molti anni e che lui chiama indagine trascendentale, usando un termine medievale.

Per i logici medievali, infatti, trascendentali sono le proprietà universali comuni a tutte le cose; per Kant sono gli universali a priori della sensazione, cioè le forme dello spazio e del tempo, e dell’elaborazione che delle sensazioni fa l’intelletto, cioè le forme del ragionamento, che egli chiama categorie.

Trascendentale è un termine che Kant usa per indicare sia gli elementi a priori delle sensazioni e dei pensieri sia l’indagine che li riguarda.

Kant chiama estetica (= teoria della sensazione) trascendentale l’indagine sugli a priori della sensazione, logica trascendentale quella sugli a priori dei ragionamenti, che articola in analitica e in dialettica, entrambe trascendentali.

Kant presenta questa sua impostazione del problema del fondamento della conoscenza come una rivoluzione analoga a quella di Copernico.

“Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi, condotti a partire da questo presupposto, di stabilire, tramite concetti, qualcosa a priori intorno agli oggetti, onde allargare la nostra conoscenza, sono andati a vuoto. È venuto il momento di tentare una buona volta, anche nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall’ipotesi che siano gli oggetti a regolarsi sulla nostra conoscenza; ciò si accorda meglio con l’auspicata possibilità d’una conoscenza a priori degli oggetti, che affermi qualcosa nei loro riguardi prima che ci siano dati. Le cose stanno qui né più né meno che per i primi pensieri di Copernico; il quale, incontrando difficoltà insormontabili nello spiegare i movimenti celesti a partire dall’ipotesi che l’insieme ordinato degli astri ruotasse intorno allo spettatore, si propose d’indagare se le cose non procedessero meglio facendo star fermi gli astri e girare lo spettatore”.1

Quest’immagine della rivoluzione copernicana ci mette in condizioni di modificare anche l’idea galileiana della natura scritta in caratteri matematici da Dio nell’atto della creazione. Non avendo scienza di Dio né delle cose in sé, potremmo dire che, kantianamente, l’applicazione della matematica alla fisica funziona perché le cose si presentano a noi nello spazio e nel tempo, che sono il fondamento del valore della matematica. Quindi, la tesi galileiana delle cose scritte da Dio in caratteri matematici con la loro creazione si può riformulare nei termini seguenti: le cose si presentano a noi, data la nostra struttura mentale, in caratteri matematici. Di Dio e della sua creazione delle cose non c’è scienza possibile, della nostra struttura mentale sì. E da questa scienza ricaviamo la tesi che le cose noi le riceviamo in forme che ci mettono in condizione di leggerle in codice matematico.

Tornando all’arché dei Pitagorici, con Kant non possiamo dire se il numero sia l’arché di tutte le cose in sé, ma possiamo dire che esso è l’arché del loro presentarsi a noi, del loro essere da noi conosciute.

Tornando alla caverna di Platone, per Kant la matematica non ci aiuta a uscire dalla caverna ma a decifrarne la struttura con rigore scientifico: la natura volubile, effimera, incerta della conoscenza sensibile non si supera uscendo dalla caverna platonica con la matematica per accedere al mondo delle Idee, ma usando la matematica per cogliere nell’instabilità delle cose sensibili la loro struttura permanente. Si tratta non di uscire dal mondo sensibile ma di andarne in profondità con i mezzi della matematica.

Possiamo conoscere l’ordine che governa il mondo fenomenico, il mondo delle cose che ci appaiono nell’esperienza, perché quell’ordine lo costruiamo noi con le nostre forme a priori della sensazione e del pensiero.

La caverna dell’esperienza non è la prigione dalla quale dobbiamo cercare di evadere; è una costruzione nostra, realizzata ricevendo i dati sensibili nelle forme a priori dello spazio e del tempo e pensandoli con le categorie, le dodici forme a priori del pensiero.

La mente umana non è spontaneità assoluta, come la metafisica tradizionale pensa sia quella di Dio, bensì solo relativa: per esercitare la sua attività formatrice la mente umana ha bisogno di dati, del materiale empirico. Non opera neppure come il Demiurgo platonico: le forme che essa imprime alle cose non sono oggetti metafisici veramente reali come le Idee di Platone, che il Demiurgo prende a modello per plasmare il mondo naturale, ma appartengono alla struttura della sua soggettività senziente e pensante.

La mente umana non crea dal nulla il mondo, ordina i dati che riceve.

Kant chiama “Io penso” la funzione formale del soggetto umano che crea, pensando i dati empirici, quest’ordine.

L’Io penso kantiano non prende il posto di Dio, non determina l’esistenza delle cose, ma il loro modo di manifestarsi a noi.

L’Io penso kantiano è l’ordinatore del mondo empirico, è il legislatore della natura. Non è infinito: ha il suo limite nei dati che riceve e la sua struttura formale è determinata.

Torino 2 marzo 2015

Note

1 Kant, Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET 1967, Prefazione alla seconda edizione, p. 44.


ANNO ACCADEMICO 2014-15 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 06-09-2015