TEORIA
|
|
OCCHIO PER OCCHIO, DENTE PER DENTE I - II - III - IV - V - VI - VII
La pena capitale: un giusto castigo o un assassinio legalizzato? L'impiccagione e la fucilazione sono i metodi di esecuzione più comuni al giorno d'oggi. La sedia elettrica, il gas e l'iniezione di veleno vengono applicati solo negli USA. Cinque paesi utilizzano la decapitazione e sette la lapidazione in base alla legge islamica (in Iran tra condannati hanno preferito alla decapitazione l'essere precipitati da un dirupo, ott. 1987). La sedia elettrica + La sedia elettrica venne introdotta nel 1889 nello Stato di New York, al
posto della forca, considerata troppo disumana. + Negli USA è molto sviluppato il sistema del ricorso in appello per il rinvio dell'esecuzione: ecco perché nella cella della morte esiste il telefono: Infatti, dopo l'ultima dichiarazione del condannato, il responsabile della procedura finale deve chiarire per telefono se all'ultimo momento non sia giunto un ordine di sospensione dell'esecuzione. A questa assisteranno alcune guardie carcerarie, due elettricisti, il boia, il medico e il suo assistente, eventualmente il sacerdote. Siringa e catetere + L'iniezione di una dose letale di veleno venne usata per la prima volta in
Oklahoma e nel Texas nel 1977. A tutt'oggi è ritenuto uno dei metodi più "umani"
di esecuzione capitale. Camera a gas + Questo metodo è in uso dalla fine degli anni '30 negli USA, ma nello stesso
periodo venne adottato anche dai nazisti. La camera a gas è un locale d'acciaio
chiuso ermeticamente, all'interno del quale vi sono due sedie d'acciaio (a volte
i condannati vengono uccisi in coppia perché più "economico"!). Gli ultimi minuti Generalmente il condannato a morte, anche se pentito, non vuole essere giustiziato, tanto è vero che spesso vengono trascinati a forza nella cella della morte (uno ad es. si è tagliato la gola con un pezzo di vetro ed è stato trascinato sanguinante nella camera a gas; un altro ha saputo liberarsi dalle cinghie e, soffocando per il gas, si dimenava come un pazzo per la cella, gridando e cercando di rompere il vetro dietro al quale si trovavano i testimoni; un altro ancora è stato preso da convulsioni e attacchi epilettici). La crudeltà della pena di morte + L'esecuzione sulla sedia elettrica causa sofferenze inverosimili (vi sono
stati casi in cui la scarica è durata 10 minuti oppure è stata ripetuta più
volte prima che il medico costatasse la morte). + J. Terry Roach, quando aveva 17 anni, venne dichiarato colpevole dell'omicidio
di due giovani e di altri reati, fra cui la violenza sessuale e il sequestro di
persona. Fu condannato a morte nonostante il fatto che durante il processo
risultasse che era stato plagiato da un uomo più anziano e che fosse affetto da
disturbi della personalità. Uno dei suoi avvocati restò con lui durante la notte
precedente l'esecuzione e descrisse così le sue ultime ore: "Sebbene Terry
avesse 25 anni quando morì, sembrava molto infantile. Aveva un quoziente
intellettivo pari a 70, livello paragonabile a quello di un dodicenne. Quando il
prete gli mostrò alcune preghiere, che avrebbero letto insieme, Terry gli chiese
quali preghiere lo avrebbero aiutato di più ad andare in paradiso; questo
nell'infantile presupposto che una preghiera "funzioni" meglio di un'altra.
Sebbene fosse evidente che aveva paura, collaborò con le guardie e cercò di far
finta che tutti i preparativi di rito fossero cose normalissime. + Naturalmente è impossibile quantificare le sofferenze psicologiche causate al condannato a morte, tenuto separato dal resto della popolazione carceraria, rinchiuso nel "braccio della morte", costretto a non fare niente e soprattutto obbligato ad affrontare l'idea di essere messo a morte entro un tempo prestabilito. La condanna degli innocenti A volte capita di colpire persone innocenti: La situazione nel mondo + 99 nazioni mantengono nelle proprie leggi la pena di morte: almeno 37 nazioni hanno tribunali militari o speciali che possono comminare condanne capitali senza dover celebrare processi equi o senza prevedere il diritto di appello. + Da 1948 (Dichiarazione Universale dell'ONU, che vieta di usare torture, trattamenti e punizioni crudeli) solo 69 nazioni hanno abolito di fatto o di diritto, parzialmente o del tutto, dalle proprie leggi o dalla vita sociale, la pena di morte. Nell'ultimo decennio in media almeno un paese all'anno ha abolito la pena di morte. + In SUDAFRICA negli ultimi 10 anni sono stati giustiziati più di 1250 prigionieri (oltre 100 all'anno). In NIGERIA nel 1985 sono state fatte 301 esecuzioni. In CINA i processi sono stati addirittura interrotti per accelerare l'esecuzione degli imputati: dall'83 all'88 sono state fatte circa 30.000 esecuzioni (con accuse che vanno dall'omicidio alla rapina, dall'organizzazione di società segrete alla proiezione di film porno, ecc.). In PAKISTAN fra le ultime 115 condanne a morte ve n'erano almeno tre comminate a minorenni. Oltre al PAKISTAN, anche USA, IRAN, IRAK, BANGLADESH e BARBADOS hanno giustiziato per reati commessi nella minorità. In INDONESIA nell'85-87 sono state giustiziate delle persone che attendevano l'esecuzione da oltre 10 anni (in due casi da 25 anni). In IRAN spesso le esecuzioni avvengono per la pidazione: un testimone oculare ha raccontato che alcune donne, condotte sul luogo con un sacco sulla testa, vennero prima lapidate e poi finite a colpi di vanga. In IRAK il governo chiede ai parenti del giustiziato il pagamento di una tassa a titolo di rimborso per le spese sostenute dallo Stato per la fucilazione, il trasporto e la sepoltura. Negli USA due prigionieri mentalmente malati (W. Falte e L. Lowenfield) sono stati giustiziati in Louisiana nel marzo 88 (uno era addirittura uno schizofrenico che non riuscì neppure a intendere il senso della sentenza di morte). Sempre negli USA attualmente 2182 prigionieri attendono nei bracci della morte di 36 Stati l'applicazione della sentenza (il 40% sono di razza nera). Fra gli ultimi paesi che hanno abolito la pena di morte si segnalano: RDT, HAITI, FILIPPINE, LIECHTENSTEIN e ROMANIA. Perché viene usata la pena di morte? + Per impedire che i criminali possano commettere delitti più crudeli di
quelli che hanno già commesso. Cosa dicono i paesi abolizionisti? + Dopo l'abolizione della pena capitale il numero degli omicidi, all'interno di una nazione, tende a diminuire (ad es. in Virginia, Washington e Vermont, dove esiste la pena capitale, il numero degli omicidi è superiore a quello degli Stati limitrofi: West Virginia e Maine dove invece è stata abolita). + Negli USA poliziotti e guardie carcerarie vengono uccisi in proporzione uguale sia negli Stati che hanno abolito la pena capitale sia negli altri. Questo per due ragioni: 1) il criminale uccide nel momento in cui viene colto sul fatto, per evitare la galera; 2) i poliziotti vengono uccisi per uno scopo preciso (ad es. vendetta personale o furto dell'arma). Il criminale va incontro ad ogni rischio, sicuro che non sarà catturato. La pena capitale non costituisce un freno. + In GIAPPONE gli studi della psichiatra Sodokata Kogi, condotti per due anni su un campione di 145 assassini, hanno dimostrato che nessuno degli intervistati aveva pensato, prima di commettere il crimine, al rischio di essere condannato a morte. Questo perché i delitti erano stati compiuti sotto l'influsso di violente emozioni quali l'ira o la vendetta. + In effetti, la maggior parte dei crimini crudeli e insensati vengono compiuti da persone con serie anomalie mentali, incapaci di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Molti omicidi vengono commessi sotto l'influsso dell'alcool o della droga, oppure in momenti di panico (ciò che in altre situazioni o condizioni di vita non si farebbe mai). + Non solo, ma la pena di morte può anche esasperare il criminale, il quale sa di non aver più nulla da perdere (ad es. laddove esiste la pena capitale per lo stupro i criminali spesso uccidono la vittima per non essere identificati). L'assassino che per il suo delitto merita la pena di morte e che ancora non è stato preso, non ha alcun motivo per non commettere altri delitti. Per non parlare del fatto che se per un determinato delitto l'assassino merita in uno Stato la pena capitale non è detto che meriti la stessa pena in un altro Stato. + Insomma le persone che progettano gravi crimini in maniera calcolata, non si fermano neanche davanti alla pena di morte, mentre per quelli che li commettono senza calcolo l'esecuzione capitale è senza dubbio una punizione eccessiva. I criminologi sostengono in genere che il mezzo per scoraggiare i criminali che uccidono in maniera calcolata non è la severità della pena ma l'aumento delle probabilità di essere catturati. + Negli USA è stato dimostrato che su 2646 assassini scarcerati, dopo aver scontato la pena, solo 16 sono stati condannati ancora per omicidio. Se fosse stata usata la pena di morte, in 2636 casi sarebbe stata inutile, poiché i soggetti hanno preferito pentirsi. + In CANADA il tasso di omicidi ogni 100.000 ab. è passato dal 3,09% del 1975 (anno precedente all'abolizione della pena di morte per il reato di omicidio) al 2,74% nel 1983. + E' forse una lunga pena detentiva che si rivela come fonte di dissuasione? No, perché l'ergastolo non è una punizione meno terribile della sentenza capitale: oltre ai problemi psicologici ch'esso può creare, facilmente può trasformare un criminale da dilettante a professionista. Il problema principale resta quello della capacità di recupero che la società può dimostrare nei confronti del criminale. + Non vi è comunque modo di sapere con sicurezza se un detenuto, una volta scarcerato, non ripeterà il crimine. Nel dubbio non si può preferire la pena di morte, poiché le statistiche dimostrano che i recidivi sono sempre una minoranza insignificante. + E' vero, i parenti della vittima reclamano giustizia, ma l'esecuzione dell'assassino non fa tornare in vita il morto, e la famiglia dell'assassino giustiziato spesso è votata essa stessa alla sofferenza. + Non si può comunque punire la crudeltà con la crudeltà. I codici penali non prevedono la violenza carnale per gli stupratori o l'incendio delle case per i piromani. Perché dunque fare un'eccezione per l'omicida? Di recente il Senato americano ha approvato una legge che prevede una riduzione di 2/3 della pena per quello stupratore che accetta di farsi castrare: questi metodi sono molto semplicistici e non possono che sortire effetti illusori (ad es. l'odio nei confronti della società certamente aumenterà nel criminale). + La pena di morte è l'uccisione premeditata e a sangue freddo di un essere umano compiuta dallo Stato. Può lo Stato avere il diritto di sopprimere una vita? + Sempre negli USA la Corte Suprema nel 1972 deliberò che la pena capitale come "punizione crudele e straordinaria" era incostituzionale (4 anni dopo però con una delibera speciale diede facoltà a tutti gli Stati di introdurla). + Da notare che i reati per cui la pena di morte è oggi introdotta più di frequente sono quelli correlati al narcotraffico. Più di 20 nazioni lo hanno fatto (10 negli ultimi 10 anni). In MALAYSIA e a SINGAPORE, p. es., vi è la pena di morte per il possesso di una quantità di eroina superiore ai 15 gr. Pena di morte e capitalismo L'assurdità di tanti casi specifici di sentenza capitale ci aiuta a comprendere non solo l'assurdità della pena di morte in generale, ma anche la sua necessità nell'ambito del capitalismo maturo. Si obietterà naturalmente che la pena di morte è esistita in tutti i sistemi sociali, inclusi quelli comunisti, e che anzi le prime obiezioni al suo uso vennero mosse proprio da filosofi borghesi progressisti (si pensi p.es. al Beccaria e al Cattaneo). Il problema tuttavia è un altro. Nelle società pre-borghesi esisteva la pena di morte semplicemente perché non esisteva la coscienza della dignità della persona. La dignità era considerata non in se stessa, ma in relazione ad altre cose: status sociale, posizione politica, condizione professionale, cittadinanza, ecc. E' vero che la borghesia ha collegato la dignità della persona all'emancipazione economica, cui formalmente ogni uomo può aspirare, ma ha fatto questo nella consapevolezza di un limite. Essa infatti sa che l'uomo va rispettato in quanto tale, a prescindere da quello che fa o pensa o da quello che possiede. Tuttavia quando si tratta di agire nel concreto essa si comporta come se questa consapevolezza non l'avesse. Il motivo di questa doppiezza o dualismo è semplice: è la coscienza "proletaria" che dà alla coscienza "borghese" il senso della dignità umana. Proprio per il potere di cui dispone e per quanto le sia concesso, la borghesia può non tener conto di questa consapevolezza, ma le differenze restano, anche se non così nette e così irreversibili come si vorrebbe. Mentre ad es. nei paesi socialisti la pena di morte è stata conservata (purtroppo, dobbiamo dire) per gli interessi di tutto il popolo (salvo poi usarla contro questi stessi interessi), nei paesi capitalisti invece essa viene prevalentemente usata per gli interessi della classe borghese, la quale, più che un attacco individuale alla sua proprietà, teme un attacco collettivo e politico contro il suo potere. Ecco perché nel mondo occidentale la borghesia, che sa di avere degli interessi non immediatamente coincidenti con quelli di tutto il popolo, non ha mai potuto giustificare l'esigenza di estendere la pena di morte anche ai reati di tipo economico. Laddove le vicende politico-rivoluzionarie della storia hanno costretto o indotto la borghesia a una maggiore coerenza teorico-pratica, lì è stata abolita (di diritto o di fatto) o comunque limitata la pena di morte; laddove invece queste vicende sono state poco significative, la borghesia ha continuato a giustificarla. In entrambi i casi si può parlare di coerenza, ma in modo diverso: nell'area europea i movimenti ispirati dalle idee del socialismo hanno indotto la borghesia ad essere più coerente sul piano pratico con i suoi principi umanistici, affermati in sede teorica; negli USA invece la limitata presenza di questi movimenti ha permesso alla borghesia di legittimare meglio, sul piano teorico, i suoi metodi antiumanistici. Rispetto agli Stati Uniti, l'Europa ha fatto un uso più limitato della pena di morte dal dopoguerra ad oggi. Tuttavia, anche gli USA in parte si sono contenuti, rispetto al secolo scorso, in quanto hanno potuto scaricare sul loro immenso impero coloniale le tensioni che accumulavano al loro interno. L'Europa è stata sollecitata da fattori soprattutto endogeni a mitigare l'uso di questa prassi; gli USA hanno potuto farlo perché aiutati da fattori soprattutto esogeni (l'imperialismo ha permesso loro un elevato benessere e quindi un minor bisogno di applicare sentenze capitali: lo stesso imperialismo tuttavia ha esportato nel Terzo mondo feroci e sanguinarie dittature). Certo, anche l'Europa occidentale partecipa con gli USA allo sfruttamento neocolonialistico del Terzo mondo, ma alla sua minore partecipazione non ha fatto da contrappeso un uso maggiore, al suo interno, della pena di morte. Viceversa, gli Stati Uniti hanno fruito di uno sfruttamento maggiore e maggiore è stato l'impiego della pena di morte al loro interno. Questo è accaduto appunto perché nella loro società sono stati poco rilevanti quei processi culturali, politici e sociali che frenano la prassi antiumanistica della borghesia (basata sul mero profitto e sulla "sacralità" della proprietà privata). In ogni caso non si deve affatto pensare che in futuro, come per una evoluzione naturale del diritto borghese, la pena di morte scomparirà. L'Italia è stata una delle prime nazioni al mondo ad averla abolita (con il codice penale Zanardelli del 1889) ed anche una delle prime ad averla reintrodotta, sotto il fascismo, dopo averla abolita. La sua definitiva scomparsa può dunque dipendere in Europa e negli USA solo dall'affermazione delle idee socialiste, che oggi, pur con tutti i limiti delle realizzazioni pratiche, sono in campo mondiale la punta avanzata del progresso intellettuale e morale dell'umanità (Marx sostenne l'impossibilità di stabilire dei principi su cui giustificare la pena di morte). Parallelamente all'affermazione di queste idee, interna al sistema capitalistico, occorrerà, ad extra, che avvenga la fine dell'imperialismo. Oggi dunque nelle aree del capitalismo avanzato la pena di morte viene richiesta dai poteri costituiti e dalle classi borghesi non solo per tenere a freno quegli strati sociali marginali che provocano tensioni (che per il momento comunque non sembrano così forti da giustificarne un uso massiccio); ma anche per prevenire le tensioni future, in quanto il capitalismo di stato sa di essere una struttura instabile, che non si basa sul consenso delle masse popolari. La pena di morte non serve al momento per reprimere il crimine, ma per dimostrare politicamente che lo Stato non è disposto a fare ulteriori concessioni a chi pretende di metterne in discussione non solo l'autorità ma anche la legittimità. Tale "nemico", in questo momento, potrebbe essere individuato nel grande proletariato del Terzo mondo, oltre naturalmente agli strati marginali del capitalismo avanzato. Nei confronti di questo "nemico" la pena di morte può dunque essere richiesta non per motivi etici o di giustizia (idee, queste, di tipo kantiano ed hegeliano), ma per motivi squisitamente politici, di principio, per la garanzia dell'ordine pubblico, equivalente in sostanza al potere della borghesia. Il diritto alla vita Nessuna società può contare sull'infallibilità dei propri tribunali. I giudici possono sbagliare, anche in buona fede (spesso perché condizionati dalla mentalità dominante, che può essere carica di pregiudizi politici, ideologici, razziali, religiosi, etnici, ecc.). Ad es. negli Stati meridionali degli USA la condanna a morte per violenza carnale è quasi inevitabile per un nero (se la vittima è bianca) e meno probabile per un bianco (del tutto improbabile se la vittima è nera). Inoltre molto più facilmente si condanna il povero del ricco, ovvero quello che non ha mezzi per pagarsi esperti avvocati. Insomma la pena irrevocabile della morte cancella sia il diritto della vittima di ottenere la modifica di una condanna errata, sia la capacità del sistema giudiziario di correggere i propri errori. Inoltre non va dimenticato che in molte società i cui governi sono corrotti l'introduzione della pena di morte finirebbe col colpire la criminalità meno significativa, quella riguardante individui isolati, non privilegiati o non protetti dalle organizzazioni criminali, con poche risorse materiali. Il 90% dei condannati a morte negli USA non ha proprie risorse finanziarie per pagarsi degli avvocati qualificati. Gli onorari pagati agli avvocati d'ufficio sono molto bassi. Di conseguenza gli incarichi vengono assegnati ad avvocati giovani ed inesperti, disposti ad impiegare poco tempo per ogni singolo caso. In sintesi La pena di morte dunque non si giustifica mai, neanche in presenza di delitti orrendi, come ad es. il genocidio. I responsabili delle dittature (anche di quelle più sanguinose) non sono mai solo i dittatori ma anche le masse che li hanno attivamente appoggiati e quelle che non hanno saputo contrastarli con la dovuta fermezza. In ogni caso, nessuno può togliere a nessuno il diritto di pentirsi. Anzi, nessuno ha il diritto di stabilire a priori quando come e perché l'uomo deve pentirsi. Il progresso vero nel campo della giustizia non lo si misura sulla base della punizione dei colpevoli, ma sulla capacità che gli uomini hanno di non creare quelle condizioni per cui diventa relativamente facile il sorgere del crimine. La criminalità può essere risolta migliorando il tenore di vita di tutti i cittadini, promuovendo rapporti umani fondati su valori in cui tutti gli uomini possano riconoscersi. Il primo di questi valori è appunto quello di vivere una vita in cui la dignità umana venga salvaguardata, inclusa la dignità dell'assassino. Il primo dovere di ogni cittadino è quello di togliere progressivamente ogni motivazione all'agire criminale. E in ogni caso la pena deve corrispondere a criteri di umanità, offrendo possibilità di rieducazione e recupero a chi ha sbagliato (ammesso e non concesso che il reato sia da imputare unicamente a chi lo compie). Una società che ha bisogno della pena di morte per sentirsi protetta, è indubbiamente una società debole e immatura. Per una società del genere la pena di morte può anche servire, ma non sarà certo la pena di morte che la farà diventare migliore. Quindi, in definitiva, essa è inutile. I vantaggi che procura sono insignificanti rispetto agli svantaggi, che a volte possono essere enormi, come quando ad es. si giustizia un innocente. Qualcuno potrebbe sostenere che in attesa che i rapporti umani diventino di per se stessi un deterrente al crimine, è necessario servirsi della pena di morte. Il fatto però è questo: che in presenza della pena di morte si è portati a credere che debba essere questa e solo questa a dover dissuadere il cittadino dal compiere i reati più gravi. La sua introduzione porta dunque i cittadini a delegare ad essa un compito che dovrebbero assolvere loro stessi. La pena di morte, in tal senso, diventa una sorta di feticcio o di idolo. Il rapporto che gli uomini stabiliscono con essa appare di tipo "magico": essi cioè tendono a presumere che la pena di morte debba funzionare da sola. Obiettivi intermedi Sui seguenti obiettivi, formulati da Amnesty International, conformemente
alle norme internazionali sui diritti umani, è forse possibile trovare un'intesa
di massima con quegli Stati che ancora non hanno rinunciato alla pena di morte: Il caso Adams Nell'89 ha fatto scalpore negli USA e poi in tutto il mondo, la storia di Randall Adams, scarcerato dopo 13 anni di detenzione, tre dei quali trascorsi nel "braccio della morte". Al tempo del suo arresto Randall, di mestiere carpentiere nell'Ohio, faceva l'autostoppista per hobby nel Texas ed era diretto in California. Aveva chiesto un passaggio a un ragazzo, di nome Harris, che, fermato dalla polizia per un reato minore alcune settimane dopo l'omicidio di un agente di polizia, accusò proprio Adams d'essere l'assassino. La giuria credette alla testimonianza sia del ragazzo, peraltro mentalmente squilibrato, teppista e rapinatore, sia di tre persone che avevano visto Adams al volante. Trasferito nel lager di Huntsville, tra Houston e Dallas, Adams vi rimase dal '77 all'80; poi, per ragioni tecniche, la pena capitale, una settimana prima dell'esecuzione, gli fu commutata in ergastolo. Nell'85 un regista-detective di talento, E. Morris, specialista in documentari-verità e appassionato di psicologia criminale, volle incontrarsi con Adams a scopo documentativo: voleva fare un film su uno psichiatra di Dallas, che con le sue perizie ha contribuito a mandare sulla sedia elettrica la maggior parte dei detenuti nelle carceri terminali del Texas. Fu appunto lui che dopo un colloquio di 15 minuti aveva paragonato Adams a Hitler e a Charles Man¬son. Morris, dopo attenti interrogatori a tutti i protagonisti della vicenda, riuscì facilmente a dimostrare sia l'innocenza di Adams che la colpevolezza di Harris, il quale peraltro, finito in carcere per un altro omicidio, ammise la propria responsabilità. Gli altri tre testimoni erano stati semplicemente allettati dalla taglia di 21.000 $. Morris trasformò questa drammatica vicenda in un film, La sottile linea blu, dimostrando con chiarezza che le autorità volevano a tutti i costi un capro espiatorio per soddisfare l'esigenza di ordine pubblico che manifestavano le classi abbienti, specie di fronte ai delitti contro la polizia, ritenuti in Texas (e in molti altri Stati americani) particolarmente gravi. Harris era minorenne e quindi non perseguibile. Fu proprio grazie all'ondata di indignazione popolare sollevata dal film (in cui vengono intervistati i reali protagonisti) che Randall poté ottenere la revisione del processo. Egli stesso in seguito dichiarerà che in Texas esiste una legge per la quale non si può far causa contro questo Stato se questo Stato non è d'accordo. In sostanza non ci sarà alcun risarcimento, né morale (con delle scuse ufficiali), né materiale. Il caso Johnson Edward Johnson, arrestato nel '79 negli USA, quando aveva 18 anni, fu condannato a morte l'anno dopo con l'accusa di aver ucciso un ufficiale di polizia bianco. Johnson era di razza nera e fu giudicato da una giuria composta da 10 bianchi e due neri in una contea in cui il 45% della popolazione era di colore. L'ufficiale di polizia era stato ucciso mentre tentava di arrestare un nero che cercava di violentare una donna. Durante la collutazione il poliziotto fu colpito da un proiettile e lo stupratore fuggì. Johnson fu arrestato insieme ad altri neri della zona e fu condotto di fronte all'unico testimone oculare del delitto: la donna bianca vittima dell'aggressione. La donna conosceva Johnson dalla nascita e dichiarò che non poteva trattarsi dell'assassino. Disse che l'uomo che aveva visto era di costituzione robusta e portava la barba: Johnson era magro e non l'aveva mai portata. Per questa ragione fu rilasciato. Due giorni dopo però venne di nuovo arrestato e portato da alcuni poliziotti in un bosco ove lo minacciarono di morte se non avesse confessato. Johnson firmò una confessione. Non vide un avvocato fino al giorno del processo. Qui ritrattò, ma la testimone oculare, sentendo che lui aveva confessato, cambiò la propria versione dei fatti e lo identificò come l'aggressore. Johnson fu riconosciuto colpevole di omicidio e condannato a morte. Il pubblico ministero gli offrì una condanna all'ergastolo in cambio di una dichiarazione di colpevolezza. Consigliato male dagli avvocati, rifiutò. Johnson morì nella camera a gas, proclamandosi innocente, nel maggio 1987. Una settimana dopo l'esecuzione un avvocato trovò la donna con la quale Johnson aveva sempre dichiarato di trovarsi al momento del delitto. Nessuno dei precedenti avvocati l'aveva cercata o aveva tentato di convincere la corte ad ascoltarla. La donna dichiarò che si era recata in tribunale per testimoniare al processo, ma che un ufficiale di polizia le aveva detto di tornarsene a casa e di pensare ai fatti suoi. Un po' di religione ... all'italiana Pintor e Gentiloni hanno divertito i lettori del "Manifesto" quando -loro che di clericalismo certo non possono essere sospettati- hanno dato lezioni di esegesi neotestamentaria al parlamentare democristiano Forlani, il quale, convinto che nei vangeli si auspichi la "macina al collo" per coloro che "scandalizzano gli innocenti" (chiedeva la pena di morte per i sequestratori di minorenni), ha trovato pronto Gentiloni a ribattergli: "si tratta di gettarsi in mare, non di gettarvi un altro. Si tratterebbe, se si dovesse leggere alla lettera, della legittimazione evangelica del suicidio". Pintor è ancora più esplicito: scandalizzare o far perdere la fede "non può essere assimilato a un atto criminale, nel senso del codice penale"; né si può "paragonare la bestemmia contro lo spirito santo [quella per cui nei vangeli non c'è remissione] con il riciclaggio del denaro sporco". Come noto (agli addetti), la bestemmia antipneumatica non è altro che il rifiuto del pentimento, ossia la falsità cosciente di se stessa: il vangelo non ordina l'esecuzione capitale per questi colpevoli, afferma soltanto che non c'è dialogo con chi non vuole dialogare. Se vogliamo restare nell'ambito dei vangeli, dobbiamo dire che sono almeno due gli episodi in cui il Cristo si oppone alla pena di morte, e si trovano entrambi in Giovanni. Il primo è quello dell'adultera colta in flagrante (uno dei pochi reati per i quali l'ebraismo prevedeva la lapidazione). L'affermazione che salvò la vita a quella donna è conosciuta da tutto il mondo: "Chi non ha peccato scagli la prima pietra". Il racconto è una finzione letteraria, non appartiene a Giovanni ed ha un taglio moralistico, però la sua valenza pedagogica è fortissima, tanto è vero che la chiesa romana (che ha abolito anche de jure la pena di morte pochi anni fa) non l'ha mai tenuto in alcuna considerazione. La distinzione tradizionale ch'essa ha sempre posto (da Agostino in poi), tra "in-nocente", che ha diritto alla vita, e "nocente", che ha perso questo diritto in quanto autore attuale o potenziale di gravi delitti (fra cui eresia, stregoneria, contraccezione, ecc.), è servita soltanto a giustificare guerre, crociate, persecuzioni ed esecuzioni di massa. Il secondo episodio - questo invece si può presumere storico - è stato il rifiuto di Cristo di prendere a carico di Giuda, nell'imminenza del tradimento, cioè all'ultima cena, un provvedimento di carattere coercitivo. Naturalmente avrebbe potuto farlo, instaurando per es. fra i Dodici un clima di terrore e di reciproco sospetto, o addirittura avrebbe potuto chiedere ai discepoli più fidati di eliminare quello scomodo e pericoloso avventuriero (Pietro quando chiese a Giovanni di farsi dire il nome del traditore forse aveva proprio questa intenzione). Il Cristo si limitò invece a un'azione persuasiva e conciliante, e non sulla base di considerazioni etiche, ma semplicemente perché era consapevole che gli uomini possono capire le situazioni e prendere delle decisioni, in una parola imparare a vivere, solo nella loro libertà di coscienza. Il contributo di Amnesty International Amnesty ha fatto molto per cercare di abolire la pena di morte negli Stati di tutto il mondo: a tale scopo ha usato prevalentemente argomenti di tipo etico, sociale, giuridico, medico e psicologico, come è nel suo stile. Esaminando le motivazioni di quei 99 paesi che ancora oggi mantengono nelle loro leggi la pena di morte, essa le ha sintetizzate in cinque fondamentali. La pena di morte viene usata: 1) per dissuadere i criminali dal ripetere taluni gravissimi reati o dal compierne altri ancora peggiori; 2) per dissuadere la popolazione civile dal commettere analoghi crimini; 3) per dimostrare a tutti i cittadini che la giustizia e l'ordine pubblico funzionano; 4) per convincere i cittadini che con questa prassi si può risolvere la crisi di legittimità o di credibilità del loro paese; 5) per eliminare fisicamente l'avversario politico di un governo in carica. Nonostante queste "forti" convinzioni, grazie alle quali ogni giorno in media almeno quattro persone vengono giustiziate, dal 1948 ad oggi 69 nazioni hanno abolito di fatto o di diritto, parzialmente o del tutto, dalle loro leggi o dalla vita sociale, la pena di morte. Nell'ultimo decennio almeno un paese all'anno, in media, l'ha eliminata. Di recente l'hanno fatto RDT, Haiti, Filippine, Liechtenstein, Romania e Nuova Zelanda. Il nostro Stato l'ha abolita con la Costituzione repubblicana, conservandola nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. Le motivazioni dei paesi abolizionisti, raccolte da Amnesty, non sono meno convincenti. 1) Dopo l'abolizione della pena capitale il numero degli omicidi, all'interno di una nazione, tende a diminuire: questo perché la pena di morte può anche esasperare il criminale, il quale sa in anticipo di non aver più nulla da perdere (ad es. laddove esiste questa soluzione per lo stupro, i criminali spesso uccidono la vittima per non essere identificati). L'assassino che per il suo delitto merita la pena di morte e che ancora non è stato preso, non ha alcun motivo per non commettere altri delitti. 2) La maggior parte dei crimini crudeli e insensati vengono compiuti da persone con serie anomalie mentali, incapaci di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Molti omicidi vengono commessi sotto l'influsso dell'alcool o della droga, oppure in momenti di ira o di panico, senza che si pensi minimamente al rischio d'essere giustiziati. In questi casi l'esecuzione capitale è senza dubbio una punizione eccessiva, in quanto l'individuo, in altre situazioni o condizioni di vita, difficilmente commetterebbe lo stesso grave reato. Negli USA è stato dimostrato che su 2646 assassini scarcerati, dopo aver scontato la pena, solo 16 erano diventati recidivi. Chiunque si rende conto che non vi è modo di sapere con sicurezza se un detenuto, una volta scarcerato, non ripeterà il crimine. Nel dubbio però non si può preferire la pena di morte, poiché le statistiche dimostrano che i recidivi sono sempre una minoranza insignificante. 3) Le persone che progettano gravi crimini in maniera calcolata (ad es. per vendetta) non si fermano neanche davanti alla pena di morte. A tale proposito i criminologi sono giunti alla conclusione che il mezzo per scoraggiare questo tipo di criminali non è tanto la severità della pena, quanto l'aumento delle probabilità di essere catturati. In realtà il problema principale resta sempre quello delle capacità di recupero che la società può dimostrare al cospetto del criminale. Uno Stato civile e democratico ottiene credibilità solo quando non offre occasioni e circostanze perché dalla base emergano appelli per soluzioni di morte. Da questo punto di vista non risulta certo essere più dissuasivo l'ergastolo rispetto alla pena di morte: quante volte si è visto il delinquente trasformarsi in carcere da dilettante a professionista? Per non parlare di quei problemi psicologi connessi alla prospettiva di dover passare tutta la vita in carcere. 4) E' vero, i parenti della vittima reclamano giustizia, ma è giustizia punire la crudeltà con la crudeltà? La pena di morte non è forse l'uccisione premeditata e a sangue freddo di un essere umano compiuta dallo Stato? Può lo Stato avere il diritto di uccidere in questo modo? Senza considerare, anche qui, tutte quelle sofferenze psicologiche che un condannato a morte deve subire, stando separato dal resto della popolazione carceraria, rinchiuso nel "braccio della morte", costretto a non fare niente e soprattutto obbligato ad affrontare l'idea di essere messo a morte entro un tempo prestabilito. Peraltro, i codici penali non prevedono la violenza carnale per gli stupratori o l'incendio della casa per i piromani: perché dunque fare un'eccezione per l'omicida? E l'esecuzione dell'assassino non farà forse piombare nella sofferenza altri familiari e parenti? Siamo poi così matematicamente sicuri di non essere compartecipi, neppure indirettamente, alle cause che possono aver indotto una persona al crimine? Per stabilire un perfetto equilibrio tra delitto e castigo, bisognerebbe valutare con assoluta certezza la responsabilità personale del colpevole: ma chi è in grado di farlo? E chi è in grado di stabilire con sicurezza che una persona non è più recuperabile? Chi è in grado di sostenere la giustezza del fatto che per un determinato delitto l'assassino merita in uno Stato la pena capitale e non la merita in un altro Stato, che per quel medesimo delitto non la prevede? 5) Nessuna società può contare sulla infallibilità dei propri tribunali. I giudici possono sbagliare, anche in buona fede (spesso perché condizionati dalla mentalità dominante, che può essere carica di pregiudizi politici, ideologici, razziali, religiosi, etnici, ecc.). Ad es. negli Stati meridionali degli USA la condanna a morte per violenza carnale è quasi inevitabile per un nero (se la vittima è bianca) e meno probabile per un bianco (del tutto improbabile se la vittima è nera). Inoltre molto più facilmente si condanna il povero del ricco, ovvero quello che non ha mezzi per pagarsi esperti avvocati. Insomma, la pena irrevocabile della morte cancella sia il diritto della vittima di ottenere la modifica di una condanna errata, sia la capacità del sistema giudiziario di correggere i propri errori. 6) In molte società esistono forme di criminalità tollerate dai poteri costituiti, anche se formalmente sono vietate (vedi ad es. quelle di ordine economico-finanziario: evasione ed elusione fiscale dei grandi magnati dell'industria e della finanza e dei ceti più benestanti, "tangenti", criminalità organizzata, ecc). Per non parlare di quelle attività criminose del tutto tollerate come ad es. il commercio delle armi. Ciò significa che se la pena di morte venisse introdotta, essa finirebbe con il colpire la criminalità meno significativa, quella riguardante individui isolati, non protetti né privilegiati, con poche risorse materiali o addirittura culturali, i quali spesso sono costretti a ricorrere al crimine semplicemente per sopravvivere, oppure perché condizionati da un tipo di vita che li emargina, li umilia o li condiziona negativamente. Il 90% dei condannati a morte negli USA non ha proprie risorse finanziarie per pagarsi degli avvocati qualificati. Gli onorari pagati agli avvocati d'ufficio sono molto bassi. Di conseguenza gli incarichi vengono assegnati ad avvocati giovani ed inesperti, disposti a impiegare poco tempo per ogni singolo caso. Adamo e la pena di morte Il racconto del Genesi sulla “caduta” del primo uomo, risulta essere particolarmente contrario all’uso della pena di morte. In una qualunque altra tradizione dell’epoca in cui è stato scritto quel racconto, un trasgressore della legge come Adamo sarebbe stato certamente punito con la morte, se il governo avesse deliberato che cogliere mele da un determinato albero fosse un reato grave. L’autore del racconto doveva invece essere favorevole a una forma di pena rieducativa, che implicasse il recupero del colpevole (ciò che nel racconto non avviene però in maniera integrale, in quanto il paradiso è “perduto” per sempre). Singolare è il fatto che l’autore è anche contrario a usare la sentenza capitale nei confronti dell’assassino Caino. Sotto questo aspetto, e messo in relazione al suo tempo, il racconto ha dei contenuti decisamente democratici e innovativi. Ciò che con esso si vuole evitare è l’idea che, nei confronti dei reati umani, si possa compiere una sorta di giustizia sommaria, ovvero l’idea secondo cui l’unico modo per ottenere giustizia è quello di esigere una vendetta, un risarcimento pari al danno arrecato. TEST SULLA PENA DI MORTE
Questioni morali
Bibliografia
SitiWeb (a cura di www.hanto.it/penadimorte.htm)
|