L'EPOPEA DI GILGAMESH
Dalla civiltà sumerica a quella babilonese


Monografia

Chi fu veramente Gilgamesh? I documenti che ne parlano sono quasi tutti posteriori all'epoca in cui ipoteticamente si potrebbe collocare il suo regno (ca. 2700 a.C.). Per alcuni studiosi è un'invenzione mitica, per altri è una figura semi-leggendaria. Il dibattito è aperto!

Ecco come esordisce la McCall: "sappiamo con certezza che Gilgamesh fu un giovane re di Uruk, appartenente alla prima dinastia intorno al 2600 a.C." (p. 58 McCall 95).
Ahimè, la certezza della McCall non basta a trasformare le sue ipotesi in verità di fede condivise dagli studiosi. Le mie perplessità sono rafforzate dalle approssimazioni - chissà quanto volute - dei suoi testi (come l'inesistente implorazione dei cittadini di Uruk ad Aruru o il viaggio alla - orrore! - foresta dei pini). Sarà meglio pertanto esporre poco alla volta tutti gli elementi a nostra disposizione prima di trasformare le ipotesi in assiomi.

La lista reale di Fara

Gilgamesh è il più noto e celebrato eroe di tutta la Mesopotamia un po' come lo era Odisseo nel Mediterraneo all'epoca della colonizzazione greca. Dalla lista reale sumerica, redatta attorno al 2000 a.C. e proveniente da Fara, leggiamo un passo relativo al quinto re della prima dinastia di Uruk, che regnò verso il 2700 a.C.:

Il divino Gilgamesh
- suo padre è uno sconosciuto -
signore di Kullab,
regnò 126 anni;
Urlugal, figlio di Gilgamesh,
regnò 30 anni
(da The Sumerian King List, dal sito ETCSL, vedi inoltre p. 74 Pet 1992)

queste poche righe ci informano che

  •  Gilgamesh è un essere divino

  •  suo padre è uno sconosciuto (forse un sacerdote di Kullab, distretto templare di Uruk)

  •  egli ha un figlio Urlugal che regna dopo di lui.

Il terzo punto è sovente confermato da altri documenti dove Gilgamesh e Urlugal appaiono assieme come padre e figlio. Gilgamesh doveva essere un re molto importante e influente se, come racconta la stessa epopea (tav. I), poteva permettersi di

  •  allargare la cerchia delle mura di Uruk

  •  abbellire l'Eanna (tempio di Ishtar) di tesori

  •  ricostruire i santuari distrutti nel corso del diluvio.

Il primo punto è confermato da un'iscrizione attribuita ad Anam, altro sovrano di Uruk, che, parlando delle mura di Uruk, le definisce «un'antica opera di Gilgamesh».

Un altro documento, la cosiddetta Storia di Tummal (per la trascrizione completa vedi il sito ETCSL), conferma lo zelo costruttore di Gilgamesh. In base a questo mito sia sotto il suo regno, sia sotto quello di Urlugal, fu restaurato il santuario di Tummal consacrato alla dea Ninlil (paredra di Enlil), nella città di Nippur.

Delle mura di Uruk, vanto edilizio di Gilgamesh, non rimane oggi nulla. Si pensi che già Sargon di Akkad, in una celebre iscrizione, annoverava tra le sue maggiori imprese la distruzione delle mura di Uruk.

Altri miti descrivono l'eroe Lugalbanda, come marito della dea Ninsun. Questo dato si accorda con quanto si afferma nell'epopea che definisce Lugalbanda «padre» (o dio) di Gilgamesh. Tuttavia la lista reale sumerica non pone in relazione diretta Lugalbanda (terzo re di Uruk) con Gilgamesh (quinto re e «figlio di sconosciuto»). Quindi un'ipotesi plausibile anche sul piano mitico è che Lugalbanda sia semplicemente antenato di Gilgamesh.

Frammenti ritrovati a Me-Turan (l'odierna Tell Haddad) danno notizia che Gilgamesh fu sepolto nelle acque di un fiume (p. 22 Sap 2001). Questi frammenti sono oggi considerati come facenti parte del poemetto sumerico La morte di Gilgamesh (p. 207 Geo 1999). Il poemetto narra che i sudditi deviarono il corso dell'Eufrate per seppellire nel suo letto il defunto sovrano.

Un sovrano mitizzato?

Secondo Pettinato è azzardato ritenere che questi pochi riferimenti bastino a provare l'esistenza storica di Gilgamesh. L'affermazione è forse eccessiva. Gilgamesh è un personaggio mitizzato, stravolto fin che si vuole ma con agganci a fatti realmente accaduti. Saporetti (Sap 2001, p. 21) elenca molti personaggi che lasciarono un segno talmente forte nella storia da essere divinizzati dai posteri: Sargon, Mosè, i re di Roma, Minosse re di Creta, Alessandro Magno (il cui ciclo epico ha forti agganci con le avventure di Gilgamesh).

La lista potrebbe proseguire con personaggi meno noti come Shamshi-Adad e Labarnas. Questi due sovrani semi-leggendari diedero lustro rispettivamente all'impero assiro e a quello ittita (p. 81 Pro 1986).

Il dio Gilgamesh

Ma se la lista di Fara, annovera Gilgamesh tra gli dei sumerici, quali doti aveva questo dio? Il "dio Gilgamesh" era spesso invocato nelle iscrizioni reali in qualità di protettore in battaglia. Più spesso era invocato come dio degli inferi o giudice dell'aldilà. Nel poemetto sumerico Enkidu agli Inferi, Gilgamesh compare come fratello della dea Ishtar. In questo ha assonanze con Dumuzi, amante di Ishtar e dio dei pastori che, secondo la lista reale, fu successore di Lugalbanda. Naturalmente questo non smentisce l'esistenza storica di Gilgamesh poiché in antichità era molto diffusa la pratica di venerare come divinità i sovrani, o divinizzarne la discendenza.

I poemetti sumerici

Molti documenti parlano delle tribolazioni politiche del sovrano Gilgamesh in contesti mitici ma verosimili. Per esempio il poemetto di Gilgamesh e Agga narra il conflitto tra Uruk, città di pianura, e Kish, città collinare (p. 62 Pro 1986). Il poemetto è in gran parte ambientato a Uruk, dove Gilgamesh discute le condizioni di Agga prima col consiglio dei sacerdoti e poi in un'assemblea cittadina più ampia. Le somiglianze con la tav. II dell'epopea sono enormi; anche qui l'approvazione dei piani di Gilgamesh deve passare al vaglio di due assemblee.

Di questo poemetto, insieme a molti altri aventi Gilgamesh protagonista (come la già citata Morte di Gilgamesh) risalgono tutti alla terza dinastia di Ur (Ur III) dove fortissimo era sentito il legame con illustri leggendari antenati. Un periodo storico detto «rinascimento sumerico» per l'esplosione artistico-letteraria tesa al recupero delle tradizioni e la cultura sumerica, unico segno di prestigio rimasto in un epoca dove il peso politico dei sumeri andava definitivamente svanendo.

Il ciclo epico di Gilgamesh non è infatti il solo avente protagonista un remoto sovrano di Uruk. Sia Enmerkar (II re di Uruk secondo la lista reale), sia Lugalbanda (III re), sia Dumuzi (IV re) godettero il privilegio di un ciclo epico ad personam teso a celebrarne gli antichi fasti. Celeberrimo è l'episodio dell'invenzione della scrittura nel ciclo Enmerkar.

L'iconografia di Gilgamesh

Numerosi sono i documenti iconografici riconducibili a Gilgamesh. Per esempio, in molti sigilli o bassorilievi si incontra un personaggio con un'imponente barba squadrata che tiene per la gola un leoncino come fosse un cucciolotto.

In altre rappresentazioni (come i fregi della glittica da Ebla, p. 103 Mat 1995) questo personaggio doma due leoni afferrandoli per la coda. E' evidente che il soggetto, chiunque egli sia, rappresenta simbolicamente il controllo della natura selvaggia.

Molti studiosi lo identificano con Gilgamesh. Ma in quale mito l'eroe combatte i leoni? Nella tav. IX Gilgamesh incontra i leoni ma ne prova paura e tocca a Sin, dio lunare, scacciare le belve. Nella tav. X Gilgamesh si attribuisce poi il merito della vittoria sui leoni parlando con Siduri la taverniera.

Giusta o sbagliata che sia, l'identificazione del guerriero affiancato da due leoni rampanti con Gilgamesh è ormai consolidata. Tale motivo, entrato nell'iconografia tradizionale, è chiamato ancora oggi "motivo di Gilgamesh" (p. 51 San 1994).

Ma ammettiamo pure che il "domatore" di leoni sia Gilgamesh. Il confronto del soggetto con altri bassorilievi monumentali fa propendere per una figura storicamente esistita, come lo stesso Pettinato ammette. Ma dato che lo studioso si è convinto che Gilgamesh non è mai esistito allora questa figura non può essere Gilgamesh.

Anche Bottero (p. 121 Bot 1996) è perplesso sull'identificazione del soggetto con Gilgamesh. Si tratterebbe di un personaggio regale che doma dei leoni, non ben identificato. Viceversa Saporetti non ha dubbi, per lui il bassorilievo ritrae "Gilgamesh e il leone ruggente". Strano è come Pettinato riconosca Gilgamesh in altri sigilli che ritraggono un altro soggetto, somigliantissimo al precedente, con l'hobby di strangolare uno o due tori. Sembrerebbe che l'evidenza del Toro Celeste non possa essere negata ma ci si mette anche D'Agostino (Dag 1997 iconografia) secondo il quale "è un errore interpretare la figura che doma i due tori androcefali con Gilgamesh".

Per concludere vorrei ricordare una tesi sostenuta dai primi assiriologi ma presto abbandonata. Secondo essa Gilgamesh altri non era che l'eroe biblico Nimrod, della stirpe di Kush risalente fino a Noè (GEN 2000, p.23 - Genesi X, 8-10). Forse la discendenza mitica di Gilgamesh dal Noè babilonese aveva condotto su una falsa pista. Al punto che lo stesso George Smith sostenne la tesi, che Izdubar, nome sillabico-provvisorio assegnato al protagonista dell'epopea, dovesse in realtà leggersi Nimrod (Smi 1876, p.182-183). E' consolante che anche ai migliori capitino errori d'interpretazione!

Come si pronuncia

L'incertezza legata alla pronuncia del nome è una caratteristica saliente del personaggio. La provvisorietà della prima pronuncia, come detto, fu riconosciuta dallo stesso Smith (p. 90, 116 Pet 1992). Smith non fece altro che attribuire ai tre segni cuneiformi che componevano il nome dell'eroe i loro i valori sillabici più comuni: IZ-DU-BAR. I valori assiri in base ai quali bisognava leggere gli ideogrammi erano infatti sconosciuti all'epoca di Smith.

Come accennato, fu del tutto inutile l'energia spesa per dimostrare che la lettura fonetica di Iz-du-bar fosse Nimrod (Smi 1876, p.182-183). L’esatta lettura del nome dell’eroe dell’Epopea, Gilgamesh, fu riconosciuta solo dopo molte discussioni alcuni anni dopo. Il primo a leggere correttamente il nome fu Pinches in Babylonian and Oriental Records, IV, 1890, 264.

Secondo Andrew George la pronuncia va distinta a seconda della lingua, ovvero del periodo storico. Il nome antico sumerico (usato nei poemetti di Ur III) andrebbe pronunciato Bilgames, mentre Gilgamesh è da usare solo nei recenti documenti in accadico (Geo 1999 p. xix). Nei documenti intermedi a volte si trova Gibilgames...

La fonetica esatta del nome è "Ghilgamesh", cioè il suono della /g/ è sempre duro; /sh/ è un suono che si avvicina all'italiano /sc/ (come in "scena"). Inoltre l'accento lungo cade sulla /a/ e non sulla /i/ (Ghil-gaa-mesc per intenderci).

Non è ancora risolto invece il problema del significato di questo nome, anche se molti studiosi sono propensi a credere che l’esatta interpretazione sia quella proposta da Falkenstein e cioè: "il vecchio diventa giovane". Una spiegazione suggestiva che si adatta bene al contenuto dell’Epopea, la ricerca cioè affannosa della vita eterna da parte di Gilgamesh.

Incredibilmente in un recente testo (2001) Saporetti ha rimesso in discussione la pronuncia e il significato. Questo autore enumera altri due altri modi di lettura del nome del re di Uruk in base alla molteplicità di significato dei segni cuneiformi: Gish-gin-mash oppure Gish-tun-bar, trasformando il senso originale "colui che diventa giovane" in "colui che taglia gli alberi" (p. 18, Sap 2001). C'è solo l'imbarazzo della scelta!

Questo è nulla, gente, rispetto alla bizzarria sentita pronunciare da una commessa, una volta prenotando un libro sull'argomento: Jilgheims ("colui che gioca con Gillian"?). Ma si sa che all'avvenenza si perdona qualunque corbelleria.

Come si scrive

Se la pronuncia è molteplice, la scrittura non è da meno. Gilgamesh è il modo anglofono di scrittura che in italiano suonerebbe Jilgamesh. L'unico modo corretto di scrivere il nome in italiano è pertanto Ghilgameš ma purtroppo è usato solo in Sap 2001. Ahimé, sono consapevole che se io usassi Ghilgameš in queste pagine, nessun motore di ricerca troverebbe più il mio sito!

Interessante la scrittura tedesca: Gilgamesch. Modi superati di scrivere il nome sono Gilgamosh e Gilgamish diffusi presso gli studiosi americani (come Robert Campbell Thompson e Stephen Langdon).

Conclusioni

Non sappiamo se Gilgamesh sia davvero esistito ma la sua sete di gloria e la disperata voglia di non morire sono elementi spiccatamente umani. Difficile pensare a una invenzione mitica quando un'ipotesi semplice, acutamente proposta da Saporetti, si fa avanti. Può darsi che visse davvero un sumero in epoca remota con queste attitudini così marcate da impressionare la memoria degli altri. E la memoria a quei tempi si trasformava presto in mito.

Nell'epopea il concetto è spesso ribadito. Per esempio, durante il concitato dialogo che precede la battaglia nella Foresta dei Cedri, Gilgamesh esclama al compagno Enkidu:

«L'uomo forte, preparato per il combattimento, responsabile,
che va davanti, vigila sul suo corpo e salverà l'amico
ed entrambi si sono assicurati la fama per i tempi a venire»
(vv. 248-250, tav. IV).

Impossibile non pensare ad un altro celebre eroe dell'epica classica che, con altrettanta veemenza, incitava i compagni timorosi di fronte al pericolo e all'ignoto: Odisseo.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia antica
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 01/05/2015