Fulvio
Abbate Il linguaggio è fondamentale
perché dà la misura dell'intelligenza di chi si esprime. Anche se parliamo di un
linguaggio di mera denotazione, è importante che le parole, anche se piane, abbiano una
loro risonanza interna.
Esiste un linguaggio letterario, che io rifiuto perché non credo che il mio problema sia
quello di fare della letteratura, ma piuttosto di usare la parola scritta. Lavoro molto
sulla semplicità, perché la scrittura, frutto di un lavoro, sia profondamente tersa.
Muovendo dal parlato cerco di pervenire a una scrittura che sia tersa e restituisca le
cose. (Avvenimenti, 20 set 95) |
Eraldo
Affinati Io ho una scrittura
tendenzialmente lirica, ma questo mi crea anche dei problemi. Per non cadere da una parte
nella prosa d'arte, dall'altra nell'imbottitura del romanzo, devo trovare un'adeguata
durata narrativa. Una forma che di volta in volta dia al lettore una scarica di
elettricità e nello stesso tempo lo inviti a leggere.
D'altra parte ho sempre usato la prima persona, proprio per vedere la realtà in
soggettiva: per sfuggire al rischio di una eventuale monotonia saggistica, uso molte
metafore, immagini che tengano sempre viva la tensione della pagina. (Avvenimenti, 25 giu
97) |
Paul
Auster Trovo
che per un giovane tradurre sia un'ottima opportunità. Solo così si entra veramente
nelle viscere di un'opera. Prima entri in circolo, e poi devi smembrare il tutto e
ricomporlo. Vivi veramente con il testo. Questo non avviene semplicemente con la lettura.
(Avvenimenti, 9 ott 96)
Elena G. Belotti
Parto da un'idea, da un'immagine, da un episodio
che mi si presenta all'improvviso.
Ho sempre bisogno però di ambientare la storia in un'epoca precisa e in luoghi reali e
allora mi documento con molto scrupolo sui libri e giornali, accumulo un materiale
sovrabbondante, fino alla saturazione del mio sapere. Devo essere completamente immersa
nell'atmosfera e nei valori dell'epoca in cui la storia è ambientata. Tutto questo è un
lavoro di avvicinamento alla scrittura. Un lavoro che svolgo in biblioteca o in emeroteca.
Non ci sono delle tecniche precise di scrittura, si deve però partire da un'attitudine di
base che andrà rafforzata col lavoro e la ricerca.
La struttura portante del racconto si forma strada facendo; ho in mente l'idea iniziale,
poi man mano che scrivo questa si ramifica e ciò avviene in maniera abbastanza inconscia.
Quando prendo appunti uso la penna, ma poi man mano che costruisco il romanzo cancello con
dei grandi freghi rossi ciò che ho utilizzato per quella parte del racconto che scrivo su
di un computer portatile. Invece metto dei grandi punti di domanda su quel materiale
d'incerta collocazione. Quando sono nella fase della raccolta del materiale leggo anche
molte autobiografie, mi aiutano nella costruzione dei personaggi. (Avvenimenti, 19 lug 95)
Enrico Brizzi
Se tu hai vent'anni e hai norme che t'ispirano, sei
già vecchio, sei già il passato, la reazione. Chi fa un libro di successo e il suo
secondo è identico, è vecchio.
Della giovinezza mi piace l'immaturità, il cambiare continuamente: non solo nella vita di
tutti i giorni, ma pure nella letteratura.
[Alla domanda: "In che misura lavori sul linguaggio?", risponde]: è il livello
più naturale della mia scrittura, p.es. i giochi di parole, le sonorità. Poi c'è il
lavoro sulla pagina, e lì c'è la fatica fisica. Di solito scrivo al mio computer. Quando
non scrivo immagazzino espressioni che mi piacciono e snodi di situazioni che poi mi
ricorderò.
Di fronte alla tastiera tendo ad essere in uno stato d'animo anfetaminico, in cui senza
inibizioni butto giù tutto quanto, ascoltando sempre musica.
Poi c'è la rielaborazione, che è il grosso del lavoro: è il momento in cui inforco gli
occhiali tranquillo e faccio il lavoro da "ragioniere".
Il linguaggio è un grimaldello con cui aprire la porta della casa della città che hai
scelto di conoscere. Inoltre, in una società come la nostra, dove si subiscono centomila
sollecitazioni, il messaggio deve arrivare in modo molto più potente di trent'anni fa:
quindi il linguaggio è l'arma numero uno. (Avvenimenti, 1 nov 95) |
Julian
Barnes Scrivo
regolarmente, tutti i giorni. Sarei infelice se non lo facessi. Di solito scrivo la
mattina presto e nel primo pomeriggio: queste per me sono le ore migliori del giorno,
anche perché dopo aver mangiato il mio cervello funziona meglio.
E come fa il giornalista mi do dei tempi fissi di chiusura per ogni racconto. Di solito da
un anno a due, qualche volta anche tre. Devo farlo, perché per me è molto difficile
continuare ad essere interessato a un romanzo dopo che questo ha esaurito la sua vita
naturale.
Il primo romanzo mi ha preso otto anni. Una delle cose che ho imparato da questa
esperienza è che ogni storia ha un suo tempo naturale durante la quale deve essere
scritta. E se superi questo tempo il romanzo comincia a morire. Ecco perché sento il
bisogno di darmi delle scadenze.
Uso una macchina da scrivere elettrica. Persone che di solito usano il computer mi hanno
consigliato di adottarlo. Ma per me dipende molto dal modo in cui scrivo. Scrivo,
riscrivo, e poi scrivo e riscrivo, ancora, ancora, ancora. Poi devo rileggere e quindi
ribattere. Amo molto la fisicità del foglio di carta. Conservo tutte le correzioni
perché spesso ritorno alla prima idea avuta. Se lo facessi col computer dovrei stampare
tutte le volte per memorizzare ogni singola correzione. Sono fisicamente contento così.
(Avvenimenti, 5 nov 97)
Filippo Betto
La mia preoccupazione principale nello scrivere
questo libro (Certi giorni sono migliori di altri giorni) è stata quella di cercare di
mantenere una forma di linguaggio che si avvicinasse il più possibile al parlato. Non è
necessariamente il "detto", il parlato, ad es., del soliloquio. I vari
personaggi (ci sono delle donne, anche molto strane) hanno tutti un loro linguaggio: ho
cercato di rendere soprattutto il suono, più che cercare una bella scrittura.
Questa profonda necessità di ricreare un parlato deriva dal desiderio di interpretare i
personaggi, il loro ronzio mentale, i percorsi anche così funambolici, anche
apparentemente inafferrabili che poi attraversano tutti.
In questo devo dire che l'esperienza di vita e di letteratura hanno uguale importanza per
me. Tondelli è stato fondamentale in questo senso, per quel ricorrere continuamente al
suono delle parole. C'è in tutto quello che ha scritto, anche in libri molto diversi tra
loro, una forte attenzione al dialogo. Non c'è la pagina da una parte, poi una barriera
di cristallo e l'autore dietro. C'è una voce che sta parlando, che il lettore segue,
intuendola come la "sua" voce. (Avvenimenti, 1-8 gen 97)
Daniele Brolli
Raccontare vuol dire memorizzare il mondo e
allontanarlo dalla brutalità insensata della realtà per dargli una forma comprensibile.
La scrittura, è vero, perde sempre quando si confronta con la vita, ma contempla uno
sforzo di messa in gioco oneroso e sincero
(Avvenimenti, 28 mag 97) |