ORIENTAMENTO E COMPORTAMENTO OMOSESSUALE

Nel trattare l’argomento "omosessualità" ho potuto constatare che spesso si parte da un presupposto, che ritengo fondamentalmente un errore: molti pensano infatti che l’omosessualità sia una scelta. Di fatto, se può essere una scelta il modo in cui si vive la propria sessualità, non è mai una scelta l’orientamento sessuale, che secondo molti studi recenti (sebbene contestati) sarebbe presente fin dalla nascita, legato ad un insieme di fattori genetici e ormonali, questi ultimi a loro volta dipendenti dall’ambiente intrauterino.

L’orientamento sessuale è un dato biologico, la posizione che l’individuo assume nei confronti delle proprie preferenze sessuali è invece condizionata dalla società di cui l’individuo stesso è parte integrante. A chi ha dimestichezza con la storia e la letteratura sarà sfuggito che l’omosessualità sia sempre esistita in forme più o meno palesi, generando reazioni di curiosità, derisione, odio, persecuzione, sopportazione e via dicendo, a seconda dei periodi storici e dalla maggiore o minore chiusura morale presente nelle varie epoche (e mi riferisco ai paesi occidentali).

Nell’omosessualità son tante le cose che vanno considerate, al punto che sicuramente non riuscirò ad essere esaustiva.

Intanto il comportamento omosessuale non necessariamente è legato all’orientamento omosessuale. E’ abbastanza noto che le persone che vivono in comunità solo femminili o solo maschili (collegi, conventi, caserme p.es.) possono raggiungere tranquillamente una sessualità orientata verso il proprio sesso solo per la mancanza del sesso opposto, sotto la spinta di una intimità probabilmente innaturale. Ma alcune di queste persone, riportate in un ambiente misto, recupereranno rapidamente una sessualità orientata verso “l’altra metà del cielo”.

D’altro canto sono molto numerose le persone che, pur essendo orientate verso il proprio sesso, forzano se stesse in relazioni eterosessuali per ragioni sociali o, in alternativa, rinunciano completamente a sviluppare la propria vita sessuale all’interno di una relazione di coppia.

Sul piano etologico il comportamento omosessuale (giacché sulle tendenze psicologiche poco ne possiamo sapere) è presente nei mammiferi con una percentuale sovrapponibile all’omosessualità umana, ossia da un minimo del 3% ad un massimo del 7-10%.

Negli animali si sono viste molte forme di comportamento omosessuale. Quello che attira solitamente maggiore attenzione è tipico dei maschi ed è legato ai ruoli nella scala gerarchica. Il maschio dominante può imporre il proprio status agli altri maschi anche imponendo loro un rapporto sessuale che vedrebbe il primo in un ruolo attivo. Sono propensa a credere, a titolo affatto personale, che all’origine dell’omofobia nell’essere umano ci sia un ancestrale retaggio della nostra appartenenza al mondo animale.

L’omosessualità femminile nei mammiferi invece si sviluppa prevalentemente nei gruppi di femmine che hanno legami dettati dalla necessità di sostegno reciproco, ed è più di tipo “affettivo”.

Al di là di questi comportamenti però, ne esistono altri che sono più propriamente riconducibili a quelli umani, in cui l’individuo cerca come partner un altro individuo dello stesso sesso, prevalentemente o esclusivamente, non è interessato ad accoppiarsi all’altro sesso o lo è in modo molto marginale. Sono numerosi gli studi in cui son stati osservati animali in habitat naturale che hanno rilevato quanto dicevo sopra, ma ho notato che si cerca di non divulgarli…

Ora ritorno a noi umani…

Come dicevo, ritengo l’omosessualità in sé non è una scelta ma una scoperta. Nella stragrande maggioranza dei casi, a prescindere dall’età in cui tale scoperta è espressa razionalmente, chi racconta del proprio percorso di consapevolezza spesso dirà una frase che suona pressappoco così: “In fondo credo di averlo saputo da sempre”.

Intanto la prima domanda che a mio parere bisognerebbe porsi è: cos’è la normalità? E’ una domanda che andrebbe posta davanti a qualunque manifestazione che non rientri in una media statistica, ma nel campo sessuale diventa ancora più impellente in quanto questo è il settore che si presta maggiormente al controllo della morale, e poiché controllare della sessualità equivale, alla fine, controllare l’essere umano (la pulsione sessuale è forse la più potente che abbiamo), giudicare un comportamento “normale” e un altro “anomalo” o “perverso” ha un’importanza sociale molto forte.

L’unica normalità che io identifico nel comportamento sessuale è legata alla libera scelta. Normale è quel comportamento che non si impone col ricatto o la violenza e che non approfitti di una situazione di palese inferiorità. Mi riferisco ovviamente alla minore età, ma anche agli individui con handicap psichici per esempio.

Se come criterio di normalità si utilizza la procreazione, si condanna alla perversione la maggior parte degli esseri umani e molti animali. I criteri psicologici, in compenso, sono molto mutevoli da autore a autore, soggetti oltretutto a variare con il modificarsi delle società in cui vengono formulati. In psichiatria oltretutto hanno tolto l’omosessualità dai criteri diagnostici delle malattie mentali se non erro a partire dal DSM II (sta per essere pubblicato il DSM V) ed attualmente viene considerata una variante di minoranza della sessualità umana.

Proseguendo con le domande chiedo: esiste UNA omosessualità? Qui la risposta è molto più semplice: No. “Omosessualità” è un termine che comunemente viene appiccicato a situazioni che sono molto diverse fra loro. Intanto per prima cosa faccio riferimento ad un vecchissimo studio, il famoso “Rapporto Kinsey” redatto negli anni ’60 e per certi versi ancora insuperato. Il dott. Kinsey ha studiato la sessualità in tutti i suoi aspetti, e nel suo rapporto ha affrontato anche la preferenza di genere. Egli ha descritto l’orientamento sessuale come un continuum lungo una scala che ha graduato in 7 punti da 0 a 6 con il centro al punto 3. Inserisco un link dove si può veder riassunto quanto cito:

www.benessere.com/sessuologia/arg00/orientamento_sessuale.htm

In questo sito si trovano anche alcune posizioni sulle quali non sono d’accordo, ma non importa. Mi preme si legga quanto riguarda la scala dell’orientamento sessuale secondo Kinsey perché ho avuto occasione di verificarne empiricamente la validità nel corso del mio lavoro. Di fatto le posizioni estreme (l’eterosessualità esclusiva del punto 0 e l’omosessualità esclusiva del punto 6) sono meno frequenti di quanto si pensi. Anche nelle persone di orientamento deciso in uno dei due poli esiste comunque una lieve e sfumata attrazione per qualche aspetto dell’altro polo, fosse anche solo a livello estetico o artistico.

Prendendo come base tale scala, possiamo ipotizzare che le indecisioni nell’orientamento sessuale potrebbero non riguardare tanto una difficoltà di riconoscere in sé le istanze omosessuali, né di rifiutare quelle eterosessuali. Esse possono benissimo dipendere dal fatto che la persona che patisce tali indecisioni si trovi vicina ad una bisessualità abbastanza bilanciata.

La bisessualità infatti è un aspetto della sessualità coperto da pregiudizi ancora più radicati ed è stigmatizzata in modo ancora più diffuso che l’omosessualità stessa, in quanto viene rifiutata sia dal mondo omosessuale che da quello eterosessuale. Di solito non viene né studiata né presa in considerazione, ma è frequente e sembra esserlo un po’ di più nelle femmine che nei maschi.

Sempre a proposito delle pluralità delle forme di omosessualità, la maggior parte delle persone non distinguono da essa aspetti affini.

Il Travestitismo è quell’aspetto per cui l’individuo ha una certa attrazione per l’abbigliamento tipico del sesso opposto pur non desiderando un cambio effettivo di sesso. Non necessariamente è accompagnato dall’omosessualità, anche se questo avviene abbastanza comunemente. Le Dark Queen sono un esempio estremo di questo fenomeno. In alcuni omosessuali il travestitismo può essere non tanto un’esigenza quanto una provocazione sociale, ed è quello che accade durante i gay prides. Non tutti però utilizzano in modo così eccessivo questo aspetto. Alcuni sono genuinamente attratti dal mettersi nei panni del sesso opposto in senso letterale e non metaforico. Nella maggior parte dei casi però questo viene fatto all’interno delle pareti domestiche.

Il Transessualismo è un fenomeno assai complesso che viene accomunato all’omosessualità in modo incongruo. Infatti gli omosessuali sono persone che stanno bene nel proprio sesso biologico: se sono maschi si sentono maschi, si sentono femmine se sono di sesso femminile. Nel caso dei transessuali il problema è molto più delicato perché si tratta di persone che vivono fin dalla tenera età un conflitto profondo tra il proprio sesso percepito e il sesso biologico. In questo caso l’orientamento sessuale diventa un fattore secondario ad un problema di identità molto più radicale. Si tratta di persone che prima o poi nella vita si pongono l’obiettivo di modificare il proprio sesso biologico per assumere anche fisicamente quello percepito. Nella maggior parte dei casi tale obiettivo viene abbandonato e la persona si limita ad assumere gli atteggiamenti e l’abbigliamento del sesso desiderato e la sua situazione diventa molto difficile da distinguere da quella del travestitismo. Molti incominciano invece ad intraprendere un cammino che risulterà poi molto lungo e complesso. Il cambio di sesso è una procedura che si snoda per tappe, e molti sono coloro che non le percorrono tutte fino alla fine.

In Italia per poter accedere al cambio di sesso bisogna fare un percorso di psicoterapia che duri non meno di due anni, alla fine del quale il terapeuta dovrà certificare che il desiderio del candidato non è nato da cause patologiche. Durante questo periodo a poco a poco la persona sperimenterà la vita nei panni del sesso opposto: comincerà a vestirsi, comportarsi come una persona dell’altro sesso e comincerà ad assumere terapie ormonali atte a modificare l’aspetto fisico nella direzione voluta. In seguito cominceranno le procedure chirurgiche necessarie. Tali procedure sono numerose sia per i maschi che per le femmine, e per entrambi sono piuttosto dolorose e invalidanti.

Né gli uni né le altre infatti una volta cambiato sesso potranno mai più tornare indietro, inoltre non potranno più provare reazioni orgasmiche piene perché l’apparato genitale verrà stravolto irrimediabilmente. La prima cosa che subiranno sarà la castrazione. Agli uomini vengono asportati i testicoli e alle donne le ovaie. Dopo la castrazione chirurgica le terapie ormonali diventeranno più massicce per permettere il cambiamento dei caratteri sessuali secondari. Il passo più difficile è quello di creare un apparato genitale che somigli il più possibile a quello naturale. Agli uomini viene asportato quasi tutto. Del pene vengono mantenute alcune strutture della base con le quali si ricaveranno i corpi cavernosi vulvari e il clitoride, mentre lo scroto viene in parte rimosso e in parte usato per costruire grandi e piccole labbra. Viene canalizzato il perineo per creare una pseudovagina. Sembra che gli uomini che diventano femmine passino dei momenti piuttosto difficili quando devono imparare a orinare come le donne. Infatti sembra che inizialmente sia molto faticoso e doloroso.

Nel caso di donne che diventano uomini i problemi tecnici sono anche più complessi, com’è facile intuire. Le donne subiscono l’asportazione delle ghiandole mammarie, lo svuotamento utero-annessiale e la chiusura del canale vaginale. Quest’ultima procedura è particolarmente dolorosa, perché avviene scarnificando la vagina e facendone accollare le pareti attraverso un processo che somiglia a quello di guarigione per seconda intenzione: viene infilata una garza fino al fondo e ritirata gradualmente in modo che le pareti vaginali si saldino a partire dal tratto più interno fino a quello più esterno. Si tratta di un procedimento molto delicato perché è piuttosto facile che tale processo non sia ottimale. Si possono creare infatti delle piccole sacche in cui l’accollamento delle pareti non è completo e lì si generano dei dolorosissimi ascessi.

Conclusa questa fase, va creato ciò che non esiste. Per creare un pseudoscroto si utilizzano le grandi labbra svuotate della struttura dei corpi cavernosi. Si suturano al centro e si fanno dilatare, dopo di che si posizionano delle protesi che imitino i testicoli per peso e consistenza. Per creare un pene ci sono diverse metodiche. La più semplice è quella di rendere ipertrofico il clitoride, ma non è sempre possibile perché spesso questo accorgimento non è sufficiente per poter avere un rapporto sessuale completo. Altre tecniche prevedono invece l’asportazione di un fascio muscolare dall’avambraccio o da altra zona del corpo che verrà rimodellato della forma voluta e agganciato all’area clitoridea.

Perché tanti dettagli nel descrivere gli aspetti chirurgici del cambiamento di sesso? Per una ragione molto semplice: ciò che ho riportato non è che la minima parte di ciò che un transessuale si sente descrivere continuamente durante il suo percorso per cambiare sesso. Chi decide di proseguire nonostante tutto ha delle motivazioni che vanno veramente molto al di là del sesso fin a se stesso. Di solito sa (anche se non credo che se ne possa rendere conto fino in fondo) che la sua capacità di godere dell’atto sessuale sarà compromessa irrimediabilmente e che il piacere fisico lo dovrà cercare attraverso altri aspetti, meno legati alla genitalità. Ma la spinta psicologica che induce queste persone ad arrivare fino in fondo è fortissima. Si tratta di persone che sono davvero psichicamente di un sesso diverso da quello biologico di nascita e a volte il cambio di sesso è l’unico modo per mantenere un equilibrio tra il proprio sé fisico e il sé psichico. Queste persone se nate maschi si sentono psicologicamente donne, si comportano da donne, ragionano al femminile, si innamorano di uomini come lo farebbe una donna eterosessuale. Accade la stessa cosa, in modo speculare, ai transessuali che partono dal sesso femminile per diventare maschi. Non si possono definire queste persone “omosessuali”. Si tratta di una situazione fisicamente, psicologicamente e affettivamente completamente diversa.

Tracciare dei profili psicologici per situazioni profondamente diverse fra di loro è un’impresa titanica e foriera di semplificazioni, banalizzazioni e ghettizzazioni. La ghettizzazione è difatti il rischio che maggiormente si corre quando si tratta di omosessualità, sia che avvenga ad opera della società cosiddetta “etero”, sia che si verifichi ad opera delle comunità “omo” come reazione.

La psicanalisi ha speso fiumi d’inchiostro per spiegare, analizzare, anche “guarire” questa situazione esistenziale. A mio parere non si può “guarire” una condizione esistenziale. Si può affrontare o rimuovere, si può vivere con serenità o con angoscia, ma non si può curare né tanto meno guarire. L’atteggiamento che gli omosessuali hanno nei confronti di se stessi è legato a troppi fattori da poter essere classificati facilmente. Ci sono degli elementi caratteriali che sono comunque fondamentali: personalità fragili hanno maggiori difficoltà ad adattarsi agli eventi avversi della vita a prescindere dall’orientamento sessuale; personalità più forti invece possono affrontare vicende anche catastrofiche senza venirne travolti. Questo è un dato fondamentale da tener presente. Sulla base di caratteristiche di temperamento (ricordo che il temperamento può essere considerato come quella componente congenita del carattere, probabilmente esistente su basi genetiche), si innestano poi le esperienze di vita. Queste riguardano primariamente l’educazione ricevuta in seno alla famiglia e in seguito l’impatto sociale che il bambino, l’adolescente e il giovane adulto ricava. E’ intuibile che la costellazione delle caratteristiche possibili sia quanto mai variegata.

Per quanto riguarda gli aspetti legati all’armonia fra elementi maschili e femminili, ho constatato che l’opinione comune sia quella che essa si possa esplicitare meglio nel rapporto di coppia eterosessuale. Io non la penso così.

L’armonia fra maschile e femminile è legata ad un’armonia interna psicologica che esula dall’orientamento sessuale sebbene possa a volte esserne influenzata. Ma tale influenza non necessariamente si rivolge a favore dell’eterosessualità.

Osservando le persone è facile rendersi conto che sia i maschi che le femmine (e parlo di eterosessuali) sono spesso carichi di pregiudizi sull’altro sesso, pregiudizi pesanti, generalizzanti e condizionanti. Quante volte si odono frasi tipo: “Gli uomini son tutti uguali”, “Che vuoi farci: è una donna”? Nel rapporto fra i sessi quello che rilevo di frequente è una diffusa incapacità a comunicare e conseguentemente un uso spesso strumentale del rapporto di coppia. Gli uomini, che hanno per fisiologia una sessualità più esplicita e immediata, spesso non riescono ad affrontare il rapporto con una donna prescindendo dall’attrazione sessuale o dalla mancanza di essa. Le donne tendono a usare armi seduttive (sempre che possano permetterselo) per ottenere vantaggi piccoli o grandi. In entrambi i casi, con modalità differenti, l’armonia fra maschile e femminile è completamente assente. Né gli uomini comprendono così il femminile, né le donne il maschile. Attribuire al mondo omosessuale tale mancanza di armonia è, a mio parere, un processo di negazione e proiezione bello e buono, inteso proprio in senso psicanalitico.

Il disprezzo del femminile o del maschile ha radici nella paura della diversità, non nell’orientamento sessuale. La visione dell’omosessualità come “blocco narcisistico nello sviluppo” lascia il tempo che trova. La maturazione umana è un processo che imbocca strade diversificate, e ogni individuo percorre la sua.

Vorrei ora spendere due parole sul matrimonio, proprio rapportandolo al tema in questione.

Il matrimonio è un’istituzione sociale che esiste per scopi molto pratici e che non ha molto a che vedere con quell’ideale di amore romantico a cui ci hanno abituati. Oltretutto anche gli scrittori romantici facevano un distinguo implicito tra amore e matrimonio. Penso soprattutto ai famosi romanzi “Anna Karenina”, “Madame Bovary”, “Le affinità elettive”, “Cime Tempestose” tanto per spaziare in quattro aree geografiche assai distanti fra loro. I romantici per certi versi erano più disincantati. Sapevano benissimo che il matrimonio era un contratto, che i contraenti molto raramente si amavano ma che dovevano rispondere a delle esigenze sociali ben precise: fare figli, i quali avevano a loro volta il compito di portare avanti le attività della famiglia; riunire patrimoni o evitarne la dispersione; suggellare accordi diplomatici a più livelli. Matrimoni d’amore son sempre stati molto rari, spesso erano contrastati, difficili. Quando la società ha cominciato ad essere più aperta ed elastica, i matrimoni d’amore sono stati più frequenti, ma paradossalmente anche più instabili. Fondati su sentimenti, sono soggetti alle fluttuazioni dell’animo umano e sono meno ancorati ai bisogni sociali.

L’omosessualità non poteva essere ben vista all’interno di una società che fondava nell’istituzione matrimoniale la propria stessa esistenza, erano molte le nazioni all’interno delle quali vigeva una legislazione punitiva al riguardo, e comunque anche in quelle nazioni (come la Francia) più tolleranti l’espressione di tale forma di sessualità non era favorita.

Con la trasformazione dell’istituzione matrimoniale all’interno della società, non esistono più le ragioni per considerare abnorme un matrimonio fra persone dello stesso sesso. La stessa istituzione matrimoniale potrebbe essere messa in discussione.

Consiglio spesso di leggere l’ottimo romanzo di Forrester “Maurice”, infatti a mio parere chiarisce molte cose riguardo all’omosessualità, in una storia ambientata a cavallo tra XIX e XX secolo. Forrester era omosessuale, non espresse mai il suo orientamento che venne conosciuto solo dopo la sua morte grazie a questo bellissimo romanzo, che per sua espressa volontà venne pubblicato solo postumo. Il romanzo porta una prefazione di suo pugno, nella quale ne spiega la genesi, la ragione dell’ambientazione storica e le motivazioni per cui non volle pubblicare in vita quest’opera.

Sebbene vi siano forme di omosessualità variopinte e aggressive, la maggior parte dei gay vive in modo discreto, se non addirittura nascosto, quest’aspetto della propria esistenza. Così come nessuno di noi eterosessuali si sognerebbe di sottolineare la nostra eterosessualità, non essendo una credenziale a nessun titolo, molti sono i gay, maschi e femmine, che non ritengono utile, né necessario, né importante divulgare quest’aspetto della propria vita che considerano privato e intimo.

Ho potuto cogliere in alcuni scritti che trattano di omosessualità una forte attenzione sugli aspetti rivendicativi, sociali del fenomeno, mentre questi a mio parere son sempre molto successivi a tutti gli altri.

Chi parla di aspetti rivendicativi e politici lo fa attribuendo ad una forma di protesta la “scelta” dell’omosessualità. Non nego che in alcuni casi si sia anche verificato questo, ma mi chiedo a tal proposito fino a che punto le persone che scelgono questa strada non fossero già dall’inizio in una posizione di bisessualità. L’esposizione politica dell’omosessualità inoltre a mio parere ha degli aspetti comuni col movimento femminista. E’ legato all’esigenza di una minoranza e/o di un gruppo privo di poteri sociali che reclama una propria visibilità, richiede di essere capito, di essere accettato, di essere ascoltato. Chiaramente dopo un periodo di repressione totale certe istanze hanno più probabilità di esplodere in modo eccessivo e dirompente. Ricordiamo in tal senso il movimento delle suffragette e certo movimento femminista degli anni 60-70. Ovviamente una volta che alcuni diritti son stati acquisiti c’è meno bisogno di arrivare a certi eccessi. Ora si sta verificando per il movimento gay un ritorno di quegli aspetti rivendicativi sociali, ma quanto ha contribuito a questo l’ondata omofoba che sta investendo l’Italia (almeno)?

Sebbene sappia che non tutti sono d’accordo, personalmente io credo che l’origine delle rivendicazioni sociali del movimento gay siano da ricercare nell’ostracismo che subiscono e non nel contrario.

Mi spiego meglio. Essere gay non è conveniente, non lo è mai stato. Gli omosessuali son stati sempre discriminati. In molti periodi storici anche recenti son stati perseguitati e uccisi. Che convenienza può esserci nel diventare gay se fosse davvero, come dicono alcuni, un atto di scelta volontaria? Se essere gay fosse una scelta sociale, fra l’altro, sarebbe stata fatta solo in epoche recenti, quando è diventato storicamente possibile usare certe forme di aggregazione per far leva su aspetti della società che si desidera cambiare. Ma l’omosessualità travalica la storia e la geografia. Si manifesta in modo più o meno marcato a seconda che la società sottoposta a valutazione sia più o meno tollerante in proposito. In certe epoche storiche o in certe aree geografiche la si osserva meno perché chi ha queste caratteristiche può rischiare la vita. E’ ovvio che a quel punto salvaguardare la propria pelle sia prioritario rispetto al riconoscimento sociale e/o giuridico. Gli eroi non costituiscono una maggioranza in nessuno strato della popolazione.

La domanda che invece io mi son fatta spessissimo nell’arco della mia vita è un’altra: perché i MASCHI hanno tanta difficoltà a tollerare l’omosessualità? E’ infatti vero che noi donne al riguardo siamo in massima parte più tolleranti, anche nei confronti dell’omosessualità di un figlio. Mi chiedo e chiedo: che cambia se nell’esistenza umana è presente questa variante? Perché considerarla come una deviazione, come un qualcosa da curare, come un difetto di crescita, come una perversione o addirittura un vizio? Insomma come un qualcosa che NON dovrebbe esistere? La presenza di individui non riproduttivi non ha impedito alla specie umana di invadere la terra, violentandola e depauperandone le risorse in modo così massivo. E inoltre individui non riproduttivi ne esistono a prescindere dall’orientamento sessuale. Molti scelgono una vita di tipo monastico, in molte religioni, ad esempio

Invece io vorrei che coloro che provano irritazione, fastidio o addirittura odio nei confronti del mondo omosessuale riflettesse su qualcosa di proprio, più profondo e intimo. Vorrei che cercasse di capire da dove origina quel già citato senso di irritazione, di fastidio nei confronti di una categoria di umanità, e che cerca di razionalizzare attraverso teorie più o meno raffinate. A volte infatti paleso un continuo, incessante tentativo di dimostrare la patologia di questa condizione. Ho avuto l’impressione che tali atteggiamenti derivino da chi non abbia mai raccolto l’esperienza di un omosessuale adulto, che non abbia mai ascoltato quanto aveva da dire, che non conosce davvero il reale percorso che l’individuo fa per giungere ad una consapevolezza di sé che implica anche il riconoscimento di un orientamento sessuale minoritario.

Cosa può succedere se si ascolta senza pregiudizi? Cos’è che fa paura?

Donatella Lai

Metafisica dell'omosessualità


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Uomo-Donna
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Aggiornamento: 14/12/2018