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METAFISICA DELL'OMOSESSUALITA'
Il discorso naturalmente andrebbe contestualizzato per il lesbismo.
La sessualità può essere usata come strumento di rivendicazione sociale solo se viene abbinata alla difesa dei diritti umani, civili e politici, contro ogni discriminazione e persecuzione. Che poi la sessualità possa essere percepita, sul piano personale, come uno strumento di liberazione che può portare all'omosessualità, questo è un fatto che deve riguardare la sfera privata della coscienza, come una sorta di diritto soggettivo acquisito. L'importante è che si affermi il principio che l'emancipazione privata, a livello sessuale, può essere solo una conseguenza (diretta o indiretta) dell'emancipazione sociale collettiva. L'omosessualità è una radicalizzazione dell'anarchia sessuale, conseguente al fallimento dell'amore coniugale tradizionale, ovvero del ruolo della famiglia (che oggi è di tipo borghese). La contestazione dell'omosessualità è giusta, l'irreversibilità della scelta è sbagliata. Oggi siamo arrivati a un punto tale che alla più ampia democrazia rivendicata in sede giuridica (e politica) non corrisponde affatto la più ampia partecipazione popolare ai valori etici comuni. Il diritto cioè viene usato per rivendicare un'autonomia di azione, di pensiero, di criteri personali con cui vivere l'esistenza, con cui abolire la nozione di "socialmente ovvio", di "eticamente dato", ma in sostituzione di queste forme tradizionali del vivere civile si afferma prevalentemente un comportamento individualistico, arbitrario, di cui quello omosessuale è solo un esempio e neppure tra i più pericolosi. Il fatto è che, per costruire l'alternativa al sistema borghese, non ci si può limitare a compiere rivendicazioni giuridiche di libertà sociale, senza che nel contempo non vi sia una certa tensione verso l'unità, verso l'obiettivo di costruire qualcosa di alternativo in modo collettivo, valido per tutti. Non si può rischiare di usare il diritto per coprire l'assenza di una cultura significativa. UNA DOMANDA A TONDELLI
Dice Pier Vittorio Tondelli in un'intervista rilasciata al mensile "Mucchio selvaggio" (n. 169/92): Ora, se la diversità è più un connotato "interno" che "esterno" alla persona, perché diventare gay? Dire che non si "diventa" ma si "nasce" gay è fare un torto a tutti coloro che lo sono diventati per "protesta". L'importanza del movimento gay sta appunto nella capacità critica di rimettere in discussione il formalismo (il perbenismo) dei rapporti di coppia eterosessuali che si vivono nelle società borghesi. In tal senso il movimento non è che una prosecuzione della critica freudiana (contro le stesse intenzioni di Freud, che equiparava l'omosessualità a una forma di nevrosi infantile). Se si toglie a tale movimento la "diversità" esteriore (che pur partiva da una riflessione interiore), cioè l'aspetto più propriamente eversivo, cosa ne resta? Al di fuori di qualunque forma contestativa, è evidente che la sostanza dei valori sta nell'interiorità della persona. Ma questo vale per chiunque… Dunque perché diventare gay? Se togliamo il movente della critica antisistema e valorizziamo l'individuo per quello che è, si finisce col tornare alla classica risposta freudiana: uno diventa gay perché ha dei problemi personali, che si trascina dall'infanzia o dall'adolescenza o che, in ogni caso, non è riuscito a risolvere nel momento in cui gli si sono posti di fronte (e Freud qui aggiungerebbe, sbagliando, che l'incapacità era dovuta al fatto che l'omosessualità era già latente ecc. ecc.). La domanda in sostanza è: se uno ha dei "problemi personali", perché costruire un "movimento di opinione"? Si rivendicano dei diritti quando i problemi sono comuni. Ma che senso ha che un tale movimento rivendichi il diritto di appartenenza a una società i cui valori (relativi al rapporto di coppia eterosessuale) non vuole condividere? Non esiste forse il rischio che i gay vogliano ritagliarsi una fetta di spazio sociale per giustificare non la loro contestazione, bensì il loro arbitrio, il loro non-conformismo di maniera? Un movimento veramente contestativo non può limitarsi a predicare la libertà sessuale. Essere veramente "diversi" significa uscire dai "propri problemi personali", o meglio non fare di essi un motivo per sentirsi "diversi". Ha forse senso circoscrivere la ricerca della soluzione dei problemi comuni entro il perimetro della libertà sessuale? Non è forse questo un modo primitivo e in fondo individualistico di affrontare il sociale? Una posizione omosessuale esprime una scelta sessuale, o meglio una scelta identitaria tramite la sessualità. Ci si serve della sessualità per identificarsi. La sessualità va esibita. La libertà nei confronti della sessualità viene usata in forma contestativa: si contesta una naturalezza ritenuta presunta; si contesta un'ipocrisia o comunque un'ambiguità ritenuta falsa, inadeguata, impropria. L'ambiguità è necessariamente relativa al rapporto tra i generi, tra i sessi opposti. L'omosessualità è schematica in quanto categorica, è unilaterale non solo o non tanto perché nega la differenza di genere, quanto perché in forza di tale negazione assume un atteggiamento privo di mediazioni. L'omosessuale ha un senso della giustizia, una visione della realtà che per certi versi ricorda quello degli adolescenti che non amano le sfumature del grigio; salvo poi sentirsi moralmente ricattabile proprio a motivo della scelta sessuale compiuta. E' una debolezza che si vuole trasformare in forza, ma è una forza destinata a restare debole, in quanto egocentrica, non socialmente proponibile. L'omosessualità resta necessariamente una scelta individualistica. Definire l'omosessualità una tendenza di natura implica la sottovalutazione dell'importanza della scelta a fini identitari. Definirla una malattia significa relegarla nel patologico, nella devianza psico-somatica. L'omosessualità va in realtà affrontata come scelta esistenziale, le cui motivazioni vanno al di là della persona stessa, in quanto il conflitto tra i sessi può essere definito di natura ontologica, ancestrale. L'omosessualità è l'incapacità di affrontare in maniera creativa, intelligente la dinamica di tale conflitto. Essa è indubbiamente imparentata col narcisismo, in quanto l'individuo vuol costantemente mettere in mostra ciò che ritiene il meglio di sé, la cura di tutto il proprio corpo, non solo nei confronti del genere femminile, ma anche nei confronti di quello maschile. QUESTIONI DI OMOSESSUALITA'
Ha senso permettere il matrimonio ai gay? Ovviamente qui si parla di matrimonio civile, poiché quello religioso difficilmente verrebbe ammesso dalle chiese, e in ogni caso i matrimoni religiosi, da quando è finita l'epoca degli Stati confessionali, non hanno più effetti civili automatici. Anzitutto perché i gay chiedono la legalizzazione del loro rapporto? Non è paradossale che, dopo aver rifiutato il legame eterosessuale tradizionale, si finisca col pretendere una sua riedizione in forma diversa? Il fatto è che, in una società fondata sul diritto, solo la famiglia tradizionale è riconosciuta come tale, per cui la coppia (stabile) omosessuale viene inevitabilmente discriminata: di qui la necessità di formalizzare giuridicamente la propria unione. Qui si parla di "coppia stabile" appunto nel senso che non ci si riferisce né a una coppia gay occasionale né a quelle forme di devianza sessuale che sconfinano nel reato penale (p.es. l'adescamento del minorenne). Le coppie gay in questione sono composte da adulti che convivono da almeno un paio d'anni e che quindi vivono un'esperienza d'amore equivalente a quella delle coppie eterosessuali. Questi omosessuali che pretendono una propria legalizzazione, in che rapporto stanno con la trasgressione? Hanno forse smesso di usare il proprio orientamento sessuale in forma contestativa? Non è forse una forma politicamente regressiva considerare l'omosessualità non come una scelta di vita ma come una predisposizione naturale dell'essere umano? Quel che è difficile sostenere è in realtà proprio la naturalezza dell'omosessualità, la quale, se tale fosse, renderebbe necessaria la riproduzione artificiale. Sul piano riproduttivo l'omosessualità è innaturale come il celibato. I celibi tuttavia non si sono mai costituiti come movimento di protesta. Non vivendo rapporti stabili di coppia, non ne contestano la forma ufficiale della società borghese. Sotto questo aspetto ci si può chiedere se la società tema di più gli omosessuali quando contestano come movimento politico la forma borghese del rapporto di coppia, o quando rivendicano una parificazione di diritti costituzionali. In questo secondo caso si comportano come certe minoranze etniche o linguistiche o religiose. Le sfumature dell'"innaturalezza" nel rapporto borghese di coppia sono davvero molte ed è un peccato che il movimento omosessuale abbia smesso di contestarle. L'uso dell'adulterio, l'uso dell'annullamento di matrimoni già consumati, l'uso dei matrimoni d'interesse non sono certo cose che qualificano la "naturalezza" del rapporto di coppia attualmente in vigore. Anche un semplice rapporto eterosessuale privo d'amore non può essere considerato più "naturale" di un rapporto d'amore omosessuale. Persino l'uso della contraccezione e dell'aborto per impedire la riproduzione sarebbe apparso incredibilmente innaturale in una società pre-schiavista. La "naturalezza" del rapporto eterosessuale è soltanto in relazione al fatto che tale rapporto, al momento, risulta largamente maggioritario. Ma nessuno può sapere se in futuro non lo diventerà quello omosessuale. Quando ci sono di mezzo i sentimenti e l'ideologia, è difficile pensare che i problemi possano essere risolti per via legale o amministrativa. L'omosessualità è un mix di sentimenti personali e di ideologia sovversiva contro il costume sociale, considerato sostanzialmente ipocrita. E' difficile immaginare una società prevalentemente omosessuale, non foss'altro che per una ragione: la conflittualità intersessuale diverrebbe insostenibile. L'omosessualità maschile infatti resta una forma di machismo, mentre quella femminile una forma di anti-machismo. Non si diventa omosessuali senza aver la pretesa di dimostrare qualcosa a qualcuno. Che poi nel rapporto omosessuale si riproducano ruoli tipici del rapporto eterosessuale, è del tutto naturale. E' illusorio infatti pensare di poter creare una nuova identità di sé partendo dalla sfera meramente sessuale: politicamente è una forma di primitivismo. Dal punto di vista intellettuale è alquanto limitativo investire la sfera sessuale di aspettative orientate verso una propria affermazione sociale o economica. Anche il play-boy, la prostituta o lo stallone fanno la stessa cosa, ma si presume appunto che non siano degli intellettuali o che non abbiano una consapevolezza critica delle cose o comunque un'autostima che vada oltre i propri aspetti fisici. L'omosessualità invece ha caratterizzato non pochi intellettuali famosi (cfr p.es. Vittorio Lingiardi Compagni d'amore. Da Ganimede a Batman. Identità e mito nelle omosessualità maschili, Raffaello Cortina Editore). Quel che qui si vuole escludere è che l'omosessualità sia una risposta convincente alla crisi della tradizionale (borghese) coppia eterosessuale. La famiglia borghese è nata distruggendo quella patriarcale del mondo feudale, ma senza saper costruire una vera alternativa sociale. Si è affermata una democrazia di coppia molto relativa, ai limiti dell'autoisolamento sociale. I single in Italia sono l'11% della popolazione, senza contare i due milioni di separati, divorziati e vedovi. Negli Stati Uniti rappresentano già un quarto della nazione. In una situazione del genere può diventare quasi indifferente scegliere una strada omo- o eterosessuale. L'omosessualità rischia di porsi soltanto come radicalizzazione di una crisi in atto. Si diventa omosessuali semplicemente perché in una società basata sull'isolamento dei singoli non vi sono sufficienti occasioni per metabolizzare il proprio vissuto. E anche quando a questa scelta si vuol dare una rilevanza sociale o politica, come si fece ampiamente negli anni Settanta, non si è capaci di uscire dal settarismo, come non se ne esce quando si rifiuta una religione per abbracciarne un'altra. Di qui l'esigenza periodica di allestire pubblicamente i gay pride. In ogni caso al gay non può interessare più di tanto sapere se l'eterosessuale, in coscienza, lo considera "normale" o "anormale": l'importante è che non si senta discriminato in quanto gay. Là dove esistono i sentimenti, la legge deve adeguarvisi, e se essi vengono vissuti in maniera non conforme alla "regola", non è certo compito della legge imprimere loro una diversa direzione (come fece p.es. il fascismo nel 1926 quando mise la tassa sul celibato). La legge deve limitarsi a constatare che discriminare i gay, in quanto gay, in materia di eredità, contratti di locazione, assistenza sanitaria e cose del genere, è un'autentica assurdità. Altra cosa tuttavia è la pretesa di avere dei minori in adozione o affido. Qui dovrebbe valere il principio secondo cui l'omosessualità può essere considerata soltanto una scelta che si compie in età adulta. La società non può dare per scontato che l'essere gay sia un risultato di tipo genetico.
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