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MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICOLO STATO BUROCRATICO-AMMINISTRATIVO Marx ad un certo punto si stupisce che Hegel scenda dalle astrazioni metafisiche a sfondo mistico per qualificare la società civile come il luogo in cui si esercitano gli egoismi individuali, le forme patriottiche per tutelare tali egoismi e le istanze di regolamentazione degli egoismi tramite l'organizzazione statale. Marx inizia ad analizzare l'ultimo aspetto, quello burocratico-amministrativo, che è specifico dello Stato, mentre i poteri di "polizia" e "giudiziario" Hegel li attribuisce alla società civile, che in tal modo si autogoverna e mette in atto le decisioni del sovrano. Nel senso cioè che anche i poteri esecutivo e giudiziario, pur non essendo poteri delegati in maniera diretta, svolgono comunque la funzione di amministrare la società civile secondo gli interessi dello Stato. Qui, per non cadere in equivoci, bisogna ricordare che lo Stato prussiano cui Marx ed Hegel fanno riferimento era precedente a quello che nel 1871 acquisirà l'unificazione nazionale. Fino ad allora infatti aveva dominato uno Stato composto di tanti Stati autonomi, di derivazione feudale, in un certo senso federati tra loro, in quanto tutti riconoscevano l'autorità di un monarca ereditario, vincolato da una Costituzione e dovevano altresì provvedere ad eleggere la figura, più che altro simbolica, dell'imperatore del sacro romano-germanico impero. In questa Germania si parla ancora di "caste" e "corporazioni" quando la Francia le aveva già eliminate con la rivoluzione del 1789. Ecco perché nella trattazione hegeliana appaiono molto importanti i burocrati, veri funzionari statali, proposti dalla società civile, ma approvati dal monarca, previo specifico esame e concorso pubblico. Solo questi individui sono gli unici veri delegati del potere governativo. Essi rappresentano una sorta di sovrintendenti delle comunità e corporazioni, la cui elezione mista è in realtà un compromesso tra Stato e società civile. Lo Stato riconosce la realtà di determinati interessi privati proprietari e cerca di regolamentarne, a livello nazionale, i rapporti, in modo che non si giunga a dei conflitti sociali. Lo Stato svolge il ruolo di intermediario, di paciere, con funzione tipicamente (cioè illusoriamente) super partes o "interclassista", come diremmo oggi. I funzionari, molto più dei giudici e delle forze di polizia, rappresentano l'intellighenzia statale, la cultura più elevata, il lato politico dell'amministrazione statale. Il vero potere governativo è quindi l'amministrazione statale, che Hegel sviluppò come "burocrazia". Una situazione del genere non esisteva nell'altro grande paese europeo diviso in Stati, e cioè l'Italia, in quanto prima dell'unificazione nazionale, la chiesa romana era sempre riuscita a impedire, con l'appoggio degli spagnoli controriformisti, la possibilità di realizzare non solo l'unificazione nazionale, ma anche il semplice riconoscimento di un'autorità monarchica nazionale, pur nella separazione politica degli Stati principeschi. La differenza tra Germania e Italia risiedeva appunto nel fatto che la chiesa romana, a differenza di quella luterana, si poneva anzitutto come "organo politico". Marx qui non vuole apparire come un "costituzionalista", non essendo propriamente interessato a esaminare i meccanismi interni allo Stato prussiano, cioè i rapporti tra le sue diverse istanze di potere. Egli tratta la filosofia del diritto di Hegel come se fosse un filosofo della politica, per cui prende di quel trattato solo le parti che gli servono per dimostrare alcune tesi fondamentali. Infatti, quando inizia ad analizzare il concetto di "burocrazia", lo fa perché ha intenzione di sottoporre a critica gli istituti tardo-feudali delle caste e delle corporazioni (ovvero gli stati, gli ordini ecc.). D'altra parte lo stesso Hegel non vuole apparire nei suoi Lineamenti come un teorico della politica, un politologo. Scrive Marx a tale proposito: "Hegel dà alla sua logica un corpo politico: non dà la logica del corpo politico". La società civile - scrive Marx - tende a eliminare le corporazioni, ritenendole ormai una realtà superata, ma lo Stato si oppone a questa tendenza, poiché proprio in virtù delle corporazioni esso può continuare a governare inalterato e a conservare la propria burocrazia. Ovviamente non è sempre stato così, in quanto la burocrazia ha potuto affermarsi, come moderno fenomeno, proprio ponendosi contro le corporazioni medievali. Nel feudalesimo l'autogoverno delle comunità era più forte; le stesse comunità locali erano molto più autonome tra loro e di fatto non si aveva bisogno di una burocrazia come organo separato gestito da uno Stato in opposizione alla società civile. Come organo permanente di controllo, la burocrazia - dice ancora Marx - è strettamente connessa all'istituto della monarchia, contrapposto in un certo senso a quello dell'impero, di matrice feudale, che si serviva di propri funzionari più che altro per questioni fiscali. Viceversa nello Stato prussiano del tempo di Hegel ogni corporazione ha bisogno della burocrazia contro la corporazione rivale. E di tutte le corporazioni, quella della burocrazia è la più "etica" nella filosofia hegeliana, in quanto emanazione diretta dello Stato, preposta quindi a difendere interessi generali. Su questo modo di vedere le cose Marx è molto critico e arriva a qualificare i funzionari statali come "gesuiti di Stato" o "teologi di Stato", il cui compito fondamentale è quello di far credere che lo Stato sia al di sopra delle parti. Inutile dire che qui la particolare forma di burocrazia prussiana appare come specifica di un paese che da un lato non è ancora giunto a una matura e completa unificazione nazionale, e dall'altro però ha già compiuto la propria riforma protestante, liberandosi così del peso politico di una istituzione, la chiesa, irriducibilmente avversa alla formazione di uno Stato autonomo, non direttamente o indirettamente gestita da essa. In tal senso la critica di Marx potrebbe essere rivolta, mutatis mutandis, ai funzionari ecclesiastici dello Stato pontificio italiano, nonché a quelli dello Stato spagnolo, che al tempo dei loro "colleghi" tedeschi facevano dell'inquisizione l'organo di controllo poliziesco per eccellenza. E la si potrebbe estendere anche a tutte quelle confessioni religiose che, dopo aver dovuto accettare l'unificazione nazionale democratico-borghese, hanno deciso di appoggiare la sovranità di questi nuovi Stati, ottenendo in cambio il riconoscimento di una serie di privilegi, allo scopo di poter continuare ad esistere e di impedire alla democrazia di svilupparsi in maniera più coerente e conseguente. E se la critica di Marx la si volesse oggi applicare ai funzionari di Stato, che di religioso ormai hanno ben poco, se non gli aspetti formali imposti dai vari Concordati e Intese, ci si accorgerebbe di quanto essa resti ancora molto attuale, pur a distanza di 150 anni, poiché le caratteristiche salienti del burocrate di professione sono in fondo sempre le stesse. Marx le elenca con molta precisione e sagacia. "Lo spirito generale della burocrazia è il segreto, il mistero, custodito entro di essa dalla gerarchia, e all'esterno in quanto essa è corporazione chiusa". In tal senso ogni forma di "pubblica opinione" è un "tradimento del suo mistero". "L'autorità è perciò il principio della sua scienza e l'idolatria dell'autorità è il suo sentimento". Il che ovviamente si traduce in "obbedienza passiva", in ripetizione meccanica di regole fisse: atteggiamento, questo, molto apprezzato da tutte le dittature politiche. Il burocrate, preso singolarmente, è di necessità un carrierista privo di scrupoli, dice Marx, in quanto vive una forma priva di contenuto, è costretto ad obbedire ciecamente a ordini superiori, avverte d'essere una semplice rotella di un ingranaggio ritenuto immodificabile. Che ne sia o no consapevole, il burocrate vive il proprio "spiritualismo statale" come una forma di "crasso materialismo", che esercita tentando di vessare i propri subordinati. E qui, per la prima volta, Marx espone un concetto che nei Manoscritti del 1844 troverà ulteriori e ancora più significativi sviluppi, a testimonianza di come ormai la coscienza critica tedesca (nella fattispecie quella della sinistra hegeliana), dovesse necessariamente incontrarsi con quella francese, molto più matura sul piano politico. Dice: "il superamento della burocrazia è possibile solo a patto che l'interesse generale diventi realmente, e non come in Hegel meramente nel pensiero, nell'astrazione, interesse particolare [concreto], il che è possibile soltanto se il particolare interesse diventa realmente l'interesse generale". Ma di questa trasformazione potrà farsi carico - Marx lo scoprirà di lì a poco - solo una classe sociale: il proletariato, che è sì una classe particolare, ma la cui particolarità è quella di non dover difendere una proprietà privata. Il proletariato è l'unica classe che può definitivamente spezzare il dualismo che oppone Stato e società civile, in quanto è l'unica che, nell'ambito della società civile, può spezzare il dualismo che oppone proprietari privati a nullatenenti. Sarà poi Lenin a precisare che nell'epoca dell'imperialismo anche il proletariato occidentale può essere oggetto di corruzione da parte della classe imprenditrice, la quale è in grado di scaricare sulle popolazioni coloniali il peso delle contraddizioni del capitalismo, cioè del rapporto capitale-lavoro. L'ipersfruttamento dei lavoratori del Terzo Mondo può permettere agli imprenditori di tenere relativamente alti i salari del proletariato occidentale, il quale, in tal modo, tenderebbe a limitare la propria azione rivoluzionaria e mere rivendicazioni di tipo sindacale. Il che comunque non impedirà al capitalismo d'essere caratterizzato da crisi cicliche di sovrapproduzione, strutturali al sistema, la cui dinamica Marx elaborerà in maniera scientifica durante la stesura del Capitale, quelle crisi che generalmente vengono risolte, in forma temporanea, facendo ricorso ai conflitti bellici. |