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(K. Marx, La questione ebraica, Ed. Riuniti, Roma 1974)
(A. Ruge - K. Marx, Annali franco-tedeschi, Massari editore, Bolsena
2001)
Seguace di Feuerbach e amico di Bauer e Strauss, Marx non può che dirsi
"ateo", esplicitamente, mostrando che la religione non ha alcuna utilità ai fini
dell'emancipazione umana.
La religione è alienazione, in quanto pone la realizzazione di sé nei cieli,
non sulla terra. La critica della religione (che in Germania era già iniziata
con la Critica della ragion pura di Kant, svolta, seppure in forma
ambigua da Hegel ed esplicitata dalla sua corrente di sinistra, e che in un
certo senso, può essere fatta risalire allo stesso luteranesimo) ha appurato che
non la religione fa l'uomo, ma l'uomo (alienato) fa la religione. E se è così,
allora l'uomo può anche disfarsi di ogni religione e sostituirla con un mezzo
più utile alla realizzazione di sé. Marx non ama, come Bauer e Strauss,
proseguire la critica ateistica in direzione dello studio delle religioni. Egli
si pone di fronte alla religione come un politico e, come tale, non può trovare
nell'ateismo una soluzione ai problemi sociali (gli stessi che hanno generato le
illusioni religiose). Per Marx la diatriba di ateismo-religione è superata
perché ideologicamente conclusa.
L'alternativa e alla religione e alla sua critica va cercata nella società e
deve servire a trasformare questa stessa società, poiché non ci sarebbero state
religioni se non ci fossero state le società che le hanno prodotte (coi loro
ceti e classi sociali). La religione è un prodotto alienato di società alienate.
E la critica di queste società non si fa con le armi della critica della
religione.
Marx ancora non ha scoperto l'economia politica, per quanto lo scritto di
Engels, Abbozzo di una critica dell'economia politica, apparso negli
"Annali", l'abbia sicuramente aiutato, però ha capito che la critica della
religione deve trasformarsi in critica della politica e del diritto, benché le
armi di questa critica siano ancora di tipo filosofico, sulla scia di Hegel.
Naturalmente la critica della politica e del diritto è la critica della Germania
assolutista, tardo-feudale, non solo di quella confessionale. Ma è anche la
critica di quei tentativi anacronistici di ritrovare le libertà tedesche "nelle
foreste vergini teutoniche"(p. 64), cioè fuori della storia.
Marx è convinto che con la critica (l'indignazione, la denuncia) si possa
scuotere la coscienza assopita dei tedeschi, rimasti indifferenti ai cambiamenti
epocali avvenuti in altre nazioni (la rivoluzione inglese del 1688, la
rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione americana del 1776, la rivoluzione
industriale...). Non c'è, nel suo scritto, un piano di agitazione tra le masse
vero e proprio, coordinato da un partito politico. Da filosofo critico della
società quale egli è, Marx è convinto sia sufficiente "rendere ancora più
oppressiva l'oppressione reale con l'aggiungervi la consapevolezza
dell'oppressione..."(p. 95).
Egli vuol far sentire la Germania all'altezza dei tempi, non solo per le
conquiste teoretiche della filosofia idealistica e della critica della
religione, ma anche, paradossalmente, come paese conservatore! Infatti dice: "lo
status quo tedesco costituisce l'aperto compimento dell'ancien régime,
e l'ancien règime è la tara occulta dello Stato moderno"(p. 96). Cioè Marx
vuole infondere fiducia nei tedeschi, mostrando loro che lo Stato moderno,
borghese, non è la soluzione dei problemi dello Stato prussiano, come non lo è
stato nelle altre nazioni, dove la borghesia è stata costretta al compromesso
con le forze del passato.
Indubbiamente per Marx la Prussia è un anacronismo storico rispetto agli
Stati borghesi d'Europa, ed egli cerca di giustificare questo ritardo dicendo
che nella storia ci si libera degli errori, degli anacronismi, prima in forma
tragica, poi in forma più leggera, come la commedia. Cioè Marx spera che la
Germania non debba andare incontro alle stesse tragedie degli altri paesi, visto
appunto che sono state già compiute e non vi è bisogno di ripeterle. "Questa
serena destinazione storica noi rivendichiamo alle forze politiche della
Germania"(p. 96). (In realtà la Germania dovrà affrontare tutte le tragedie del
superamento dell'assolutismo e della costruzione dello Stato capitalistico).
Tuttavia Marx vuole qui essere più un filosofo critico che un
politico, perché vede che la politica tedesca è di molto inferiore alla
filosofia idealistica. E fa l'esempio del modo con cui il governo prussiano
vuole regolamentare l'economia borghese: là dove, come in Francia e in
Inghilterra, si chiede di finirla coi dazi protettivi e i monopoli, favorendo il
libero scambio per ogni attività economica, in Germania invece si fa esattamente
il contrario, a testimonianza del suo ritardo storico sul piano
dell'organizzazione capitalistica dell'economia.. Per Marx, grazie alla loro
filosofia idealistica, i tedeschi "sono i contemporanei filosofici del
presente, senza esserne i contemporanei storici"(p. 98).
In particolare, di tutta la filosofia tedesca, secondo Marx quella "del
diritto e dello Stato è l'unica storia tedesca che stia al pari
col moderno presente ufficiale"(ib.). Ma siccome questa filosofia non può
essere presa così com'è, perché idealistica, occorre partire dalla sua critica
per emancipare il tedesco e aprirgli la strada alla realizzazione storica
contemporanea, che dovrà essere diversa da quella "ufficiale".
I tedeschi hanno prodotto sul piano culturale una cosa che gli altri popoli
europei non possono vantare: la filosofia idealistica (erede della Riforma).
Tale filosofia però non ha permesso ai tedeschi di realizzare la democrazia, la
giustizia sociale ecc., se non a livello di possibilità ideale, nelle astratte
speculazioni dialettiche. Marx dice che "il partito politico pratico [il
partito di governo] in Germania esige la negazione della filosofia"(p.
99), poiché ritiene che gli ideali della filosofia siano irrealizzabili;
viceversa, Marx ritiene che per poter negare la filosofia bisogna prima
realizzarne i principi (ib.), proprio perché il meglio di sé il popolo tedesco
l'ha dato nel pensiero, non nella realtà.
Lo stesso errore, secondo Marx, ma in maniera capovolta, lo fa il "partito
politico teorico", quello nato a "sinistra" della filosofia hegeliana, il
quale ritiene che per cambiare la società tedesca sia sufficiente usare l'arma
della critica filosofica, quando, in realtà -dice Marx- la stessa filosofia è
"il completamento, sia pure ideale" del mondo tedesco che va superato (ib.).
Insomma, secondo Marx "non si può realizzare la filosofia senza eliminarla"(p.
100), ed eliminarla significa fare una prassi rivoluzionaria (p. 101).
Il vertice del pensiero filosofico tedesco è, secondo Marx, la filosofia del
diritto e dello Stato di Hegel, di cui questa critica vuole semplicemente essere
una "Introduzione": Hegel riuscì a fare una critica dello Stato moderno pur non
vedendolo realizzato in Prussia. Questo perché "i tedeschi nella politica hanno
pensato ciò che gli altri popoli hanno fatto"(p. 100). Ma tra
pensiero ed azione Marx non vede contraddizioni di sostanza, in quanto i limiti
pratici delle democrazie borghesi sono equivalenti ai limiti teorici
della filosofia idealistica. Entrambe le realtà non hanno mai preso in
considerazione l'uomo reale, totale (ib.).
Secondo Marx il problema cruciale per la Germania non è soltanto quello di
sapere se per mezzo di una prassi rivoluzionaria essa sarà in grado di
innalzarsi "al livello ufficiale dei popoli moderni" [che è quello
politico-istituzionale dello Stato borghese], ma anche se sarà in grado di
superare tale livello dal punto di vista umano o sociale (p. 101).
"La critica della religione finisce con la dottrina per cui l'uomo è per
l'uomo l'essere supremo, dunque con l'imperativo categorico di rovesciare
tutti i rapporti nei quali l'uomo è un essere degradato, assoggettato,
abbandonato, spregevole..."(ib.).
Marx qui si ricollega a quella rivoluzione fallita che fu la riforma
protestante: un passato sì "rivoluzionario" ma "teorico" (p. 101), in quanto la
guerra dei contadini: "il fatto più radicale della storia tedesca"(p. 102),
s'infranse contro le esigenze conservatrici della teologia. Il parallelo tra
Riforma e Rivoluzione sta nel fatto che le idee rivoluzionarie nascono nella
testa degli intellettuali, ma la differenza deve stare nella loro
applicazione, che deve riguardare le masse.
E' solo questo il vero problema, per Marx, poiché la Germania è molto
arretrata politicamente. La domanda tuttavia è lecita: è possibile che i
tedeschi si emancipino prima di rischiare una decadenza come nazione, provocata
dal capitalismo delle altre nazioni? Certamente, Marx ne è consapevole, non
verrà alcun aiuto da parte del governo prussiano, e per quanto riguarda la
società civile il rischio è quello tipico delle rivoluzioni borghesi: cioè che
venga tradita a cose fatte. (Va detto tuttavia che per Marx non esisteva nella
Prussia di allora una classe che da sola, come p. es. in Francia, avrebbe potuto
fare la rivoluzione).
Marx a questo punto fa la sua proposta politica: soggetto principale
della rivoluzione dovrà essere una classe che concentri su di sé tutte le
contraddizioni sociali, per le quali essa non possa nutrire un interesse
particolare di liberazione e che quindi la sua istanza di liberazione coincida
con quella di tutte le altre classi oppresse: questa classe è il proletariato
industriale.
Marx chiede che in Germania non si faccia una liberazione progressiva,
partendo da quella democratico-borghese per arrivare a quella socialista, ma che
si salti il passaggio e si faccia subito la rivoluzione proletaria: "in Germania
l'impossibilità della liberazione progressiva deve generare la libertà
totale"(p. 107). La sua è una posizione molto esigente.
La descrizione del proletariato industriale tedesco è così intensa che merita
d'essere riportata integralmente. La possibilità positiva dell'emancipazione
tedesca sta "nella formazione di una classe con catene radicali, di una
classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di
uno stato che sia la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che per i
suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun
diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitato non una
ingiustizia particolare bensì l'ingiustizia senz'altro, la quale può
fare appello non più ad un titolo storico ma al titolo umano, che
non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto
universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera,
infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti
sfere della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della
società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell'uomo, e può
dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo
riacquisto dell'uomo. Questa dissoluzione della società in quanto stato
particolare è il proletariato"(p. 108).
Compito fondamentale di questo proletariato è "la negazione della
proprietà privata"(p. 109). La filosofia tedesca può trasformarsi in prassi
rivoluzionaria (sulle modalità della quale, operativamente, Marx non dice nulla)
se si associa alle esigenze emancipative del proletariato industriale. "La
filosofia non può realizzarsi senza l'eliminazione del proletariato, il
proletariato non può eliminarsi senza la realizzazione della filosofia"(p. 110).
Quanto proletariato industriale esisteva nella Prussia di Marx? Lo sviluppo
industriale della Germania cominciò ad avere un certo impulso a partire dalla
seconda metà degli anni '30, soprattutto nella regione del Reno-Vestfalia,
favorita dalla liquidazione degli ordinamenti feudali, già effettuata nel
periodo del dominio francese. In Sassonia era molto sviluppata l'industria
tessile. Berlino cominciò a diventare un centro industriale verso la metà degli
anni '40: qui era concentrato 1/3 di tutta la produzione di macchine e dei
cotonifici della Prussia; nel 1846, su 400.000 abitanti aveva circa 70.000
operai salariati. Nel 1847 in tutto il paese vi erano circa 1000 motori a
vapore. La prima ferrovia fu inaugurata nel 1835. Nel complesso tuttavia
l'industria si sviluppava a rilento e non era in grado di assorbire gli
artigiani e i contadini impoveriti che affluivano nelle città, tant'è che negli
anni 1846-47 furono costretti a emigrare dalla Germania circa 100.000 persone
l'anno. Nella maggior parte della Germania prevaleva l'artigianato e la
manifattura, specie quella sparsa.
I primi moti rivoluzionari si registrarono agli inizi degli anni '30, in
Sassonia, nell'Assia-Cassel e in Baviera. A Essen nel 1830 scoppiò una rivolta
contadina antifeudale, che fu duramente repressa. Nel 1832 nel castello di
Hambach parteciparono 30.000 persone per chiedere riforme democratiche e
l'unificazione nazionale. Nel 1833 a Francoforte sul Meno un gruppo di studenti
tentò un colpo di stato per proclamare la repubblica. L'anno successivo fu
chiusa dal governo l'"Associazione dei diritti dell'uomo" guidata da G. Büchner
e dal pastore Weidig. Nel 1845 quasi tutti i Landtag (assemblee
provinciali di stati) presentano al re la richiesta di una costituzione; i
liberali borghesi vogliono anche l'allargamento dell'unione doganale e la
liquidazione dei privilegi di casta della nobiltà. Il professore di economia
dell'Università di Tubinga, F. List, chiedeva elevate tariffe doganali sui
prodotti d'importazione e predicava la conquista di un mercato mondiale da parte
della Germania unificata, anche a costo di scatenare la guerra.
* * *
A Colonia la borghesia, delusa dalla politica di
false riforme di Federico Guglielmo IV, si era alleata con la Sinistra hegeliana
dando vita alla "Gazzetta renana", il primo periodico moderno della Germania,
nato nel 1842. La Gazzetta viene chiusa dal governo dopo 15 mesi. La reazione
degli ambienti liberali fu tiepida, in quanto non amavano gli articoli che
sobillavano il popolo contro il governo. Grande la delusione dei giovani
hegeliani: il 25 gennaio 1843 Marx scrive a Ruge che ha intenzione di lasciare
la Germania.
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