TEORICI
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HEGEL: L'AVVENTURA UMANA NELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (PRIMA PARTE) I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII Il titolo di questa prima fondamentale opera hegeliana contiene la parola “fenomeno” che già abbiamo incontrato nella Critica della ragion pura di Kant. Il significato hegeliano del termine è però diverso da quello kantiano: mentre, infatti, in Kant il fenomeno è correlativo al noumeno, alla “cosa in sé”, in Hegel la “cosa in sé”, già liquidata da Fichte, non c’è più. Per lui, infatti, la filosofia, al termine della sua faticosa e anche dolorosa ricerca, non lascia residui inconoscibili, non lascia cose in sé misteriose, estranee. In Hegel la conoscenza umana non si riduce all’isola kantiana della scienza, intorno alla quale si estende l’oceano della metafisica (per Kant pensabile, oggetto d’ipotesi, di fede razionale, non conoscibile però in termini scientifici), ma approda al sapere assoluto: la filosofia hegeliana arriva all’autocoscienza della realtà tutta e dissolve la distinzione e opposizione soggetto-oggetto nella comprensione della loro profonda unità. Unità che è dialettica, come già abbiamo cominciato a vedere, e non indifferenziata, com’è nell’assoluto del primo Schelling, quello dell’idealismo estetico. E, proprio perché dialettica, quest’unità può essere conosciuta solo attraverso un cammino avventuroso di conflitti e di mediazioni e non con un atto immediato qual è l’intuizione intellettuale di Schelling. Hegel chiama “spirito” quest’unità profonda, questa cosa che si presenta sia come soggetto sia come oggetto. E questa cosa, che col suo carattere inizialmente misterioso avvia l’avventura spirituale, diventa progressivamente cosciente di sé, fino a riconoscersi come identità di realtà e di ragione. E raggiunge questo punto d’arrivo attraverso un travagliato percorso spirituale, che inizia dall’esperienza più elementare, la semplice sensazione, e, animato dall’intima contraddizione della realtà, attraverso molte tappe, giunge al sapere assoluto, in cui ogni estraneità è dissolta. È un viaggio spirituale che ricorda quello dantesco. È una nuova divina commedia, al termine della quale, però, si arriva sì al cospetto di Dio, ma di un dio ben diverso da quello dantesco: il dio hegeliano, infatti, non è trascendente, bensì è spirito, principio interno al mondo e alla sua trama di cose molteplici, che, dopo essersi perso come natura, come altro, attraverso gli erramenti di un tormentato viaggio spirituale, diventa consapevole di essere tutta la realtà, di essere Dio. Un dio che, in parte, ricorda quello di Spinoza, ripensato però come soggetto, come spirito; con l’importante differenza che del dio di Spinoza la filosofia conosce soltanto due dei suoi infiniti attributi, il pensiero e l’estensione, mentre quello di Hegel, al termine percorso conoscitivo, non lascia aspetti inconoscibili. La Fenomenologia dello spirito è la storia romanzata di questo viaggio spirituale, di questo percorso di formazione alla filosofia, in particolare alla filosofia hegeliana. È anche la ricostruzione hegeliana della formazione della cultura europea, che si offre al singolo individuo come percorso di formazione personale per aiutarlo a inserirsi consapevolmente nel momento storico in atto e a cogliere filosoficamente lo spirito del suo tempo. Non è un caso, infatti, che Hegel l’abbia scritta in contemporanea al Wilhelm Meister di Goethe, prototipo di tanti altri romanzi di formazione allora di moda. Raccontando l’avventura filosofica dell’umanità, Hegel offre ai singoli uomini la possibilità di formarsi filosoficamente, ripercorrendo tutti i momenti già attraversati dall’umanità, quella europea naturalmente e più in particolare quella tedesca, e mettersi in condizioni di capire il sistema hegeliano, la sua grandiosa costruzione filosofica. I momenti già attraversati dall’umanità e che il singolo deve ripercorrere sono i fenomeni, l’oggetto del discorso della Fenomenologia dello spirito. Abbiamo così adesso il modo di capire bene il significato della parola “fenomeno” in Hegel: essa indica i diversi modi in cui lo spirito si manifesta e procede nella sua avventura dialettica, le molte fasi del rivelarsi dello spirito a se stesso fino a raggiungere il sapere assoluto. Come una quercia comincia a manifestarsi come ghianda e poi continua a farlo nelle diverse fasi del suo sviluppo, ma si rivela nella sua maestosa pienezza solo al termine del percorso di crescita, così la conoscenza comincia dalla sua fase embrionale, quella della certezza sensibile di un oggetto da parte di un soggetto, e progressivamente trasforma quella certezza in conoscenza sempre più articolata sia dell’oggetto sia del soggetto, fino a comprenderne la loro profonda identità. Hegel chiama “figure” le diverse forme di vita culturale che lo spirito assume nel suo progressivo manifestarsi in quest’avventura verso la verità di sé. Nell’età in cui l’umanità comincia a praticare l’alpinismo, Hegel racconta l’ascesa dello spirito verso la verità, che egli intende come intero, nella cui interezza sia, però, compreso anche il viaggio per raggiungerla. Hegel, che ritiene di essere arrivato in cima al monte della verità, si volta indietro e si riconosce come risultato del movimento spirituale dell’umanità intera. E dall’alto del suo punto d’arrivo rivede la strada compiuta e ne riconosce la necessità razionale delle diverse tappe. Valuta cioè i diversi momenti della storia culturale umana così come un vecchio saggio, ormai conciliato con la vita che sta per lasciare, può considerare gli erramenti, i travagli, le svolte e i progressi compiuti nel corso della vita trascorsa e si assolve, riconoscendo la razionalità dell’intero percorso, anche di quei momenti che, nella loro attualità, potevano sembrare errori e sbandamenti. L’avventura filosofica hegeliana ha tutti i caratteri della vicenda umana; e non a caso la parola “esperienza” compare come titolo della prima stesura del 1805, Scienza dell’esperienza della coscienza. “Per capire cosa Hegel intenda per “esperienza” – scrivono Alberto Bosi e Fulvia de Luise – possiamo far riferimento alla nostra vita quotidiana. A volte le nostre consapevolezze più preziose non vengono da catene di ragionamenti logici, e neppure per procedimenti per prova ed errore, quanto piuttosto da “prese di coscienza” di qualcosa che in un certo senso sapevamo già. A un certo momento riusciamo a fare un passo indietro rispetto alla situazione in cui siamo coinvolti, a vederci, per così dire dall’esterno: le cose ci appaiono sotto una nuova luce, che ci costringe a cambiare gli schemi della nostra visione della realtà, e quindi noi stessi, coinvolgendo non solo la ragione, ma anche le emozioni e il nostro modo di vivere e di interpretare il mondo”.1 Non è, quindi, un caso che quest’opera di Hegel abbia suscitato l’interesse di filosofi orientati in senso esistenzialistico, anche se Kierkegaard, il padre degli esistenzialisti, si pone radicalmente in conflitto col sistema hegeliano. Si potrebbe pensare che Hegel, per avviare la costruzione del suo sistema rigorosamente razionale, abbia dovuto attraversare e vivere con profondo travaglio interiore tutte le fasi della vita, consumando con l’esperienza l’aspetto esistenzialistico della vicenda umana; come se questo fosse il necessario purgatorio per raggiungere la serenità serale della ragione consapevole di sé. La dialettica, infatti, diventa serena contemplazione razionale e serale solo quando il conflitto abbia prodotto il proprio superamento in una nuova sintesi, mentre, finché il conflitto resta aperto, ha e deve avere carattere tragico. Per questo non è senza ragione che si sia parlato di pantragismo, oltreché di panlogismo, a proposito del sistema hegeliano, radicalmente ottimista, ma frutto di un percorso umano tragico. Agisce profondamente in Hegel l’idea cristiana che la domenica di resurrezione è il punto d’arrivo della settimana di passione. La coscienza La vita della coscienza comincia con la sensazione, cioè quando il soggetto avverte la presenza di qualcosa di diverso da sé e ne acquisisce la certezza sensibile. L’avventura spirituale destinata a raggiungere la consapevolezza dell’identità di soggetto e oggetto, di razionale e ideale, comincia dal punto più lontano e più basso, dalla certezza sensibile in cui un soggetto è certo di avere davanti a sé un oggetto, ma non conosce ancora nulla né di sé né della cosa-oggetto. Il difficoltoso cammino avviato da questa certezza ancora vuota di conoscenza porta alla consapevolezza finale della profonda unità di soggetto e oggetto. “Il contenuto concreto della certezza sensibile fa sì che essa appaia immediatamente come la conoscenza più ricca, come una conoscenza d’infinita ricchezza […]. Questa conoscenza appare inoltre come la più verace; infatti niente ancora dell’oggetto essa ha tralasciato, anzi lo ha in tutta la sua pienezza davanti a sé. In effetto però tale certezza si dà a divedere essa stessa come la verità più astratta e più povera. Di ciò che essa sa, non enuncia che questo: esso è; e la sua verità non contiene che l’essere della cosa. Da parte sua in questa certezza la coscienza è soltanto come puro Io; o Io vi sono soltanto come questi, e l’oggetto similmente soltanto come puro questo. Io, questi, son certo di questa cosa non già perché Io mi sia sviluppato come coscienza o abbia mosso variamente il pensiero”.2 L’immediatezza della sensazione, che, a prima vista, ce la fa sembrare ricca e vera, ne costituisce il limite. Infatti, è vero che nella sensazione si stabilisce un rapporto conoscitivo tra un particolare soggetto, un “questi”, e un oggetto particolare, un “questo”, conosciuto sensorialmente “qui” ed “ora", ma il ripetersi di queste esperienze spingono la coscienza a rendersi conto che la particolarità del “questo”, del “qui ed ora” si trova in tutte le sensazioni, e si rivela, pertanto, molto meno particolare di come appaia in una singola sensazione: il “questo” si rivela essere un contenuto linguistico formale universale adatto ad accogliere ogni cosa, oggetto o soggetto, particolare. Nell’uomo la sensazione è un’attività più complessa che negli animali: è l’incubazione degli sviluppi successivi dell’attività spirituale: applicando l’universale “questo” a ogni singolo dato sensoriale, l’uomo trasforma l’immediatezza sensibile in attività mediata dall’applicazione di questi universali “questo” “qui ed ora”. Animata da quest’intima contraddizione, la sensazione promuove il passaggio della coscienza a una sua fase più alta, che riempie il vuoto e generico “questo” di nuovi elementi di conoscenza. Il momento successivo è quello della percezione. Questa coglie la cosa nell’insieme delle sue qualità, dando però luogo a una nuova contraddizione: infatti, la cosa percepita, ad esempio una mela, appare molteplice nelle sue qualità e, nello stesso tempo, una, perché queste qualità vengono raccolte nell’unità della cosa “mela” dal soggetto che collega le diverse proprietà della cosa e le unifica. La coscienza, rendendosi quindi conto che l’unità della cosa è il risultato delle sue operazioni, diventa intelletto e la cosa diventa fenomeno, cioè manifestazione di leggi che dipendono dal soggetto. La conoscenza dell’intelletto non raggiunge l’esteriorità dell’oggetto, che, come fenomeno, resta interno alla coscienza e si manifesta come costruzione conoscitiva del soggetto (Agisce qui la teoria kantiana della conoscenza fenomenica come costruzione del soggetto, come sintesi a priori). Così, cercando l’oggetto, il soggetto trova se stesso. La coscienza diventa così coscienza di sé, autocoscienza, autocoscienza individuale. In questo nuova fase della vita spirituale, la coscienza, però, scopre di non essere sola: si ritrova tra altre autocoscienze individuali. Mosse dal desiderio, simile all’appetito degli animali, le coscienze cercano d’imporsi sulle cose e tra di loro, come soggetti d’attività cosciente. Si apre tra le autocoscienze un conflitto radicale per la propria affermazione come soggetti d’attività che tende a ridurre non solo le cose, ma anche gli altri soggetti ad altro da sé da asservire alla propria soggettività. È un conflitto radicale, a morte, perché è in gioco la propria idea di sé, che è messa in forse se non s’impone al riconoscimento dell’altro come dominio su di lui, come signoria: se l’altro non perde la sua soggettività a vantaggio della mia, se non diventa cosa mia, a disposizione del mio desiderio come le altre cose del mondo, io non sono più io, non sono quel che cominciavo a credere di essere; ne va della mia esistenza come autocoscienza. Il desiderio di riconoscimento è, però, complesso e contraddittorio: il soggetto ha bisogno di essere riconosciuto dall’altro soggetto e contraddittoriamente di sopprimere la sua soggettività autocosciente. Ha bisogno che l’altro sia un’autocoscienza che lo riconosce e nello stesso tempo ha bisogno di soffocarne l’autocoscienza per ridurlo in suo dominio. Si apre qui la lotta a morte tra le diverse autocoscienze per essere ciascuna riconosciuta dalle altre e per il dominio, per la signoria. In questa lotta è la forza dello spirito, non quella fisica, a decidere l’esito del conflitto: vince chi è spiritualmente più forte, chi ha un’autocoscienza più sviluppata, così sviluppata da imporsi all’altro anche a costo di morire. Vince chi ha vinto in sé la paura di morire, dominando la propria tendenza naturale alla sopravvivenza fisica. Vince chi è disposto a morire piuttosto di consegnarsi al dominio dell’altro, a ridursi a cosa sua. Perde chi, per non perdere la vita, è disposto a consegnarsi al dominio dell’altro, a farsi ridurre a cosa sua. Vince chi, vincendo la paura della morte, ha una spiritualità più forte della propria materialità naturale; perde chi ha una spiritualità ancora debole, che soccombe al peso materiale della paura di morire. In questo tragico passaggio della vita dello spirito vince chi è più forte come spirito, chi è più avanti sulla strada dello sviluppo dell’autocoscienza. La vita dello spirito, però, continua nel nuovo rapporto che s’instaura fra il vincitore, il signore, e il vinto, il servo. Nel descrivere questa relazione sociale di diseguaglianza radicale fra il signore e lo schiavo, Hegel ha presente la schiavitù nell’antichità, vista però come un momento particolare della storia dello spirito, un momento di durata non breve, ma destinato, per la natura dialettica dello spirito, a essere superata, perché le forze conflittuali in esso presenti promuovono la nascita di una nuova figura dello spirito. In questa lunga fase storica, però, l’elemento progressivo, non è il vincitore, bensì il vinto. Il vincitore, colui che, per la forza spirituale della sua autocoscienza, ha vinto sia la paura della morte sia colui che, non avendo vinto la paura della morte, si è subordinato, mettendosi al suo servizio, raggiunta la vetta della vittoria nello scontro mortale fra le autocoscienze, si trova in una posizione statica: infatti è sì riconosciuto come signore, ma da un essere che lui non riconosce come uomo, che per lui è solo una cosa. Si può dire che la vittoria del signore apre una condizione di vita spirituale stagnante, senza più sviluppi: il suo bisogno primitivo di essere riconosciuto da un’altra autocoscienza, avendo lui annullato l’autocoscienza del servo, riducendolo a cosa, non trova più possibilità di soddisfazione e la sua spiritualità s’indebolisce. Ben diversa è invece la condizione del servo che, umiliato e ridotto a cosa, è costretto a lavorare per il suo signore, riuscendo proprio nel lavoro servile a recuperare il senso della sua dignità spirituale, perso nel precedente confronto diretto col suo signore. Lavorando, infatti, si rende conto di saper dominare la natura, fino a trasformarla in un suo prodotto. In queste pagine hegeliane è il lavoro servile a muovere la storia umana. Mentre, quindi, il signore, facendosi servire dal suo servo, diventa dipendente dal suo lavoro e dalla natura, che lui non domina, il suo servo, servendolo, acquista la sua indipendenza dalla natura e anche dal suo signore, che sempre più dipende dal suo lavoro, e conquista la sua libertà spirituale. O meglio, inizia il lungo e doloroso cammino della libertà spirituale; cammino che ha nello stoicismo, nello scetticismo e nel cristianesimo momenti storici e ideali fondamentali, che portano all’età moderna e alle sue contraddizioni. Torino 10 maggio 2016 NOTE 1 Alberto Bosi e Fulvia de Luise, La Fenomenologia dello spirito, in Fulvia de Luise e Giuseppe Farinetti, Lezioni di filosofia, Zanichelli 2010, vol. C, unità 1, lezione 2, p.14. 2 Hegel, fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia 1960, pp. 81-82. ANNO ACCADEMICO 2015-16 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Testi di Hegel
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