Tony Smith ed Hegel

UNA NUOVA PROPOSTA DI LETTURA DELLA DIALETTICA HEGELIANA 1 - 2 - 3

Estratto dal saggio: The Logic of Marx's Capital
Replies to Hegelian Criticisms
;
d
i Tony Smith (State University of New York Press, 1990); CAPITOLO I

Il saggio qui citato riguarda, nella sua interezza, il rapporto esistente tra marxismo e hegelismo. Tuttavia in questo articolo verranno riprodotte e commentate soltanto le parti concernenti la filosofia hegeliana, che si soffermano in particolar modo sugli aspetti dialettici e ontologici di tale filosofia.

Chiunque abbia mai tentato di fare i conti con il pensiero di Hegel, comprenderà come sia impossibile coprire gli aspetti più significativi di esso in poche pagine. Il fine di questo capitolo è soltanto di introdurre alcuni motivi del pensiero di Hegel che ricorreranno nel corso di tutto questo studio. Discuterò qui il metodo generale di Hegel e quelle figure del suo sistema che hanno maggiore rilevanza per la comprensione della presente opera. Scopo essenziale sarà presentare quegli aspetti della filosofia hegeliana che ci aiutano a comprendere il pensiero di Marx.
Sono molteplici i risvolti dell'hegelismo che hanno influenzato il pensiero di Marx: la Fenomenologia di Hegel è della massima importanza per comprendere la teoria dell'alienazione dei Manoscritti del 1844, la teoria della storia fondata nell'Ideologia tedesca si definisce in opposizione alle letture (rimaste inedite) di Filosofia della storia di Hegel, e così via…
Questo lavoro non pretende di certo di esaurire l'argomento delle relazioni che intercorrono tra i due pensatori. Si occupa solo della teoria economica di Marx, così come si presenta in particolare nel Capitale e ne La teoria del plusvalore. Più specificamente, esso riguarda soltanto gli aspetti sistematici di tale teoria. In questo contesto, un'analisi comparativa con i lavori sistematici della maturità di Hegel - la Logica, la Filosofia del diritto, l'Enciclopedia - è d'obbligo (tuttavia farò sempre riferimento ad altri lavori, quando necessario).

  1. Il metodo dialettico di Hegel

L'approccio più diretto al nostro soggetto è quello che descrive il modo di funzionamento del metodo di Hegel, caratterizzato dal procedere attraverso gradini.

1. Punto di partenza

Secondo Hegel, "la filosofia è l'apprendimento del proprio tempo attraverso i concetti. Postulare che un filosofo possa trascendere la propria contemporaneità, è assurdo come postulare che un individuo sia in grado di proiettarsi oltre la propria era." Questo significa che il punto di partenza operativo del metodo di Hegel si identifica con l'esperienza immediata data in una certa congiuntura storica. Tuttavia, in un primo momento, una tale esperienza non è 'appresa'. Il pensiero deve quindi procedere da ciò che inizialmente ha dinanzi.

2. Lo stadio dell'appropriazione

Che cosa è "dato inizialmente"? Chiaramente una sostanza empirica. E perciò il passo successivo consisterà nell'appropriazione dei risultati dello stesso studio empirico. Questo momento di natura sperimentale della metodologia hegeliana viene spesso tralasciato [dagli studiosi], anche se è chiaramente visibile in passi come questo: "La conoscenza di ciò che è contingente è necessaria. Tale contingenza deve essere conosciuta nella sua peculiarità; dobbiamo arrivare a intendere la natura a livello empirico, sia nei suoi aspetti fisici sia in quelli umani…. Senza il lavorio delle scienze empiriche nei propri campi di indagine, la filosofia non sarebbe potuta andare oltre i risultati degli antichi."

L'esigenza di divenire "esperti della natura umana" deve essere intesa nel senso più ampio possibile. Hegel vi include tutte le aree dell'azione umana, dagli eventi di natura più terrena della vita di ogni giorno, alle credenze di tipo religioso e alle costruzioni metafisiche. Ma nella visione hegeliana non è compito proprio del filosofo raggiungere una conoscenza di tutto in tutti i campi, anche se questo non sarebbe un obiettivo del tutto irraggiungibile. Ciò che interessa al filosofo è il fatto che sia impossibile intraprendere un qualsiasi discorso senza adoperare delle categorie, tanto se esso riguarda questioni metafisiche, quanto le scienze empiriche, la religione, o gli eventi quotidiani.

L'appropriazione filosofica dell'esperienza data immediatamente avviene attraverso delle categorie. Solitamente noi ci accontentiamo di usare tali categorie in modo irriflesso. Ma per Hegel l'espressione più alta del pensiero si ha quando esso prende coscienza di sé a prescindere dai propri oggetti. Cosa che accade ogni qualvolta esso faccia delle categorie stesse da lui utilizzate, anziché del loro impiego in relazione agli oggetti d'esperienza, l'oggetto della propria indagine. Ad esempio, possiamo dire "questa foglia è verde", in una grande varietà di contesti e con diversi scopi. L'espressione più alta del pensiero, tuttavia, si ha quando ogni altro significato viene trascurato per l'esplicazione delle categorie pure che vengono usate in una tale espressione: quella di 'individualità ("questa"), e di 'esistenza' ("è").

Prima di proseguire, è necessario mostrare come tali categorie non provengono dal nulla. Esse vengono acquisite inizialmente attraverso il confronto con ciò che è empiricamente dato.

Non si tratta di "creare" ex novo il mondo attraverso il pensiero, ma di ricostruirne l'intelligibilità, cosa che richiede l'appropriazione delle categorie fondamentali che stanno a base dell'intelligibità stessa. Quasi a voler anticipare le critiche secondo cui il suo metodo di ricerca generi il proprio stesso contesto, Hegel scrive: "Affinchè questa scienza (cioè la teoria hegeliana) possa venire alla luce, dobbiamo partire dal particolare per giungere all'universale - attività con cui l'empirismo reagisce al materiale dato, per generarne una ricostruzione ideale. La ricerca di un sapere aprioristico - se anche sembra implicare una costruzione dell'Idea a partire da se stessa - è invece in realtà soltanto una ricostruzione… Essa adotta consapevolmente l'abitudine di tagliare i ponti con ciò che vi sta a base; e diviene così libera di slanciarsi nella sua dimensione puramente ideale, e di svilupparsi senza la resistenza del mezzo; e tuttavia il modo in cui tale dimensione viene raggiunta e quello in cui viene sviluppata, sono cose differenti."

3. Lo stadio della ricostruzione

A questo punto Hegel potrebbe anticipare l'analisi concettuale contemporanea, e trattare una per una isolatamente le varie categorie. O potrebbe seguire Aristotele, fornendo in modo più o meno casuale varie classi, e lasciando ai propri discepoli l'ingrato compito di stabilire come esse si accordino tra loro. Oppure, potrebbe seguire Kant e cercare attraverso schemi estrinseci di imporre a tali categorie un ordine dall'esterno, come aveva fatto quest'ultimo, deducendo le proprie categorie dalla tavola dei giudizi. Hegel al contrario tenta di fornire alle proprie categorie di base un ordine immanente.

Molti pensano che egli abbia fallito in questa impresa. Ad esempio Jon Elster afferma che:

"Hegel, nella Scienza della Logica, faceva derivare le varie categorie ontologiche le une dalle altre, in base a principi deduttivi che a tutt'oggi rimangono misteriosi. La loro relazione non è né quella di causa-effetto, né quella tra assioma e teorema, né infine consiste nelle condizioni di possibilità di un fatto. L'"autodeterminazione del Concetto" non appare esser niente più che un ordine imposto a posteriori a fenomeni da lui considerati importanti".

Ma la logica hegeliana non è in realtà così arbitraria. Per accertarcene, dobbiamo innanzitutto considerare cosa sia una 'categoria'. E' un principio (un universale) che unifica una piuttosto che un'altra molteplicità di una determinata sorta (differenti individui, o particolari). Essa dunque si articola in una struttura con due poli, l'uno implicante l'unità e l'altro la differenza. Nel linguaggio hegeliano un tale tipo di struttura, qualora fosse classificata con una qualche categoria, sarebbe descritta come l'identità nella differenza, o anche come la riconciliazione dell'universale col particolare. Da questa nozione generale di categoria possiamo derivare tre tipi principali di classi categoriali.

In un primo tempo il momento dell'unità viene valorizzato, mentre quello della differenza rimane implicito. In un secondo tempo è la differenza a venir enfatizzata, restando l'unità solamente implicita. In un terzo tempo, sia l'unità che la differenza si rendono evidenti contemporaneamente. La successiva affermazione di Hegel è che vi sia un ordine sistematico alla base della connessione di queste tre strutture categoriali. La struttura unitaria (nella quale la diversità rimane nascosta) è più semplice di quella in cui tali differenze sono introdotte esplicitamente; mentre quella nella quale entrambi gli aspetti sono messi in risalto, lo è ancora di più. Allo stesso modo, la prima struttura è la più astratta, mentre quelle seguenti sono via via più concrete.

Ma vi è un altro modo di parlare delle relazioni immanenti, ovvero l'idea di contraddizione dialettica. La concezione di Hegel nei riguardi del problema della contraddizione è stata oggetto di parecchie controversie. Eppure egli, nel costruire il proprio sistema filosofico, ci appare piuttosto esplicito. Se ogni categoria è a livello generale il principio d'unificazione di una molteplicità, allora qualora una categoria specifica ponga in evidenza soltanto il momento dell'unità, lasciando sottinteso quello della differenza, vi sarà inevitabilmente una 'contraddizione' fra ciò che essa è in quanto categoria (ovvero l'elemento unificatore di una moltitudine) e ciò che essa è esplicitamente (una mera unità). Per superare una tale contraddizione è necessario che questa categoria iniziale venga "negata", nel senso che un'altra categoria, che rende esplicito il momento della differenza, venga formulata. Ma quando ciò è avvenuto, il momento della differenza si trova a essere enfatizzato al prezzo di rendere meramente implicito l'aspetto dell'unità. Una volta di più si pone una contraddizione tra ciò che una categoria è in quanto tale e ciò che è a livello esplicito. Superare questa contraddizione richiede che anche questo secondo tipo di categoria venga negata, cioè sostituita con un'altra nella quale entrambi i poli - l'unità e la differenza - vengano resi espliciti contemporaneamente. Hegel ci appare estremamente cosciente del fatto che termini come "contraddizione" e "negazione" non vengono usati qui nel senso proprio della logica formale. Rifacendosi a una tradizione le cui origini risalgono a Platone, egli afferma che nell'utilizzo precedentemente delineato "contraddizione" e "negazione" sono strumenti operativi utili a dare alle categorie un ordine logico e sistematico, opposto a quello proprio delle inferenze formali. La logica con cui abbiamo a che fare qui è una logica dialettica.

E' interessante notare che, nel punto in cui la Logica di Hegel trova il suo culmine, ovvero nella sezione "L'idea assoluta", non troviamo alcun riferimento a una qualche entità di natura metafisica. Troviamo invece un sunto dello stesso metodo dialettico. Esso comincia con la categoria dell'unità pura: "Il contenuto iniziale è immediato, ma esso ha il senso e il significato di un'astratta universalità… è elementare e universale." Ma se esso viene misurato su ciò che ogni categoria è come tale, è inadeguato: "Per tale ragione quest'inizio non ha per il metodo altra determinazione che quella della semplicità e dell'universalità; essa è per se stessa la ragione della sua deficienza." Tale deficienza può essere superata solo qualora il momento della diversità divenga esplicito. In questo senso "l'immediatezza dell'inizio… non è solo il semplice, ma in quanto astratta è già segnata da una negazione." La negazione della semplice unità costituisce il momento della differenza che è implicita nel precedente. Attraverso di esso abbiamo "l'emergere della differenza reale ". Hegel postula che il momento "attraverso cui l'universale iniziale si determina da se stesso come altro da se stesso, deve essere definito come il momento dialettico." O, di nuovo, "il momento dialettico… consiste nel porre esplicitamente la differenza già implicitamente contenuta in esso". Ma questo stadio della differenza è a sua volta parziale e univoco, "quindi il successivo momento dialettico consisterà nel porre esplicitamente l'unità in esso contenuta ". Quando il momento della differenza viene negato dialetticamente, una volta di più abbiamo una categoria d'unità, ma stavolta si tratta di un'unità complessa che incorpora in se stessa il momento della differenza; essa "è in generale l'unità del primo e del secondo momento, di ciò che risulta del superamento della loro differenza… Questo risultato è la verità. Esso è allo stesso tempo mediazione ed immediatezza." Dal momento che una categoria di unità-nella-differenza a un certo livello può, a un livello superiore, apparire come una categoria della semplice unità, ha così inizio una nuova progressione dialettica dall'unità attraverso la differenza verso l'unità-nella-differenza; possiamo quindi - adottando un tale metodo - costruire una teoria sistematica delle categorie stesse. In questo tipo di visione si procede attraverso gradini dal semplice e dall'astratto verso il complesso e il concreto, fornendo la logica dialettica la giustificazione di tale percorso:

"La determinatezza che era per se stessa il risultato di un processo diviene, in virtù della semplicità della forma con la quale è stata delineata, un nuovo inizio. Come un tale cominciamento si distingue da ciò che lo precede proprio per la sua forma determinata, nello stesso modo i concetti si sviluppano l'uno dall'altro. Prima di tutto, tale movimento è prodotto inizialmente dalla semplicità della determinazione stessa, divenendo quelli successivi sempre più ricchi e più concreti. Dal momento che il risultato contiene in sé la propria origine e che con il suo sviluppo si è arricchito di una nuova determinazione… a ogni progresso esso conserva in se stesso l'intera massa dei contenuti che lo precedono, e attraverso il movimento dialettico non ha perduto né si è lasciato alle spalle nulla, e anzi porta ancora con sé ciò che ha precedentemente raggiunto, e in tal modo si arricchisce e si consolida interiormente".

Al termine di questa progressione lineare delle categorie siamo giunti nuovamente al punto dal quale essa era partita. Ma ora [tale punto iniziale] è stato appreso attraverso il pensiero. Se la logica dialettica viene utilizzata rigorosamente, il processo dall'una all'altra categoria non è un processo ad hoc. Il movimento da una categoria di unità e di immediatezza a una della differenza, a da questa a una dell'unità-nella-differenza, non è semplicemente uno schema imposto da Hegel dall'esterno. Piuttosto esso è "il metodo assoluto… [che] non procede come una riflessione estrinseca a se stessa, ma trae i propri elementi dal proprio stesso seno, essendo a se stessa soggetto e materia, principio ed essenza". In questo modo, il regno obiettivo dell'esperienza viene ricostruito nel pensiero.


Commento e sintesi

La prima parte dell'articolo cerca di delineare le coordinate generali del pensiero dialettico hegeliano. Smith tenta infatti di spiegare, sulla base dei testi di Hegel, cosa questi intendesse con termini quali 'filosofia' o 'ricerca dialettica'. Il punto di partenza del suo discorso coincide con il punto d'avvio della ricerca filosofica.

Ogni filosofo è, secondo Hegel, irrimediabilmente legato al proprio tempo, e come tale è anche radicalmente incapace di trascenderlo. Il filosofo parte, nell'enucleare le proprie teorie, da ciò che la coscienza stessa della sua epoca gli fornisce. Questa difatti è caratterizzata da una propria 'percezione' della realtà, e la esprime attraverso le molteplici componenti della sua cultura: dalla religione, ai luoghi comuni, per giungere fino ai risultati ottenuti dalle diverse branche della scienza, ecc. (da ciò il valore della ricerca empirica e scientifica, che costituisce infatti una della basi della ricerca filosofica -- Smith cita il seguente passo di Hegel: "Senza il lavorio delle scienze empiriche nei propri campi di indagine, la filosofia non sarebbe potuta andare oltre i risultati degli antichi").

Il filosofo dunque, a partire dai più disparati aspetti della coscienza del proprio tempo (ovvero dalla "conoscenza di ciò che è contingente"), sviluppa una riflessione che non riguarda le cose stesse, bensì quelle categorie di pensiero che sono alla base della percezione delle cose nella sua epoca. Ogni filosofia dunque è una riflessione dipendente da un determinato stadio dell'evoluzione intellettuale umana.

In questo senso l'indagine filosofica è una ricerca del pensiero su se stesso in una determinata fase di sviluppo dell'umanità, riflessione che parte inoltre dalla constatazione dell'utilizzo di alcune categorie logiche, e che quindi non forgia nulla dal proprio seno. In questo senso, la filosofia è una attività di ricerca a posteriori, non a priori (come invece si tende a pensare di Hegel).

Nella prima parte del capitolo (Punto di partenza, e Lo stadio dell'appropriazione), Smith tratta dunque la parte 'empirica' - spesso peraltro ignorata - della filosofia hegeliana.

E' nella seconda parte (Lo stadio della ricostruzione) che egli introduce l'argomento della deduzione a priori - cioè storicistica e dialettica - di quelle stesse categorie.

Qui viene trattata la ricostruzione puramente logica (quindi a priori) che il filosofo dialettico fa del pensiero precedente, ovvero la ricostruzione del percorso delle categorie come si è sviluppato nel corso della storia. ("La ricerca di un sapere aprioristico - se anche sembra implicare una costruzione dell'Idea a partire da se stessa - è invece in realtà soltanto una ricostruzione… Essa adotta consapevolmente l'abitudine di tagliare i ponti con ciò che vi sta a base; e diviene così libera di slanciarsi nella sua dimensione puramente ideale…").

Diviene quindi chiaro il ruolo della dialettica come metodo di indagine al contempo aprioristico e empirico: aprioristico perché una tale ricostruzione è meramente logica, ma empirico perché i passaggi in essa presenti sono stati individuati preventivamente attraverso un'indagine storica.

Nel momento in cui la filosofia dialettica avrà ricostruito sul piano del pensiero tale cammino delle categorie, essa avrà al contempo ricostruito il percorso della percezione empirica su un piano meramente ideale o di pensiero!

La metodologia dialettica di cui Smith parla nel seguito è nota poi più o meno a tutti: consiste difatti nel porre un'affermazione dal cui seno deriva (o meglio in cui è già implicitamente presente) una contraddizione, a partire dalla quale si costituisce il secondo passaggio, e che infine viene superata da una riconciliazione dei due momenti precedenti (pur nella loro opposizione), i quali diventano compresenti in un terzo momento. E' insomma il celebre processo per tesi, antitesi, sintesi.

E chiaro come questo terzo momento, nella sua semplicità logica, contenga a propria volta una contraddizione, e come esso generi perciò a livello dialettico un nuovo sviluppo.

Solo quando tutte le implicazioni già implicitamente presenti nel primo passaggio (cioè nell'idea dell'"astratta universalità", idea elementare e universale) vengano prima poste in evidenza e successivamente dissolte (ma al contempo mantenute) nel momento conclusivo, si può dire che il percorso dialettico sia giunto al termine.

E' evidente quindi come la dialettica hegeliana, nel suo punto conclusivo, sia un ritorno al suo stesso punto d'avvio, nonché contemporaneamente - come già si diceva sopra - una ricostruzione sul piano ideale o di pensiero della concreta storia dell'evoluzione (della percezione) umana.

E' utile poi fare un'ultima osservazione: il pensiero dialettico non è un pensiero del tutto astratto. Esso difatti, conservando in ogni suo passaggio la sostanza stessa di quelli che lo hanno preceduto, è anche profondamente 'concreto', poiché mantiene in se stesso la sostanza dell'esperienza storica (e dialettica) pregressa.

Adriano Torricelli

Hegel


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Aggiornamento: 26-04-2015