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Inconscio e società
Secondo Fromm nessun tipo di esperienza può divenire consapevole se non può
essere riferita ad un sistema concettuale nel quale è organizzato il pensiero
cosciente, e se non assume un significato in funzione delle categorie in esso
utilizzate.
Alcune di queste categorie sono universali, quali quelle di tempo e di
spazio. Altre, come la causalità, non possono invece ritenersi
indiscriminatamente valide per ogni forma di percezione cosciente. Altre ancora
sono socialmente determinate, e variano da cultura a cultura.
L’insieme di queste categorie, costituente il sistema concettuale nel quale
è organizzato il pensiero cosciente, funziona secondo Fromm da ‘filtro sociale’,
impedendo agli individui di prendere consapevolezza di quei tipi di esperienza
che non passano attraverso di esso.
Un primo elemento cui Fromm riconosce la funzione di filtro sociale è il
linguaggio. Alcuni tipi di esperienza, infatti, non possono giungere alla
consapevolezza perché la lingua in cui ci si esprime non dispone di un termine
adeguato per descriverli.
Secondo Fromm la lingua di una data società informa essa stessa
dell’atteggiamento nei confronti della vita prevalente tra i membri di quella
società, ed influenza a sua volta profondamente il modo in cui le persone
percepiscono i fatti che essa descrive.
Altra componente del filtro sociale è la logica, che secondo Fromm è
espressione del modo di pensare di una data cultura. La maggior parte delle
persone presume che le regole del pensare della propria società siano
universali, e che quanto è illogico nel proprio sistema culturale debba esserlo
anche in ogni altro.
Ma l’elemento che Fromm individua come preponderante tra quelli che fungono
da filtro sociale è costituito dai tabù sociali, che definiscono certe idee come
pericolose e certi sentimenti come perversi impedendo loro di accedere alla
coscienza.
Per effetto di essi molti tipi di esperienza vengono repressi perché
sarebbero di ostacolo all’attività sociale dei singoli e costituirebbero un
pericolo per la società. Tale repressione naturalmente ha effetto anche nei
confronti di quelle idee e di quei desideri da considerarsi pericolosi
esclusivamente nei confronti del particolare tipo di società in cui ci si trova
a vivere, che può presentare caratteristiche ‘nevrotiche’, irrazionali. Quindi,
nella misura in cui una società è irrazionale, essa comporta la repressione di
quei sentimenti e di quei pensieri che costituirebbero un pericolo per essa in
quanto condurrebbero alla conquista della consapevolezza della realtà, sociale e
individuale.
I vuoti creati dall’abbandono di questa consapevolezza devono essere colmati
da finzioni che, integrando la propria carente visione della realtà, permettano
di ottenere un quadro coerente del mondo.
Le illusioni sulla condizione sociale che vanno a colmare questi vuoti sono
costituite dalle ideologie, ammortizzatori sociali inculcati fin dall’infanzia
da genitori, insegnanti, sacerdoti e mezzi di comunicazione di massa, fino a che
non si impossessano delle menti, ed una volta interiorizzate vengono percepite
come espressione del proprio pensiero e dei propri sentimenti.
Fromm ritiene che la ragione della disposizione dell’uomo ad accettare
quelle mistificazioni della realtà sociale costituite dalle ideologie sia la
paura.
A parte la paura di essere uccisi o imprigionati, sufficiente a spiegare
l’efficacia della repressione in regimi di terrore, la paura fondamentale
dell’uomo è secondo Fromm quella dell’isolamento dai propri simili: l’uomo ha
bisogno di essere in relazione con gli altri per rimanere sano di mente, ed un
senso di completo isolamento può condurlo alla pazzia. Questa paura conduce
quindi l’uomo ad accettare i tabù sociali, la cui consapevolezza lo
condannerebbe all’isolamento. L’individuo è così spinto ad accettare di non
vedere ciò che il gruppo sostiene non esista, ed a giudicare come reale ciò che
dal gruppo è ritenuto tale. Opinioni e sentimenti del gruppo vanno così a
costituire per l’individuo medio una realtà più valida di quella che gli
avrebbero suggerito il suo pensiero critico ed i suoi sentimenti.
Tutto quanto non sia coerente con i luoghi comuni accettati dalla società è
escluso dalla consapevolezza e relegato nell’inconscio sociale. Per quanto i
concetti sviluppati da Fromm sull’inconscio presentino, per sua stessa
ammissione, delle similitudini con le idee di Jung, il concetto junghiano di
‘inconscio collettivo’ si differenzia da quello di inconscio sociale. Jung
considera infatti l’inconscio collettivo come una stratificazione più profonda
dell’inconscio personale, i cui contenuti sono simili per tutti gli individui.
L’inconscio collettivo di Jung ha un carattere superpersonale, è la psiche
universale della quale la maggior parte degli individui non può divenire
cosciente. (22)
Il concetto di inconscio sociale ha invece origine, nel pensiero di Fromm,
dall’analisi del carattere repressivo della società e rappresenta quella parte
dell’esperienza umana della quale una data società non consente la
consapevolezza. L’inconscio sociale è quindi quella parte della psiche
universale repressa dalla società.
Il senso di identità di molti individui si radica secondo Fromm nel
conformarsi ai luoghi comuni accettati dalla società: i singoli definiscono se
stessi sulla base di ciò che gli altri pensano di loro e lasciano che sia la
loro funzione sociale a modellarne la coscienza. Per quanti riconoscano come
legittimo una tale sistema di giudizio e valorazione di se stessi la paura
dell’isolamento comporta necessariamente la paura di perdere la propria
identità, poiché in tale situazione essa è percepita esclusivamente in funzione
degli altri.
Sembrerebbe dunque che la sua paura dell’isolamento sia in grado di condurre
l’uomo ad accettare come naturali anche le condizioni più disumane; in una
società fortemente arcaica, ad esempio, i desideri di indipendenza e di libertà
verrebbero repressi, mentre quei vincoli incestuosi che condannano la società ed
i suoi membri ad un livello primitivo di sviluppo sarebbero considerati come
naturali.
Se non fosse, spiega Fromm, per il fatto che l’uomo, in quanto membro non
solo della società, ma anche del genere umano, prova la stessa paura di
ostracismo anche nei confronti di esso. L’uomo sente quindi anche il bisogno di
non isolarsi dall’umanità che è in lui, rappresentata dalla sua coscienza (23) e
dalla sua ragione. Secondo Fromm, nel caso che tale bisogno prevalga nel
singolo, questi non potrà sopportare di perdere completamente la propria umanità
neanche in una società profondamente disumana.
Al contrario, quanto più una società è umana, tanto meno l’individuo sarà
costretto a scegliere tra l’isolamento da essa e quello dal genere umano.
Secondo Fromm, in funzione del grado in cui si sia riusciti a trascendere i
limiti della propria società ed a diventare cittadini del mondo, si sarà in
grado di sopportare l’ostracismo sociale; ma è purtroppo vero anche il
contrario, ed il completo annichilimento del proprio pensiero nelle ideologie
dominanti può far sopportare al singolo di aver rinnegato la propria umanità
accettando come verità assolute le illusioni di cui necessita una società
disumana.
L’uomo medio reprime dunque quei pensieri e sentimenti incompatibili con gli
schemi di pensiero riconosciuti come legittimi nel proprio contesto culturale.
Il contenuto dell’inconscio sociale è dunque determinato dalla struttura della
società, dagli schemi di pensiero e di sentimento in essa possibili e legittimi,
oltre che dalle razionalizzazioni socialmente schematizzate che essa produce.
Per Fromm l’inconscio, quello sociale come quello individuale, rappresenta
sempre l’uomo nella sua interezza: il suo contenuto non è quindi completamente
razionale né del tutto irrazionale, ma è costituito piuttosto da ogni
potenzialità umana, dalla più nobile alla più abietta, dalla parte più arcaica
quanto da quella più evoluta dell’essere umano.
L’inconscio rappresenta per Fromm l’uomo intero, meno quella parte di lui
corrispondente alla società. La (falsa) coscienza rappresenta invece l’uomo
sociale, limitato accidentalmente dalla situazione storica in cui si trova a
vivere. L’incosciente è dunque per Fromm l’uomo universale, radicato nel cosmo;
rappresenta la sua storia dagli albori dell’esistenza umana e racchiude in sé le
potenzialità del suo futuro. La consapevolezza dell’inconscio comporta per Fromm
l’entrare in contatto con la propria umanità globale, vincendo l’estraniazione
socialmente condizionata da noi stessi e dai nostri simili.
Inconscio sociale ed inconscio individuale sono intimamente correlati ed in
ultima analisi, ad opinione di Fromm, indivisibili. Finché il singolo è incapace
di vedere la realtà sociale e sostiene la propria zoppicante visione del mondo
per mezzo di illusioni, anche la sua capacità di percepire la propria realtà
individuale risulterà limitata.
Sebbene l’analisi freudiana abbia dimostrato, osserva Fromm, che in una
certa misura è possibile rendere conscio l’inconscio individuale senza
preoccuparsi dell’inconscio sociale, la consapevolezza che si potrà acquisire
sarà necessariamente incompleta: se un individuo non è capace di comprendere la
realtà sociale, non può secondo Fromm entrare in contatto con la propria
umanità, poiché finché egli non riconosce che la natura umana è distorta in una
data società sarà portato ad accettare le distorsioni della natura umana, ed
ogni tabù e restrizione socialmente imposti gli appariranno naturali. Per questo
la piena consapevolezza del represso è per Fromm possibile solo se l’analisi
trascende la sfera individuale ed include anche l’indagine dell’inconscio
sociale. Questa comporta la comprensione della realtà sociale del proprio tempo
e la sua valutazione critica in funzione dei valori umani universali. (24)
Allo stesso modo, avverte Fromm, la comprensione della propria realtà
individuale e l’analisi dei moventi profondi del proprio agire è essenziale per
la comprensione della società e delle forze che smuovono il processo sociale.
Solo considerando le proprie razionalizzazioni a livello individuale è infatti
possibile comprendere come le persone preferiscano alimentare le illusioni sulla
propria situazione ed accettare la condizione, sociale e individuale, che di
tali illusioni ha bisogno, piuttosto che sollevare il ‘velo di maya’ che copre
la realtà dei fatti sociali.
(22) C. G. Jung, “Die Archetypen und das kollektive Unbewusste” (1934-1954),
trad. it. “Gli archetipi e l’inconscio collettivo”, Boringhieri, Torino (1980).
(23) In questo caso per ‘coscienza’ è da intendersi quella che Fromm descrive
come ‘coscienza umanistica’, contrapposta alla ‘coscienza autoritaria’, come
spiegherò nel paragrafo “L’etica umanistica ”.
(24) Vedi il paragrafo “L’etica umanistica”.
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