Chiesa e pena di morte nel XX secolo
La legittimazione della pena di morte da parte della Chiesa continuò anche dopo la fine del potere temporale. Pio X nel 1913 ripete: “Vi sono dei casi nei quali sia lecito uccidere il prossimo? È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell'autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto; e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore” (197).
Allo stesso modo la pena di morte non fu cancellata nella Città del Vaticano, pur restando di fatto inapplicata. Nella Legge fondamentale del 7 giugno 1929, all’art. 4 si legge: “La pena comminata contro chi nel territorio della Città del Vaticano commette un fatto contro la vita, la integrità o la libertà personale del Sommo Pontefice è quella indicata nell’art. 1 della legge del Regno d’Italia 25 novembre 1926 n. 2008” (198). E l’art. 1 della legge del Regno d’Italia cui ci si riferisce stabiliva che “Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del re o del reggente è punito con la morte. La stessa pena si applica, se il fatto sia diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale della regina, del principe ereditario o del capo del governo” (199).
Questa norma fu abrogata solo dall’art. 44, comma 1 della legge del giugno 1969 che modificava la legislazione penale e la legislazione processuale dello Stato del Vaticano, in armonia con la svolta avviata dal Concilio Vaticano II. Ma ben più interessante del permanere formale nella legislazione di un piccolo stato, è il fatto che la pena di morte fosse sostenuta fino al 1969 e oltre dalla dottrina cattolica, il che favorì la sua permanenza nelle legislazioni di tutto il mondo.
Significativo è, in particolare, quello che si legge in due fra i volumi di teologia morale più diffusi, quello di Giuseppe Mausbach del 1954, e quello di Bernard Haring del 1957, continuamente riediti con imprimatur anche dopo il Concilio Vaticano II.
Mausbach, ad esempio, scrive: “La Sacra Scrittura del Vecchio testamento contiene molte prescrizioni giudiziarie, che colpiscono con la pena di morte tutta una serie di gravi peccati (l'assassinio, la bestemmia, l'idolatria, atti gravi di immoralità sessuale ecc.)… Nella Chiesa antica…il sentimento cristiano della pace e un certo senso di ritegno di fronte al versamento del sangue produssero una forma di esitazione per quanto riguarda la pena di morte…Ma tutti i più grandi maestri della Chiesa… ciò non ostante, affermano la liceità della pena di morte… e questo diritto è stato riconosciuto alla competente autorità e difeso espressamente contro i Valdesi… La piena giustificazione della pena di morte si può derivarla però soltanto dalla natura della società politica e dal fine prefissole da Dio…il motivo giuridico è nella stessa morale necessità del bene comune, nella superiorità dell'organismo statale sulla vita del singolo, superiorità che esige, che per certi delitti, oltre le altre pene, vi sia come ultima ratio anche la morte…la soppressione della vita umana non urta contro la dignità e la finalità propria della persona, poiché il delinquente ha già rinunziato da se stesso alla propria dignità personale, e avendo intaccato i fondamenti stessi della moralità e dell'ordinamento giuridico ha distrutto anche le ragioni della sua esistenza terrena (S. Tommaso, l.c. ad 3)” (200).
A sua volta l'Haring scrive: “In linea di principio lo Stato ha diritto di infliggere la pena di morte per punire gravi delitti, se ciò appare necessario nell'interesse del bene pubblico. La Sacra Scrittura ribadisce energicamente questo diritto dello stato: ‘Chi sparge sangue umano, dall'uomo sarà sparso il suo sangue’ (Numeri, 35, 16)… ’L'autorità non porta invano la spada; essa è infatti ministra di Dio e vindice dell'ira per chi fa il male’ (Lettera ai Romani, 13, 4). In base ai citati passi della Scrittura e a tutta la tradizione cristiana non è lecito negare per principio allo Stato il diritto di decretare la pena di morte…. Una prassi penale troppo mite nei riguardi del delinquente si risolve in crudeltà verso gli innocenti, che vengono privati di una efficace difesa”(201).
Si noti che il Mausbach afferma candidamente e senza trovare da eccepire che “molte prescrizioni giudiziarie” colpiscono con la pena di morte “una serie di gravi peccati”, come se fosse accettabile l’identità peccato-reato, che i cattolici hanno fatto a lungo e tutto sommato vorrebbero fare ancora...
Da rilevare inoltre come sia presentata con imbarazzo non la pena di morte ma “l’esitazione” dei primi cristiani di fronte ad essa. Opinione condivisa del resto da Haring, secondo il quale “una prassi penale troppo mite...si risolve in crudeltà verso gli innocenti”. E' l'argomento usato oggi da fascisti e leghisti, ma anche da chi, come il Pd, è “aperto” alla castrazione chimica dei pedofili...
197) Pio X, Catechismo della dottrina cristiana, F.lli Lanzani, Milano 1913
198) in Pena di morte, Editing & Printing,
www.utopia.it
199) ibid. Cfr anche le riflessioni di E. Galavotti relative al tema della pena
di morte trattato nel Catechismo Universale della chiesa romana
www.homolaicus.com
200) G.
Mauesbach, Teologia morale, § 17. La pena di morte Ed. Paoline,
Roma 1954
201) B.
Haring, La legge di Cristo. Trattato di teologia morale, Morcelliana,
Brescia 1957