LA RELIGIONE DELLA VITA
TEORIA E PRATICA DELL'OMICIDIO NELLA CHIESA CATTOLICA


Le “giustizie” a Roma dal XIV secolo

“Giustizie” erano dette le esecuzioni capitali che avevano luogo nello Stato pontificio e Le giustizie a Roma è il titolo di un libro che ad esse dedicò nel 1882 il liberale A. Ademollo (188). L’autore vi pubblica un diario dell'abate Placido Eustachio Ghezzi su tutte le Giustizie eseguite in Roma dal 1674 al 1739, nel quale Ghezzi ricorda che Clemente X aveva autorizzato l'Arciconfraternita della SS. Natività di N. S. Gesù Cristo degli Agonizzanti a esporre il SS.mo, con indulgenza, ogni volta che si eseguiva una condanna a morte. Il Ghezzi dà una nuda cronologia delle esecuzioni fino al 1697, poi via via le arricchisce di dettagli (nomi e poi anche colpe dei giustiziati e tipo di supplizio). Ademollo pubblicò poi nel 1886 un altro volume, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano (189), in cui pubblica le annotazioni tenute dal Bugatti, il più celebre boia pontificio, sulle esecuzioni da lui eseguite in tutto lo Stato, non nella sola capitale, per tutto il periodo nel quale fu in carica (1796-1864) e anche quelle del suo successore Vincenzo Balducci, che operò solo sei anni (1864-1870), ossia fino alla caduta del potere temporale.

Oltre a fornire dati puntuali sulle esecuzioni capitali relative ai periodi citati, Ademollo ci dà, nelle introduzioni ai due volumetti, utili informazioni sulle epoche precedenti, a partire dal XIV secolo, per quanto riguarda sia la pena di morte sia le “pratiche crudeli”.

Per tutto il Medioevo, informa Ademollo, “campo di giustizia era sempre la Rupe Tarpea” dove “Presso un leone di basalto i delinquenti udivano la lettura della sentenza che li condannava, e quanto ai malfattori di bassa condizione solevasi porli a cavalcione di quel leone con una mitra in testa e con la faccia impiastricciata di miele” (Gregorovius, Storia di Roma, vol. VII, p. 853). Dal 1488, continua Ademollo, “venne designato per luogo di giustizia un recinto davanti al Ponte S. Angelo, nelle cui adiacenze era il vicolo denominato del Boja” e “Nel 27 maggio 1500, in pieno Anno Santo, i pellegrinanti a S. Pietro ebbero la dolce sorpresa di passare il Ponte fra due file d’impiccati”, nove per parte. Ma anche Campo di Fiore e altri luoghi della città cominciarono a venire usati per le esecuzioni (190).

Il supplizio solitamente usato fino al Cinquecento per nobili ed ecclesiastici (quando non venivano strangolati direttamente in cella, come avvenne nel 1561 al cardinal Carafa) era la decapitazione (in luoghi chiusi o con poco pubblico) mediante uno spadone. I non nobili invece (compresi fra questi i “foglianti”, ossia i giornalisti del tempo) venivano impiccati sulla forca mentre per colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi si ricorreva a un tormento fra i più barbari: la mazzolatura semplice (cioè l’uccisione mediante bastonatura al capo con una sorta di mazza) o la mazzolatura con squarto (il condannato veniva colpito con una violenta bastonata al capo e poi, mentre ancora era tramortito, squartato). E a questi supplizi si affiancavano pene corporali e mutilazioni.

Nel Cinquecento, nel clima della lotta dell’inquisizione romana contro il protestantesimo, crebbe la durezza del papato come abbiamo visto più sopra, specie con Giulio III, Paolo IV, Pio V (santo) e Sisto V. Ciò si tradusse anche nell’estensione della pena di morte ad alcuni reati che non la prevedevano (ad esempio per l'aborto, di cui si è già detto parlando di Sisto V, e che fu di nuovo tolta dal suo successore) o di aggravamenti delle pene corporali.

Delle severe punizioni contro chi “biastemma”, disposte dal governatore di Roma ma su “espresso ordine… di Sua Santità”, vi è traccia anche nell'Archivio segreto pontificio: “Il signor governatore di Roma…di espresso ordine et special commissione di Sua Santità, ordina et comanda che nessuna persona…ardisca in alcun modo biastemmare o disonestamente nominare il santissimo nome dell'onnipotente Iddio o del suo unigenito figliol Jesu Christo e della gloriosa sempre vergine sua madre…o di qual si voglia santo o santa, sotto pena per la prima volta… di star con le mani ligate dietro tutto un giorno alla berlina,… et per la seconda volta, oltra la sopradicta pena, di esserli forata la lingua, et per la terza volta sotto pena della galera per cinque anni…et si darà fede ad un solo testimonio” (191).


188) A. Ademollo, Le giustizie a Roma dal 1674 al 1739 e dal1796 al 1870, Ed Forzani, Roma 1882
189) A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi tipografo, Città di Castello 1886
190) ibid., pp. 6-7
191) in I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, p. 109


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Testi di Walter Peruzzi

Stampato a Siviglia (Spagna – Unione Europea) 2008
Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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