LA RELIGIONE DELLA VITA
TEORIA E PRATICA DELL'OMICIDIO NELLA CHIESA CATTOLICA


Ancora omicidi… in difesa della vita

Un'altra causa di morte per centinaia di migliaia di donne è la “scelta” fra la madre e il feto, imposta dalla “morale” cattolica.“E' una capitolo macabro”, scrive Uta Heinemann, “quello che riguarda il pericolo di morte per parto, a causa - a volte - dell'omissione di soccorso. Negli ospedali cattolici, fino a tempi recenti [il libro è del 1990], le donne hanno corso questo pericolo e, se venisse osservato l'insegnamento ufficiale della chiesa, lo correrebbero ancora oggi” (158). Prosegue  la Heinemann raccontando che il celebre giallista George Simenon, il “padre” dell'ispettore Maigret, era andato con la moglie Denise, in avanzato stato di gravidanza, in una clinica ginecologica statunitense dell'Arizona, loro segnalata come la migliore. Ma ne era venuto via subito perché all'entrata vi era un avviso che diceva: “In caso di grave incidente il destino del bambino prevale su quello della madre in base alla decisione del primario e della superiore delle suore” (159). Simenon scrive: “Un brivido di raccapriccio ci corse lungo la schiena e ci allontanammo in punta di piedi” (160). Loro figlio, conclude la Heinemann, nacque in un ospedale meno cattolico. Agli inizi del XVII secolo, un’istruzione per levatrici dei cattolici tedeschi recita: “Qualora si debba provvedere alla madre o al bambino, essa [la levatrice] deve far si che il bambino venga battezzato, in quanto è meglio che la madre muoia santamente, che non il figlio muoia senza battesimo” (161).

Tale restò nella sostanza la posizione cattolica in materia, come la espose anche il più importante teologo del Settecento, Alfonso Maria de’ Liguori nel 1748:Nel caso che il feto sia già pervaso dall’anima e si giudichi che la madre morirebbe con la prole, se non assumesse la medicina, è lecito che la prenda… Se invece con la morte della madre la speranza di vita e di battesimo della prole si prospetti evidente; la madre è tenuta, secondo i più, sotto pena di peccato mortale, ad astenersi da ogni rimedio distruttivo per la prole, perché ella ha il dovere di esporre la sua vita fisica per l’estrema necessità spirituale del bambino” (162).

Ed ecco quale fu la risposta del Santo uffizio al vescovo di Cambrai il 27 luglio 1895; risposta confermata dal papa, che era allora il “progressista” Leone XIII: “Esposizione: Il medico Tizio, essendo stato chiamato presso una donna incinta… constatava in tutti i sensi, che la causa della malattia mortale altra non era che la gravidanza stessa…Una sola via, dunque, egli aveva a disposizione, per salvare la madre da una morte certa e imminente: procurare cioè l’aborto, o espulsione del feto. Questa via egli intraprendeva, usando tuttavia i mezzi e le operazioni che di per sé e direttamente non miravano propriamente a uccidere il feto…, ma soltanto a far sì che il feto, se fosse possibile, venisse dato alla luce vivo, anche se destinato a morire subito, dal momento che era ancora del tutto immaturo…Domanda: Tizio chiede se può compiere con sicurezza le operazioni descritte, nelle suddette circostanze, una volta che si ripetano.

“Risposta: No, secondo gli altri decreti, quelli cioè del 28 maggio 1884 e del 19 agosto 1889” (163).

Che sia preferibile salvare la vita (eterna…) del bambino, piuttosto che quella terrena della madre lo pensa anche il teologo Franz Gopfert che nel 1906 scrive: “la speranza…di poter sicuramente battezzare… il bambino giustifica il pericolo che l’operazione comporta sempre per la madre… in considerazione della salvezza eterna del bambino, la si potrebbe considerare un dovere per la madre” (164).

Ma a pensarla così è soprattutto Pio XI, che nell'enciclica Casti connubii già citata dichiara: “già abbiamo detto…quanta compassione noi sentiamo per la madre, la quale, per ufficio di natura, si trovi esposta a gravi pericoli, sia della salute, sia della stessa vita: ma quale ragione potrà mai avere la forza di rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione dell'innocente?….A coloro, infine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell'autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene, la vita degli innocenti” (165).

Basandosi sulla gesuitica distinzione fra “lasciar morire” e “uccidere”, Pio XI non ha dubbi che in caso di scelta sia da sacrificare, pur con “compassione”, la madre, ossia una vita autonoma “in atto”, piuttosto che “l'innocente”, ossia un non-nato, una vita “in potenza” il cui aborto gli ebrei, ad esempio, sensatamente non giudicano omicidio, poiché il feto è considerato una parte della madre, sacrificabile per salvare la vita di lei (166). Per l'omicida Pio XI, invece, le madri, per cui pure ha “compassione”, devono essere punite per legge dagli stati se sacrificano “la vita degli innocenti” anziché la propria.

Il divieto di “uccidere l'innocente” vale anche nel caso più contestato e cioè se la morte della madre non salva il feto. Perché sia giusto così ce lo spiegarono nel 1938 Joseph Mausbach e Peter Tischleder: “La motivazione secondo cui risparmiando il bambino per lo più ne vanno di mezzo due vite, mentre con il sacrificio del bambino solo una fa una grande impressione…[ma] L’uccisione violenta di una vita senza colpa non è mai lecita; non può esserlo, senza indurre gli uomini a ulteriori passi funesti ed esiziali… E’ invece permesso…il ricorso a farmaci e operazioni indirizzati non contro la gravidanza, ma contro una contemporanea malattia mortale della madre, e che per accidens possono causare l’aborto, permesso a condizione che non venga pregiudicata la possibilità del battesimo del bambino” (167).

Anche i due teologi insistono sulla vita “senza colpa”. Che sia “senza colpa” la madre essi come i papi lo escludono, come trascurano il fatto che la madre sia una persona vivente  e l'altro ancora  no. Gesuiticamente accettano tuttavia di eliminarlo “per accidens” nel caso fortunato (per la madre) che essa abbia un'altra malattia mortale (oltre alla gravidanza…) e fermo restando che il feto, prima di essere soppresso, possa essere battezzato. Contorsionismi inutili oggi, dopo che si è scoperta l’insperata possibilità di salvarsi senza battesimo grazie all'apposita commissione teologica internazionale nominata da Benedetto XVI e che ha provveduto a togliere di mezzo il Limbo (168).

La dottrina secondo cui bisogna sacrificare la madre vivente e autonoma piuttosto che il figlio non-nato, fu ribadita da Pio XII in più occasioni, fra cui citiamo questo discorso del 1948: “Se è riprovevole…uccidere un innocente per salvarne un altro, non è meno illecito, sia pure per salvare la madre, di cagionare direttamente la morte di un piccolo essere chiamato, se non per la vita di quaggiù, almeno per la futura, a un alto e sublime destino, ovvero inaridire e sterilizzare, mediante una operazione che nessun altro motivo giustifica, le sorgenti della vita” (169). E nel 1951, Pio XII affermava: “salvare la vita della madre è un nobilissimo fine; ma l’uccisione diretta del bambino come mezzo a tal fine, non è lecita….Se… le condizioni richiedono…l’esclusione della maternità…anche in questi casi estremi ogni manovra preventiva e ogni diretto attentato alla vita e allo sviluppo del germe è in coscienza proibito ed escluso, e…una sola via rimane aperta…quella dell’astinenza da ogni attuazione completa della facoltà naturale...Si obietterà che…un tale eroismo è inattuabile. [Si deve rispondere che] Iddio non obbliga all’impossibile. Ma Iddio obbliga i coniugi all’astinenza se la loro unione non può essere compiuta secondo le norme della natura. Dunque in questi casi l’astinenza è possibile” (170). Un  bel discorso, che è anche un robusto esempio di sillogismo...

A diffondere questa posizione, ribadendo che è meglio far morire madre e figlio piuttosto che salvare solo la madre, hanno concorso autorevoli manuali di teologia come quello di Herbert Jone del 1953 o di Bernard Haring del 1957: “Nemmeno per salvare la vita della madre è consentito spezzare la vita del nascituro vivo”, scrive Jone, “ad esempio mediante la craniotomia, l’embriotologia ecc.” (171). La diretta uccisione del feto è proibita anche quando il medico la ritenga necessaria… per la salvezza della madre… quando senza questo intervento potrebbero morire sia la madre che il bambino, incalza Haring, poiché “qualunque possa essere il giudizio della scienza medica, la tesi invariabile della Chiesa è che non sarà mai e in nessun caso lecito di attentare direttamente nel seno materno alla vita del bambino” (172). L'Haring ha anzi la sfrontatezza di affermare, nell'edizione di dieci anni dopo del trattato sopra citato: “Vi furono medici che rimproverarono alla Chiesa il fatto che essa condanna anche la motivazione vitale [ossia l’aborto se la vita della madre è in grave e immediato pericolo]. In realtà la medicina fu stimolata salutarmente da tale proibizione a sviluppare meglio la prassi medica, così che oggi può provvedere quasi sempre alla vita della madre e del figlio” (173).

 “Certo molte madri devono la loro morte alle salutari indicazioni dei papi”, commenta la Heinemann, “ma in compenso i medici sono loro debitori del progresso della loro scienza, al quale, senza l'esortazione papale che passa sui cadaveri, non avrebbero certo aspirato” (174). Resta naturalmente inteso che le donne, dopo aver accettato la condanna a morte pronunciata dalla Chiesa, che in tal modo ha stimolato “la prassi medica”, dovranno continuare a sacrificarsi, come spiega sempre Haring ed. 1967, se fosse indispensabile per assicurare la vita ma, soprattutto, il battesimo del feto: “[Ancora oggi] Se non c’è nessun altro modo di salvare la vita del bambino e specialmente di assicurargli il battesimo, la madre è obbligata a sottoporsi a… operazioni che mirano principalmente alla salvezza del bambino, mentre espongono la madre a certi pericoli” (175). In conclusione, osserva sempre la Heinemann, se le donne muoiono oggi meno di quanto accadeva un tempo è grazie al progresso della medicina, non certamente a quello della teologia…

Solo il 7 maggio 1976 e solo in Germania, e solo se non salvando la madre muoiono tanto la madre che il feto, una Dichiarazione dei vescovi riconosceva ai medici - non alla paziente, dato che “Si decide sempre sulle donne, ma non con loro, né tanto meno sono loro a decidere” (176) - il diritto non già di salvare senz'altro la madre ma di valutare il da farsi: “[i vescovi tedeschi] rispettano la decisione di coscienza dei medici…in situazioni di conflitto… in cui si deve decidere tra la perdita sia della vita della madre sia di quella del bambino non ancora nato, e la perdita di una vita soltanto” (177). Si veda con quante riserve, quasi a malincuore, la Chiesa prende in esame l’idea di poter salvare la madre...


158) Ranke-Heinemann cit., p. 291
159) ibid., p. 303
160) ibid., p. 303
161) in K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
162) A.M. de’ Liguori, Theologiae moralis, 4 voll., Marietti, Torino 1825-28, Tract. IV, De quinto et sexsto praecepto
163) Poletti, Il magistero difendilavita.altervista.org
164) in Ranke-Heinemann, cit., p. 301
165) Pio XI, Casti connubi, cit.
166) Fabbrini, Il matrimonio ebreo, www.morasha.it 2002
167) in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
168) Comm. teologica, La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati, 2007, www.vatican.va
169) Pio XII, Responsabilità e missione del chirurgo in Discorsi e radiomessaggi, cit., vol. X, 1948
170) Pio XII, Discorso alle ostetriche, Gregoriana, Padova 1951
171) Jone in K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
172) Haring in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
173) ibid.
174) ibid.
175) ibid., 301
176) ibid., 302
177) ibid.


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