Papi e teologi assassini delle donne
Già Agostino considerava “vergognosa” la contraccezione,
ossia l'avere dei rapporti sessuali anche “normali” e fra persone sposate ma con
cautele volte a evitare di procreare. Egli scrive infatti nel 420 che “questo
rapporto, in cui si evita il concepimento della prole, è illecito e
vergognoso anche con la consorte legittima. Così faceva Onan, figlio di Giuda, e
per questo il Signore lo fece morire” (139).
E il vescovo Cesario di Arles, della prima metà del VI secolo, definiva omicidio tout court qualsiasi cautela mirante a prevenire il concepimento, come prendere una bevanda “che pregiudichi la forza della natura” (140), mentre Martino, vescovo di Braga, equipara la contraccezione all'infanticidio (141).
Ma un documento soprattutto ufficializza la condanna della contraccezione come omicidio: il Si aliquis (così detto dalle parole iniziali) del 906 ca, contenuto nel Libro penitenziale del monaco Reginone di Prum e inserito nel Codice di Diritto Canonico dal XIII secolo al 1917: “Se qualcuno (si aliquis) per soddisfare il proprio piacere o per un odio di cui è consapevole, procura una lesione a un uomo o a una donna, così che da lui o da lei non possano essere generati figli, o se uno dà loro da bere una pozione per cui l'uomo non possa generare o la donna concepire, costui deve essere considerato un assassino” (142). Lo stesso concetto si trova nel testo Aliquando del Decretum Gratiani, una raccolta di leggi compilata nel 1140 e poi confluita nel Diritto canonico.
L'idea, priva di ogni fondamento razionale, che prevenire un concepimento sia un “assassinio” discende forse dalla convinzione tomistica esposta nel Contra gentiles secondo cui ogni “emissione di sperma”, anche se in un rapporto fra due adulti liberi e consenzienti, è peccaminosa se non finalizzata alla procreazione e se non interna al matrimonio in quanto mentre “le feci, l'urina, il sudore e simili, non servono a nulla; perciò il bene dell'uomo richiede solo la loro espulsione… nello sperma non si richiede soltanto questo, bensì che esso venga emesso per la generazione, alla quale è ordinato il coito” e inoltre così “da poterne seguire e la generazione e l'educazione della prole” (143) il che richiede il matrimonio, per di più indissolubile e benedetto dal prete... “Spargere” il seme a vuoto impedisce che una vita passi, aristotelicamente, dalla potenza all'atto…
Proprio la difesa ad oltranza della vita “in potenza” confrontata alla ruvida disinvoltura con cui la Chiesa, come si è visto nelle pagine precedenti, elimina le vite “in atto”, fa dire sarcasticamente a Uta Ranke-Heinemann: “i figli immaginari vengono protetti dalla contraccezione con molto più vigore di quanto i figli reali, quasi adulti, vengano difesi dall’inferno della guerra e dalla morte sui campi di battaglia, secondo l’intollerabile errata credenza cattolica che i veri crimini dell’umanità si compiono nella camera da letto matrimoniale e non sui teatri di guerra” (144).
La Chiesa, con il ricorso voyeuristico a “una polizia ecclesiastica del letto matrimoniale” (145), mira quindi a impedire quello che essa ritiene il massimo crimine e cioè rapporti sessuali con il fine di soddisfare i coniugi e conseguire l'odiato piacere senza pagare l'offa della procreazione. Nonostante, infatti, che Benedetto XVI abbia cercato di far credere ai giovani nel 2006 che “la fede e l'etica cristiana non vogliono soffocare ma rendere sano, forte e libero l'amore” (146), per la Chiesa, come spiegava il ben più autorevole Innocenzo III, “il rapporto coniugale non avviene senza l’ardore della lussuria, senza il sudiciume del piacere, per cui il seme concepito viene insudiciato e rovinato” (147). Che sia pagato con il fastidio di un figlio è quindi il minimo (148)…
A oltre cinquecento anni dal Si aliquis, l'equiparazione “contraccezione-aborto-omicidio” fu sancita dal Catechismo romano del 1566, quello approvato dal Concilio di Trento: “Il desiderio della procreazione… fu l'unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il Matrimonio. S'intende perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi che, mediante ritrovati medici, impediscono il concepimento o procurano l'aborto; questo equivale all'azione infame degli omicidi” (149).
Solo in tempi molto recenti, Giovanni Paolo II ha detto che contraccezione e aborto sono due tipi “diversi” di peccato, pur conservando anche verso la contraccezione il divieto assoluto ribadito da Paolo VI nel 1968 con la Humanae vitae (l’enciclica della pillola): “è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite…ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione…” (150). Nella sua polemica contro la contraccezione, Giovanni Paolo II stabiliva inoltre una stravagante equivalenza: “La contraccezione è da giudicare, oggettivamente, così profondamente illecita da non potere mai, per nessuna ragione, essere giustificata. Pensare o dire il contrario, equivale a ritenere che nella vita umana si possano dare situazioni nelle quali sia lecito non riconoscere Dio come Dio” (151).
Ma qui soprattutto ci interessa sottolineare gli effetti omicidi, di strage continuata strisciante, di questo divieto ecclesiastico. Le ripercussioni pratiche le mostra un episodio raccontato nel testo citato della Heinemann e che avvenne nel XII secolo: “una donna durante un parto aveva avuto una ernia ombelicale, e i medici fecero rilevare che non sarebbe sopravissuta a un'altra gravidanza. Alcune persone pensarono ‘che dovesse procurarsi delle pozioni sterilizzanti, in modo da poter compiere ancora il suo dovere matrimoniale, sicura di non restare incinta’. A questa opinione si oppose il teologo Pietro Cantore (morto nel 1197): seguendo il testo Aliquando e la sua severa condanna degli anticoncezionali, decise che in nessun caso la donna sarebbe stata autorizzata a procurarsi pozioni sterilizzanti” (152).
E, nei secoli successivi, il divieto - con i conseguenti pericoli per la moglie - si estese anche a nuovi e più moderni sistemi contraccettivi come il “cappuccio inglese”, ossia il preservativo cui, diceva il Santo uffizio in un decreto nel 1916, “la donna deve opporre resistenza come a un violentatore” (153).
Naturalmente la donna poteva egualmente evitare i rischi mortali della gravidanza, nel modo spiegato dal teologo morale Guy nel 1850: “se sussiste un pericolo reale si deve raccomandare un’eroica astinenza” (154).
Ma in altri casi, tenuto anche conto del dovere della moglie di soddisfare il debito coniugale per non indurre il marito all'adulterio, neppure la castità era una via di scampo e allora, spiega il Vicariato del vescovo Keller di Monaco, “La moglie non deve usare mezzi contraccettivi neppure come ‘legittima difesa’, ad esempio per proteggersi da un marito affetto da malattie sessuali… che porterebbero la donna a correre un evidente rischio di vita in caso di gravidanza” (155). Questo testo è degli anni Cinquanta del Novecento.
Pochi anni prima, del resto, Pio XI, nell'enciclica Casti connubi del 1930, dopo aver messo le mani avanti insultando come persone che “bramano soltanto soddisfare le loro voglie” molti di quanti “viziano l'atto naturale”, aggiunge che “non vi può essere ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura” anche se permette alla moglie di salvarsi “con l'onesta continenza” (156). In modo ancor più esplicito, Pio XII, in una dichiarazione del 1958, rinnova il divieto anche se c’è pericolo di vita per la donna: “Si causa una diretta e illecita sterilizzazione, quando si impedisce l’ovulazione per proteggere l’organismo dalle conseguenze di una gravidanza che esso non può sopportare” (157).
Quante donne, nel corso di quasi un millennio, costrette a scegliere fra la castità, sconsigliabile anche per la stessa armonia coniugale, il peccato mortale e il rischio di una gravidanza rischiosa, hanno optato per quest'ultima? Quante donne i papi hanno ucciso? E' impossibile dirlo ma è certo che questo omicidio strisciante ha fatto, nel corso dei secoli, un numero assai rilevante di vittime.
139) Agostino, I connubi adulterini, 2, 12 www.augustinus.it
140)
in U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 134-35
141) ibid.
142) ibid., p. 144
143) Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, Utet, Torino, 1997, III, CXXII
144)
U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 283-84
145) ibid., p.
291
146) Benedetto
XVI, Convegno diocesi di Roma sulla pastorale giovanile,
www.vatican.va
147) Innocenzo
III, Commentario ai sette salmi penitenziali, in Ranke-Heinemann, op.
cit., p. 157
148) Ancora
nel 1922, nel manuale di teologia morale del Noldin si legge “Il creatore ha
posto nella natura il piacere e l’inclinazione ad esso per attirare gli uomini
verso una cosa che è oscena in sé e fastidiosa nelle sue conseguenze” (in
Heinemann, cit., p. 272).
149) Catechismo romano, Leonardo, Milano 1994
150) Paolo VI, Humanae vitae,
www.vatican.va
151) Giovanni
Paolo II, La procreazione responsabile,
www.vatican.va
152)
in Ranke-Heinemann, op. cit.
153) in K.
Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 201
154)
in Ranke-Heinemann, op. cit., p. 279-80
155) in K.
Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 204
156) Pio XI, Casti connubi, in Tutte le encicliche dal 1740 a Pio XII, Libr.
ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004
157)
Pio XII, in Ranke-Heinemann cit., p. 136