LA RELIGIONE DELLA VITA
TEORIA E PRATICA DELL'OMICIDIO NELLA CHIESA CATTOLICA


Il potere temporale non si tocca

Buona parte del secolo XIX fu dominata dalle figure di due grandi papi reazionari, Gregorio XVI (1831-46) e Pio IX (1846-78), che condannarono come "delirio" la libertà di coscienza e pretesero il carattere confessionale dello stato. Per qualche aspetto si diversificarono. Gregorio, ad esempio, fu il primo a condannare formalmente la schiavitù, ormai eliminata da tutti i paesi civili, mentre Pio IX arrivò a definirla non del tutto contraria al diritto naturale. Al contrario Pio IX alimentò per qualche tempo l'illusione di una svolta in senso liberale dello stato pontificio, retto invece nel modo più ottusamente assolutistico da Gregorio. Ma entrambi furono irremovibili nel difendere il potere temporale, ricorrendo sia a guerre e sanguinose repressioni, sia alle esecuzioni capitali, anche per reati inferiori all’omicidio o per reati politici: oltre 110 Gregorio, 131 Pio. Furono inoltre entrambi antisemiti.

Nel 1840, quando scomparve a Damasco un frate cappuccino, Tommaso, e gli ebrei furono accusati del (supposto) rapimento e del (supposto) assassinio, la Santa sede accreditò la tesi della colpevolezza degli ebrei e fece anzi circolare in Europa in modo segreto un opuscolo antisemita da essa ispirato. Numerosi ebrei furono imprigionati e solo in seguito a pressioni internazionali liberati. Anche Pio IX, accreditò nel 1867 la tesi dell'omicidio rituale e favorì le violenze contro gli ebrei, rafforzando il culto di Lorenzino di Marostica, un bambino del XIII secolo, martirizzato dagli ebrei, a sentire la leggenda. Pio IX fece inoltre rapire dei bambini ebrei, per educarli cristianamente. Nel 1852, quando aveva un anno, essendo ammalato, Edgardo Mortara fu battezzato di nascosto dalla domestica cattolica.

Tanto bastò: cinque anni dopo, quando la cosa fu risaputa, i poliziotti pontifici irruppero in casa dei Mortara su ordine delle autorità ecclesiastiche, rapirono il bambino e lo portarono a Roma, dove fu rinchiuso in un istituto religioso fino ad età adulta, quando (questa volta di sua volontà) si fece sacerdote. Inutili le proteste dei genitori e perfino di molti sovrani europei: per Pio IX era “scattato” il caso previsto da Benedetto XIV del battesimo legittimo anche se illecito. Né il clamore suscitato dall’episodio modificò il comportamento del papa. Nel 1864, a Roma, l’undicenne Giuseppe Coen “fu fatto entrare con un sotterfugio nell’ospizio dei catecumeni” e lì rimase fino a quando uscì per diventare carmelitano “nonostante le clamorose proteste e l’immenso dolore dei famigliari: una sorella ne morì, la madre impazzì” (123).

Ma i due papi si distinsero soprattutto nella repressione militare e giudiziaria delle rivolte liberali. Invocando l'aiuto dell'Austria, Gregorio XVI schiacciò già nel 1831 i moti di Ferrara e Bologna e poi via via in quasi tutte le città dello stato pontificio. A Roma, dove nel 1836 “a peggiorare la situazione arrivò anche il colera… tra le repressioni dei moti e l'epidemia i morti furono migliaia” (124). Nuove insurrezioni e repressioni si ebbero nel 1845.

Quanto a Pio IX, neanche quando ormai era chiara l'imminente fine del potere temporale, rinunciò a impiegare l'esercito, provocando nuovi morti, per difendere Roma prima contro i garibaldini, poi a porta Pia il 20 settembre; né rinunciò a far decapitare, nonostante la richiesta di grazia del re d'Italia, i patrioti Monti e Targetti, ultimi di una lunga serie di condannati a morte.


123) E. Saracini, op. cit., p. 112
124) C. Rendina, op. cit., p. 763


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Testi di Walter Peruzzi

Stampato a Siviglia (Spagna – Unione Europea) 2008
Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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