Le "voci bianche" lodano meglio il Signore
Sisto V
inoltre, come scrive Uta Heinemann, favorì la diffusione della castrazione
“quando nel 1588 proibì alle donne, alle quali già dal IV secolo era proibito di
cantare in chiesa, di esibirsi anche nei teatri pubblici e lirici di Roma e
degli Stati della chiesa” (113). I castrati, usati come cantori in chiesa da
vari secoli nella chiesa greca, erano entrati da poco in quella occidentale, a
partire dalla Spagna. Solo qualche anno prima del decreto di Sisto V cui si è
appena accennato, nel 1562, un castrato (lo spagnolo Francesco Soto) era entrato
nel coro della Cappella Sistina. Da allora tuttavia l'uso si diffuse e la
castrazione, pur condannata dalla Chiesa fin dal IV secolo, fu tollerata o
addirittura incoraggiata anche da vari teologi. Il gesuita siciliano Tamburini,
ad esempio, la sosteneva perché così sarebbe stata “più dolce da ascoltare la
lode di Dio” (114). La
responsabilità del papato in questa mutilazione, che la dottrina cattolica
ufficiale equiparava all'omicidio o al suicidio (se era autoinflitta), è
indubbia. “I papi”, scrisse nel 1936 il gesuita Peter Browe, “sono stati proprio
i primi che alla fine del XVI secolo hanno introdotto o tollerato nelle loro
cappelle i castrati, quando questi erano ancora sconosciuti nei teatri e nelle
altre chiese italiane” (115). “Nella cappella Sistina”, scrive Deschner, “per
secoli hanno cantato con giubilo i castrati: fino al 1920! Non meno di trentadue
‘Santi Padri’…permisero senza scrupoli tale mutilazione” (116). In realtà 35,
dal 1562 al 1920, da Pio IV a Benedetto XV; trentadue contando dal decreto di
Sisto V. “L'ultimo castrato della basilica di S. Pietro morì nel 1924” (117). 113)
U. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli , Rizzoli, Milano 1993,
p. 247
114) ibid., p. 248
115) ibid., p. 247
116) K.
Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 68
117)
U. Ranke-Heinemann, op.cit., p. 248