Sisto quinto, che non la perdona neanche a Cristo
Nel 1585 salì sul trono di Pietro Sisto V, che si meritò di passare in proverbio come papa "tosto" che non la perdona neppure a Cristo perché un giorno spaccò con una scure un crocifisso che le dicerie volevano "piangesse sangue" per mostrare il trucco, ossia le spugne intrise di sangue poste al suo interno (109). Questo papa cui, come egli stesso ebbe a dire, le esecuzioni capitali mettevano appetito, ne combinò in appena cinque anni di pontificato letteralmente “di tutti i colori” tanto che lo storico von Pastor si è lamentato del fatto che non gli sia stato attribuito il titolo di “Magno”. E grande fu davvero, sia nell'opera di rafforzamento e risanamento dello stato pontificio o nella lotta spietata contro i briganti, che colpì con la pena capitale, sia nei delitti.
Il giorno stesso della sua incoronazione, racconta Ranke, nonostante molte richieste di grazia, fece impiccare e appendere vicino al ponte di Castel S. Angelo quattro giovani che portavano un tipo di fucili vietato e poco dopo, sordo a ogni supplica, fece giustiziare un giovane ancora fanciullo, reo di aver resistito “agli sbirri che gli volevano togliere un asino” (110).
Due anni dopo, in quello che aveva trasformato in un vero e proprio stato di polizia, sorte ancora peggiore toccò ad Annibale Cappello, “scomunicato da Sua Santità et cascato in censura et pene ecclesiastiche”, informa un foglio di Avvisi del 23 ottobre 1587, “per aver scritto a diversi principi contro ogni dovere et giustizia cose poco lecite di questa corte [papale]” (111). Il 14 novembre 1587 gli Avvisi di Roma ci danno notizia che giustizia è stata fatta: “Hier sera fu degradato in S. Salvatore del Lauro quel don Annibale Cappello, et questa mattina è stato condotto al luogo solito della giustizia in Ponte, dove prima li è stato mozza una mano, tagliato la lingua et impiccato”(112).
Con la stessa inumana inflessibilità Sisto decretò che la pena di morte fosse estesa, sull’esempio del Dio biblico, all’aborto (trattandolo come omicidio fin dal concepimento benché allora fosse ritenuto tale solo dopo ottanta giorni) e anche all’uso di contraccettivi (bolla Effraenatam del 1588), dopo che l'aveva già estesa all’incesto (Motu proprio sui casi di incesto nello stato della Chiesa del 1587) e perfino all’adulterio (bolla De temeraria tori separatione del 1586). Va detto che, tuttavia, in epoca di imperante maschilismo estese con equità la pena di morte sia alle mogli che ai mariti…
Numerosi ovviamente i roghi contro gli eretici oltre che le condanne a morte (con la forca, che non volle sostituita dalla mannaia) per reati comuni.
109) C.
Rendina, op. cit., pp. 662-3
110) L. Ranke,
op. cit., pp. 332-33
111) A.
Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi
tipografo, Città di Castello 1886, p. 9
112) ibid., p.
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