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PREMESSA
La rovina della Francia moderna, dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo, era strettamente correlata, nel XVIII secolo, al fatto che dopo il compromesso raggiunto fra cattolici feudali e ugonotti borghesi con l'Editto di Nantes (1598), che pose fine alla guerra civile, i cattolici si rimangiarono tutte le concessioni fatte e, col governo dei due cardinali Richelieu e Mazzarino, misero fuori gioco le aspirazioni della borghesia, riducendone di molto l'autonomia economica.
I calvinisti, sostanzialmente, furono costretti a emigrare o a tornare al cattolicesimo o a rinunciare alle rivendicazioni economiche. Richelieu e Mazzarino fecero grande la Francia, ma solo in senso monarchico-assolutistico, non in senso economico. La Francia puntò sulla centralizzazione della politica, ma non seppe dare respiro alle classi mercantili, come invece era avvenuto in Inghilterra con la rivoluzione conclusasi nel 1688, che fu anch'essa il frutto di un compromesso tra borghesia e aristocrazia, ma solo nel senso che l'aristocrazia aveva accettato d'imborghesirsi.
In Francia invece abbiamo un'aristocrazia ancora molto forte, che ha appoggiato il re in funzione anti-borghese, ma che lo ha sempre ostacolato nella sua pretesa assolutistica. La nobiltà, infatti, si sente una classe privilegiata e non vuole contribuire a risanare i problemi finanziari d'una monarchia che, col proprio assolutismo, vorrebbe ridurre i poteri di qualunque classe sociale. La monarchia s'era illusa che fosse sufficiente la centralizzazione politica per dominare indisturbata al proprio interno e per tentare anche d'imporsi all'estero (cosa che però non le riuscirà né nei Paesi Bassi, né con la guerra dei Sette anni contro gli inglesi).
La monarchia non aveva saputo sviluppare l'economia borghese e non era in grado d'imporsi sui privilegi inusitati dell'aristocrazia laica ed ecclesiastica. La rivoluzione scoppiò improvvisamente nel 1789 proprio perché la società non riusciva più a sopportare né l'aristocrazia né la monarchia (quest'ultima perché non riusciva in alcun modo a imporsi su quella con le proprie riforme finanziarie).
Agli occhi della borghesia non poteva essere considerato sufficiente che la Francia fosse diventata la prima potenza continentale dell'Europa alla fine della guerra dei Trent'anni (1618-48). Né era sufficiente lo sviluppo del colonialismo. La Francia aveva bisogno d'imporsi come "nazione borghese", seguendo l'esempio dell'Olanda e dell'Inghilterra.
Quando poi la reazione termidoriana della grande borghesia riuscirà a eliminare il radicale democraticismo giacobino, l'idea di affidarsi a un soggetto come Napoleone, al fine di dimostrare che la Francia era potente sotto tutti i punti di vista, sarà una necessità inderogabile. Con lui la borghesia vorrà imporsi non solo come classe nazionale, ma anche, sfruttando il fatto d'avere una nazione politicamente centralizzata sin dai tempi della guerra dei Cent'anni (1337-1453), come classe internazionale, sottomettendo anzitutto le aristocrazie degli altri paesi europei, le quali però, grazie alla resistenza vittoriosa della dinastia russa dei Romanov e avvalendosi dell'appoggio inglese, si seppero organizzare efficacemente, coordinando le loro tattiche offensive.
Ciò non toglie ovviamente che si debba considerare il congresso di Vienna (1815) un passo indietro rispetto agli ideali borghesi della rivoluzione francese.
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