Ritorno al Paracleto II
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Ma nella fitta trama di lotte in corso per il
predominio religioso e scolastico (tra clero e maestri « pubblici»
(non consacrati sacerdoti o monaci), tra benedettini «neri»
veteroregolari e «bianchi» riformati, e tra clerici studenti, i futuri
goliardi, e autorità della Chiesa e dello Stato) è difficile
rintracciare quale sia stato il percorso ideologico, sociale e politico,
di Abelardo.
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Ma
comunque siano andate le cose, questo suo secondo riposo fu protetto
dall'autorità di Cluny e dalla sconfinata devozione di Eloisa; questa
donna ancor giovane, in cui la dolcezza non escludeva la forza, né la
sottomissione al maestro una sua personale volontà di ferro, se anche
ospitare la salma di Abelardo fosse stato un rischio non avrebbe esitato
affatto. All'interno del Paracleto, organizzò rito e studio nel nome del
fondatore, stabilendo un'impronta «abelardiana» che sarebbe durata
secoli; e innanzi tutto dispose che alla propria morte - avvenuta
vent'anni dopo, il 16 maggio del 1164 - le sue monache l'avrebbero
sepolta con Abelardo.
Alcune fonti dicono che fu deposta nello stesso
loculo; altre, che fu calata nella stessa bara; né è più possibile
appurare l'informazione esatta. Una leggenda successiva, citata anche da
Etienne Gilson, narrava che il feretro del filosofo fu aperto e che lo
scheletro di lui spalancò le braccia per accogliervi l'amata. Con
umorismo un po' nero, però adatto al tema, Gilson commentò che a parer
suo era più probabile che fosse stata la salma di lei a compiere quel
prodigio, stringendo a sé, finalmente, l'uomo posseduto per così breve
tempo e desiderato tanto a lungo.
Nei
tre secoli seguenti il Paracleto attraversò gravi vicissitudini; fu più
volte saccheggiato e semidistrutto nel corso di varie guerre e purtroppo
perse o disperse in quel periodo i tesori della sua biblioteca:
forse, gli originali delle opere di Abelardo e dell'Epistolario suo e di
Eloisa. Secondo studi recenti - tra i più noti quelli di John
Benton - il monastero attraversò pure disordini interni, di natura
religiosa e politica, durante i quali è possibile che siano stati
alterati o falsificati i documenti della sua fondazione, allo scopo di
attribuirne la totale paternità ad Abelardo. Col tempo, la figura del «
fondatore» sfumava sempre più nel mito e nel fanatismo ed era sempre più
utilizzata per accrescere la fama del Paracleto.
Nel
1497, la badessa Caterina de Courcelles giudicò che il sepolcro nella
cappella, ormai diroccato, non fosse più degno di Abelardo e fece esumare
la bara, o le bare. Furono approntati due tumuli separati, all'interno
della chiesa del monastero: a destra del coro quello di Abelardo, a
sinistra quello di Eloisa. Si ignora il motivo di questa decisione,
contraria alla volontà dei due fondatori; ma i due corpi così rimasero
fino al 1621, quando la badessa Marie de la Rochefoucault li riunì,
trasferendoli davanti all'altar maggiore, con una collocazione molto più
sontuosa e scoperta delle precedenti.
Il
fatto è che da qualche tempo non c'era più bisogno di «nascondere»
Abelardo; la sua filosofia tornava ad essere nota per la pubblicazione a
stampa dell'opera omnia, nel 1616; e il ricordo della sua storia d'amore,
non più giudicata vergognosa, ma esemplare, andava facendone un eroe
letterario, grazie alla diffusione dell'Epistolario e all'attenzione di
saggisti e poeti. Si avvicinava il « secolo dei lumi », che avrebbe
visto in lui un difensore della libertà di pensiero e in Eloisa una «martire»
o una «santa dell'amore».
Il Paracleto attraversò un periodo di gloria;
fu meta di pellegrinaggi di umili e potenti, fu visitato da storici,
eruditi, religiosi. Le più nobili famiglie di Francia gareggiavano per
collocarvi le figlie come scolare o come novizie: lo attesta una lunga
serie di nomi di badesse, tutte di sangue principesco, fino alle soglie
della rivoluzione.
Il sepolcro, così ricco di fascino era stato intanto abbellito, ornato di
lapidi, fregi, decorazionì.
Nel 1768, fu perfino eseguita una pubblica
"verifica" dei poveri resti, al fine di bandire ogni dubbio
sulla loro realtà e permanenza. E poiché davvero «esistevano», per la
quinta volta furono risepelliti in uno stesso feretro piombato, diviso
però in due settori da una lastra intermedia. Al tumulo davanti all'altar
maggiore fu sovrapposta una scultura raffigurante la Trinità.
Poi, la rivoluzione travolse il monastero: demolito, incendiato, venduto come
ex‑bene ecclesiastico, non tornò più alla Chiesa; l'ordine
femminile si disperse.
Nel 1792 restava solo un rudere all'asta; nulla fu
rispettato, tranne il feretro sotto l'altare, dove giacevano i due che
anche i più accesi rivoluzionari consideravano figure emblematiche della
lotta alla repressione del pensiero. Un corteo ufficiale, col neo-eletto
sindaco in testa, trasportò il doppio feretro nella chiesa di
Nogent-sur-Seine,
dove le autorità ecclesiastiche avevano «aderito» al governo
repubblicano, tumulandolo in una cappella tra canti libertari e
soprattutto discorsi. A nome della Repubblica francese, fu posta una
lastra di bronzo in memoria degli époux infortunés: come nota Charlotte
Charrier, il giacobinismo celava un animo preromantico e l'attenzione
scivolava dai diritti dell'uomo ai diritti dell'amore.
Si esaltava il
filosofo razionalista, ma ci si commuoveva per l'amante castrato; si
ammirava la scrittrice delle splendide Lettere, ma si piangeva
sulla donna straziata e fedele.
I pellegrinaggi ripresero in veste laica, con tutto lo sfoggio di emozioni
che lo stile dell'epoca imponeva: lagrime, svenimenti, tentati suicidi,
giuramenti d'amanti sul sepolcro; e con tutti i vantaggi «turistici» che
si possono immaginare, dall'organizzazione di cerimonie pubbliche alla
vendita di reliquie. Ciò scatenò una faida tra gli abitanti di Nogent e
quelli di Quincey, che vantavano un diritto sui due cadaveri per la
maggiore vicinanza al Paracleto. Fra visite, celebrazioni e contestazioni,
il monumento alla Trinità andò perduto.
Sotto il Direttorio, Alexandre Lenoir, nominato direttore del Museo dei
monumenti francesi, prese l'iniziativa di raccogliere i feretri di molte
personalità illustri, spesso rimaste senza sepoltura nei disordini e
devastazioni del Terrore: da Cartesio a Molière, da Boileau a La Fontaine.
Nel 1800, dopo lunghe trattative con la municipalità di Nogent, anche il
feretro di Eloisa e Abelardo fu trasportato a Parigi. Era in pessime
condizioni, forse ad opera di qualche violatore. Perciò fu ordinata una
perizia, in presenza di un medico; ancora restava qualcosa tra le ossa
polverizzate, i lunghi femori di Abelardo e il teschio di Eloisa dalla
fronte coulante, arrotondata. Il feretro fu allora collocato in una sala
del museo, in attesa di costruire una cappella. Ma i fondi mancavano.