Il Paracleto I
Il
21 aprile del 1142 Abelardo moriva nell'eremo benedettino di Saint Marcel-Châlon, dipendenza dell'abbazia di Cluny. La morte, forse per cancro
osseo o per leucemia, stando alle descrizioni contemporanee, lo coglieva a
sessantatré anni proprio sulla strada di Roma, dove intendeva recarsi, quasi
peregrinus, a chiedere giustizia al pontefice. Ma non gli erano
bastate le forze.
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Ma già
nel dicembre di quello stesso anno 1142 non era più lì. Per ordine
dell'abate di Cluny, Pietro il Venerabile, era stata traslata «in segreto»
nel monastero femminile del Santo Spirito, o come il filosofo preferiva
chiamarlo, alla greca, del Paracleto, presso Troyes, nella Champagne. Vi
era badessa la donna da lui amata e sposata in gioventù e poi sacrificata
alla propria sorte, però mai dimenticata o abbandonata: lo attestano vari
episodi di vita e le splendide Lettere di un epistolario famoso,
dal 1135 alla morte.
L'ultima che si conosca è del 1141 ed inizia con
parole che nella severità della forma mistica sono ancora d'amore: Heloissa...
quondam mihi in saeculo cara, nunc in Christo carissima. E in una
lettera precedente il filosofo, tormentato da presagi di morte, anzi, di
assassinio, supplicava Eloisa di provvedere alla sua sepoltura «nel
vostro cimitero », dovunque fosse stato « sepolto o abbandonato» il suo
corpo. Si può dunque supporre che sia stata la donna, ormai religiosa di
prestigio, a chiedere e ottenere quel pietoso privilegio.
Tuttavia,
alcuni aspetti della vicenda fanno pensare a un clima di tensione o di
paura, più che di afflizione e cristiano dovere. Si sa che la traslazione
fu tenuta nascosta; lo stesso abate di Cluny, con pochi fedeli, scortò
personalmente la bara, che però non fu posta nel cimitero o nella chiesa
del Paracleto, ma quasi celata sotto l'altare di una cappella appartata,
spesso semi allagata, detta Petit Moustier.
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