LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
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LA RIVOLUZIONE RUSSA Fallimento dell’abolizione del servaggio La Russia aveva abolito la servitù della gleba nel 1861 (ultimo paese in Europa a farlo), ma la stragrande maggioranza dei contadini non migliorò affatto la propria condizione, anzi, per molti versi la peggiorò. Per quale motivo? Diciamo anzitutto che la riforma del 1861 fu una conseguenza indiretta della guerra di Crimea del 1854-56, scatenata da Francia e Inghilterra (con partecipazione dell'Italia), con cui per la prima volta si fece subire un duro colpo allo zarismo. Con la riforma i latifondisti non potevano più disporre liberamente della vita dei loro contadini, e questi ottenevano il diritto di acquistare a proprio nome beni immobili, di esercitare attività commerciali o industriali, di agire in giudizio. Tuttavia per liberarsi della servitù il prezzo che gli 83 milioni di contadini dovettero pagare fu enorme:
Nel corso di quarant'anni, a causa dell'aumento della popolazione rurale, le dimensioni medie degli appezzamenti erano scese da 4,8 a 2,6 ettari per famiglia (in tutto erano a disposizione, per i contadini, circa 124 milioni di ettari). In queste condizioni facilmente le famiglie prendevano le terre in affitto dai grandi proprietari fondiari, ai quali, anziché pagare il canone in denaro, di cui erano privi, assicuravano determinati lavori agricoli nei mesi migliori dell'anno. I contadini erano inoltre assolutamente indifesi di fronte alle calamità naturali (epidemie, siccità, incendi…). I cattivi raccolti e la fame si ripetevano ogni tre-quattro anni, e questo mentre l'espansione delle città richiedeva crescenti quantitativi di derrate alimentari. In quell'epoca nell'impero vi erano circa 10 milioni di famiglie contadine. L'indicatore migliore per stabilire il grado di agiatezza dei contadini ricchi, medi e poveri era il numero dei cavalli (principale forza da tiro). Il minimo per poter lavorare un pezzo di terra erano due cavalli, i quali erano posseduti da circa 2 milioni di famiglie, il cui rischio di cadere in povertà era sempre dietro l'angolo. Totalmente prive di cavalli erano circa 3 milioni di famiglie, costrette a farseli prestare dai vicini più ricchi, mentre altre 3,5 milioni possedevano solo un cavallo: il che, in sostanza, stava a significare che quasi i due terzi dei contadini erano poveri. Infatti solo 1,5 milioni di famiglie possedevano tre o più cavalli, cioè oltre la metà di tutti i cavalli delle famiglie contadine; quindi in pratica esse erano in grado di lavorare tanti terreni quanti ne avevano tutti gli altri contadini messi insieme. Erano questi i contadini ricchi (detti kulaki) gli unici a produrre più di quanto consumassero e a vendere sul mercato le loro derrate. Oltre a questa imponente massa di contadini ricchi, medi e poveri vi erano 2 milioni di nobili, che gestivano la grande proprietà fondiaria, cioè circa 70 milioni di ettari, secondo criteri basati ancora sulla rendita e non sul profitto capitalistico, per cui erano poco redditizi e non era raro il caso in cui le terre venissero ipotecate e vendute all'asta. Lo stesso zar era il primo dei proprietari fondiari: lui e la sua numerosa famiglia possedevano 8 milioni di ettari di terra. Altri 155 cortigiani della sua cerchia più stretta possedevano ciascuno superfici di terreni ereditari superiori ai 50.000 ettari. Possedevano ingenti terre anche tutti gli alti funzionari dell'impero: governatori, ministri, gerarchie militari…, rigorosamente appartenenti alla nobiltà. Poiché la stragrande maggioranza dei contadini non era in grado di pagare il riscatto, il governo, per evitare sollevazioni, interveniva concedendo in prestito fino all'80% delle somme da pagare, con l'obbligo di restituirle con gli interessi all'erario in 49 anni. Ma le indennità di riscatto gravavano così pesantemente sui contadini che già con la rivoluzione del 1905-1907 il regime zarista fu costretto a cancellarle. Infatti l’ulteriore riforma agraria di Stolypin (1906) aveva favorito soltanto la formazione di una classe di contadini ricchi (kulaki), i quali avevano potuto comprare terre appartenenti alla proprietà collettiva della comune agricola (mir), escludendo dalla ripartizione i latifondi e le proprietà della corona e della chiesa. Lo sviluppo capitalistico era sorto in Russia negli anni ‘30-‘40 del XIX sec. e fu portato a compimento, nelle sue linee essenziali, intorno agli anni ‘80, al punto che, anche se ancora molto debole sul piano quantitativo (pil), fra il 1885 e il 1898 la produzione industriale era cresciuta del 400% (a Mosca il tessile, a Pietroburgo il metallurgico, a Baku il petrolifero) e nel periodo 1893-99, per i ritmi e il grado di concentrazione della produzione, la Russia poteva dirsi un paese avanzato: il 3,3% delle maggiori imprese occupava il 51% della forza-lavoro. Il paese era al quinto posto nella produzione industriale mondiale, con un peso specifico del 2,6%. I monopoli dominavano più di 80 tipi di produzione delle merci più importanti: Nel settore finanziario sette banche monopolizzavano il 55% del capitale commerciale. In compenso, a partire dal XX sec., la Russia divenne il centro principale del movimento rivoluzionario mondiale. Sviluppo del socialismo russo Le prime leghe operaie in Russia se erano formate negli anni Settanta del XIX sec. e chiedevano molte libertà politiche e giustizia economica. Queste leghe, ch’erano prevalentemente di Pietroburgo, la città più vicina allo stile di vita occidentale, si fusero nel partito operaio socialdemocratico (Posdr), che tenne il suo primo Congresso nel 1898. Le forze politiche più influenti di quel tempo, in Russia, chiedevano tre cose:
In mezzo a queste correnti se n’era formata una capeggiata da Lenin, che aveva fondato nel 1895 l'”Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia”, per la quale era stato confinato in Siberia (1897-1900). La sua idea era quella di passare, attraverso una rivoluzione politica, dal feudalesimo al socialismo, saltando la fase del capitalismo, e facendo in modo che la direzione del paese venisse presa dal movimento operaio in collaborazione con quello contadino. Era convinto di poter fare questo perché considerava la Russia una nazione capitalistica molto debole, ma anche una nazione agraria debolissima nei confronti delle altre nazioni capitalistiche europee, tutte molto industrializzate. Per lui in Russia doveva esserci uno sviluppo economico industriale, ma gestito politicamente dal socialismo. Lenin era convinto che l'autocrazia zarista avrebbe presto messo a tacere il Posdr, per cui preferì andare in esilio (1900), da dove poté stampare l’”Iskra”, un giornale politico che spediva clandestinamente in Russia per organizzare un partito avente come scopo la fine dello zarismo e l'instaurazione di una democrazia socialista proletaria. Al secondo congresso del Posdr, tenutosi a Bruxelles e a Londra nel 1903, si accettarono i suoi obiettivi, incluso quello di garantire il diritto all'autodeterminazione per le numerose etnie e nazionalità dell'immenso impero russo. L'unico vero dissidio interno al Posdr consisteva nella tipologia di partito da costruire. Lenin infatti ne voleva uno fortemente centralizzato: una sorta di avanguardia cosciente e disciplinata, in cui la base obbedisse al vertice, la minoranza alla maggioranza e dove tutti fossero impegnati in una specifica attività rivoluzionaria e nessuno pensasse d’essere insostituibile. L'opposizione invece voleva un partito federato dove le varie componenti fruissero di una sostanziale autonomia gestionale e dove i congressi servissero più che altro per offrire indicazioni di massima o linee di indirizzo, senza vincoli organizzativi. Inoltre i bolscevichi tendevano a privilegiare una democrazia diretta i cui protagonisti fossero contadini e operai, mentre i menscevichi erano più propensi ad accettare una democrazia parlamentare in cui gli operai fossero alleati della borghesia. A quel tempo prevalse la linea degli oppositori, detti menscevichi, in coerenza con quella di tutti i partiti della Seconda Internazionale, che non mettevano in pratica l'idea del centralismo democratico. Ci volle il terzo Congresso del Posdr (1905) per affermare la linea bolscevica di Lenin, ma a prezzo di una separazione dai menscevichi. L'attività principale del partito in Russia era quella di organizzare gli scioperi e le rivendicazioni sindacali e politiche degli operai. Nel 1905 infatti vi fu a Pietroburgo e a Mosca, dopo la fallita guerra contro il Giappone (1904-05), la prima rivoluzione popolare nell'epoca dell'imperialismo, la prima di tipo democratico borghese in cui il proletariato industriale giocava un ruolo di primo piano e le masse contadine cominciavano ad avvertire la necessità di un'alleanza con gli operai. La cosiddetta “domenica di sangue”, in cui le guardie zariste uccisero un migliaio di dimostranti, ferendone altri duemila, tolse al mondo contadino l’illusione che lo zar fosse equidistante. Lenin considererà quella rivoluzione la prova generale della rivoluzione bolscevica. Il fermento rivoluzionario penetrò persino nell'esercito e nella marina, determinando varie insurrezioni (15.000 furono i giustiziati e 80.000 i deportati). Fu a questo punto che lo zar Nicola II si vide costretto a concedere il Manifesto delle libertà civili (inviolabilità della persona, libertà di coscienza, di riunione, di organizzazione) e la costituzione della Camera elettiva della Duma (parlamento) di Stato, quale istituto legislativo rappresentativo, i cui poteri erano limitatissimi, anche perché il governo era responsabile davanti allo zar, non al parlamento. Durante la prima rivoluzione russa lo zarismo, appoggiato dalle organizzazioni che difendevano gli interessi dei latifondisti, non crollò, anzi, pur di rimanere in piedi, strinse una forte alleanza con tutti i partiti borghesi, essendo questi intenzionati a salvare la monarchia per impedire la rivoluzione proletaria e contadina: il meno aperto a istanze di tipo socialista era quello liberale dei democratici costituzionalisti (cadetti), che, appoggiato dagli industriali, dalla finanza, dalla burocrazia e da molti intellettuali, voleva una configurazione statale simile a quella inglese. L’autocrazia zarista era peraltro convinta che un coinvolgimento nella guerra sarebbe potuto servire per distogliere le masse contadine dal fallimento dell’abolizione del servaggio e delle successive riforme agrarie, favorevoli solo alla formazione di una categoria di ricchi contadini. Nel 1915 nella Duma i partiti borghesi, appoggiando l’entrata in guerra, riuscirono a ottenere una serie di riforme favorevoli allo sviluppo del capitalismo, dando altresì per scontato che la Russia sarebbe uscita vittoriosa dal conflitto. Si formò anche il partito dei socialisti-rivoluzionari che, insieme ai menscevichi, chiedeva la liquidazione dell'autocrazia e l'instaurazione della Repubblica. I S-R difendevano la piccola borghesia urbana e rurale. I menscevichi appartenevano all'ala opportunista della socialdemocrazia. Lenin era rientrato in Russia, illegalmente, prima dello scoppio della rivoluzione del 1905, ma quando vide il suo fallimento, tornò di nuovo in esilio nel 1907. In Svizzera e a Parigi dovette lottare contro quanti del Posdr volevano costituire in Russia un partito legale, rinunciando alla clandestinità: cosa che avrebbe comportato l'accettazione di forti compromessi con l’autocrazia, che avrebbero reso impossibile una vera lotta rivoluzionaria. Tuttavia egli chiedeva di partecipare attivamente a tutte le istituzioni e organizzazioni politiche e sindacali legali in cui fosse possibile avanzare richieste democratiche, evitando il settarismo. La più importante attività teorica di Lenin si svolse in questo periodo: da Materialismo ed empiriocriticismo (1909) a L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), in cui dimostrò che la fase dell'imperialismo era l'anticamera della rivoluzione socialista, proprio perché le contraddizioni del capitalismo si acuivano in maniera spropositata. Abdicazione dello zar Una forte ripresa dell'attività rivoluzionaria avvenne proprio mentre la Russia si stava impantanando in un conflitto senza sbocchi con la Germania e l'impero austro-ungarico. Alla fine del 1916 la situazione sul fronte era disastrosa: si registravano 1,5 milioni di diserzioni su 15 milioni di uomini mobilitati. Solo nel 1915 tra morti, feriti e prigionieri si era arrivati a 3,5 milioni. Il governo zarista non aveva forze sufficienti per rifornire di armi e vettovagliamento le truppe combattenti. La mobilitazione aveva strappato alle campagne il 50% della forza lavoro, provocando una crisi agricola senza precedenti e, di conseguenza, una forte inflazione. Il governo era stato costretto a chiedere molti crediti a Inghilterra, Francia e Stati Uniti (8 miliardi di rubli da restituire in oro) e a procedere alle requisizioni di grano e di bestiame, senza avere alcuna intenzione di uscire dalla guerra. Fu di fronte a questi fatti che il partito bolscevico, che nel 1917 aveva solo 24.000 iscritti, lanciò l'idea di trasformare la guerra imperialistica in una guerra civile, allo scopo di abbattere lo zarismo. I primi scioperi dei lavoratori contro la guerra erano iniziati nel 1915 e già nel 1916 coinvolgevano un milione di persone, anche non russe, poiché lo zar pretendeva di estendere la leva anche a queste popolazioni. All'inizio del 1917 gli scioperi erano così imponenti che a Pietrogrado anche una parte dei soldati cominciò a rivolgersi contro lo zarismo: in nessun altro paese europeo s’era mai vista una cosa del genere nel corso della guerra. Lo zarismo cercò di distrarre l'opinione pubblica promuovendo forme di antisemitismo (sostituzione dei burocrati di fede giudaica con quelli di fede ortodossa). Intanto in varie regioni dell'impero era ripresa, già nel 1916, la lotta delle varie etnie e nazionalità contro lo zarismo. Nel febbraio 1915 i deputati bolscevichi della Duma vengono condannati al confino in Siberia per essersi dichiarati contro la prosecuzione della guerra e a favore della guerra civile. Ma non si fecero impressionare da questo, anzi continuarono altri esponenti del partito a organizzare scioperi, proteste, manifestazioni, chiedendo anche di distribuire ai contadini le terre dei latifondisti. Nel febbraio 1917 a Pietrogrado oltre 200 mila operai (più della metà del proletariato della città) erano entrati in sciopero. Ora anche gli studenti solidarizzavano con loro. I militari a Pietrogrado uccisero 169 operai e ne ferirono altri mille. Alcune unità però cominciarono a mettersi dalla parte degli insorti. Il governo sembrava paralizzato e i bolscevichi pensarono fosse giunta l'ora di occupare i depositi militari di armi per distribuirle agli operai. Occuparono anche i principali uffici governativi, le stazioni ferroviarie, il telegrafo, la posta, i ponti… Lo zar si vide costretto ad abdicare, e lo fece in favore del fratello Michele, a causa della minore età del principe Alessio. Ma le masse insorte volevano la Repubblica democratica, sicché anche il granduca fu costretto a dimettersi. L’incapacità dello zarismo di passare da un regime assolutistico alla democrazia parlamentare si rivelò fatale quando le sorti della guerra mondiale volgevano a sfavore della Russia. Il dualismo del potere Deputati operai e soldati erano organizzati nei soviet (consigli), di cui il più importante era quello di Pietrogrado. Sono questi organismi politico-democratici che hanno gestito la rivoluzione: istituivano la milizia operaia nelle fabbriche, liberavano i detenuti politici, arrestavano gendarmi e poliziotti zaristi, organizzavano elezioni dei comitati di fabbrica e rurali, controllavano la stampa e facevano mille altre cose per migliorare la condizione dei lavoratori. In pratica si verificò una sorta di dualismo del potere, in quanto il governo provvisorio, che rappresentava la dittatura della borghesia, era privo di vera forza politica, mentre i soviet, che esercitavano la dittatura del proletariato e dei contadini, non avevano un potere ufficiale. Ovviamente il governo provvisorio cercava di screditare al massimo i soviet, senza però riuscire a convocare subito l’Assemblea costituente per decidere la forma del governo e dello Stato, sulla base di una nuova Costituzione. Intanto la famiglia Romanov, in stato di arresto, venne trasferita a Carškoe Selò. Il governo provvisorio firmò il decreto sull'amnistia generale, sull'abolizione della pena di morte, sul rimpatrio degli emigrati politici (G. Plechanov, il primo propagandista del marxismo in Russia, poté rientrare in patria dopo quarant'anni di esilio). Furono annullate tutte le restrizioni religiose e nazionali. Si permetteva l'uso di lingue diverse dal russo. Tuttavia si impedì ai contadini di occupare le terre dei latifondisti, rimandando l'affronto del problema alla costituzione di un apposito comitato. Il governo provvisorio fu subito riconosciuto da Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Italia, tutti convinti ch’esso avrebbe continuato la guerra, come in effetti fece, con l'appoggio dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi. Vedendo ciò Lenin, da Zurigo, si convinse che la rivoluzione doveva continuare per arrivare al socialismo. Nell'aprile 1917 tornò in Russia partendo da Berlino con un treno speciale, che le autorità prussiane gli organizzarono nella convinzione che con una rivoluzione interna la Russia avrebbe perso la guerra contro la Germania. A Pietrogrado fu accolto da decine di migliaia di operai. Le sue posizioni si rivelarono subito opposte a quelle del governo in carica. Secondo lui infatti:
Di tutte queste proposte quella che più infastidì il governo fu la parola d'ordine "pace subito, senza annessioni né indennizzi", proprio perché si sapeva che la popolazione non aveva alcuna intenzione di continuare a soffrire la fame e a vedere così tanti morti sul fronte. Il primo militare a tentare un colpo di Stato a favore del governo provvisorio fu il generale Kornilov, che comandava il distretto militare di Pietrogrado, ma le truppe della capitale non gli obbedirono, sicché egli si dimise. Nell'aprile 1917 si riuniva la settima conferenza del Posdr (la prima nella legalità). Lenin, con le sue Tesi di aprile, fu osteggiato da L. Kamenev, rappresentante bolscevico al soviet di Pietrogrado, il quale chiedeva di accordare un appoggio condizionato al governo provvisorio, tralasciando la questione del passaggio di tutti i poteri ai soviet. La sua proposta fu però respinta. Nello stesso mese, dopo le dimissioni del ministro della guerra Gučkov e del ministro degli esteri Miljukov, il governo provvisorio ottenne dai capi socialisti-rivoluzionari e dai menscevichi che alcuni loro rappresentanti potessero assumere la nomina in vari ministeri (non a quello della Guerra e della Marina, che venne assegnato al socialista-rivoluzionario Kerensky). Si ripeteva così l'errore del governo di coalizione cui aveva aderito nel 1899 il socialista francese Millerand. Infatti i nuovi ministri socialisti non riuscirono in alcun modo a far uscire la Russia dalla guerra, anzi chiesero alla popolazione di concedere dei finanziamenti per far fronte ai bisogni militari. Non riuscirono neppure a impedire che i latifondisti, impauriti dalla rivoluzione di febbraio, compissero ogni tipo di speculazione fondiaria pur di salvaguardare i loro patrimoni. Tali ministri si opposero alla proposta bolscevica di confiscare i latifondi. Il soviet di Mosca, nel maggio 1917, propose di nazionalizzare la terra, le banche, le grandi industrie, di requisire le riserve di grano dei latifondisti e dei contadini ricchi, di confiscare i beni dei monasteri e dei Romanov e i profitti dei capitalisti ottenuti proprio grazie alla guerra. Anche al primo Congresso panrusso dei deputati contadini (maggio 1917) Lenin, che aveva solo il voto consultivo, propose, sulla questione agraria, di requisire senza indennizzo le terre dei latifondisti, della corona e della Chiesa, dandole al popolo. La proprietà privata della terra doveva essere abrogata del tutto. La gestione della terra pubblica doveva essere affidata agli istituti democratici locali. L'influenza bolscevica andava tanto più crescendo in molti soviet quanto meno il governo provvisorio riusciva a risolvere la crisi economica che attanagliava l'intero paese. Nel mese di maggio Lenin sulla “Pravda” chiese al governo di pubblicare tutti i trattati segreti firmati dallo zar e dai capitalisti d'Inghilterra e Francia per la spartizione degli imperi austro-ungarico e ottomano. Ma i deputati socialisti non appoggiarono questa richiesta. A giugno Lenin attaccò i socialisti dicendo che l'interferenza degli imperialisti inglesi nel cambio di governo della Grecia è pari all'aggressione della Germania al Belgio e dell'Austria alla Serbia. E il governo russo, di cui i socialisti facevano parte, non aveva detto nulla in merito. A giugno si riunì il primo Congresso panrusso dei soviet, dove la maggioranza socialista era ancora evidente (285 S-R, 248 menscevichi): i bolscevichi erano solo 105. Lenin intervenne più volte, ma i congressisti non vollero negare l'appoggio al governo, proprio perché facevano prevalere le motivazioni della politica estera su quella interna, sfruttando il fatto che gli accordi e i patti tra le diplomazie dovevano restare segreti. Quando il governo chiese al fronte militare di prepararsi a una nuova offensiva, la crisi si esasperò. Le varie nazionalità cominciarono a chiedere l'autonomia, se non l’indipendenza, dall'impero russo: Polonia, Finlandia, Ucraina, Estonia, Lituania ecc. Vedendo ciò il governo cominciò a pensare a come disfarsi dei bolscevichi. La prima cosa che gli venne in mente fu quella di assicurare alla maggioranza socialista dei soviet il diritto di veto su ogni manifestazione promossa dalle minoranze, pena l'espulsione dai soviet. La seconda cosa fu quella di chiedere il disarmo degli operai. La terza di dar luogo all'offensiva sul fronte; così, se fosse stata vittoriosa, si poteva sperare di bloccare ulteriormente i bolscevichi, mentre, se fosse stata ingloriosa, li si poteva accusare di disfattismo. Il ruolo di Kerensky Principale fautore di questa offensiva fu Kerensky, ministro della Guerra, che però non riuscì affatto a impedire che le truppe austro-germaniche avessero la meglio in direzione di Leopoli. Il governo era completamente screditato. I ministri cadetti si dimisero, al fine di convincere i partiti socialisti ch’era giunto il momento di concentrare l'intero potere nelle mani di una controrivoluzione borghese-latifondista. Tuttavia, temendo questo pericolo, il movimento rivoluzionario pretese sempre di più il passaggio di tutti i poteri ai soviet. Nel corso di una imponente manifestazione di protesta a Pietrogrado (mezzo milione di operai, soldati e marinai), del 4 luglio 1917, il governo decise di far fuoco con fucili e mitragliatrici. In quel momento anche la sinistra dei partiti conciliatori si convinse dell'idea di un governo senza la borghesia. Ma la maggioranza del governo, vedendo che l'esercito germanico aveva sfondato il fronte russo, cominciò ad accusare Lenin di complicità coi tedeschi. La presidenza del governo venne assunta da Kerensky, in quanto L’vov s’era dimesso. I leader socialisti al governo si dichiararono apertamente dalla parte di Kerensky e della borghesia. Il nemico da abbattere era Lenin. Furono chiuse le redazioni dei giornali bolscevichi, sciolte le unità militari simpatizzanti per loro, disarmati gli operai, arrestati molti attivisti. Lenin era continuamente costretto a nascondersi. Il soviet di Pietrogrado si stava trasformando in un'appendice del governo. Il generale Kornilov fu designato comandante in capo dell'esercito. I bolscevichi furono costretti alla clandestinità. Ora per Lenin la parola d'ordine non era più "tutto il potere ai soviet" ma "insurrezione armata": cioè nessuna illusione costituzionale e repubblicana, nessuna illusione di una via pacifica al socialismo, nessuna azione isolata. Lenin era convinto che non ci sarebbe mai stato il passaggio della terra ai contadini senza prima l'insurrezione armata. I soviet, non avendo preso il potere nel momento giusto, avevano perso la loro carica rivoluzionaria. I soviet potevano continuare a esistere, soprattutto quelli dove i bolscevichi avevano la maggioranza, ma d'ora in poi la forza sarebbe stata nell'alleanza del proletariato coi contadini poveri per l'insurrezione. Dall'aprile 1917 il numero degli iscritti al partito bolscevico si era triplicato. Kerensky, privo di un vero programma riformistico, chiese ai cadetti di rientrare nel governo, ora chiaramente controrivoluzionario. Clandestinamente invece si riunì il VI Congresso del Posdr(b), con l'intento di preparare l'insurrezione. Prima ancora che i lavori si concludessero, Lenin fu costretto a varcare il confine con la Finlandia, rifugiandosi a Helsinki, per sottrarsi alla cattura. Il congresso, fra le altre cose favorevoli all'insurrezione, sottopose ad aspra critica la teoria della neutralità del sindacato, sostenendo che quando sono in gioco i destini dei lavoratori, occorre un'organizzazione combattiva di classe, che riconosca la guida politica del partito. Si espresse anche favorevolmente a una unione dei giovani socialcomunisti europei. Kerensky fece trasferire la famiglia Romanov a Tobol’sk, in Siberia, temendo che venisse decimata dai bolscevichi. Da lì, eventualmente, sarebbe stato molto facile farla emigrare negli Usa. (Dopo la vittoria della rivoluzione d'Ottobre, la fazione monarchica si preparò a liberare la famiglia imperiale. Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dispose il trasferimento dei Romanov a Ekaterinburg. Quando le Guardie Bianche erano ormai alle porte della città, il soviet regionale degli Urali, decretò la fucilazione di tutti i Romanov, cosa che fu approvata dal CEC panrusso). Il colpo di Stato del generale Kornilov doveva avvenire a Mosca verso la metà di agosto, perché qui non ci si attendeva una forte opposizione. Kornilov aveva idee precise: a) soppressione di tutti i soviet e dei comitati nell'esercito, b) passaggio delle funzioni amministrative dei soviet agli organi municipali, c) reintroduzione della pena di morte e della corte marziale, d) guerra sino alla vittoria finale, e) eliminazione del partito bolscevico, f) divieto di ogni riforma sino alla fine della guerra. Kornilov era intenzionato a sostituirsi a Kerensky. Siccome però questi temeva che se il colpo di Stato fosse fallito, ci avrebbe rimesso anche lui, decise di rivendicare per sé i poteri dittatoriali, determinando le dimissioni dei ministri cadetti. La rivalità tra i due non fece che favorire i bolscevichi. La rivolta di Kornilov fallì clamorosamente per l'opposizione risoluta delle masse operaie e contadine, guidate soprattutto dai bolscevichi. Il 1° settembre 1917 fu proclamata ufficialmente la Repubblica. Si costituì un Direttorio (un consiglio di cinque ministri) capeggiato da Kerensky. I menscevichi e i S-R si rifiutarono di entrare in un governo insieme ai cadetti. I soviet si rianimarono dando la maggioranza ai bolscevichi. Essi cominciarono a rifiutare la politica di coalizione, rivendicando tutti i poteri e trasformandosi in modo rivoluzionario. Di nuovo Lenin intravedeva la possibilità di una transizione pacifica al socialismo, sulla base di un preciso compromesso: da un lato tutto il potere ai soviet e, dall'altro, la costituzione di un governo di menscevichi e S-R (senza bolscevichi), responsabile davanti ai soviet, a condizione che il governo non cercasse alleanze né coi latifondisti né con la grande borghesia. Tutto questo in attesa di convocare l'Assemblea Costituente. Tuttavia la direzione S-R e menscevica preferì dare a Kerensky i pieni poteri, rimangiandosi la decisione di non appoggiare i cadetti. La sinistra dei S-R si separò definitivamente dal partito, parteggiando per i bolscevichi. A questo punto era di nuovo impossibile uno sviluppo pacifico della rivoluzione. Con la maggioranza socialista nei soviet di Pietrogrado e Mosca s’imponeva la necessità dell'insurrezione. Gli obiettivi fondamentali erano tre: a) porre fine alla guerra immediatamente, b) dare subito la terra ai contadini, c) ripristinare tutte le libertà democratiche vanificate da Kerensky. A partire dalla metà di settembre la parola d'ordine "tutto il potere ai soviet" voleva dire "insorgere". Si formò così la Guardia Rossa, l'esercito popolare armato. Nel frattempo la crisi economica peggiorava in maniera drastica: la produzione industriale in un anno era scesa di oltre un terzo, la produzione di acciaio e ghisa s'era dimezzata, l'estrazione del carbone era tornato ai livelli delle 1911, le ferrovie erano in dissesto, la svalutazione della moneta e l'inflazione erano insostenibili. Tutti i tumulti erano provocati dalla fame, gli scioperi paralizzavano ogni cosa, aumentavano le proteste per motivi etnico-nazionali. Per tutta risposta gli industriali ricorsero alle serrate, chiudendo fabbriche e officine. Gli Usa concessero un prestito di 125 milioni di dollari al governo provvisorio; altri 105 milioni di yen furono concessi dal Giappone. Francia, Inghilterra e Italia continuavano a chiedere al governo provvisorio di proseguire la guerra e Kerensky, per dimostrare che era democratico, istituì una sorta di pre-parlamento con potere consultivo. Nel mese di ottobre Lenin tornò, da clandestino, in Russia, pronto a dirigere l'insurrezione armata. Praticamente nel C.C. solo Zinoviev e Kamenev erano contrari e furono così scriteriati dal rivelarlo pubblicamente: cosa che per fortuna non inciderà sull'esito finale della rivoluzione. Lenin era convinto: a) che la borghesia russa e Kerensky avessero intenzione di cedere Pietrogrado ai tedeschi; b) che gli imperialisti avrebbero fatto di tutto per soffocare la rivoluzione. Ecco perché chiese di allestire a Pietrogrado uno stato maggiore legale dell'insurrezione, con tanto di forza armata (di operai e contadini) per difendere la città. Il governo cercò di arrestare Lenin ma non vi riuscì. A Pietrogrado gli insorti potevano contare su 150 mila unità militari della guarnigione e su 20 mila uomini della Guardia Rossa. Kerensky, i cadetti, i S-R e i menscevichi erano pronti a difendere il governo. Per questo motivo Lenin, a differenza di Trotzky, era dell'avviso che tutti gli esponenti del governo andassero arrestati. Alla fine di ottobre il governo era stato abbattuto. Kerensky era riuscito a fuggire. Il secondo Congresso panrusso dei soviet si tenne proprio mentre veniva preso d'assalto il Palazzo d'Inverno, l'ultima roccaforte del governo. I S-R e i menscevichi, quando videro che al Congresso erano in minoranza, abbandonarono la seduta. In questo congresso vi erano 101 delegati: 62 bolscevichi, 29 socialisti-rivoluzionari di sinistra, sei menscevichi-internazionalisti, tre socialisti ucraini e un socialista rivoluzionario-massimalista. Il congresso poteva essere integrato da rappresentanti dei soviet dei contadini, che allora agivano ancora separatamente dai soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Il Congresso votò subito il Decreto sulla pace (senza annessioni di territori altrui né indennizzi relativi ai danni di guerra e proclamando il diritto all'autodeterminazione dei popoli); e, a seguire, il Decreto sulla terra, con cui si proclamava la terra patrimonio di tutto il popolo, da confiscarsi ai latifondisti senza indennizzo e senza pagamento di alcun debito (col termine "latifondo" s’intendevano anche le proprietà ecclesiastiche, le ville, i castelli… Gli appezzamenti andavano distribuiti in maniera ordinata dai soviet distrettuali). Si consegnavano ai contadini 150 milioni di ettari di terra. Il Congresso formò il governo operaio e contadino: i S-R di sinistra, che pur al Congresso avevano sostenuto i bolscevichi, rifiutarono di parteciparvi, almeno sino al dicembre del 1917, ma già nella primavera del 1918 uscirono dalla coalizione e si misero sulla via della lotta armata contro il potere sovietico. Praticamente i partiti dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari continuarono a operare sino all'inizio degli anni 20, schierandosi sempre più dalla parte delle classi scrutatrici rovesciate e degli interventisti stranieri. Anche i partiti borghesi usciranno dalla scena politica nel periodo della guerra civile e dell'intervento militare straniero. Il nuovo governo chiese agli Stati con cui la Russia era in guerra di trattare subito per una pace giusta e democratica. Abolì la diplomazia segreta e dichiarò di voler condurre le trattative in modo pubblico; anzi iniziò a rendere pubblici i trattati segreti firmati dallo zarismo e dalle potenze imperialiste, dichiarando abrogato il loro contenuto. Naturalmente Kerensky e il generale Krasnov passarono all'attacco, insieme ai cadetti, ai monarchici, ai S-R e ai menscevichi di destra. Ma non vi fu nulla da fare, ormai la rivoluzione era compiuta. Kerensky si rifugiò in esilio; Krasnov fu arrestato e durante la guerra civile si mise dalla parte della controrivoluzione, mentre durante la seconda guerra mondiale collaborerà coi nazisti, venendo condannato a morte per questo motivo. Poiché la stampa invitava ad opporsi al governo sovietico, diffondendo calunnie e provocazioni, ne fu limitata la libertà. Si fece in modo che gli operai autogestissero le proprie fabbriche, previa nazionalizzazione. Si confiscarono tutti i grandi depositi bancari per impedire che le banche finanziasse ero la controrivoluzione (cosa che invece non fece la Comune di Parigi nel 1871). Tutte le banche furono nazionalizzate coi loro attivi e passivi, per cui l'attività bancaria era diventata un monopolio statale: ogni cliente avrebbe avuto un conto corrente presso la Banca di Stato. L’oro veniva confiscato per rimpinguare le casse vuote dello Stato. Vennero annullati tutti i prestiti esteri e interni contratti dal governo zarista e dal governo provvisorio. Si sospesero i pagamenti sui fondi bancari, i dividendi per i titoli azionari, le quote sociali delle aziende private, le transazioni di borsa. Nella sfera della pubblica istruzione si cominciò a lavorare per la fine dell'analfabetismo, l'organizzazione di un sistema scolastico unico e laico e lo sviluppo di scuole per adulti. Inoltre si abolirono i titoli nobiliari, i privilegi di casta, le istituzioni di ceto e vennero confiscati i patrimoni dell'aristocrazia e della borghesia, ponendoli sotto la gestione di organi di autogoverno municipali. I vecchi istituti di giustizia vennero sostituiti dai tribunali locali eletti democraticamente con voto diretto. La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia (novembre 1917) proclamava la parità, la sovranità, l'autodeterminazione dei popoli della Russia, il loro diritto alla libera autodecisione, sino alla formazione di uno Stato indipendente, come si fece con la Finlandia. Si pretese l'abolizione di tutti i privilegi e di tutte le restrizioni nazionali e religioso-nazionali, ovvero il libero sviluppo delle minoranze e dei gruppi etnici. Nell'esercito e nella marina si decise che i generali fossero eletti e sostituibili. Si creò un esercito popolare (Armata Rossa e Flotta Rossa). Tutto il patrimonio artistico-culturale della nazione fu sottoposto a particolare protezione da parte dello Stato, essendo diventato un proprio patrimonio. Tutte le opere dei grandi della letteratura venivano dichiarate patrimonio popolare. Fu proclamata la piena libertà di coscienza e di religione e la separazione tra Stato e chiese. Una volta vinto a Pietrogrado, il potere sovietico dilagò in tutto il paese, pur non senza combattere, in talune regioni, contro i S-R, il nazionalismo borghese e le ultime vestigia patriarcali e feudali. Mosca venne conquistata dai rivoltosi nel novembre 1918. Il corpo diplomatico anglo-americano non voleva entrare in rapporti col potere sovietico. A dir il vero inizialmente nessun paese volle intavolare iniziative di pace. L'unica fu la Germania, che a Brest-Litovsk concluse la pace con la Russia. Nel frattempo vari generali dell'esercito si misero decisamente dalla parte della controrivoluzione, organizzandosi nella regione del Don. La Germania convinceva a staccarsi dalla Russia la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l'Estonia e la Finlandia, senza neppure un referendum popolare. Intanto nel dicembre 1917 a Parigi si riunì la conferenza dei rappresentanti delle potenze dell'Intesa per esaminare la situazione creatasi in Russia. Nessuno di loro voleva riconoscere la Russia sovietica, anzi presero ad aiutare economicamente i controrivoluzionari (Kaledin, i nazionalisti della Rada Ucraina, i menscevichi transcaucasici). Ci si accordò addirittura per spartirsi la Russia in zone di influenza, convinti che la Guardia Bianca alla fine avrebbe vinto: all'Inghilterra il Caucaso, l'Armenia, la Georgia e le zone del Don; alla Francia la Bessarabia, la Crimea e l'Ucraina; agli Usa e al Giappone la Siberia e l'estremo oriente. Sull’Ucraina, su una parte della Bielorussia e sulle regioni del Baltico aveva delle mire la Germania. Di fronte alle richieste dei tedeschi, Trotzky interruppe i negoziati di Brest-Litovsk, inducendo la Germania a riprendere la guerra che le permise di ottenere importanti vittorie. Il trattato venne firmato a condizioni durissime nel marzo 1918 e verrà annullato solo dopo la fine della guerra e la rivoluzione in Germania nel novembre 1918. Dopo la rivoluzione d'ottobre nacquero 13 nuovi partiti comunisti in altrettanti paesi; in Europa occidentale furono spazzate via le monarchie germanica e austro-ungarica. Nel 1919 vi fu un'insurrezione in Corea e in Cina si sviluppò il movimento del "4 maggio"; nello stesso anno gli afghani iniziarono a combattere la dominazione inglese; in Turchia vi fu la rivoluzione borghese del 1918-23; in Egitto vi furono insurrezioni nazionali (1919); in Siria e Iran nel 1920; anche in Mongolia vi fu una rivoluzione popolare; in America-Latina si svilupparono sollevazioni contadine e dure battaglie di classe del proletariato in Argentina, Brasile, Cile, Perù, e soprattutto in Messico; anche in Africa tropicale e Sudafrica vi furono sollevazioni contadine e scioperi operai. L’Assemblea costituente L'Assemblea costituente, eletta nel novembre 1917 a suffragio universale, con lo scopo di elaborare la costituzione del paese, fu sciolta dal governo sovietico il 19 gennaio 1918. Per quale motivo, visto che l'idea di istituirla era stata avanzata proprio dai bolscevichi già nel febbraio 1917, mentre i leader dei partiti borghesi tentavano di salvare ancora la monarchia? Quando Lenin era tornato in Russia nell'aprile del 1917, aveva avanzato la proposta di creare una repubblica dei soviet, che erano organi di democrazia diretta, gestita da operai, contadini e soldati: una repubblica parlamentare, con la democrazia rappresentativa, sarebbe stata per lui un passo indietro. L'Assemblea costituente era stata chiesta anche dai partiti borghesi e socialisti di destra (menscevichi e socialisti-rivoluzionari) e anche dal governo provvisorio di Kerensky, ma praticamente non la si volle mai istituire perché si temeva, al suo interno, un'egemonia della sinistra. Il governo non la volle istituire neppure durante la rivoluzione di febbraio. Si aspettò il mese di ottobre, ma quando nel gennaio 1918, alla sua prima riunione sotto la presidenza del socialista-rivoluzionario Cernov, fu proposto di ratificare i primi decreti emanati dal potere sovietico e la Dichiarazione dei diritti dei lavoratori, la maggioranza dell'assemblea (composta da S-R di destra, menscevichi e cadetti) organizzò dimostrazioni antisovietiche e scontri armati. Così il CEC panrusso si vide costretto a scioglierla. Per tutta risposta i cadetti, i S-R di destra e molti menscevichi intrapresero la via della aperta lotta armata, organizzandosi nella regione del Volga e in Siberia: a quel tempo poterono approfittare di una rivolta antisovietica del corpo di spedizione cecoslovacco, appoggiato militarmente e finanziariamente soprattutto da Usa e Inghilterra (primavera 1918), lungo l'arteria ferroviaria dal Volga all'estremo oriente. Il comitato dei membri dell'Assemblea costituente si istituì a Samara (Kujbyscev) sul Volga, per ripristinare l'attività dell'Assemblea, poi, a causa della conferita subita dai sovietici, si trasferì a Ufa e a Ekaterinburg (Sverdlovsk). A Ufa fu creato anche un Direttorio panrusso socialista-rivoluzionario, nel settembre 1918, poi trasferitosi a Omsk. Ma quando la cricca militarista monarchico-cadetta, sostenuta dai paesi capitalistici, volle eliminare il Direttorio, il potere passò all'ammiraglio Kolčak e in Siberia si instaurò una dittatura militare antisovietica. Fu proprio il governatore supremo Kolčak che, di fronte alle dure critiche del congresso dell'Assemblea costituente (con sede a Ekaterinburg), pose fine anche a questa Assemblea, facendo arrestare tutti i suoi componenti, che poi vennero liberati a Omsk dagli operai guidati dai bolscevichi. Purtroppo subito dopo i soldati di Kolčak ebbero la meglio e molti congressisti furono fucilati nella Repubblica dell’Irtysh. |