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POLITICA E IDEOLOGIA DEL NAZISMO
I - II -
III

- Nella dittatura nazista la Costituzione non aveva alcun valore. Nessun
organo istituzionale era in grado di esprimere una propria volontà politica
e non esisteva alcuna divisione dei poteri. Hitler era l'unica fonte del
diritto e di ogni potere, tant'è che l'ultima riunione del governo si tenne
nel 1938. Egli non si sentiva affatto un'istituzione dello Stato, cui
venivano attribuiti determinati poteri, ma piuttosto l'incarnazione vivente
della comunità popolare nazionale.
Naturalmente sul piano politico-amministrativo il sistema nazista era una
pluralità di centri di potere gestiti da uomini di fiducia di Hitler, cui
dovevano rendere conto personalmente: il partito (gestito prima da Hess, poi
da Bormann), la Gestapo (polizia politica segreta) e le SS (gestite da
Himmler), la TODT (edilizia pubblica e occupazione, gestita da Speer), il
Piano quadriennale per l'economia (gestito da Göring), le organizzazioni del
consenso (gestite da Goebbels), ecc.
Il nazismo finì col creare nuovi organismi amministrativi, indipendenti da
qualunque istituzione statale, direttamente controllati dal partito.
- Si può capire il nazismo mettendolo anche a confronto col fascismo:
Analogie:
- entrambi i partiti fanno leva sul bisogno di ordine e di sicurezza
economica dopo il disastro della guerra e del dopoguerra (per la Germania
decisivo fu anche il crac borsistico del 1929, che impedì agli Stati Uniti
di continuare a finanziarla);
- rifiutano il parlamentarismo, le ideologie sociale-comuniste e liberista;
- edificano uno Stato totalitario, imperniato sulla figura carismatica del
capo;
- istituiscono organizzazioni di massa per inquadrare e indottrinare i
cittadini in ogni loro aspetto sociale;
- rifiutano i patti di Versailles e mostrano ambizioni imperialistiche;
- l'organizzazione socio-economica di tipo corporativo, mediante cui i
lavoratori restano sottomessi agli imprenditori, per quanto lo Stato si
presenti come equidistante.
Differenze:
- la matrice ideologica del nazismo è già esplicitata nel Mein Kampf;
quella fascista invece deve il suo principale contributo non a Mussolini ma
soprattutto al filosofo Gentile e sul piano giuridico al giurista Rocco;
- la concezione totalizzante della razza e l'antisemitismo sono parte
organica del nazismo; in Italia invece le questioni razziali e antisemite
s'impongono solo a partire dal 1938, dopo la stretta alleanza con la
Germania;
- le conseguenze dei rispettivi razzismi sono molto più tragicamente
coerenti nel nazismo;
- il Senato del partito nazista (che avrebbe dovuto essere l'equivalente del
Gran Consiglio fascista) non vide mai la luce, in quanto Hitler fu sempre
contrario alla costituzione di un organo responsabile per la scelta del suo
successore;
- Hitler aveva una concezione meramente propagandistica della politica e non
s'interessava ai compiti quotidiani dell'amministrazione dello Stato, del
governo e del partito. Né ha mai favorito, all'interno del proprio partito,
alcun dibattito politico; anzi, egli tendeva a fornire ai suoi sottoposti
soltanto informazioni sommarie, appena sufficienti a eseguire determinati
ordini, per i quali i funzionari locali disponevano di un potere
assolutamente arbitrario.
- Il fatto che sia il nazismo che il fascismo abbiano cercato d'imitare il
socialismo (che a quel tempo si presentava nella forma statale dello
stalinismo) non va considerato come una stranezza. Le società antagonistiche
conservano sempre un complesso di colpa verso ciò che per loro rappresenta
la verità e che perciò devono necessariamente negare per poter continuare ad
essere quel che sono. Nella stessa Apocalisse giovannea si parla di
un nemico terribile chiamato "Anticristo", cioè di uno che assume le
sembianze del rivale (che è giusto, onesto, vero...), per nascondere la sua
vera natura, che è malvagia, perversa, con la quale è in grado d'ingannare
facilmente gli sprovveduti, inducendoli a compiere cose che, in un altro
contesto, non avrebbero mai fatto.
Si è qui in presenza di una sorta di plagio collettivo, in cui milioni di
persone si autoconvincono d'essere nel giusto solo perché vedono incarnata
la verità in un individuo che per loro rappresenta simbolicamente un
archetipo a tutti noto.
Chiamare Mussolini (ma ciò poteva valere anche per Hitler) "l'uomo della
provvidenza" rientra in questa forma d'ideologia mistica. Il dittatore
diventa una specie di "Cristo", l'Unto del Signore, che deve combattere un
nemico irriducibile, ma, al tempo stesso, deve dimostrare d'avere alcune sue
caratteristiche fondamentali, almeno all'apparenza, come appunto il senso
della giustizia, l'esigenza della verità, l'onestà intellettuale... Le quali
virtù però non vogliono presentarsi in maniera ingenua, in quanto devono
realizzare degli obiettivi irrinunciabili, costi quel che costi.
Questi terribili dittatori, che personalmente non farebbero del male a
una mosca, si fanno responsabili, grazie al plagio collettivo, di infinite e
innominabili atrocità. Si sfrutta un'esigenza sana di riscatto, di
emancipazione, di giustizia per indurre le popolazioni a compiere i crimini
più orrendi. Infatti è sufficiente individuare un capro espiatorio (ebrei,
slavi, comunisti ecc.) per convogliare verso questo obiettivo tutto il
proprio odio e risentimento, che deve presentarsi come qualcosa di
assolutamente collettivo.
In queste situazioni, così tragiche e paradossali, è impossibile
rinsavire finché il dittatore vince le sue battaglie, sfugge agli attentati
contro di lui, si avvale di un apparato repressivo sempre più vasto ed
efficace. Fascisti e nazisti non sono rinsaviti da soli, cioè non si sono
svegliati da soli dall'ipnosi collettiva: hanno avuto bisogno di gravissime
sconfitte militari in Russia. È stato solo in quel momento che per la prima
volta hanno capito che il loro duce non era invincibile come appariva e che
stava mentendo sulla propria infallibilità. Sono diventati antifascisti e
antinazisti semplicemente perché si era infranto il sogno di una vittoria su
quei popoli considerati più deboli. Propriamente parlando non avevano
maturato il senso della democrazia, ma solo quello della sconfitta, cioè si
erano convinti d'essere stati traditi. All'interno di questa ottica,
diventare da fascisti a comunisti sarebbe stata una scelta del tutto
naturale, una forma di rivalsa contro l'eroe che li aveva traditi.
- Che cosa fu il nazi-fascismo? Un tentativo inutile di procrastinare il
più a lungo possibile qualcosa di inevitabile: la transizione dal
capitalismo al socialismo. Il nazismo fu più spietato in questo, perché,
avendo una tradizione protestantica molto più consolidata, non poteva che
esserlo. Sotto il protestantesimo infatti l'individuo rinuncia alla propria
libertà personale per poterla realizzare come libertà statale. Il principio
assoluto diventa quello del dovere per il dovere, secondo la nota
formulazione kantiana. Tutto diventa lecito quando si compie per il bene
dallo Stato. L'individuo, in sé, è soltanto una mera astrazione, diceva
Hegel.
In un certo senso anche il fascismo tentò di "protestantizzare" la
società, usando la mistica di un capo laico sempre onnipotente e
onnisciente, ma l'Italia cattolica, sempre ostile a idolatrare i capi di
Stato (visti come rivali dell'unico "capo" in cui crede), aveva maggiori
anticorpi per difendersi da queste pretese. Sin dai tempi degli
imperatori l'Italia comunale e signorile non si era piegata.
La II guerra mondiale |