Il cittadino romano è anzitutto un militare e un politico: ogni attività
viene finalizzata alle esigenze di dominio, sia privato che statale. Di
conseguenza ciò che prevale nelle testimonianze artistiche sono gli aspetti
tecnici e pratici, oppure celebrativi. Il fine estetico, la ricerca del bello, non ha per i romani quell'importanza
che ha per i greci e non è mai disgiunto da un fine pratico: di qui l'indiscussa
superiorità, nell'espressione artistica dei romani, delle scienze architettoniche
e urbanistiche, che offrono grande utilità pratica nell'organizzazione razionale
degli enormi territori conquistati.
Strade (guarda la rete
viaria imperiale e
nazionale), ponti, teatri (guarda
quello di Marcello) e anfiteatri (guarda quello del
Colosseo), templi
(guarda quello della
Fortuna e del
Pantheon), circhi (guarda
il circo Massimo), colonne e
archi commemorativi di vittorie militari, unitamente ai tracciati schematici
delle nuove città, rappresentano il meglio della produzione artistica e
architettonica romana.
Le opere architettoniche ed urbanistiche, realizzate tra il I sec. a.C. e il
IV sec. d.C., non rispondevano solo a esigenze politiche e militari (dare il
senso di appartenenza all'impero), ma venivano anche incontro ai bisogni della
popolazione, per cui dovevano rispondere a criteri di funzionalità e praticità e
furono così ben edificate da essere utilizzate anche nei secoli successivi alla
caduta dell'impero, fino ai nostri giorni.
Una volta compiuta la conquista militare, i romani badavano soprattutto a
tracciare e a pavimentare strade, a costruire ponti, a rifornire le città di
abbondante acqua attraverso imponenti
acquedotti, a costruire servizi igienici
pubblici come terme, bagni e
fognature. D'altra parte l'attenzione alle
strutture di servizio era già divenuta una necessità inderogabile nella stessa città
imperiale di
Roma, che superava il milione di abitanti.
Tecnicamente gli architetti romani si servivano di due tipologie
costruttive: la
muratura e l'arco.
La
muratura, cioè l'utilizzo di materiali come il mattone cotto nelle
fornaci, non conosciuto dai greci, che veniva abbinato al cemento, consentiva la
costruzione di alte masse murarie in grado di sopportare enormi pesi.
L'arco invece permetteva di coprire ampi spazi vuoti. Proprio l'arco a tutto
sesto, che già gli etruschi usavano, è il principale segno caratteristico
dell'architettura romana. E' formato da una struttura curvilinea, a semicerchio,
che trasmette i pesi e le spinte ai pilastri sui quali s'appoggia. Molti archi
successivi dello stesso raggio formano la volta che, avendo la forma di un mezzo
cilindro, prende il nome di volta a botte. La volta a crociera, che si
svilupperà soprattutto nelle chiese medievali, è data dall'incrocio di due volte
a botte della stessa ampiezza. Arco e volta erano già stati adottati dagli
etruschi.
Archi (guarda quello di
Costantino) e colonne vengono usati dai romani anche come monumenti, per ornamento
della città, con un certo valore simbolico: l'arco è simbolo di trionfo del
condottiero e la colonna è un monumento commemorativo di grandi imprese
imperiali.
La città romana rispecchia nella pianta il tracciato dell'accampamento
militare: una scacchiera di strade che si intersecano perpendicolarmente,
impostate sulla croce di due vie principali, chiamate cardo e decumano.
Il centro della città è costituito da una piazza (foro
di Augusto,
foro
romano), sulla quale si
affacciano i principali edifici pubblici, sedi di attività politiche,
amministrative, commerciali e religiose.
Lo spazio interno è sempre enorme, monumentale, come se volesse esprimere la
stabilità dello Stato ed affermarne la potenza e l'immutabilità, in netto
contrasto con la sobria misura degli architetti ed artisti greci. Solo il
tempio
romano ha caratteristiche riprese dai templi greci (corinzi) o etruschi, ma con
una fondamentale differenza: la tradizione greca modella plasticamente gli
edifici, creando soprattutto degli "esterni", ed ha un carattere rettilineo
(elementi verticali delle colonne, elementi orizzontali delle trabeazioni); la
tradizione romana invece definisce soprattutto degli "interni", modellandone lo
spazio con gli andamenti curveggianti degli archi e delle volte (qui gli
elementi greci - colonna e trabeazione - da elementi strutturali diventano mere
decorazioni). Il tempio più importante è il
Pantheon.
La
basilica, di pianta rettangolare circondata da fila di colonne, è la sede
dell'amministrazione giudiziaria romana (il tribunale), ma anche un luogo
d'incontro per fare affari, una sorta di mercato coperto.
Il
foro di Augusto,
foro romano doveva rappresentare per l'osservatore le qualità principali
dell'arte romana: dominio dello spazio, solida compostezza, potenza
scenografica. Tuttavia i resti monumentali a nostra disposizione sono
scarsissimi, a motivo del fatto che la stessa ricchezza di marmi e metalli
preziosi con cui il
foro di
Augusto,
foro romano veniva costruito lo rendevano oggetto di continui
saccheggi.
A Roma il problema più difficile che gli urbanisti dovevano affrontare era
quello abitativo, poiché migliaia di persone vi giungevano continuamente con la
speranza di trovare nuove occupazioni o di sfuggire alla miseria, essendo
totalmente rovinate dallo sviluppo impetuoso dei grandi latifondi, lavorati da
schiavi, dai debiti, dall'usura che distruggeva soprattutto i piccoli e medi
proprietari terrieri.
Per le classi meno abbienti, la plebe, furono erette le
insulae,
edifici a più piani con una pianta di circa 300 mq e uno sviluppo verticale di
circa 18-20 metri, il che rendeva l'edificio piuttosto instabile e soggetto
facilmente a crolli. Crasso si arricchì anche in virtù di questi crolli, poiché
accorreva immediatamente sul luogo offrendo al proprietario dello stabile di
ricomprarlo a un prezzo stracciato, poi con una squadra di muratori
specializzati ricostruiva velocemente l'insula riaffittandola a prezzi
maggiorati.
Vi ci vivevano, in piccoli locali, molte persone ammassate. Si
accedeva ai piani superiori (i cenacula), attraverso strette e ripide scale comuni,
per consumare un pasto e dormire. Le stanze
prendevano luce da un cortile interno e dalle finestre aperte sulle vie. Al
piano terra in genere erano collocati i negozi e i laboratori artigianali.
I ceti sociali più ricchi vivevano invece nella
domus, un'ampia casa
riservata a una sola famiglia, con più stanze destinate a diverse funzioni; in
genere occupava l'intero pianterreno di un'insula. Se
la domus era in campagna veniva chiamata villa, che veniva costruita in
zone dalla ampia visibilità ed era dotata di ogni comodità: piscine, terme,
bagni caldi e freddi, giardini, biblioteche ecc. La villa era circondata da ampi
porticati ed era per antonomasia il luogo dedicato all'ozio, allo svago o al
lavoro intellettuale, mentre per i lavori agricoli e artigianali provvedevano i fattori e
gli schiavi.
Come noto, il vero luogo di divertimento per i romani restava l'anfiteatro,
dove si svolgevano i giochi, le gare atletiche, le sfide a morte tra i
gladiatori, la lotta tra schiavi e bestie feroci, le esecuzioni dei cristiani o
di altri dissidenti.
L'anfiteatro aveva forma ellittica e si sviluppava in altezza, talvolta su tre
ordini. Poteva contenere migliaia di spettatori:
l'anfiteatro Flavio, conosciuto
col nome di
Colosseo, aveva una capacità di circa 50.000 persone.
Un altro luogo di divertimento per i romani era il circo: qui si svolgevano
le corse dei carri trainati dai cavalli - bighe o quadrighe - o addirittura
venivano inscenate battaglie terrestri o navali, dove naturalmente i vincitori
erano sempre i romani. Anche questa forma era ellittica ma molto più allungata
rispetto a quella dell'anfiteatro.
Anche molti
teatri vennero costruiti, ma in genere la rappresentazione
teatrale aveva per i romani una mera funzione ludica, ben lontana da quella
sacra e rituale che aveva avuto in Grecia. Gli attori erano spesso degli schiavi
o dei liberti.
Quanto alla scultura, anche qui, come nella architettura, abbondano le opere
di carattere celebrativo, in onore di un personaggio famoso, come p.es. un
imperatore, un uomo politico, un grande oratore. Spesso la scultura racconta le
vittoriose imprese militari dell'imperatore (come p.es. la
Colonna Traiana),
oppure celebra momenti della vita della famiglia imperiale (vedi l'Ara Pacis).
L'arte quindi è uno strumento del potere per il potere.
L'imperatore Augusto fu il primo tra i governanti di Roma a intravedere
nella cultura e nell'arte una forma di propaganda celebrativa del primato
politico-militare dell'impero: in suo onore furono eretti nelle province ben 17
archi di trionfo (da notare che spesso questi archi erano decorati da bassorilievi che
narravano episodi della vita di un imperatore o di un eroe romano, ovviamente
in forma enfatizzata).
I romani usavano l'immagine come una sorta di pubblicità, ben sapendo che è un
mezzo di comunicazione più semplice e immediato della parola. La usavano col gusto
della cronaca (e della curiosità) di chi vuole vedere tutto come se fosse
presente all'avvenimento. Ecco perché mettevano di seguito i momenti successivi di un'azione come le sequenze di un
film: in uno stesso paesaggio, o ambiente, la figura principale (di solito
l'imperatore) viene ripetuta col procedere dell'azione. Un esempio di questa
maniera, detta della rappresentazione continua, è appunto quellao della già citata
Colonna Traiana: in una fascia che si snoda a spirale (per più di 200 m.) sulla
superficie della colonna vengono narrate le vicende della guerra vittoriosa sui Daci.
Dopo la conquista dell'Italia meridionale (Magna Grecia) e soprattutto della
Grecia, i romani restarono abbagliati sia dalle opere architettoniche che da
quelle scultoree dell'Ellade, al punto che non solo fecero riprodurre numerose
statue greche per arredare le loro lussuose abitazioni, ma si servirono dei
modelli greci anche per realizzare la statuaria dedicata agli imperatori,
cercando di dimostrare, in questo, d'essere i legittimi eredi della civiltà
ellenica. Da notare che la riproduzione delle statue greche classiche per noi è
molto importante, essendo andati perduti quasi tutti gli originali.
Qualunque imperatore, se voleva colpire l'immaginazione delle masse, doveva
essere presentato di proporzioni gigantesche, con un corpo atletico, in
atteggiamenti retorici e accattivanti.
Nella scultura romana vi sono però anche delle correnti che si oppongono
alla tendenza celebrativa e retorica. Lo si vede dai ritratti realistici, spesso
di destinazione funeraria e di scuola ellenistica, e da opere che risentono di
influenze orientali, come, di nuovo, la famosa
Colonna Traiana, i rilievi della
quale,
anche se raffigurano la guerra contro i Daci, ci mostrano un imperatore molto
umano nel prendere decisioni anche sofferte, e indugiano lungamente sugli stessi
sconfitti, che restano sì "barbari" per i romani, ma capaci di eroismo nel
difendere la loro libertà.
Discorso a parte va fatto per la pittura. Anzitutto bisogna dire che i
dipinti che oggi possiamo ammirare sono sostanzialmente quelli delle pareti
delle case domestiche, in particolare di Ercolano, Stabia e soprattutto di
Pompei, in quanto le testimonianze a nostra disposizione sono piuttosto scarse.
Nulla è rimasto della pittura su tavola.
Questi affreschi venivano dipinti a encausto, ossia a caldo e non a fresco,
come invece si farà dal Medioevo in poi, e si rifacevano spesso alla mitologia
greca, inserendo i personaggi in contesti naturali e paesaggistici molto ampi ed
ariosi.
Anche la
ritrattistica, influenzata dagli etruschi, è presente,
soprattutto in occasione di rituali funerari in uso presso il patriziato, in cui
si portava in processione una maschera di cera che raffigurava con notevole
fedeltà la fisionomia e il colorito del defunto, Queste immagini di cera
vennero ben presto sostituite da busti in scultura, adottati, già in età augustea, da liberti e piccoli commercianti.
Ma l'aspetto più significativo è che la pittura romana è dominata dagli effetti
prospettici, cioè non è una pittura piatta e bidimensionale, ma tridimensionale,
arricchita dall'illusione della profondità spaziale (che non è quella della
continuità del tempo, come nella
Colonna Traiana): nelle pareti delle stanze
questo effetto viene ottenuto dipingendo i personaggi non frontalmente ma di
scorcio, e badando a rispettare le proporzioni, le diverse dimensioni degli
oggetti riprodotti.
In sostanza nella pittura romana si possono distinguere tre stili: quello
dell'illusionismo architettonico (basato sulla presenza di elementi che
definiscono lo spazio), quello delle figure plastiche e geometrizzate (dove
prevale la figura umana) e quello compendiario (una rappresentazione schematica
della realtà, con sommarie macchie di colore, a forti colpi di pennello).
Molto diffusa nel mondo romano agiato era l'arte musiva, di derivazione
ellenistica, come la pittura sul vasellame. La consuetudine di
pavimentare le stanze con mosaici si sviluppò in tutto l'impero. Spesso i
mosaici colpiscono per la loro ricchezza di toni e di tinte, per la precisione
del disegno e per lo spiccato naturalismo.
Da notare che noi spesso non conosciamo per nome gli artisti romani.
COLONNA TRAIANA
L'imperatore Traiano fu l'ultimo grande conquistatore: combatté contro le
popolazioni germaniche, sconfisse i parti, distrusse i daci, invase l'Armenia,
la Siria e la Mesopotamia. Con lui l'impero raggiunse la massima estensione.
La conquista della Dacia fu la sua operazione militare meglio riuscita
(101-106 d.C.). I daci erano una popolazione che occupava le terre a nord del
Danubio, dove ora c'è la Romania.
Erano tribù nomadi, diventate sedendarie col tempo. Nel I sec. a.C. si erano
fuse in un unico grande popolo, per fronteggiare l'avanzata romana.
Traiano fu costretto a organizzare una spedizione particolarmente
agguerrita, che nell'arco di cinque anni ebbe la meglio sui suoi nemici.
Dopo la vittoria le legioni romane restarono in Dacia e la
colonizzarono interamente, costituendo una regione latinizzata, tanto che ancora
oggi si parla una lingua romanza, il rumeno, derivata dal latino, benché la
Romania sia circondata da paesi la cui lingua è di origine slava.
A ricordo di questa guerra fu scolpita a Roma il più grande capolavoro
dell'arte romana: la cosiddetta "Colonna Traiana", posta nel Foro Traiano,
all'interno del Foro Romano.
Scopo di quest'opera non era solo funerario e celebrativo, ma anche
didascalico, in quanto come un lungo papiro il monumento si srotola a spirale, dal basso verso l'alto, senza
interruzioni, raccontando tutte le imprese
dell'imperatore.
La lunghezza di questo enorme papiro di sculture (che fa venire in mente
anche la pellicola di un film) è di ben 200 metri e i giri che compie intorno
alla colonna sono 23. Le figure sono migliaia: solo Traiano è rappresentato 58
volte. Le sculture hanno uno spessore che varia dai due ai tre centimetri.
Conclusa nel 113 d.C. da uno scultore a noi ignoto, ma si pensa che il
progettista sia stato il grande architetto Apollodoro di Damasco, già
progettista del Foro Traiano, la colonna, che è un bellissimo esempio di fusione
tra architettura e scultura, è alta 30 metri, anzi 39,83, se
calcoliamo anche la base, che ha un diametro di sei metri: è come un palazzo di
nove piani.
Nel monumentale piedestallo non sono presenti solo le ceneri di Traiano ma
anche l'inizio di una scala a chiocciola scavata nel marmo e illuminata da molte
feritoie.
La scala permette di arrivare in cima al monumento. Qui in origine c'era una statua in
bronzo di Traiano, che scomparve nel Medioevo e che fu sostituita nel 1587 con
una statua di s. Pietro dal papa Sisto V.
Architettonicamente la colonna è simile a quella di Marco Aurelio, ma con
importanti differenze. Anzitutto tra le imprese di guerra e le azioni di pace
dei soldati romani, prevalgono quest'ultime, mentre in quella di Marco Aurelio
risalta l'azione violenta e dura dei vincitori sui vinti: armi, scudi, lance,
elmetti e corazze si ripetono con ritmi incalzanti.
I bassorilievi della colonna Traiana hanno un carattere pittorico più che
plastico, poiché il modellato e le figure hanno poco volume e anche perché le
superfici dei piani sono trattate in modo morbido e sfumato: non ci sono rilievi
fortemente marcati, come appunto in quella di Marco Aurelio, dove i profili dei
personaggi sono più nitidi, le figure sono schierate, allineate e rinserrate su
diversi piani e dove persino i particolari naturalistici e paesaggistici vengono
considerati del tutto insignificanti.
La narrazione della colonna Traiana è attenta e scrupolosa e corrisponde ai
fatti storici, almeno così come noi li conosciamo. Si possono vedere i soldati
romani passare il Danubio su un ponte di barche e costruire fortificazioni,
Traiano celebrare i sacrifici rituali, parlare alle truppe. Vediamo le
battaglie, l'opera di soccorso ai feriti, la conquista dei villaggi nemici, la
resa degli avversari.
Traiano appare sempre deciso, ricco di personale carisma, un "comandante"
cui l'esercito è fedele, ma anche il capo dei daci,
Decebalo, è visto come
un grande ed eroico guerriero, cui va tributato l'onore delle armi: i romani
vincono su un grande avversario.
PANTHEON
Pantheon significa "tempio di tutti gli dei": è l'unico monumento in stile
classico rimasto integro a Roma. E' l'espressione più alta e matura
dell'architettura romana.
E' dedicato alle divinità, poiché la sua cupola vuola rappresentare la volta
celeste, ma la religiosità che esprime è tutta entro una concezione
naturalistica dell'esistenza, in quanto l'occhio centrale, unica sorgente di
luce, corrisponde al sole, che illumina tutto l'edificio.
Questa luce conferisce un intenso effetto di chiaroscuro all'interno perché
essa varia a seconda del tempo sereno o nuvoloso e a seconda dell'inclinazione
dei raggi solari durante il giorno.
Il tempio ha un'imponente iscrizione nella cornice del portico: "M. Agrippa
L. F. Cos. Tertium Fecit", che si riferisce a un tempio edificato dal console
Agrippa, nel 27 a.C., e da lui dedicato alle divinità tutelari della famiglia
Giulia.
Questo significa non solo che la religiosità ch'esso rappresenta è meramente
naturalistica, ma anche che, per suo mezzo, si voleva glorificare una stirpe ben
precisa, la Giulia, da equipararsi qui alle stesse divinità del cielo.
Ecco qui magnificamente sintetizzata la concezione della religione che
avevano i romani: un culto primordiale alla potenza della natura subordinato al
culto della personalità guerriera. Il Pantheon vuole essere l'espressione del
dominio dell'imperatore, cioè di un uomo superiore alla natura in quanto dio.
Il tempio originario non sappiamo esattamente com'era, poiché quello che
oggi vediamo risale all'epoca dell'imperatore Adriano (117-125). Oggi custodisce
le tombe di italiani illustri e dei re d'Italia.
L'edificio è preceduto da un monumentale pronao composto da otto colonne
corinzie, sormontate da un timpano di sapore classico, a sua volta collegato
attraverso un parallelepipedo alla maestosa cupola emisferica, la più ampia che
mai sia stata voltata prima dell'introduzione del cemento armato.
L'impianto architettonico generale è di grande interesse, in quanto, nonostante le sue notevoli
dimensioni (la misura del diametro della base - 43,20 m. - corrisponde
all'altezza della cupola), non si ha affatto un'impressione di pesantezza o di
staticità.
Anzi, la soluzione dei cinque ordini di cassettoni (riquadri scavati nella cupola
il cui occhio misura 9 m. di diametro) digradanti
a spicchi verso l'alto, conferisce leggerezza non solo alla struttura, ma a
tutto l'ambiente.
Nella parte inferiore lo spazio interno sembra dilatarsi perché animato da
nicchioni rettangolari e semicircolari, nonché da finte finestre. Per diminuirne
il peso, la calotta è stata costruita in calcestruzzo legato con pietra pomice.
Insomma si ha nella stesso tempo un forte senso di monumentalità e di grande
equilibrio.
Il Pantheon fu costruito in mattoni e rivestito con marmo bianco. Ogni
cassettone della volta fu decorato con stelle di bronzo, ora scomparse, dovendo
simboleggiare la volta celeste. I muri vennero foderati di laterizio e riempiti
con gettate di calcestruzzo.
Un tempo la cupola era rivestita esternamente di tegole dorate, perché il
tempio dall'alto dei colli circostanti doveva apparire splendente come il sole.
ANFITEATRO FLAVIO (COLOSSEO)
L'anfiteatro è un edificio di forma ellittica o
circolare (una specie di "doppio teatro", più o meno della forma di un attuale
stadio sportivo), adibito a giochi vari, come lotte di gladiatori, corse di
cavalli o cani, battaglie navali.
A differenza del teatro, i sedili sono disposti intorno all'area intera di
spettacolo.
La parte esterna presenta una ininterrotta serie ritmica di arcate sovrapposte,
che poggiano su robusti pilastri.
Il Colosseo poteva contenere oltre 50.000 spettatori ed essere coperto da un
ampio tendaggio o velario, issato su grossi pali ancorati alla parte esterna del
muro. Ci vollero dieci anni per costruirlo.
CIRCO MASSIMO
Il circo, che serviva per le corse dei carri,
aveva una pianta ovale molto allungata: un'estremità si chiudeva a semicerchio,
mentre l'altra era leggermente ricurva.
Nella prima si apriva la porta triumphalis, quella principale; nella
seconda si trovavano le stalle dei cavalli.
L'arena era divisa in due parti da un muro (spina) abbellito da statue,
colonne e fontane.
Il muro terminava con due colonnine circolari o piramidali (mete) che
indicavano il punto di arrivo o di partenza.
ARCO DI COSTANTINO
Alto circa 25 m. l'arco di Costantino è uno dei
monumenti più completi di Roma, sicuramente il più grandioso dei tre archi
superstiti, è un sorta di museo di scultura romana, essendo composto di elementi
che provengono da monumenti diversi, appartenenti a epoche distanti tra loro, da
Domiziano ad Adriano, fino appunto a Costantino.
Le sue fondamenta risalgono all'età
dell'imperatore Adriano (117-138), anzi l'intera struttura architettonica
inferiore è opera di maestranze dell'età di Adriano. Questa parte era stata
edificata con grande raffinatezza e perizia tecnica, in opera quadrata, con
grandi blocchi di marmo di prima scelta.
Costantino intervenne successivamente, e
precisamente nel decimo anniversario del suo governo (315), quando il Senato
decise di commemorare la sua vittoria su Massenzio nel 312.
Egli avrebbe fatto ristrutturare frettolosamente
un monumento già esistente, aggiungendo la parte superiore dell'arco, coi
quattro pannelli, i cui rilievi raccontano episodi delle guerre contro i Quadi e
i Marcomanni (pannelli che forse risalgono all'epoca di Commodo, che li fece
scolpire in onore del padre Marco Aurelio).
Ai lati si possono vedere le quattro statue che
rappresentano dei prigionieri daci e che sembrano provenire dal Foro di Traiano.
Sulle facciate inferiori, sotto i tondi adrianei,
vennero inseriti i bassorilievi che narrano la campagna contro Massenzio, mentre
alla base e sui piedistalli delle colonne scorrono altri rilievi e decorazioni,
figure allegoriche, vittorie alate e divinità fluviali.
TEATRO DI MARCELLO
I teatri romani, diversamente da quelli greci
edificati lungo pendii collinari, sorgevano sul piano ed erano costruiti in
muratura a semicerchio, quindi necessitavano di robuste strutture per sostenere
la gradinate interne.
Esteriormente presentavano piani sovrapposti di archi, che distribuiscono il
peso su possenti pilastri quadrati.
Il teatro era costituito da tre parti essenziali: la cavea (le gradinate degli
stadi moderni), l'orchestra e la scena.
Il popolo occupava la parte alta dei gradoni della cavea, i patrizi avevano
riservata la parte bassa.
L'imperatore disponeva di una tribuna speciale e al suo fianco era collocata la
tribuna delle
Vestali.
La cavea era costruita a gradoni sostenuti da volte, intercalati da passaggi e
gallerie aventi funzione d'ingresso e uscita.
Al di là dell'orchestra, riservata al coro e alle danze, s'innalzava la scena,
costruita in pietra e decorata da statue, nicchie e colonne.
La scena fissa in muratura impediva la dispersione della voce degli attori.
BASILICA DI POMPEI
A Pompei, la Basilica, cioè il Palazzo di
Giustizia, era una grande corte divisa da due filari di altissime colonne in
un'area centrale, sulla quale si affacciavano due gallerie perimetrali l'una
all'altra sovrapposta, affinché molto pubblico potesse da quei piani assistere
ai giudizi in giornate d'udienza.
La Basilica era il più importante edificio
pubblico di Pompei, sede non solo del tribunale ma anche centro della vita
economica cittadina.
TEMPIO DELLA FORTUNA VIRILE
La religione non ebbe un ruolo centrale nella
civiltà romana.
Se si esclude il Pantheon, i templi romani erano di dimensioni ridotte rispetto
a quelli di altre civiltà antiche.
Anche sotto il profilo architettonico il tempio romano non aveva una sua
autonomia formale: infatti dal tempio etrusco riprese la struttura del basamento
e l'accesso attraverso la scalinata e il pronao (portico a colonne).
Dopo la conquista della Grecia l'attenzione per il tempio crebbe. Si ebbe anche
un arricchimento decorativo, dato dall'uso delle colonne che correvano attorno
alla cella, appoggiate al muro.
Nell'architettura romana le colonne del tempio avevano un carattere
semplicemente decorativo, mentre in quella greca avevano il compito di definire
uno spazio aperto e percorribile.
LE STRADE
Le strade romane erano larghe: dovevano
consentire almeno il passaggio contemporaneo di due veicoli. Seguivano un
percorso pianeggiante, rettilineo, senza rispettare più di tanto le esigenze
dell'ambiente, in quanto avevano uno scopo prevalentemente militare e
commerciale, e, se necessario, si inerpicavano sulle montagne o passavano
attraverso gallerie, la cui costruzione richiedeva complicate operazioni di
calcolo.
Il fondo stradale era sempre convesso, in modo da favorire lo scolo dell'acqua,
mentre il selciato era composto da grandi pietre poligonali ben connesse.
Lungo le strade, al termine di ogni miglio, erano poste delle pietre miliari.
Al tempo di Augusto fu eretta nel Foro romano una colonna di pietra, il miliario
aureo, sul quale, in lettere di bronzo dorato, si indicavano le distanze in
miglia fra Roma e le più importanti città dell'impero.
In Italia le strade principali seguono ancora oggi il tracciato delle antiche
strade romane.
ACQUEDOTTI
ealizzato con fondi statali messi a disposizione
dai censori, il primo acquedotto di Roma è del 313 a.C. L'idea era di
derivazione etrusca.
Dopo di allora a Roma furono costruiti 12 acquedotti che portarono in città
acqua corrente ad usum populi, in una quantità calcolata intorno a un
miliardo e mezzo di litri giornalieri.
Se ne scoprì la necessità al vedere l'aumento vertiginoso delle popolazioni di
molte città dell'impero, che rese insufficiente il rifornimento d'acqua delle
sorgenti locali.
Il sistema degli archi, peculiarità romana, accorciò le distanze, consentendo
un'adduzione quasi rettilinea dall'alto in basso.
Tutti gli accorgimenti tecnici per le pendenze, la velocità e l'impeto delle
acque, il rapporto di distanza e la luce degli archi anche in tre ordini, i
materiali da costruzione, l'estetica furono studiati con grande intelligenza e
precisione.
Furono edificati acquedotti così solidamente che ancora oggi in diversi paesi
europei se ne possono ammirare i resti monumentali (p.es, quello di Segovia o di
Tarragona in Spagna).
Tecnicamente ogni acquedotto era dotato di bacini di decantazione, aperture per
l'aerazione, la manutenzione, la pulizia e la riparazione dei condotti.
Incanalate alle sorgenti, dopo aver attraversato valli e montagne col sistema
dei "sifoni rovesci" (tubi attraverso i quali, sopra le arcate, le acque
discendevano in fondo alla valle per risalire in virtù della propria pressione),
le acque arrivavano sino agli alti serbatoi presso le mura delle città. Da qui
partivano tubi di varie misure (fistole), destinati a portare acqua ai singoli
utenti, previa domanda di concessione.
La costruzione di queste opere colossali era affidata ad appaltatori. L'acqua
perveniva all'enorme rete delle 14 regioni augustee attraverso tubi di piombo,
in quanto le condutture di legno, pietra, terracotta, bronzo erano ritenute
inadatte.
Il piombo, conosciuto a Roma sin dalle origini, veniva soprattutto dalla
Britannia. La sua lavorazione era, come noto, pericolosa per la salute
(saturnismo).
Durante la sua censura Catone il Vecchio fece tagliare i tubi dei ricchi privati
che sottraevano acqua pubblica per deviarla alle proprie ville.
Allo scopo di sopprimere privilegi e abusi, Augusto avocò a sé l'amministrazione
delle acque e le richieste dei privati dovevano essere indirizzate al principe e
non più all'azienda degli acquedotti.
L'eccedenza dell'acqua andava alle "fulloniche" (tintorie, lavanderie) che, coi
bagni pubblici e le grandi ville, pagavano una tassa. Le cloache erano lavate in
permanenza.
Gli schiavi pubblici (dello Stato) addetti agli acquedotti di Romsa si
aggiravano sulle 300-400 unità.
Caduto l'impero gli acquedotti andarono in disuso non tanto per l'arrivo dei
cosiddetti "barbari", quanto perché, in assenza di controlli statali, i ceti più
agiati si appropriarono di queste immense ricchezze, abbandonando le popolazioni
soggette al loro destino. La gestione divenne sempre più privatistica finché
scomparve del tutto.
DOMUS
La domus romana era costruita con mattoni o
calcestruzzo (impasto di sabbia, ghiaia, acqua e cemento) e si componeva di due
parti.
La parte anteriore aveva al suo centro un grande vano (atrio) con
un'ampia apertura sul soffitto, spiovente verso l'interno (compluvio): di
qui scendeva l'acqua piovana, che veniva raccolta in una vasca rettangolare (impluvio)
sistemata nello spazio sottostante.
Nella domus si entrava attraverso la porta affacciata sulla strada (ostium),
che immetteva in un corridoio (vestibolo) che portava fino al cortile
dotato di lucernario (atrium), ma in epoca imperiale si edificherà anche
un ingresso secondario detto portico, posto nella parete più ampia delle
camere.
Sul fondo dell'atrio, proprio di fronte all'entrata, si trovava una grande sala
di soggiorno (tablinum), separata dall'atrio soltanto da tendaggi. In
questa parte della casa erano esposte le immagini degli antenati, le opere
d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobiltà o di ricchezza; qui il
padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati politici.
La vita privata della famiglia si svolgeva di solito nella parte posteriore
della casa, raccolta intorno ad un giardino ben curato, che poteva anche essere
circondato da un portico a colonne (peristilio) e ornato da statue, marmi
e fontane. Le camere da letto si chiamavano cubicoli.
La sala da pranzo veniva chiamata triclinio perché conteneva tre letti a
tre posti, su cui i romani si sdraiavano durante i banchetti. Si trovava
nell'una o nell'altra parte della casa, spesso in entrambe. I triclini erano
lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti. In epoca imperiale
furono soggetti a trasformazioni in esedra, sala per feste e ricevimenti.
INSULAE
Ragioni economiche connesse all'intensa
urbanizzazione che si verificò dopo il crollo della piccola proprietà terriera,
assorbita dal latifondo, determinarono il diffondersi sempre più frequente di
edifici di abitazione per più famiglie, composti di appartamenti in affitto,
disposti su più piani: le cosiddette "insulae", cioè "isole", donde il termine
di "isolato".
Gli appartamenti erano costituiti da una serie indistinta di ambienti tutti
uguali, che potevano raggiungere anche i sette-otto piani. Nella Roma imperiale
ve n'erano almeno 44.000.
Rudimentali servizi igienici di uso collettivo erano raggruppati nel vano delle
scale e nel cortile. C'era una sola fontana.
L'aerazione avveniva attraverso le ampie aperture rettangolari che erano
disposte simmetricamente sulla facciata.
A causa della precarietà dei materiali impiegati e per la sommaria tecnica di
costruzione, non erano infrequenti crolli e incendi.
CLOACA MASSIMA
Questa infrastruttura è la più grande fogna
antica conosciuta. Attraversava il Foro di Nerva, il Foro Romano e il Velabro
per giungere fino al Tevere.
Fu costruita così solidamente e con tale lungimiranza che venne utilizzata dai
romani per oltre 2500 anni. La cloaca è larga e alta 3 metri; scorre a circa
dodici metri sotto il livello attuale; una parte della cloaca (all'altezza della
Torre dei Conti) è a tutt'oggi ancora funzionante.
La tradizione vuole che siano stati i re etruschi Tarquinio Prisco e Tarquinio
il Superbo (VI secolo a.C.) ad avviare la costruzione del tratto iniziale della
cloaca, con l'obiettivo di bonificare la valle del Foro Romano fino al Tevere.
Infatti le fognature e le condutture d'acqua non furono invenzioni dei romani;
già erano presenti in altre civiltà orientali, ma furono i romani a trasformarle
in grandi strutture al servizio di tutti i cittadini.
MUSICA
La musica presso gli antichi romani si sviluppò
grazie agli influssi della musica etrusca e greca.
L'influenza greca divenne preponderante quando i
romani conquistarono la Grecia e la Macedonia (II sec. a.C.) e ne adottarono gli
elementi più caratteristici del sistema musicale.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermavano i
greci, i romani non ritenevano la musica culturalmente formativa, anche se le
riconoscevano virtù terapiche, una sorta di medicina per curarsi da certe
malattie.
In quanto popolo di condottieri e di dominatori,
i romani preferivano utilizzare la musica soprattutto per incitare i soldati
nelle battaglie, per solennizzare cerimonie ufficiali, di guerra o di pace, in
occasione di parate militari, feste civili, ma anche nei riti propiziatori a
sfondo religioso.
Solo col tempo la musica cominciò ad essere
adottata anche nei banchetti, nei matrimoni, nei funerali...
Nel I sec. a.C. la musica e anche il coro
cominciarono ad apparire in nuovi tipi di spettacolo, come ad es. la pantomima,
che rappresentava scene di vita quotidiana o scene storiche e mitologiche.
Il primo teatro stabile a Roma fu fatto erigere
da Pompeo nel 55 a.C.
Nel 17 a.C. il Carme Secolare di Orazio
viene eseguito con canti e strumenti musicali.
Nella società romana la musica perse quell'aspetto
di religiosità che aveva presso molti popoli più antichi e si limitò a scandire
le varie fasi della vita umana. Fu del tutto trascurata la musica melodiosa e
patetica, intima e personale.
Nel tardo impero si diffuse a Roma la moda dei
concerti strumentali e vocali: i virtuosi erano ricercati e ben pagati e
occupavano un posto di prestigio presso le corti degli imperatori.
I romani utilizzavano principalmente strumenti a
fiato come la tibia, strumento ad ancia doppia simile all'aulos greco, la
tuba, tromba di diversa lunghezza, il cornu o buccina,
strumento di metallo ricurvo terminante con un padiglione (simile ad un corno da
caccia), che venivano usati anche per dare segnali militari. In particolare la
tuba e la buccina ritmavano la vita dell'accampamento e davano il segnale della
battaglia.
E' lo storico Flavio Vegezio che descrive l'uso
militare di questi strumenti musicali: "Ogni legione possiede suonatori di
tromba, di corno e di buccina. La tromba chiama i soldati all'assalto e alla
ritirata. Quando suonano i corni, a tale segnale rispondono non i soldati ma i
vessilliferi. Ancora le trombe suonano per invitare i soldati a uscire per
qualche missione.
Durante la battaglia suonano insieme trombe e corni.
La buccina chiama all'assemblea. E' anche un segno di comando: suona infatti
davanti al generale, e quando si conduce a morte un soldato, per sottolineare
che tale esecuzione si fa per disposizione dell'autorità.
Ancora al suono della buccina si monta o si smonta sia la guardia ordinaria sia
quella fuori campo, o quando si va in missione, o quando si passa in rassegna
l'esercito. A questo segnale infine s'interrompono i lavori.
I corni suonano quando occorre far marciare o arrestare i vessilliferi.
Tutti questi segnali si provano durante le esercitazioni e per tutto il servizio
militare"(Le Istituzioni militari, IV sec. d.C.).
Fra gli strumenti a corda ricordiamo la cetra,
la lira; a percussione, timpani, tamburi e cimbali,
il sistro, i crotali (specie di nacchere).
Sul potere della musica abbiamo scritti di
Cicerone. In età imperiale sappiamo ch'era studiata a corte (lo stesso Nerone
cantava accompagnandosi con la cetra).
Purtroppo non ci è giunta nessuna composizione su
testo latino della musica romana antica, se si esclude un frammento con
notazione greca di una commedia di Terenzio, l'Epitaffio di Silicio e un Inno
Delfico ad Apollo, di provenienza greca, del 128 a.C., in cui un certo Limenio
canta la grandezza di Roma che aveva appena occupato la Grecia.
Roma comunque, diventando a fine secolo uno dei
centri di irradiazione del cristianesimo, favorì la diffusione della musica dei
primi cristiani, la cui più importante espressione di tutto l'Alto Medioevo fu
il canto corale o gregoriano.
Il primo documento di canto cristiano giunto a
noi è il Papiro di Ossirinco, del I-II sec. d.C.: uno xilofono punteggia una
preghiera dedicata alla Trinità.
Nel IV sec. d.C. si diffonde in occidente l'uso
orientale delle campane.
- A. Bujoni, I romani urbanisti e architetti, ed. Loescher, Torino 1963
- R. Bianchi Bandinelli, L'arte romana al centro del potere, ed. Rizzoli,
Milano 1976
- Id, La fine dell'arte antica, ed. Rizzoli, Milano 1976
- L. Storoni Mazzolani, L'idea della città nel mondo romano, 1967
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