LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


Condizioni della Grecia e della Persia
alla vigilia dell'impresa di Alessandro Magno

Alessandro Magno

(a) La Grecia europea

Abbiamo già ampiamente trattato della condizione interna della Grecia a partire dalla fine dalle guerre del Peloponneso. Disintegrazione territoriale e politica (nonché, quindi, un costante stato di guerra intestina); decollo definitivo di un modello produttivo di carattere schiavistico (basato cioè, anziché sull'impiego di manodopera libera e salariata, su quello di una forza-lavoro schiavile, il cui abbondante afflusso - dovuto alle guerre - finiva gradualmente per soppiantare i ceti più bassi della popolazione nell'espletamento dei lavori più umili, creando col tempo delle vaste aree di povertà, oltre che - naturale conseguenza di ciò - un fenomeno sempre più ampio e diffuso di parassitismo statale…); ed infine, ultimo fattore, risultato dell'espansione costante dei mercati (dovuta a un notevole aumento della produttività, soprattutto per ciò che riguarda le grandi proprietà), una costante ricerca di nuovi sbocchi e approvvigionamenti commerciali: erano questi, in estrema sintesi, i dati caratterizzanti la società greca dell'epoca (e, in particolar modo, le zone più ricche ed economicamente avanzate di essa).

Già il grande oratore Isocrate del resto, aveva 'suggerito' a Filippo l'idea di intraprendere la conquista delle lontane regioni asiatiche - parte del colosso persiano -, al fine di dare una risposta alle molte contraddizioni ed esigenze che da tempo attanagliavano le città-stato greche, minandone la pace e la tranquillità interne!

Tra tali esigenze vi era - in primo luogo - quella di procacciarsi delle nuove terre, da elargire ai cittadini caduti in disgrazia nella spietata competizione economica, ovvero in quel processo di crescita costante delle grandi proprietà agricole, che espropriavano e depauperavano sempre di più tanto i cittadini minuti (teti) quanto i piccoli proprietari terrieri (le cui risorse produttive infatti, non potevano certo competere con quelle dei grandi latifondisti).

Quel che insomma Isocrate desiderava fare con la Persia - ovvero, probabilmente, con la parte più occidentale di essa -, era ciò che Atene aveva fatto in precedenza con le proprie alleate, confiscando loro territori e trasformandoli in colonie (cleruchie) su cui insediare poi i propri cittadini più bisognosi.

A questo, si aggiunga il fatto che l'orgoglio ellenico non avesse ancora dimenticato le pesanti offese arrecate nei precedenti decenni dal vicino impero asiatico alla propria dignità e alla propria integrità territoriale, e assieme a ciò l'ideale nazionale, che rimaneva pur sempre vivo, di liberazione delle città greche dell'Asia Minore dal giogo del Gran Re, sotto cui - come si ricorderà - esse erano recentemente ritornate (e in realtà anche con qualche vantaggio, data la maggiore stabilità politica di tali regioni, bene o male unite sotto il comando di un unico sovrano).

Abbiamo con ciò delineato quelle che al tempo furono, con ogni probabilità, le ragioni (di natura sia politico-economica, sia morale ed ideologica) che spinsero gli stati della Lega greca, o "Lega di Corinto", ad avallare un intervento del sovrano macedone - prima di Filippo, e successivamente di suo figlio Alessandro - contro i territori più occidentali della vicina potenza persiana.

(b) La vicina Persia

Parleremo ora molto brevemente - anche perché essa rimane, a tutt'oggi oggi, scarsamente nota - della situazione dell'Impero Achemenide nei decenni che precederono la discesa di Alessandro Magno.

Come già aveva dimostrato - ad esempio - la spedizione dei 13.000 mercenari greci al soldo del pretendente al trono persiano, Ciro (già descritta all'inizio del presente capitolo), la Persia era da anni oramai divisa al suo interno da conflitti dinastici che ne indebolivano il potere centrale, alimentando al tempo stesso le spinte centrifughe di carattere indipendentista dei vari satrapi locali [1], a tutto svantaggio ovviamente della propria capacità difensiva rispetto a eventuali aggressioni esterne.

D'altra parte i satrapi, che molto spesso si trovavano in contrasto con il potere del Gran Re, non aspiravano certo a difenderlo - ciò che in gran parte spiega l'arrendevolezza mostrata da molti di essi di fronte ad Alessandro e ai suoi eserciti.

Ma la debolezza dell'Impero persiano era - si badi - soprattutto di carattere politico e amministrativo, riguardando di solito più le elitès di potere cui era delegato il dominio delle varie satrapie, che non la base produttiva e sociale degli stati che ne facevano parte.

Per tale ragione, possiamo dire che Alessandro, e i diadochi dopo di lui, avrebbero ereditato con la conquista dei territori dell'ex-Impero persiano delle regioni essenzialmente 'sane' dal punto vista economico e sociale - territori che secoli di dominazione persiana non solo non avevano scalfito, ma la cui evoluzione e il cui sviluppo avevano in certi periodi anche favorito.

- Personalità e formazione di Alessandro Magno

Se, come si è già detto, le condizioni esterne e oggettive delle regioni che furono oggetto di conquista da parte di Alessandro Magno, non bastano da sole a giustificare le imprese militari e politiche di quest'ultimo, è giocoforza trovare nella personalità del giovane sovrano macedone la causa più profonda e cogente alla base di esse.

D'altronde, per comprendere la psicologia di una persona, non basta di solito soffermarsi sul suo temperamento istintivo, ma si deve anche indagare il retroterra sociale e culturale a partire dal quale questi formava le sue più profonde convinzioni, e con ciò appunto, la sua stessa personalità.

Nel caso di Alessandro Magno, decisiva in tal senso fu senza dubbio la convinzione - legata alle tradizioni regali macedoni ed epirote - di discendere da una (o meglio da due…) stirpi 'divine': quella di Achille e di sua madre, la dea Teti, da parte della madre Olimpiade; e quella di Ercole (un semidio) da parte di suo padre Filippo e della dinastia macedone degli Argeadi.

Una tale tradizione, almeno per ciò che riguardava gli Argeadi, aveva origini abbastanza remote, ed era espressione sia della volontà di avvicinamento di alcuni re macedoni alla nazione greca (con le cui stirpi essi sostenevano, in tal modo, di essere imparentati), sia del bisogno di giustificare la propria egemonia nei confronti di quelle casate nobiliari le quali - come si ricorderà - troppo spesso tendevano a misconoscerne il primato politico.

D'altra parte, anche nella tradizione culturale greca era presente l'idea di una regalità le cui basi fossero divine, come ampiamente attestato dalla mitologia. Né va inoltre dimenticato come una simile idea, soprattutto con il dilagare dei conflitti intra-greci dopo la fine delle guerre del Peloponneso, avesse riacquistato tutta la sua antica vitalità, come dimostrano le ricorrenti 'deificazioni' di quei condottieri - quali ad esempio lo spartano Lisandro - il cui carisma e la cui 'natura divina' potevano costituire - secondo un'opinione ampiamente condivisa tra la gente comune - un valido baluardo di fronte al caos politico dilagante nel mondo ellenico.

Ma, tornando ad Alessandro, fu molto probabilmente l'istintiva convinzione di questi nella propria divinità - o, comunque, in una propria netta superiorità rispetto agli altri uomini - ciò che lo motivò a intraprendere quel lungo percorso di conquista il cui fine divenne presto quello di creare un Impero universale nei confini, e organizzato inoltre sulla base di una piramide di poteri convergenti tutti nella sua persona (un'ambizione questa che, come vedremo, lo rendeva particolarmente ricettivo nei confronti delle tradizioni politiche asiatiche, e in particolare di quelle persiane).

Altro elemento essenziale per comprendere la figura del sovrano macedone, fu senza dubbio l'ascendete su di lui esercitato dal grande filosofo Aristotele.

Non che si possa riscontrare una diretta influenza delle teorie filosofiche (e politiche) di quest'ultimo sull'azione pratica del primo. Il regno che Alessandro riuscì infatti a realizzare, fu l'esatto contrario di quelle libere città-stato che il filosofo considerava come la dimensione naturale dell'uomo greco, cioè dell'uomo come tale! Così come, del resto, la mescolanza di razze posta in essere dal conquistatore macedone (che successivamente divenne uno dei caratteri peculiari dei regni ellenistici) costituiva un'aperta violazione del principio aristotelico di superiorità dei Greci rispetto ai vicini popoli orientali (i 'barbari'). Bisogna però anche sottolineare come Aristotele, negli anni in cui svolse il suo compito di educatore del futuro sovrano macedone, non avesse probabilmente ancora elaborato quel complesso di teorie per cui è oggi ricordato - ciò che renderebbe meno sorprendente il baratro esistente tra il suo (successivo) insegnamento, e le coordinate dell'azione politica di Alessandro Magno.

Che in ogni caso, quest'ultimo ricevesse molte e prolifiche suggestioni dall'insegnamento del grande filosofo greco, è un fatto assolutamente indubbio. In particolare, probabilmente, egli ricevette da questi un forte stimolo verso l'indagine empirica, e in generale un notevole incoraggiamento a coltivare la conoscenza del reale in tutte le sue forme (oltre che, chiaramente, una raffinata preparazione culturale, consistente in una conoscenza non superficiale della cultura e delle filosofia greche.)

Tutti aspetti che, senza alcun dubbio, ritroviamo - seppur larvatamente - nella sua concezione dello Stato, inteso come vera e propria mescolanza tra diverse culture e tra diversi idiomi (come dimostrarono tra l'altro, le sue scelte di politica dinastica durante il periodo della dominazione persiana, in qualità di erede della dinastia achemenide) nonché, in generale, in quella morbosa curiosità nei confronti dell'ignoto che, molto probabilmente, fu uno dei fattori che lo spinsero a portare avanti "all'infinito" il percorso di conquiste e annessioni di nuovi territori.

Possiamo dunque dire, che fossero due le idee fondamentali alla base della personalità - e quindi anche dell'azione - di Alessandro Magno: da una parte la volontà - inizialmente solo latente, ma in seguito anche esplicita - di instaurare un dominio assoluto sia sul piano territoriale, che su quello politico-istituzionale (un aspetto quest'ultimo, che entrava in aperto contrasto con le tradizioni politiche greco-macedoni, che attribuivano al potere regale un valore solo relativo, e per le quali esso era limitato dal giudizio e dall'approvazione se non di tutta, di una parte almeno della popolazione); e dall'altra, a livello politico-culturale, quella concezione 'sincretistica' che negli ultimi anni della sua vita si sarebbe inverata - come vedremo più avanti - in un tentativo di fusione tra le elitès di comando greco-macedoni e quelle indigene, persiane ed iraniche.

A questo poi, si aggiungano il coraggio e la tenacia : due attributi che, oltre ad essere tipici di ogni sovrano-guerriero (e quindi anche dei sovrani macedoni), erano qualità di cui Alessandro era per sua natura eccezionalmente dotato.


[1] Indicativa di una simile situazione fu la vicenda dell'Egitto, un paese da sempre riottoso a subire qualsiasi dominazione straniera, che alcuni anni prima si era ribellato con successo al potere dei satrapi persiani guadagnando una nuova indipendenza, ma che presto era ritornato, negli anni della reggenza di Artaserse III (un sovrano estremamente energico), sotto il giogo persiano.

Il fatto poi che una tale regione fosse stata ripresa sotto la dominazione persiana, ci fa comunque capire come la Persia fosse ancora capace di azioni efficaci - contro l'idea, davvero esagerata, di un Impero oramai allo sfascio! (torna su)


a cura di Adriano Torricelli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015