Giotto, Ingresso di Gesù a Gerusalemme
Libro primo
I Vangeli e il loro retroterra storico-culturale
5. IL VANGELO DI GIOVANNI
... uno scritto dottrinale totalmente astorico.
(Heinrich Ackermann, Entstellung und Klärung, 34)
Fin dal II secolo gli Alogi 1 si resero conto che questo Vangelo si differenziava sostanzialmente dai tre Sinottici, tracciando un'immagine di Gesù completamente diversa. Nel XIX secolo i teologi David Friedrich e soprattutto Ferdinand Christian Baur dimostrarono brillantemente ch'esso fu ideato in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla realtà storica, e che va inteso in senso squisitamente allegorico. Esso non può costituire una fonte per la predicazione di Gesù, ma piuttosto per il Cristianesimo dell'epoca postapostotica 2.
Il Vangelo di Giovanni non fu composto
dall'apostolo Giovanni
... il risultato ovvio di un'indagine non preconcetta, sul quale non può sorvolare nessuno storico serio e rispettoso della scientificità della ricerca. Fa semplicemente pena voler contrapporre degli espedienti apologetici all'evidenza dei fatti.
(Il teologo Hirsch) 3
Da oltre cent'anni, l'intera bibliologia critica disconosce l'attribuzione all'apostolo Giovanni del quarto Vangelo, dopo l'opera sagace del teologo Karl Theophil Bretschneider, apparsa nel 1820 (Probabilia de evangelii et epistularum Joannis apostoli indole et origine), e i lavori di D.F. Strauß e F.C. Baur. In epoca più recente i loro ranghi sono stati irrobustiti anche da un certo numero di ricercatori persino più conservatori, come anche la parte cattolica è costretta ad ammettere (Wikenhauser, 205).
Il quarto Vangelo vide la luce come minimo intorno all'anno 100, mentre il martirio dell'apostolo Giovanni ebbe luogo alcuni decenni prima, giacché venne ucciso col fratello Giacomo (Atti, 12, 2) nel 44, durante il regno di Erode Agrippa I, oppure (più verosimilmente) 4 nel 62, insieme a Giacomo, fratello del Signore.
Nel Vangelo di Marco, il martirio dell'Apostolo (passato serenamente a miglior vita in età avanzata, secondo la dottrina della Chiesa) è profetizzato dallo stesso Gesù, vale a dire che Marco gli attribuisce successivamente la paternità della profezia. Allorché Giacomo e Giovanni lo pregano di poter sedere alla destra e alla sinistra della sua gloria, egli domanda:
"Potete bere il calice, che io dovrò bere, o patire il battesimo col quale sarò battezzato?";
e quando essi risposero affermativamente, egli profetizza (con gli Evangelisti, all'incirca fra gli anni 70 e 80!!):
"Voi berrete il calice che io dovrò bere, e anche voi sarete battezzati col battesimo, col quale sarò battezzato" 5.
Il calice di cui parla Gesù riguarda evidentemente il suo martirio e, altrettanto chiaramente, quello dei due apostoli Giacomo e Giovanni. Di Giacomo, figlio di Zebedeo, è nota anche la morte come martire, e sicuramente Marco era al corrente anche del martirio di Giovanni, altrimenti non avrebbe messo in bocca a Gesù quella frase, un chiaro vaticinium ex eventu. Sia il Martirologio Siriano sia quello Armeno del 411 menzionano come martiri "Giovanni e Giacomo, gli Apostoli, a Gerusalemme" 6.
Contro la paternità dell'apostolo Giovanni depone poi il fatto che fu sostenuta per la prima volta da Ireneo (adv. haer. 3, 1, 1), alla fine del il secolo; mancano testimonianze precedenti, e tutte quelle successive poggiano sulla prima. Per altro, Ireneo si lascia sfuggire diverse imprecisioni significative: ha confuso, probabilmente non a caso, l'apostolo Giovanni, che, a suo dire, visse in Efeso fino ad età avanzata, col vescovo Giovanni di Efeso, che visse in quella città intorno all'anno 100 7. Come attesta il vescovo Papias, questo Giovanni, una personalità evidentemente assai stimata in Asia Minore, si chiamava ancora intorno al 140 Presbyter, e subito dopo Apostolo.
è degno di nota in questo contesto che l'autore della Seconda e della Terza Epistola di Giovanni, che la Chiesa assegna, come d'altra parte tutti gli scritti giovannei, all'Apostolo, ogni volta si definisce all'inizio come "Il Presbyter". Ma perché, se egli era l'Apostolo? Perchè lo stesso Padre della Chiesa Gerolamo 8 disconosce all'Apostolo la Seconda e la Terza Epistola di Giovanni? E perché persino il papa Damaso I in un indice dei libri della Bibbia, da lui composto nel 382, attribuì due delle Epistole di Giovanni non all'apostolo Giovanni, bensì a un "altro Giovanni, il Presbyter" (alterius Johannis presbyteri)? 9.
Analogie onomastiche hanno spesso condotto la Chiesa antica a scambi vantaggiosi ovvero a vere e proprie azioni di contrabbando: in maniera del tutto analoga, ad esempio, sempre in Asia, alla fine del II secolo, l'"Evangelista" Filippo, più volte menzionato negli Atti degli Apostoli, divenne l'"Apostolo" Filippo. Lo stesso Ireneo, inoltre, ha confuso Giacomo, fratello dell'apostolo Giovanni, con Giacomo, fratello di Gesù.
A sfavore dell'identificazione dell'apostolo Giovanni col quarto Evangelista depone anche il fatto che il più esperto conoscitore dei fatti della Chiesa d'Asia Minore, il vescovo Ignazio (Ignat. Eph. 12, 2), non ne sa nulla: non se ne trova il minimo accenno. In una lettera agli efesini, Ignazio ricorda espressamente Paolo (Ign. Eph. 12, 2), il celebre fondatore di quella comunità, ma non cita neppure di passaggio l'apostolo Giovanni, che sarebbe vissuto e avrebbe operato a lungo proprio lì, amato e venerato da tutti, fin quasi ai giorni della nascita dell'opera di Ignazio. Le lettere di Ignazio, poi, non denotano alcuna influenza del quarto Vangelo, che pure avrebbe potuto fornire argomentazioni brillanti a questo fiero oppositore degli eretici.
Pesanti riserve, infine, contro la composizione di questo Vangelo da parte dell'apostolo Giovanni scaturiscono dal carattere del testo medesimo. Sarebbe stato scritto ben diversamente, qualora fosse stato redatto dal figlio di Zebedeo, il discepolo di Gesù, o sarebbe stato perlomeno una garanzia della personalità del suo redattore; infatti, lo spirito dell'Apostolo, quale è a noi noto attraverso i Sinottici, nulla ha a che fare con l'Evangelista.
Il quarto Vangelo è lo scritto più antiebraico del Nuovo Testamento: cosa ben strana, se Giovanni, il missionario fra i giudei, una delle "colonne" della comunità gerosolimitana, fosse divenuto un tale odiatore di ebrei. E poteva forse lui, l'ebreo-cristiano, continuare la teologia paolina, fondamento del Vangelo di Giovanni, ma combattuta dalla primitiva comunità giudaico-cristiana? E come si concilia il Giovanni sinottico, il "figlio del tuono" (Mc. 3, 17), col pacifico, dolce discepolo preferito di Gesù del quarto Vangelo? E com'è che questo Vangelo, che menziona vari discepoli di Gesù, non cita mai Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, tanto spesso in primo piano nel racconto dei Sinottici?
E infine: se l'autore del Vangelo fosse davvero l'apostolo Giovanni, lo avrebbe scritto all'età di circa 100-120 anni, due, tre generazioni dopo la morte di Gesù; il che è francamente inverosimile: già da decenni erano stati scritti Vangeli da altri, che non avevano conosciuto Gesù; perché avrebbe dovuto aspettare per tanto tempo? Forse per la fiacchezza della memoria propria dell'età avanzata, con la quale oggi si cerca di giustificare le contraddizioni fra il Vangelo di Giovanni e i Sinottici?
Ma si tralascia o si sottace che "Giovanni", a dispetto dei disturbi di memoria, ha tenuto a mente più di loro discorsi di Gesù assai più ampi!, che stridono in modo davvero singolare con l'ispirazione divina e le amnesie! e che anche i Sinottici spesso si contraddicono, benché le differenze fra il quarto Evangelista, presunto testimone oculare, e i suoi predecessori, siano particolarmente grossolane e numerose.
Vediamo ora di fare una breve verifica.
Molte affermazioni del quarto Evangelista sono assolutamente inconciliabili coi Sinottici
Nei Sinottici Gesù chiama i suoi primi discepoli dopo l'arresto del Battista, in Giovanni prima (Cfr. Mc. 1, 14 con Jh. 1, 35 sgg.); nei Sinottici li chiama in Galilea, in Giovanni nella Giudea; nei Sinottici li incontra mentre pescano sul lago di Genezareth, in Giovanni sono discepoli di Giovanni il Battista (Cfr. Mc. 1, 16-20; Mt. 4, 18-22; Lc. 5, 1-11; Jh. 1, 35-51); nei Sinottici Gesù sceglie prima di tutti Pietro e Andrea, in Giovanni prima un anonimo e Andrea, quindi Pietro (ibid.). Nel quarto Vangelo ciò non viene narrato, ma molti vorrebbero superare le contraddizioni del testo dicendo che solo un secondo incontro con Gesù avrebbe condotto alla definitiva unione coi discepoli. In effetti, il fatto che nei Sinottici gli obbediscano immediatamente, costituisce proprio il punto culminante della storia 10.
Secondo Marco, Gesù avrebbe iniziato la sua attività pubblica dopo l'arresto del Battista da parte di Erode, nel Vangelo di Giovanni egli ha per qualche tempo operato insieme a lui (Cfr. Mc. 1, 14 con Jh. 3, 22 sgg. e 4, 1). Un evento tanto clamoroso come la purificazione nel tempio, che in Matteo e Luca si verifica il primo giorno dopo l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, in Marco il secondo giorno, e in ogni caso, in tutti i Sinottici, verso la fine della sua attività pubblica, in Giovanni accade all'inizio di essa 11.
Diversamente dai Sinottici, Giovanni afferma che Cristo cacciò dal tempio anche pecore e buoi, ma nel tempio non si vendeva affatto bestiame, ma solo colombe! 12
L'unzione di Gesù in Betania costituisce in Marco la conclusione
della sua opera in Gerusalemme, in Giovanni, invece, accade prima
del suo ingresso in questa città
13
Gesù mantiene celata la sua missione messianica in Marco fino
all'interrogatorio davanti al Sommo sacerdote, in Giovanni appare
come Messia già nel primo capitolo, e pretende inoltre di essere
riconosciuto tale dappertutto 14.
Nemmeno sulla data della crocifissione Giovanni si trova d'accordo coi Sinottici: secondo questi ultimi Gesù muore dopo aver festeggiato, il giorno prima, il banchetto pasquale coi discepoli, il 15 Nisan; secondo Giovanni viene crocifisso già prima della Pasqua, il 14 Nisan.
Nei Sinottici, che indicano solo una festività pasquale, l'uscita in pubblico di Gesù abbraccia un anno, un lasso di tempo che, data l'inaffidabilità della loro cronologia, non può essere determinata con certezza, ma che tuttavia appare assai verosimile; (certi teologi parlano addirittura di pochi mesi); per Giovanni, invece, nel quale si riscontrano due, forse tre differenti celebrazioni pasquali (Jh. 2, 13; 6, 4; 11, 55), l'attività pubblica di Gesù durò almeno due anni, o anche tre, come ritennero già Origene e Gerolamo.
Origene ci informa poi del fatto che, di fronte alle lampanti contraddizioni fra la tradizione sinottica e quella giovannea, molti cristiani giudicarono falsi i Vangeli, abbandonando la fede in essi 15; ciononostante il grande scrittore ecclesiastico li esorta a ricercare il loro vero significato spirituale e ad attenervisi, anche nel caso acclarato di un errore storico (ibid.).
Il Vangelo di Giovanni poté diventare utilizzabile dalla Chiesa solo mediante un'opera di rimaneggiamento
Inoltre, questo Vangelo, nato probabilmente in Asia o in Siria al principio del II secolo (come anche la Prima Epistola di Giovanni), venne rimaneggiato alcuni decenni più tardi, perché la Chiesa aveva condannato l'originale; e se non fosse stato troppo noto e popolare, forse lo avrebbe fatto scomparire del tutto. E così, verso la metà del II secolo, questo "scritto eretico" venne ecclesiastizzato da un anonimo redattore, che, limitandosi ad aggiunte senza ricorrere a soppressioni, non poté evitare le incongruenze. Nel testo antico gli ebrei figuravano quali creature del demonio: nella sua rielaborazione la salvezza viene proprio da loro 16! Interpolazioni ecclesiastiche più consistenti sono la pericope dell'adultera (Jh. 7, 53; 8, 11) e l'intero capitolo 21 17. Si può desumere, insomma, che il Vangelo si concluda col capitolo 20.
Il rimaneggiamento ecclesiastico si propose, fra l'altro, di far apparire il Vangelo come opera dell'apostolo prediletto Giovanni; e anche se il suo nome non viene menzionato, esso provvide non senza astuzia a che si proponesse, per così dire, da solo. I cristiani d'Asia Minore credevano di sicuro alla paternità dell'Apostolo, evincendone il nome dal testo più agevolmente che se egli stesso lo avesse dichiarato apertamente.
Negli ambienti "ortodossi", come già accennato, in un primo momento il Vangelo di Giovanni, pur così popolare, non godette di una buona fama. Gli "eretici" Valentino ed Eraclio lo rivalutarono per primi, riconoscendovi l'espressione di una personale convinzione religiosa 18. Eraclio ne scrisse persino il primo commento. Sembra anche che lo preferissero gli eretici montanisti; al contrario, non viene menzionato da nessuno dei Padri apostolici. E persino la Roma ecclesiastica vi si contrappose duramente sulle soglie del II secolo, talvolta con repulsione esplicita 19. In seguito, però, la Chiesa cominciò a porre in secondo piano o a reinterpretare attraverso il quarto Vangelo i Sinottici, più antichi e perciò più arretrati. In fondo, per gli scopi della Chiesa ufficiale, esso appariva più fecondo, nella misura in cui con la sua rappresentazione di Cristo - e con ciò ci ricolleghiamo al capitolo precedente - il processo di divinizzazione di Gesù era pressoché compiuto.
"Giovanni" e il suo Eroe
In questo Vangelo, ormai profondamente caratterizzato da tratti teologici e apologetici, il Gesù storico non ha più alcun ruolo. Secondo una sua esplicita attestazione, esso venne scritto per provare la divinità del Cristo (Jh. 20, 31).
Le notizie dei Sinottici, usate dall'Evangelista a suo piacimento, vengono spesso radicalmente riplasmate; si comporta, come è stato spesso osservato, come un drammaturgo nei confronti della sua materia 20. La Galilea, patria di Gesù, nei Sinottici il palcoscenico autentico della sua attività pubblica, qui scompare: Gesù opera perlopiù a Gerusalemme, sicuramente una reazione apologetica all'accusa degli ebrei, secondo la quale il divino Messia, originario del villaggio di Nazareth, per tutta la vita avrebbe predicato davanti alla povera gente ignorante della provincia, limitandosi a una brevissima comparsa a Gerusalemme.
Parole o echi del Gesù sinottico sono rare nel quarto Vangelo; eppure proprio i discorsi rappresentano la materia più importante dei Sinottici: spesso è assai incerto se parli Gesù o "Giovanni", tanto è impercettibile il trapasso dalla narrazione al commento 21. Il Cristo giovanneo parla solo in apparenza con la gente con cui l'Evangelista lo circonda; essa scompare dopo aver servito alla tecnica e alla dogmatica del narratore, il quale predica ormai alle comunità cristiane del II secolo, come ben dimostra il "colloquio" di Gesù con Nicodemo, bramoso di salvezza (Jh. 3, 1 sgg.), che l'autore pone di fronte a tutta una serie di dogmi creati successivamente, che Nicodemo non avrebbe mai capito, come, del resto, tutti i contemporanei di Gesù. Né era il suo linguaggio, ma quello dell'Evangelista, il quale scriveva per persone colte, con esangui allegorie e didattica monotonia, per combattere contro gli "eretici". Il Gesù storico non avrebbe entusiasmato le masse con discorsi simili, e i suoi avversari non lo avrebbero ritenuto pericoloso, ma tutt'al più pazzo.
Le tradizioni sinottiche intorno a Gesù, già assai lontane dalla realtà storica, nel Vangelo di Giovanni vengono completamente mitizzate. La concezione della "vita eterna" diventa più rilevante del "Regno di Dio" (Solo Jh. 3, 3-5), la figura del Messia rimuove l'idea del regno messianico, la sublimità del Predicatore l'oggetto della predicazione. Mentre il Gesù sinottico parla relativamente poco di sé, qui si colloca al centro dell'attenzione e fa della propria missione e divinità l'oggetto quasi esclusivo della propria predicazione. Già nel III secolo lo scrittore Origene osserva che nei Sinottici Gesù appare ancora più "umano" 22.
In realtà, in "Giovanni" egli viene pressoché divinizzato e, a differenza dei predecessori, si aggiunge anche la tesi della sua preesistenza: egli proclama che Gesù è stato prima di Abramo e che la fede nella sua mediazione è il presupposto per ottenere la salvazione: "chi vede me vede il Padre" 23 Molti attributi religiosi propri del tempo vengono assegnati a Gesù, tanto che molte definizioni mal si conciliano fra loro, come "Re dei giudei" e "Redentore del mondo". Il Cristo giovanneo è giudice del mondo e viene chiamato, addirittura "Dio" (Jh. 5, 22 sg.; 20, 28).
Si cominciarono a percepire come strane le preghiere di Gesù a Dio, che sarebbe dovuto essere lui stesso: il quarto Evangelista inserisce ripetutamente ed eloquentemente l'osservazione che l'atto della preghiera viene compiuto esclusivamente a uso e consumo delle persone che sono intorno a Gesù! Infatti, anche questo informatissimo Evangelista non sa ancora nulla delle sue due nature; il suo Cristo già si vanta: "Chi fra voi può attribuirmi una colpa?", mentre in Marco leggiamo "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio soltanto" (Cfr. Jh. 8, 46 con Mc. 10, 18).
Il Cristo giovanneo è divenuto l'araldo di se stesso: fin dall'inizio incede nel mondo come l'Agnello di Dio, onnisciente e onnipotente, affrontando la morte senza batter ciglio. Ogni tratto d'umanità viene accuratamente evitato. Della lotta con le profonde angosce spirituali del Gesù sinottico nel Getsemani non v'è più traccia 24; e durante l'arresto il suo atteggiamento è mirabilmente maestoso 25. E non manca il miracolo: una sola parola e gli sgherri s'abbattono al suolo (Jh. 18, 6).
Per la verità su questo evento già nei Vangeli più antichi c'è qualcosa che non collima: mentre, ad esempio, Marco si limita a presentare gli sgherri inviati dai Sommi sacerdoti e dagli Anziani, in Luca compaiono anche costoro 26.
Per quanto riguarda la morte di Gesù, nel quarto Vangelo egli non spira col grido di disperazione raccontato da Marco e Matteo, ma col detto eroico, più esattamente eracleico: "è compiuto" 27. Infatti, allo stesso modo spirò anche Eracle, uno dei modelli più sorprendenti della figura biblica di Cristo. Nel Vangelo apocrifo di Pietro (vers. 102), apparso verso la fine del II secolo, Gesù tace "come se non sentisse alcun dolore". Il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa (IV secolo) sostiene addirittura, per provare la divinità di Gesù, che alla sua nascita soprannaturale corrisponde una fine soprannaturale, e che perciò "la sua morte fu priva di sofferenze" .
Da un decennio all'altro la tradizione intorno a Gesù si evolve sempre più in senso miracolistico: il Vangelo più antico, composto fra il 70 e l'80, viene migliorato da Matteo e Luca, che scrivono fra l'80 e il 100, a loro volta superati di gran lunga dal più recente quarto Vangelo. Tale processo è poi portato avanti dai cosiddetti Vangeli Apocrifi, coi quali l'attività missionaria e la cristianizzazione sono proseguite né più né meno che con quelli autentici. Ciascun'opera tenta, per usare le parole del teologo Cullmann, "di far meglio dei predecessori", oppure, come scrive il teologo Marxsen, "si sente in dovere di aggiornare... il vecchio" 28.
Ma l'ininterrotto processo di sublimazione dell'immagine di Gesù si può evidenziare ancor più chiaramente attraverso l'analisi della tradizione evangelica dei miracoli, come mostrerà, seppure brevemente, la prima parte del capitolo che segue.
Note
1 Cfr. Aug, cons. evang., 3, 4,
13.
2 Strauss, Leben Jesu, 1835/36.
F.C. Baur, Theologische Jahrbücher, 3 1844, 1 sgg., 397 sgg., 615
sgg. Kritische Untersuchungen über die kanonischun Evangelien, 1847.
Cfr. anche B. Bauer, Kritik der Evangeliumsgeschichten des Johannes,
1840.
3 Hirsch, Studien zum vierten
Evangelium, 149. Tutta la teologia storico-critica disconosce la
paternità dell'Apostolo. Cfr. ad es. Knopf, Einführung, 123;
Harnack, Mission u. Ausbreitung i, 87; Jülicher, 407; Dibelius,
Botschaft u. Geschichte, 1, 99; Heiler, Der Katholizismus, 20;
Eisler, Das Rätsel des Johannesevangelium, 323 sgg.; Howard. Per ciò
che segue cfr. soprattutto Schneider, Geistesgeschichte 1, 135;
Goguel, 74 sgg.; Lietzmann, Geschichte der alten Kirche 1, 246 sgg.;
Knopf, Einführung, 121 sgg.; Windisch, Der vierte Evangelist, 144
sgg.
4 Poiché ancora in vita al tempo
del Concilio degli Apostoli, secondo Gal. 2, 9.
5 Mc. 10, 35 sgg. Inoltre, ad
esempio, Klostermann, sul passo Wellhausen, Das Evangelium Marci,
84. Idem, Kritische Analyse, 22. Bertholet, 222.
6 W. Bauer in Hennecke, 120.
Id., Das Johannesevangelium, 236.
7 W. Bauer, Das
Johannesevangelium, 236. Cfr. anche la tesi di Iren. ad. haer. 5.
33. 4 con la confutazione di Euseb. h. e. 3, 39, 1, con richiamo a
Papias.
8 Hieron. vir. ill., 9, 18. Cfr.
anche Euseb. h. e. 3, 25, 3.
9 Leipoldt, Geschichte des
neutestamentlichen Kanons, I, 52, nota 6.
10 Windisch, Das vierte
Evangelium, 145 sg. Ma già nei Sinottici molti fatti non tornano.
Cfr. Mc. 1, 16 sgg. 2, 13 sg.; Mt. 4, 18 sgg; Lc. 5, 1 sgg. con Mc.
3, 13 sgg; Mt. 10, 1 sgg. Lc. 6, 12. Sul carattere leggendario delle
narrazioni sinottiche della vocazione: Bultmann, Synoptische
Tradition, 27. Braun, Späjüdischhäretischer, 11, 14, nota 1.
Wagenmann, 6. Weilhausen, Das Evangelium Marci, 8 sg.; 22 sgg.; 44.
11 Mc. 11, 15 sg.; Mt. 21, 12
sg.; Lc. 19, 45.; Jh. 2, 14 sgg. In proposito Klostermann, Das
Markusevangelium, 117. Mendner, 93 sgg.
12 Goguel, 273; Mendner, 104;
Klausner, Jesus von Nazareth, 433.
13 Cfr. Mc. 14, 3 sgg.; Jh.
12, 1 sgg.
14 Cfr. Mc. 14, 60 sg.; Jh.
1, 35 sgg.
15 Orig. com. 10, 10 in Joh.
16 Schneider,
Geistesgeschichte, 1, 136. Cfr. anche Lietzmann, Geschichte der
alten Kirche, I, 236, 246. Hirsch, Studien zum vierten Evangelium,
183 sgg. Per la redazione ecclesiastica della Prima Epistola di
Giovanni: Bultmann, Die kirchliche Redaktion des I Johannesbriefes,
189 sgg.
17 Una parziale elencazione
degli studiosi che sostengono la sua inautenticità in Feine-Behm,
118 sg. Cfr. anche Goguel, 74. Al contrario Kragerud, 15 sgg.
18 Su Valentino: Iren. adv.
haer. 3, 11, 7. Su Eraclio: Orig. in Joh.passim.
19 Euseb. h. e. 3, 28, 2. W.
Bauer, Rechtgläubigkeit, 190 e particolarmente 207 sgg. Werner, Die
Entstehung, 165 sg. Leipoldt, Geschichte des neutestamentlichen
Kanons, I, 144 sgg. Aland, 114 sg. Streeter, 436 sgg.
20 E. Meyer, Ursprung u.
Anfänge I, 320. Strathmann, Das Evangelium nach Johannes, 22, 85.
Schwartz, Aporien in 4° Evangelium, 557. Windisch, Der johanneische
Erzählungsstil, 211.
21 Cfr., ad esempio, Jh. 3, 1
sgg., soprattutto dal versetto 16 in poi.
22 Orig. Com. ser. 94 in
Matth. Recentemente in modo analogo, il cattolico Ricciotti, Das
Leben Jesu, 149.
23 Jh. 8, 58; 17, 24; 11, 25
sg.; 5, 17.
24 Cfr. Jh. 18, 1 sgg. con Mc.
14, 32 sgg.; Mt. 26, 36 sgg.; Lc. 22, 39 sgg.
25 Cfr. Jh. 18, 1 sgg. con Mc.
14, 43 sgg; Mt. 26, 47 sg.; Lc. 22,47 sgg.
26 Cfr. Mc. 14, 43 sgg, con
Lc. 22, 47 sgg.
27 Cfr. Jh. 15, 34 e Mt. 27,
46 con Jh. 19, 30.
28 Cullmann, Die Pluralität
der Evangelien, 30 e Marxen, Der Evangelist Markus, 144.