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FONDAMENTALISMO ED EVOLUZIONISMO
I
- II

Non sempre ciò che viene dopo è progresso.
Alessandro Manzoni
Mi è capitato casualmente di leggere il n. di gennaio 2010 del
mensile cattolico di "informazione e formazione apologetica", "Il
Timone" (www.iltimone.org),
il cui dossier era dedicato all'evoluzionismo, e devo dire di aver
condiviso quasi integralmente le critiche nei confronti di questa teoria
cosiddetta "scientifica". Tuttavia nel complesso il dossier è quanto di
più reazionario si possa leggere sui rapporti tra fede e ragione: come
si spiega questa contraddizione? Per quale motivo una valida obiezione
scientifica può trasformarsi, nelle mani del fondamentalismo religioso,
in uno strumento favorevole soltanto al clericalismo politico? Quali
sono i criteri per capire il carattere strumentale di un'analisi che in
apparenza non vuole essere apologetica? Vediamoli per punti.
- Quando il fondamentalismo religioso (in questo caso cattolico,
ma il rilievo può valere anche per i geovisti, che sull'argomento
dicono le stesse cose) usa argomentazioni di tipo scientifico,
confutando altre argomentazioni analoghe, non lo fa per restare
nell'ambito della scienza ma per dimostrare che l'unica verità
possibile è di tipo religioso. Cioè usa la scienza per sostenere una
verità non scientifica, che tale è in quanto i suoi presupposti sono indimostrabili (p.es.
l'esistenza di un dio assoluto o la necessità di una specifica
chiesa).
- Questo modo di procedere non solo è incompatibile con qualunque
criterio di gestione del sapere scientifico, ma è, in un certo
senso, contraddittorio con la stessa religione in generale, poiché
questa, basandosi sulla fede, non dovrebbe servirsi di
argomentazioni scientifiche per dimostrare la fondatezza dei propri
assunti.
- La fede può aver ragione sulla scienza quando i suoi principi
producono effetti migliori di quelli prodotti dalla scienza (p.es.
perché più umani o più democratici). Un qualunque dialogo tra fede e
ragione non può vertere su argomentazioni di tipo scientifico, ma,
al massimo, sulle conseguenze etiche di tali argomentazioni.
- Se il fondamentalismo religioso vuole escludere qualunque valore
al concetto di "scienza", per sostenere che, in ultima istanza,
tutto è "opinione", dovrebbe però nel contempo rinunciare a tutte le
proprie "verità di fede" (che, come tali, sono indiscutibili), ai
propri dogmi, né dovrebbe credere in concetti come "infallibilità"
(che i cattolici applicano al pontefice) o "indefettibilità" della
propria chiesa.
- Ogniqualvolta la fede religiosa vuole usare una scienza "vera"
contro una scienza "falsa", non fa aumentare ma diminuire la propria
verità, proprio perché un tale uso della scienza è meramente
strumentale all'affermazione non di un "sapere scientifico" ma di un
"potere politico", quello clericale.
- Se la chiesa avesse basato la verità dei propri contenuti su
fatti razionalmente dimostrabili, non avrebbe chiesto la fede per
credervi ma la ragione. Nessun credente può sostenere la verità
scientifica dei propri postulati religiosi e il fatto di pretendere
che siano comunque più "logici" di altri assunti di tipo
scientifico, non rende la fede più vera.
- Una chiesa che si serve della scienza per contestare gli assunti
di un'altra scienza che non le piace (perché p.es. non parte da
presupposti religiosi), è una chiesa non meno atea o razionalista
della scienza che vuole combattere. In questa chiesa i presupposti
religiosi risultano infatti del tutto astratti, formali, vuoti di
contenuto, usati non solo per fare un discorso che non può
oggettivamente essere scientifico, ma che anche sul piano soggettivo
non ha nulla di edificante (in senso religioso).
- Quando si vuole sostenere che l'evoluzionismo non è scientifico
come pretende, non si può dare per scontato, nelle proprie
argomentazioni, che dio esiste e che la sua esistenza è la "prova
ultima" dell'inconsistenza di qualunque teoria scientifica non
religiosa. Se l'evoluzionismo è
solo un'opinione infondata, al centro dell'universo resta comunque
l'uomo. L'umano è l'unica realtà di cui possiamo fare esperienza,
anche per confutare verità che credevamo acquisite. L'inesistenza di
dio non rende impossibile l'esperienza dell'umano.
- Vi sono scienziati credenti (p.es. Zichichi, intervistato nel
dossier) che sostengono che, siccome tutto l'universo è basato su
leggi necessarie, su una logica stringente, allora deve per forza
esserci da qualche parte un'intelligenza superiore, che loro
chiamano "dio". E quando vedono gli scienziati atei negare la
necessità di questa conclusione, dicono che tali scienziati fanno
solo una professione di fede (nell'ateismo), non avendo prove
concrete per dimostrare alcunché. Zichichi afferma che è molto più
"logico" un atto di fede nel "creatore" (cfr
Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, 2009, Tropea).
In pratica Zichichi fa un ragionamento di questo genere, che è tutto
meno che scientifico: siccome c'è un effetto di portata colossale
(l'essere umano e l'universo che lo contiene), allora ci deve essere
una causa equivalente, e questa causa - vista l'incredibile
complessità e perfezione dell'effetto - non può essere che "dio". Cioè
proprio nel momento in cui egli dovrebbe dare una risposta
scientifica ne dà una mistica.
Invece di far coincidere la causa con l'effetto o invece di
affermare la relatività e la limitatezza delle nostre conoscenze,
propone una soluzione precostituita, fatta passare come "logica".
Questo modo di ragionare pare essere il frutto di un condizionamento
sociale ritenuto inspiegabile. Gli scienziati credenti apologizzano
non solo la loro fede ma anche il sistema sociale in cui essa si
forma, in quanto sostengono che, siccome gli uomini, pur essendo
unici nel cosmo, non riescono a risolvere i loro problemi, ciò è
dovuto al fatto che si sono allontanati da dio. Gli uomini sono
infelici perché atei, non perché basano la loro vita sulla proprietà
privata.
Singolare inoltre il fatto che uno scienziato credente, quando offre
soluzioni di tipo mistico, si senta indotto a compiere anche una
scelta di tipo confessionale: Zichichi infatti è dell'avviso che
solo la chiesa romana abbia l'interpretazione più esatta del
concetto di "dio", la migliore esperibilità della fede.
- Una semplice posizione laica dovrebbe invece limitarsi a
sostenere che quando l'essere umano si comporta in maniera non-umana, è
sempre l'essere umano quello titolato a trovare una soluzione ai
propri problemi. Al massimo si potrebbe sostenere che quando l'uomo
è nemico dell'uomo e si comporta quindi in maniera innaturale, è la
stessa natura che in qualche maniera gli ricorda i suoi limiti.
La natura infatti subisce le conseguenze dei conflitti sociali,
degli antagonismi tra classi e nazioni, e si modifica, spesso in
maniera irreversibile, rendendo invivibile l'ambiente
(desertificazioni, mutazioni climatiche, dissesti idrogeologici,
avvelenamento del pianeta...).
- Evoluzione vuol dire "adattamento progressivo all'ambiente". Ma
per poterlo fare, occorre che questo sia vivibile, altrimenti c'è
involuzione, scomparsa progressiva del genere umano, la cui
esistenza futura non può essere data per scontata solo perché
nell'universo siamo "unici". Non possiamo cioè dare per scontata la
nostra sopravvivenza come specie, a prescindere dalla tipologia
dell'ambiente naturale in cui dobbiamo vivere, per quanto l'uomo sia
in grado di trasformare in maniera artificiale qualunque ambiente.
Quello che manca alla cultura occidentale (borghese) è la
consapevolezza del limite oltre il quale una trasformazione
antropica dell'ambiente non può andare, se lo stesso essere umano
vuole tutelarsi. Il rapporto che abbiamo con l'ambiente naturale è
così mediato dai nostri mezzi tecnologici che inevitabilmente ci
accorgiamo della loro pericolosità solo dopo averli usati.
Siamo così innaturali che non riusciamo a prevedere l'assurdità di
ciò che noi chiamiamo "progresso". Persino quando cerchiamo un
rimedio ai nostri guai, siamo contraddittori. P.es. abbiamo imparato
a riciclare la plastica, ma continuiamo a produrla senza pensare a
sostituirla o a riutilizzarla fino al suo esaurimento. Abbiamo
preferito la plastica al vetro, ma così abbiamo rinunciato al
riutilizzo.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti (che comporta sempre un
certo inquinamento) ci ha indotti a puntare sul riciclo della
plastica. Ma il riciclo presuppone una trasformazione del prodotto,
che comporta spese e ulteriore inquinamento. Riutilizzo invece vuol
dire che una stessa cosa, che dovrebbe essere fabbricata per durare,
viene usata fin quando è possibile.
Il riutilizzo dovrebbe porre un freno alla pubblicità. La vera
pubblicità da seguire dovrebbe essere quella educativa, che insegna
come riutilizzare i beni durevoli e come riciclare quelli che non lo
sono.
- La cultura occidentale ha creato solo un'immensa spazzatura. Con le
prime civiltà schiavistiche si sono formati i deserti in seguito
alla deforestazione; con la civiltà industriale si formeranno dei
deserti superinquinati là dove si ammasseranno i nostri rifiuti.
E' il concetto in sé di "evoluzione" che va rimesso in discussione.
Se guardiamo i rapporti sociali tra esseri umani e i rapporti tra
gli uomini e la natura, dobbiamo dire di essere in presenza di una
grande "involuzione", che non potrà certo essere risolta né
affidandosi alla misericordia di dio né ai miraggi della scienza.
LA SCIENZA INUTILE
Tutte le scoperte scientifiche che abbiamo fatto nell'ultimo mezzo
millennio sono nate da un'esigenza sbagliata: quella di "dominare" la
natura. Un'esigenza che, a sua volta, si è sempre basata su un tipo di
vita - sfruttare il lavoro altrui - che di umano non aveva nulla.
Certo, si potrà obiettare che gli esseri umani vengono sfruttati da
almeno 6000 anni: tuttavia è solo da 500 che viene fatto tramite il
macchinismo. Prima lo sfruttamento era diretto, immediato,
personale, in quanto esistevano schiavi o servi della gleba. In un
rapporto del genere la dipendenza personale era così esplicita che non
vi era bisogno di mediarla attraverso la tecnologia. Il nullatenente non
solo non possedeva la libertà personale, ma neppure la sua parvenza
giuridica.
Il progresso storico purtroppo non ha comportato il definitivo
superamento dello schiavismo, ma solo la sua trasformazione in
servaggio, e questo, a sua volta, s'è trasformato il lavoro salariato.
Si è passati da uno sfruttamento all'altro, aumentando l'ipocrisia con
cui mascherarlo e perfezionando gli strumenti con cui conservarlo in
forme e modi diversi.
In questo continuo perfezionamento dei mezzi tecnologici l'invadenza
nei confronti della natura è sempre stata più macroscopica. S'è
allargata in estensione geografica e s'è approfondita in intensità e
durata.
Gli effetti di questa pretesa egemonica sono stati sempre più
devastanti, non solo sull'ambiente naturale, ma anche sull'habitat
umano. Ci siamo dati dei mezzi il cui controllo ci sta sfuggendo di
mano. Abbiamo completamente perso il senso della natura e, con esso, il
senso dei valori umani, il senso della nostra umanità. Questo perché non
abbiamo capito che umano e naturale o convivono
pacificamente o si distruggono entrambi.
Noi non abbiamo il diritto di fare della natura un nostro prodotto,
anzi, al contrario, abbiamo il dovere di stare entro i limiti ch'essa
c'impone. Non possiamo sfruttare la natura al di là di quello ch'essa
spontaneamente può offrire. Non si può continuare ad avere un
atteggiamento così arbitrario, nella convinzione ch'esso non avrà alcuna
conseguenza irreparabile su di noi.
Noi non abbiamo il diritto di usare un tipo di scienza e di tecnica
che costituisca una minaccia alla sopravvivenza della natura, cioè al
suo diritto di riprodursi. L'uso della libertà umana ha senso solo entro
i limiti che la natura c'impone. Non possiamo decidere da soli i limiti
di questa libertà, prescindendo da quelli previsti in maniera naturale.
La natura non è un semplice oggetto a nostra completa disposizione,
che trova la sua ragion d'essere dal tipo d'interpretazione che possiamo
farne. Viceversa è l'uomo che, per poter avere un'adeguata
considerazione di sé, deve sottostare al punto di vista della natura.
Il fatto che l'uomo si senta l'intelligenza della natura non sta di
per sé a significare che non sia vero anche il contrario, e cioè che la
natura abbia una propria intelligenza da esercitare sull'uomo.
La natura non è una statua muta, ma un organismo vivente, tant'è che
parlare di "natura inanimata" non ha alcun senso. Se a noi pare ch'essa
non parli è soltanto perché non sappiamo né vogliamo ascoltarla.
Noi non siamo sufficientemente consapevoli che il nostro pianeta
appartiene all'universo e che alle leggi di questo deve rendere conto.
La terra è soggetta a precise condizioni di esistenza: se, per qualche
ragione, non vengono rispettate, il suo destino è segnato.
Gli esseri umani possono anche ritenersi immortali, ma l'universo non
saprà che farsene degli abitanti di un pianeta che non sono stati capaci
di rispettare le ottime condizioni di vita offerte loro a titolo
gratuito. L'universo non può essere popolato da gente che non è neppure
capace di gestire la propria abitazione.
Noi ci illudiamo a pensare che le condizioni di vita che ci offrirà
l'universo saranno completamente diverse da quelle che abbiamo su questo
pianeta. La diversità fondamentale starà soltanto nel fatto che la
libertà di coscienza non potrà essere violata impunemente: tutti
avranno diritto di scegliersi il proprio stile di vita.
Tendenze
dell'evoluzione umana -
Biologia e Cultura
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