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"Nazional-popolare" e realismo
[In Italia] manca un'identità di concezione del mondo tra "scrittori" e
"popolo"; cioè i sentimenti popolari non sono vissuti come propri dagli
scrittori, né gli scrittori hanno una funzione "educatrice nazionale", cioè
non si sono posti e non si pongono il problema di elaborare i sentimenti
popolari dopo averli rivissuti e fatti propri [...].
In Italia, il termine "nazionale" ha un significato molto ristretto
ideologicamente, e in ogni caso non coincide con "popolare", perché in
Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla "nazione", e
sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da
un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso: la tradizione è
"libresca" e astratta, e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato
ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o
siciliano. (1)
In queste parole è concentrata una delle tesi più importanti di Antonio
Gramsci sulla letteratura italiana (2).
Gramsci parte dalla constatazione che gli intellettuali, e in particolare gli
scrittori, italiani non si sono mai posti il problema di un rinnovamento della
nazione italiana, perché completamente estranei alla nazione, intesa nel senso
più ampio, cioè come popolo italiano, e perché, evidentemente per ragioni
storiche (il ritardo con cui in Italia si è realizzata l'unità nazionale, e per
di più dall'alto, come "rivoluzione passiva" e non dal basso, come movimento
popolare [3] ), hanno formato sempre una
casta sradicata dal popolo, caratterizzata da uno sterile cosmopolitismo. |
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Punto di riferimento centrale di Gramsci nel rivendicare la funzione sociale
della letteratura è il magistero di Francesco De Sanctis, inteso, come osserva
Asor Rosa, quale "modello di iniziativa culturale
complessiva" (4), in polemica con Croce:
Il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi [cioè
del marxismo] è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro
(meno che mai dal Carducci): essa deve fondere la lotta per una nuova
cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei
sentimenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente
artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del
sarcasmo. (5)
I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci furono pubblicati dalla casa
editrice del PCI, gli Editori Riuniti, a partire dal 1947, in particolare il
volume Letteratura e vita nazionale uscì nel 1950.
Il dissidio fra Togliatti e Vittorini era avvenuto da tempo, la linea del
partito era ormai definita, e tuttavia, a parte il fatto che Togliatti conosceva
già dal 1938 i Quaderni gramsciani (6),
la lezione di Gramsci, o meglio: il modo in cui i dirigenti del partito
recepirono e utilizzarono la lezione di Gramsci fu decisivo per rafforzare e
conferire organicità e autorità agli indirizzi culturali del PCI.
La ragione di fondo del dissidio fra PCI e Vittorini, infatti, a parte
l'aspirazione di quest'ultimo ad una maggiore libertà ed autonomia degli
scrittori nei confronti del partito, mentre il partito tendeva ad un maggiore
controllo sugli scrittori, stava nel fatto che "Il Politecnico" con le sue
aperture alla cultura europea metteva in pericolo la linea di politica culturale
nazionale che il PCI seguiva (7). |
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Una politica che, giova ribadirlo, è condizionata dal clima politico
nazionale e internazionale. La "guerra fredda" e la contrapposizione frontale in
Italia con la Democrazia cristiana e l'egemonia cattolico-clericale portano il
PCI da una parte a rafforzare il rapporto con l'Unione Sovietica (e di qui le
aperture al realismo socialista), dall'altra parte a sottolineare la
propria continuità con la cultura italiana classica, ottocentesca, nel continuo
tentativo di presentarsi come partito nazionale, per certi aspetti addirittura
'tradizionale' e 'conservatore', al fine di conquistare il consenso dei ceti
medi.
Il 1949, l'anno in cui le Edizioni Rinascita pubblicano il volume Politica
e ideologia, raccolta dei principali scritti di Zhdanov
(8), può essere considerato l'anno di svolta: la sconfitta
elettorale, il clima della guerra fredda inducono il Partito comunista ad
irrigidire la linea di politica culturale, si ha un vero e proprio 'ritorno
all'ordine'. |
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La battaglia a favore del realismo per i dirigenti della politica culturale
del PCI si concretizzò in una battaglia se non contro almeno per il superamento
del neorealismo (movimento troppo ibrido ed eterogeneo: ecco perché dopo il 1948
compare un'altra volta il termine "neorealismo", e di nuovo in un'accezione
negativa) e per il ritorno ad un romanzo realista di tipo classico ottocentesco.
Da questo punto di vista due sono i romanzi significativi dopo il 1948: Le
terre del Sacramento (1950) di Francesco Jovine e Metello (1955) di
Vasco Pratolini.
Il primo, ambientato nel primo dopoguerra, ruota intorno alla lotta dei
contadini del Molise che, ingannati da un astuto proprietario (o meglio: dalla
moglie di lui) si vedono sfrattati dalle terre che avevano lavorato nella
speranza di ottenere un contratto di enfiteusi. Centrale è la figura di Luca
Marano, lo studente che guida la rivolta. Il movimento viene però represso e
Luca ucciso ad opera delle prime squadre fasciste. |
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Qui la coralità viene assorbita dall' 'eroe', qui, come ha notato
Luperini [9], protagonista non è la
massa contadina, ma l'intellettuale piccolo-borghese, lo studente universitario
che "sa" e "capisce", e essere 'organici' alle classi lavoratrici sembra
significare porsi alla testa di contadini senza voce e senza volto, facendo
dipendere il loro movimento dai propri capricci.
In Metello (primo di una trilogia sulla storia italiana dalla fine
dell'Ottocento agli anni Sessanta (10)
si racconta la vicenda di un operaio, Metello Salani, che, nel periodo 1875-1902
a Firenze, lentamente acquista coscienza, realizza la propria 'formazione' sia
sul piano sentimentale sia sul piano sociale e politico. Sul piano sentimentale,
sposando la figlia di un anarchico e poi superando l'attrazione per una ragazza
piccolo-borghese, con cui ha una breve relazione; sul piano socio-politico,
partecipando ad uno sciopero di muratori nel 1902. Viene arrestato e, scontata
la pena, trova ad aspettarlo la moglie con la quale si è riconciliato. |
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Entrambi i romanzi hanno una prospettiva storica, ed entrambi i romanzi hanno
caratteristiche neorealiste: Luca Marano è un classico "intellettuale organico"
alla classe contadina, Metello Salani rappresenta l'operaio che, dopo un
processo di `formazione' (è questo l'elemento neorealista di fondo), acquista
coscienza di sé, dei suoi doveri umani e di classe.
Ma la differenza basilare fra questi romanzi, da una parte, e la produzione
postbellica (Cronache di poveri amanti, di Pratolini, o Speranzella,
di Bernari, che esce nel 1949, ma si inserisce chiaramente nel filone corale
postbellico; per non parlare poi dei racconti influenzati dai moduli narrativi
emersi durante la Resistenza), dall'altra parte, sta nella struttura,
soprattutto in Metello, di tipo classico, ottocentesco, con narrazione in
terza persona e narratore onnisciente.
Metello, in particolare, che, a differenza de Le terre del Sacramento,
ha un finale 'positivo' (la 'formazione' dell' 'eroe', la donna fedele che lo
attende, ecc.) (11), piacque ai critici
ufficiali del Partito comunista.
Carlo Salinari ritenne che Metello segnasse il passaggio dal neorealismo al
realismo (12), il superamento di tutto
quanto di decadente e sperimentale ci fosse nel neorealismo, e il ritorno allo
schema del romanzo ottocentesco.
E non a caso, infatti, Salinari cercava di unire la lezione di Lukàcs con
quella di Gramsci ed esprimeva un giudizio negativo sulla letteratura del
decadentismo novecentesco, perché questa letteratura aveva perduto i due
elementi basilari della grande narrativa ottocentesca: un asse ideologico che
sorregga l'opera e un personaggio che con la sua tipicità le dia un
senso (13).
(1) A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione
critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, pp. 2114 e 2116. (torna
su)
(2) Sulle idee di Gramsci riguardo la letteratura italiana,
cfr., fra l'altro, Asor Rosa, Alberto, Lo Stato democratico e i partiti
politici, in Letteratura italiana, volume primo, Il letterato e le
istituzioni, Einaudi, Torino 1985, pp. 672-675, e Reichel, Edward,
Antonio Gramsci und die Literatur. Beitrag zur marxistischen Ästhetik, in "Italienisch",
15 maggio 1986, pp. 40-64 (torna su)
(3) Il motivo della particolare attenzione che Gramsci
dedica a Machiavelli sta anche nel fatto che questi gli pare l'unico
intellettuale che, con forte anticipo nei confronti degli altri, si sia posto il
problema dell'unità nazionale italiana. Naturalmente il "principe" di
Machiavelli diventa per Gramsci il "moderno principe", cioè il Partito
comunista. (torna su)
(4)
Asor Rosa [op. cit.,1985: p. 673]. Infatti, come osserva Reichel [op. cit. 1986:
p. 53], "In seiner [di De Sanctis]
Storia della letteratura
und in seinen Saggi critici
erscheint diese Literatur nicht als eine von der Gesamtgeschichte isolierte
Äußerung des italienischen Nationalgeistes, sondern als Beitrag zur Schaffung
eines italienischen Einheitsstaates. De Sanctis schreibt also der Literatur per
definitionem eine politische Wirkung zu, die er zugleich als ihr eigentliches
Charakteristikum ansieht."
[Nella sua [di De Sanctis] Storia della letteratura e nei suoi Saggi
critici la letteratura appare non come una manifestazione dello spirito
nazionale italiano staccata dallo sviluppo storico, ma come un contributo alla
fondazione dello Stato unitario italiano. De Sanctis attribuisce dunque alla
letteratura per definizione un'efficacia politica, che ne costituisce al tempo
stesso la caratteristica essenziale.] (torna
su)
(5) A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione
critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, pp. 2185-2186. (torna
su)
(6) "[I Quaderni] Arriveranno a Mosca, insieme ai libri e
agli effetti personali di Gramsci solo nel 1938. Li prende in consegna Vincenzo
Bianco, in qualità di rappresentante italiano al Komintern. Togliatti è in
Spagna, ma riceve presto le prime fotocopie dei quaderni e comincia a studiare,
insieme ad altri compagni, i primi progetti di pubblicazione", V. Gerratana,
"Prefazione" a A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana,
cit., p. XXXI. (torna su)
(7) "Celebri sono rimaste le definizioni togliattiane delle
opere d'arte d'avanguardia come 'una raccolta di cose mostruose', di 'orrori e
scemenze', di 'scarabocchi'; della musica contemporanea come 'una particolare
degenerazione della musica che la maggioranza degli uomini normali oggi critica
e respinge'; della letteratura europea del Novecento come opera di qualcuno che
non aveva esitato a rappresentare anche 'il gorgoglio degli intestini'." (Asor
Rosa [op. cit., 1982: p. 594])
Giustamente Asor Rosa osserva che il linguaggio è "quello dello zdanovismo più
puro" (ivi). Non si dimentichi che a partire dal 1949 il pensiero di Zhdanov fu
recepito in Italia e si tentò di conciliarlo con le tesi gramsciane (Emilio
Sereni, dirigente comunista, scrisse che "non si saprebbe intendere a fondo il
pensiero di Gramsci senza Stalin e Zhdanov", cfr. Asor Rosa, ivi: p. 593). (torna
su)
(8) Cfr. Asor Rosa [op. cit. 1982: p, 590 sgg.]. (torna
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(9) Luperini Romano, Il Novecento. Apparati ideologici
ceto intellettuale sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea,
Loescher, Torino 1981, p. 564 (torna su)
(10) Gli altri due romanzi della trilogia furono: Lo
scialo (1960) e Allegoria e derisione (1966). (torna
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(11) Il romanzo di Jovine, invece, termina in modo tragico,
con la morte dell' ‘eroe', con la sconfitta dei contadini, con il fascismo
vincente. Molto bene ha scritto Guglielmino, Salvatore, Guida al Novecento,
Principato, Milano 1971/1: p. 297, che l'autore lega le vicende del primo
dopoguerra "alla storia dell'immediato secondo dopoguerra che vide, come e più
del primo dopoguerra, massicce lotte contadine e occupazioni di terre e scontri
e arresti." (torna su)
(12) Cfr. C. Salinari, Metello, in "Il
Contemporaneo", II (1955), 7, p. 1; ora in Preludio e fine del realismo in
Italia, Morano, Napoli 1967. (torna su)
(13) Cfr. Briosi Sandro, Da Croce agli strutturalisti,
Calderini, Bologna 1973, p. 203]. - Di diverso parere fu Carlo Muscetta,
anch'egli marxista, che negò validità al romanzo di Pratolini, in quanto i
personaggi non erano tipici (cfr. C. Muscetta, "Metello" e la crisi
del neorealismo, in "Società", agosto 1955 e giugno 1956; ora in
Realismo, neorealismo, controrealismo, Garzanti, Milano 1976, pp. 107-160).
Fu questa in sostanza la piuttosto povera e ben poco significativa polemica sul
Metello. (torna su)
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