La
trasformazione del contesto economico e competitivo,
legato alla crescente globalizzazione delle relazioni
economiche, assieme allo sviluppo tecnologico (in particolare
in materia di telecomunicazioni ed informatica) determinano
rilevanti effetti sull'organizzazione produttiva delle
imprese.
In particolare, l'apertura dei mercati e lo sviluppo
delle tecnologie dell'informazione facilitano i rapporti,
anche economici, e portano le imprese a doversi confrontare
con un contesto competitivo più ampio e articolato,
dove i fattori vincenti mutano in maniera più
rapida che in passato.
Questa modificazione sta spingendo le aziende ad abbandonare
le strutture più rigide e meno capaci di reagire
ai cambiamenti, puntando sempre di più su forme
organizzative agili e flessibili. Tra gli "strumenti"
utilizzati a questo scopo si evidenziano:
- l'esternalizzazione
delle funzioni, ovvero l'impresa non svolge più
alcune funzioni (tanto nella produzione quanto nella
vendita o nell'amministrazione), ma le acquista da
altre imprese;
- la
flessibilizzazione dei rapporti di lavoro all'interno
dell'azienda, ovvero il minore ricorso al contratto
tradizionale, a tempo pieno e di durata indefinita.
Il processo di esternalizzazione, nello specifico, si
inserisce in un contesto culturale, quello italiano,
favorevole al lavoro autonomo, peculiarità che
si riscontra dal fatto che, a livello nazionale, circa
tre persone su 10 lavorano in maniera indipendente,
e che tra aprile 1999 e aprile 2000 una quota analoga
di individui è entrata nel mondo del lavoro in
questo modo [1].
Anche
il processo di flessibilizzazione risulta evidente,
e sempre più esteso. Se si prendono in esame
i contratti stipulati in Italia tra aprile 1999 e aprile
2000, si osserva come il 57% (pari a oltre 2 milioni
e 800 mila posizioni lavorative) sia costituito da forme
di impiego cosiddette "atipiche", ovvero non
a tempo pieno e di durata indeterminata [2].
Nonostante la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro
sia sempre più diffuso, essa non riguarda tutti
i lavoratori, ma è legata soprattutto ai nuovi
assunti. Ad aprile 2000 i lavoratori con un contratto
part time o a tempo determinato, ad esempio, erano ancora
inferiori al 10% dei dipendenti. Questo sembra evidenziare
un sostanziale "dualismo" all'interno dell'occupazione
dipendente, dove i lavoratori già inseriti godono
di una maggiore stabilità contrattuale, mentre
la flessibilità si applica soprattutto sulle
nuove assunzioni.
Data la diversità di caratteristiche tra la situazione
occupazionale pregressa e l'evoluzione più recente,
si è ritenuto più opportuno rappresentare
il quadro provinciale attraverso le nuove assunzioni
(avviamenti) piuttosto che sullo stock di occupati,
scelta più strumentale ad una analisi dinamica
del contesto.
[1]
L'Isfol stima infatti che, tra aprile 1999 e lo stesso
mese del 2000, il 29,9% (411.000) dei nuovi ingressi nel
lavoro sia legato a lavori di tipo autonomo.
[2] Tra i contratti di lavoro atipici rientrano i rapporti
part time, a tempo determinato, le collaborazioni coordinate,
il lavoro interinale, e le prestazioni aventi più
o meno consistenti finalità formative come i contratti
di formazione lavoro, l'apprendistato, per citare i principali.
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