UOMO E DONNA
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IN CERCA DI FAMA I - II Pericolose degenerate o vittime passive. Il XIX secolo ci ha lasciato due stereotipi della prostituzione: la “pericolosa degenerata” e la “vittima passiva”. Si tratta in entrambi i casi di stereotipi femminili, dal momento in cui la società sembra ignorare la prostituzione maschile. La “pericolosa degenerata” era la donna caduta dal suo piedistallo di purezza, pietà e domesticità femminile, simbolizzato dalla Madonna, nell’abisso del male. Come il suo corrispettivo maschile (il ladro o l’assassino) si trattava di una delinquente, violenta, meritevole del castigo della legge. Le prostitute erano portatrici di un comportamento deviante congenito, biologicamente determinato da “scarsa intelligenza, imbecillità, leggerezza, imprevidenza, pigrizia, vanità, passione per l’alcool, oscenità, immoralità”. Un secondo gruppo di osservatori, nel XIX secolo, era costituito da coloro che guadavano alle prostitute con commiserazione come a vittime della seduzione maschile e della cattiva influenza dell’ambiente, le “vittime passive”. Queste prostitute erano donne delle classi inferiori costrette contro la propria volontà ad avere rapporti sessuali, spesso da datori di lavoro appartenente alla classe media, o avviate alla prostituzione da genitori o da qualche ruffiano. Passive e infantili, le prostitute potevano solo sperare che qualche redentore religioso o secolare le riconducesse alla continenza sessuale. Secondo questo ragionamento, la legge non doveva punire queste misere creature, ma incoraggiarne il recupero e favorirne il ritorno alla normalità attraverso il matrimonio, un “lavoro onesto” o l’entrata in convento. La realtà della prostituzione, nel XIX secolo, non può essere fatta rientrare in nessuno dei due stereotipi sopra descritti. Una larga percentuale di donne che praticavano la prostituzione si era recentemente trasferita dalle campagne vicine alle città in cerca di lavoro. Molti adolescenti, sia maschi che femmine, abbandonavano le loro case di campagna per mantenersi da soli svolgendo lavori retribuiti. Mentre gli uomini spesso emigravano verso le Americhe, le donne sole preferivano generalmente trasferirsi nelle città più vicine. Il fenomeno sempre più evidente delle giovani donne che affollavano le strade cittadine, separate dalle loro famiglie e prive di protezione, allarmava le classi medie che predicavano che il posto della donna era a casa. Una seconda caratteristica tipica delle prostitute del XIX secolo era il fatto che generalmente esse provenivano da un precedente impiego come domestiche. Malgrado l’industrializzazione delle imprese tessili avesse contribuito a creare nuove forme di impiego per la manodopera femminile, la maggior parte delle donne continuava a trovar lavoro nella prostituzione. Alcuni osservatori della classe media accusavano le fabbriche della corruzione morale delle dipendenti. Nel 1875 il 28% delle prostitute aveva lavorato ufficialmente in precedenza come domestiche, mentre il 7% era formato da ex dipendenti di industrie tessili. In qualsiasi attività lavorativa i salari delle donne erano pari alla metà di quelli degli uomini, sicché a qualsiasi donna della classe lavoratrice poteva presentarsi prima o poi nella vita, la necessità di prostituirsi, anche se solo temporaneamente. Nella maggior parte dei casi le prostitute erano giovani sotto i vent’anni, e nubili, praticata fino ai venticinque. Le donne si dedicavano alla prostituzione nel periodo che intercorreva tra l’infanzia, fase nella vita in cui vivevano ancora con le loro famiglie d’origine, e il matrimonio, momento in cui formavano una nuova famiglia. Sole in una fase di ristrettezza economica, molte donne tra i quindici e i venticinque anni preferivano la prostituzione ad un lavoro “serio”. Era piccolo il numero di prostitute sposate, con o senza l’approvazione del marito. I dati sociali indicano che la maggior parte delle prostitute non erano né “pericolose degenerate” né “vittime passive”. Lungi dall’essere segnate da una depravazione innata, le prostitute erano piuttosto giovani donne che, al pari delle loro sorelle “oneste”, tentavano di sopravvivere, nella prima fase dell’età adulta, all’interno di un sistema che assicurava al lavoro femminile salari al dì sotto della sussistenza. Come tappa temporanea nell’esistenza di molte donne povere, la prostituzione rappresentava per un gran numero di ragazze prive di istruzione e costrette a sposarsi, un effettivo ampliamento del campo di alternative economiche possibili. Il numero crescente di giovani donne sole per le strade della città nel corso del XIX secolo, convinse le autorità statali che la prostituzione era un fenomeno destinato a crescere e che doveva essere affrontato attraverso una nuova legislazione. La legislazione elaborata nel XIX secolo si articolava in tre categorie: 1- regolamentazione; La regolamentazione fu la soluzione adottata dalla maggior parte dei governi europei. Questo tipo di legislazione prevedeva il riconoscimento legale della prostituzione per tutte le donne che la esercitavano previa registrazione da parte delle autorità competenti, e con l’impegno a sottoporsi a frequenti visite mediche per prevenire il diffondersi di malattie veneree. I sostenitori di questa soluzione ritenevano opportuno che le prostitute vivessero insieme all’interno di “case di tolleranza” per facilitare la sorveglianza da parte della polizia. Sebbene l’esistenza dei bordelli fosse un fenomeno diffuso nell’Europa medievale e moderna, i propugnatori della “nuova” regolazione battevano enfaticamente sul tasto della modernità, della razionalità e della scientificità di questa soluzione. Accettando la prostituzione come un’infelice ma necessaria istituzione, essi si ripromettevano di sostituire al moralismo di vecchia data e alle crociate religiose contro il vizio sessuale la disciplina razionale del fenomeno e il controllo sanitario delle prostitute. Ciò che rendeva necessaria la prostituzione, essi sostenevano, era l’impulso sessuale del maschio per natura imperioso, che esigeva uno sfogo o una “valvola di sicurezza” nella prostituzione. Il fondatore della moderna regolamentazione fu Napoleone Bonaparte che, nel 1803, cominciò ad esigere che venissero condotti regolari controlli medici su tutte le prostitute al seguito delle sue truppe. La logica che ispirava la sua iniziativa era che il sussistere di buone condizioni di salute delle prostitute sarebbe servito a rafforzare il vigore dei suoi soldati, non più tormentati da malattie veneree. Il sistema francese di legalizzazione e regolamentazione si diffuse in tutta Europa. Per la sua pretesa di fondarsi sulla ragione e sulla scienza, esso piaceva ai funzionari borghesi e anti-clericali, mentre i conservatori potevano ritenersi soddisfatti per il fatto che si teneva sotto controllo statale un gruppo “pericoloso”. Persino negli Stati Uniti, dove era presente una forte tradizione puritana di condanna alla prostituzione come peccato, furono diverse le città come New Orleans e St. Louis che cominciarono a tollerare i bordelli. Malgrado il diffuso sostegno dato alla regolamentazione da medici, polizia, si assistette alla nascita di un movimento di opposizione, che venne organizzandosi intorno alla parola d’ordine “abolizione”. Questo movimento aveva il suo quartier generale a Londra, sotto la guida di una delle principali sostenitrici dei diritti delle donne, Josephine Butler. La Butler negava l’esistenza di particolari esigenze dipendenti dall’impulso sessuale maschile e viceversa suggeriva all’uomo di imitare la continenza e la monogamia delle donne. Secondo la Butler la regolamentazione riduceva i diritti civili delle prostitute, in quanto le costringeva a farsi registrare dalla polizia, a sottoporsi alle visite mediche e a vivere secondo i restrittivi regolamenti che governavano le case di tolleranza. Inoltre nessuna delle numerose regole si applicavano ai clienti maschi. In Inghilterra la Butler riuscì a raccogliere una forte coalizione composta dai sostenitori della classe media e della classe operaia e nel 1866 ottenne l’abolizione dei “Contagious Diseases Acts”. Tra tutte le nazioni occidentali Gli Stati Uniti furono il solo paese a evitare l’abolizionismo grazie alla completa proibizione della prostituzione. Gli abolizionisti che moralmente la condannavano, ritenevano tuttavia che alle donne povere andasse riconosciuto il diritto, per sopravvivere, di prostituirsi. Una crociata contro il vizio sessuale attraversò le città americane nel corso dei primi due decenni del XIX secolo ed ebbe come conseguenza la criminalizzazione della prostituzione persino in quei casi in cui essa avveniva privatamente tra adulti consenzienti. La ragione ufficiale della chiusura delle case di tolleranza americane fu analoga a quella che in Europa, in precedenza, aveva portato alla loro apertura: la necessità di proteggere la salute dell’esercito (in questo caso dei soldati impegnati nella prima guerra mondiale). I sostenitori della regolamentazione, privilegiavano l’immagine della “pericolosa degenerata” destinata a rimanere fuori dalla società normale, un fatto di natura che i cittadini dovevano accettare come una realtà sfortunata, dove lo stato aveva il dovere di proteggere la società da tale devianza aggressiva. I sostenitori dell’abolizione tendevano a dipingere la prostituta come la “vittima passiva” di protettori malvagi e di circostanze che sfuggivano al loro controllo, dove lo stato doveva tentare di migliorare la situazione economica dei poveri e promuovere l’uguaglianza giuridica tra i sessi. Bibliografia:
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