TEORICI
|
|
|
THOMAS HOBBES (1588-1679)
In Hobbes il meccanicismo non è stato usato per affermare l'oggettività della materia, ma per negarla. Il meccanicista Galileo non l'avrebbe mai fatto. Questo spiega anche il motivo per cui la fisica si sia sempre più allontanata dalla filosofia. E pensare che Hobbes aveva saputo criticare con acume le pretese di Cartesio di determinare l'esistenza dell'io a partire dal pensiero, o l'esistenza di dio a partire dall'idea che l'io ne ha. L'ateismo di Hobbes è forse tra le cose più significative del suo pensiero, certamente quella che più di ogni altra meriterebbe d'essere approfondita. Hobbes rivalutò enormemente il concetto di esperienza e la corporeità delle cose e del soggetto. Tuttavia, egli negò all'uomo la possibilità di avere un concetto adeguato della realtà. Le idee -a suo giudizio- altro non sono che elaborazioni di varie sensazioni. Questo suo modo di vedere le cose -tipico, peraltro, di tutto l'empirismo inglese- è coerente, se vogliamo, con la decisione di aver assunto, a criterio fondamentale di conoscenza, la sensazione. Ora, è evidente che sulla base della semplice sensazione non si può costruire alcuna scienza, meno che mai se si riduce il movimento della materia a un "moto locale". Su questo non si può dar torto a Hobbes. Tuttavia, egli era anche convinto che il singolo uomo fosse incapace di razionalità; o meglio (poiché sull'irrazionalità del singolo, al limite, potrebbe anche aver ragione), egli deduceva da tale incapacità che fosse preferibile per l'uomo rinunciare definitivamente alla propria razionalità. L'unico vero atto razionale che il singolo può fare - secondo Hobbes - è quello di farsi governare da un potere assoluto, per il quale la verità o falsità delle sensazioni diventa problema del tutto secondario. Una sensazione è tanto più vera (o credibile) quanto più è imposta. Hobbes, come Cartesio, ha ereditato la sfiducia nei confronti della realtà e nei confronti della possibilità di gestirla in maniera razionale, ma, a differenza di Cartesio, ha esteso questa sfiducia all'uomo stesso, in particolare alla sua capacità di comprendere in maniera adeguata le cose. In Cartesio, come noto, tale capacità era riferita alle cose matematizzabili. In un certo senso Hobbes rappresenta la reazione aristocratica alle contraddizioni antagonistiche della società borghese. Egli purtroppo considerava la sensazione solo in modo individualistico, e l'individuo solo come ente senziente, che "ragiona" semplicemente per poter comunicare con gli altri, cioè per un bisogno meramente funzionale, fisiologico. Hobbes non ha mai accettato né l'idea di "collettivo" né la possibilità che la ragione potesse influire sulle sensazioni. Facciamo un esempio per capirci. Se al cinema si osserva un attore piangere, ci si può commuovere, ma se nel mentre in cui piange si pensa che la scena è una finzione o si sa interpretare criticamente quella forma di recitazione, la commozione sarà di molto inferiore se non addirittura inesistente; anzi, il dramma potrebbe anche produrre l'effetto contrario (ironia, ilarità...) o potrebbe essere usato per produrlo. Il ragionamento, quindi, può modificare le sensazioni. Quanto più forte sarà la consapevolezza della finzione -come nell'adulto rispetto al bambino-, tanto meno forte sarà la sensazione che se ne riceve. Generalmente, la sensazione è tanto più forte quanto più l'oggetto che si osserva riflette un'esperienza reale, autentica. Sotto questo aspetto la nostra mente è disposta ad accettare anche la finzione scenica del film, è cioè disposta a provare sensazioni autentiche, pur in presenza di una finzione accettata consapevolmente. Di fatto, è la verità delle cose che produce le migliori sensazioni, quelle che restano in profondità. Ed è sempre questa verità che ci porta a razionalizzare le sensazioni elaborando determinati concetti, che altro non sono se non una sintesi formale, ma autentica, delle varie sensazioni, che senza riflessione resterebbero cieche, prive di storia e di movimento. Non è forse vero che di fronte a uno stesso fatto o a una stessa immagine, riceve le sensazioni più profonde solo chi di quel fatto o di quell'immagine è in grado di apprezzare la verità concettuale, razionale? Ai giovani, p.es., piace molto più la musica della pittura, eppure nella pittura vi è molta più razionalità. E' assolutamente sbagliato ritenere che le sensazioni più forti siano quelle prodotte dai fenomeni più istintivi, più immediati. In realtà, non c'è migliore sensazioni che si ricordi di quella collegata a un'esperienza carica di "significato vitale", positivo, umano. La stretta di mano che meglio si ricorda, fra le tante che diamo, è quella data a una persona amica. L'amicizia, in questo caso, può essere considerata come una sensazione maggiore: in realtà essa dovrebbe essere considerata sulla base dei valori che l'hanno determinata (onestà, lealtà, sincerità...). Sì, è vero, l'amicizia può procurare sensazioni più o meno forti, e a queste sensazioni possiamo attribuire dei valori più o meno grandi, ma è anche vero che se noi non dessimo un valore alle nostre sensazioni, l'amicizia non esisterebbe affatto, o non sarebbe profonda. Hobbes infatti non credeva nel valore dell'amicizia. Queste cose la psicologia sperimentale le dimostra assai meglio della filosofia gnoseologica. Hobbes, in sostanza, non può togliere l'oggettività alla realtà, senza togliere, nel contempo, una qualunque oggettività al soggetto che la riflette (coi sensi o col pensiero). Ma se la sua intenzione è stata quella di distruggere l'oggettività delle cose, l'assolutismo monarchico ch'egli ha sempre auspicato non poteva avere più ragioni politiche dell'assoluta anarchia sociale. MORALE E POLITICA Hobbes scrive nel De cive (1642) che in ogni essere umano vi è un "movimento vitale" (conatus) che tendiamo a conservare e a espandere, una specie di istinto di autoconservazione, basato su un principio molto semplice: l'amore è una causa esterna che provoca piacere, mentre l'odio provoca dolore. Sulla base del piacere e del dolore l'uomo si forma una propria morale. Ciò che è bene e ciò che è male varia inevitabilmente da uomo a uomo: non esiste una morale originaria fondata sulla natura razionale dell'uomo. Questo perché nello stato di natura si agisce d'istinto, come gli animali. L'uomo non è un "animale politico" (come voleva Aristotele), ma un egoista. Sono le leggi che fissano la differenza tra bene e male. Senza queste leggi ogni uomo, pur di realizzare i propri desideri, sarebbe persino disposto a uccidere tutti gli altri (homo homini lupus, da Plauto, o bellum omnium contra omnes, cioè guerra di tutti contro tutti). Nello stato di natura non esistono diritti, ma solo sopraffazione, che istintivamente viene considerata come un diritto su tutto. Hobbes sostiene questo dimostrandolo con vari esempi: 1) fra gli uomini vi sono motivi di contesa che non esistono tra gli animali; 2) il bene dei singoli animali che vivono in società non differisce dal bene comune, come invece nell'uomo; 3) gli animali non vedono difetti nelle loro società, per cui non si preoccupano di modificarle continuamente; 4) gli animali non hanno la parola, che nelle società umane è fonte di grandi discordie; 5) gli animali non si biasimano tra di loro; 6) negli animali il consenso è naturale. Ecco perché, ad un certo punto, si ha bisogno, nelle società umane, di pace e sicurezza, e pur di averle l'uomo è disposto a rinunciare a tutti i propri diritti, a condizione ovviamente che anche gli altri facciano lo stesso. È così che si fonda un patto, su cui si basa lo Stato assoluto. In questa maniera le leggi razionalizzano l'egoismo. Il patto è tra i sudditi, non tra questi e il sovrano. Il sovrano è il depositario delle rinunce dei diritti. Il suo potere è indiviso e assoluto. Lo Stato assolutistico non è più per diritto divino ma per un patto sociale. Lo Stato assoluto viene chiamato Leviatano (un termine preso dall'Antico Testamento, dove indicava qualcosa di mostruoso e di invincibile). È una persona artificiale che non tollera opposizione. È assoluto perché deve far rispettare il patto, non perché debba per forza coincidere con una persona fisica (il sovrano): può anche essere un'assemblea, anche se Hobbes preferiva la monarchia. Lo Stato assoluto non è rappresentato da tutti i cittadini, ma solo dal sovrano, che è superiore alla legge. Ogni cittadino si deve identificare nello Stato, che così diventa totalitario. In cambio lo Stato fa di tutti gli individui singoli un popolo. Individualmente nessuno ha diritti che lo Stato sia tenuto a rispettare. Infatti lo Stato può disporre delle forze e delle ricchezze di tutti. Hobbes paragona lo Stato al corpo umano: la sovranità è l'anima artificiale che dà vita e movimento al corpo; i magistrati sono le articolazioni che danno premi e punizioni; i consiglieri sono la memoria; la ragione è l'equità; le leggi sono la volontà; la sedizione è la malattia; la guerra civile è la morte. I tre poteri fondamentali (legislativo, esecutivo e giudiziario) sono fusi nella persona del sovrano. Non può esistere neppure un diritto privato indipendente dal potere politico. La società civile è del tutto subordinata allo Stato, e la filosofia civile è una specie di scienza avente leggi necessarie. Il popolo va educato a obbedire, a capire che non c'è alternativa all'assolutismo monarchico, se non la reciproca distruzione fisica e materiale. Lo Stato deve avere poteri sufficienti per governare, per cui non può riconoscere né i poteri sovranazionali del papa, né i privilegi dei baroni, delle città, delle corporazioni, dei monasteri. Tutti i sudditi sono uguali e la legge è uguale per tutti. Hobbes elenca nel Leviatano 19 leggi, di cui le prime tre sono fondamentali: 1) cercare pace e sicurezza; 2) rinunciare al diritto su tutto, a condizione che lo facciano anche gli altri ("non fare agli altri quello che non vuoi facciano a te"); 3) rispettare i patti stipulati; 4) restituire i benefici ricevuti per non indurre gli altri a pentirsi d'averli concessi; 5) adattarsi agli altri al fine di favorire la socievolezza; 6) perdonare chi si pente; 7) evitare la crudeltà nelle pene che si comminano; 8) non disprezzare mai nessuno; 9) riconoscere gli altri come uguali a sé per natura; 10) nessuno pretenda che gli venga riservato qualche diritto che non vorrebbe fosse riservato ad altri; 11) chi è giudice dev'essere imparziale. Altre otto leggi riguardano l'uso comune delle cose indivisibili, l'affidare alla sorte la fruizione dei beni indivisibili, il salvacondotto per i mediatori di pace, l'arbitrato, l'idoneità a giudicare equamente e la validità della testimonianza. Il suddito rimane completamente libero in tutti quegli ambiti che non sono coperti dalla legislazione del sovrano, fintantoché rimangono tali. Ad es., se il sovrano non regolasse le transazioni economiche, queste sarebbero del tutto libere. Hobbes definisce legittima la resistenza del suddito al sovrano nell'unico caso in cui questi minacci l'incolumità fisica del suddito; tuttavia, nel momento in cui il suddito resiste al sovrano, anche legittimamente, il sovrano ha ancora il diritto di combattere contro il suddito che gli resiste, e di ucciderlo: infatti la resistenza del suddito al sovrano non è altro che una riproposizione dello stato di natura, all'interno del quale tutti hanno diritto a tutto, e la vittoria è del più forte. Da notare inoltre che Hobbes assegna al sovrano la possibilità di stabilire cosa sia omicidio, furto o minaccia alla sicurezza: per questo il sovrano può legittimamente ordinare ai sudditi di uccidere un altro suddito, o di andare in guerra, nel momento in cui lo ritenga necessario alla sicurezza dello Stato. Hobbes afferma che il suo Stato assoluto può degenerare in una tirannide, tuttavia ripete a più riprese che questa situazione sarà sempre migliore e più sopportabile della guerra civile. La religione La religione non ha un fondamento razionale, ma ha origine dalla paura dei fenomeni naturali, dall'ignoranza delle cause che provocano ansietà circa il proprio futuro. In questa maniera la religione si trasforma in una superstizione. Può però essere utilizzata dal sovrano per fini politici, per consolidare il proprio potere. Il potere religioso va tenuto sempre subordinato a quello politico, anzi, possibilmente la religione dovrebbe essere solo "civile", cioè priva di tutti quegli aspetti tipici delle religioni, come i riti, le gerarchie, le dispute teologiche che creano solo divisioni. Per salvarsi è sufficiente credere che Gesù è il messia annunciato dei profeti, venuto a liberarci dal peccato originale; l'obbedienza non è che la consapevolezza d'essere peccatori, bisognosi di protezione, da parte appunto di un sovrano, che può anche non essere cristiano. Se esiste un Dio, l'uomo non può conoscerlo, cioè non può dire com'è fatto. Il modello ideale di chiesa che ha in mente Hobbes è quello anglicano, perché, identificando la Chiesa con lo Stato, impediva un conflitto tra l'essere cristiani e l'essere cittadini. Lo Stato infatti è uno Stato anglicano, anche se quando scrive il Leviatano (1651) le sue teorie potevano adattarsi anche allo Stato puritano (calvinista) di Cromwell. Osservazioni critiche 1. Hobbes non ha capito come funzionava lo stato di natura (quello pre-schiavistico), che non era affatto basato sull'individualismo, bensì sul collettivismo. Questo perché ha proiettato sullo stato di natura la condizione sociale che si viveva in Inghilterra nel periodo in cui si è costituita come Stato-Nazione (guerra dei Cent'anni, guerra delle Due Rose e rivoluzione civile). Infatti è costretto a dare per scontato che nel momento in cui si fa il patto esista già una differenza tra sovrano e sudditi, il che però è contraddittorio se riferito allo stato di natura. 2. Ha teorizzato lo Stato assoluto nel De Cive (1642) per giustificare gli Stuart; poi scriverà il Leviatano (1651 in inglese, mentre in latino nel 1670) per giustificare la dittatura di Cromwell e ovviamente per avere la possibilità di tornare in patria, visto ch'era andato in esilio volontario a Parigi durante la rivoluzione, dal 1640 al 1651, per aver sostenuto che la monarchia era la migliore forma di governo. Non dimentichiamo ch'egli fu precettore non solo presso la potente casa dei Cavendish (conti di Devonshire), ma anche di Carlo Stuart (il futuro re Carlo II) nel 1646, cioè nel periodo in cui la corte era in esilio a Parigi, avendo Cromwell assunto i poteri dittatoriali a Londra. Dopo la morte di Cromwell (1658), che l'aveva fatto rientrare in patria a condizione che conducesse una vita ritirata (non pubblicò infatti alcuna opera politica) e quindi dopo la restaurazione degli Stuart, Hobbes ottenne una pensione dal re Carlo II. A Parigi aveva scritto un'opera contro le Meditazioni metafisiche di Cartesio e un'altra per difendere Galilei dagli attacchi dei teologi cattolici. Negli ultimi anni della sua vita fu spesso accusato d'essere ateo e per poco non venne condannato. 3. Ha fatto passare i sovrani assolutistici (Tudor, Stuart, Cromwell) come equidistanti nei confronti di tutte le classi sociali, quando in realtà essi rappresentavano gli interessi della classe nobiliare e borghese. Quando scrive il Leviatano è a favore di uno Stato assolutistico-borghese. In ogni caso quando dice che il patto si basa sulla rinuncia collettiva ai propri diritti in cambio della propria sicurezza, non pone le basi di uno Stato totalitario di tipo "socialista", come quello di Thomas More o di Campanella, poiché nel suo Stato non viene tolta la proprietà né alla borghesia né alla nobiltà (al massimo viene tolta la possibilità di privare gli altri della loro proprietà: cosa che potrebbe fare solo lo Stato). Quindi la seconda legge che pone: rinunciare al diritto su tutto, a condizione che anche gli altri lo facciano, è irrealizzabile, se anche uno solo non vi aderisce. In tal caso occorrerebbe una guerra, che però escluderebbe l'adesione volontaria al patto. Bibliografia
Critica
|