TEORICI
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HEGEL E IL COMPIMENTO DELLA FILOSOFIA (1770-1831) I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII Quadro storico-culturale La violenta reazione antinapoleonica aveva prodotto nella cultura germanica un più drastico ripudio delle idee rivoluzionarie francesi e l'accentuazione dei caratteri peculiari della nazione, della stirpe, della tradizione e dello spirito tedeschi. L'individualismo liberale, che sembrava destinato ad affermarsi nelle opere di Goethe, Schiller, Kant, von Humboldt e in parte Fichte e Schelling, cederà il posto, con Hegel, con molti romantici e poi con la destra hegeliana, a un'idea di nazione vista come organismo dotato di una propria autonomia di vita, che racchiude in sé e in certo modo precede la vita degli individui. Prima e al di sopra delle singole personalità esiste - secondo questa concezione - il genio della stirpe, lo spirito del popolo, con i suoi tratti specifici che gli derivano non solo dalle tradizioni storiche, ma anche da fattori naturali immodificabili: la razza, la lingua, la collocazione geografica. Anche questo era un modo di sublimare la mancanza di una nazione moderna, democratica e rappresentativa. Naturalmente questa idea di Nazione era destinata ad influire anche sul concetto di Stato, provocando il passaggio di molti filosofi, scienziati, artisti e letterati da uno spiccato individualismo (col quale si contestava lo status quo conservativo) a un esasperato statalismo (col quale si voleva rivendicare una specificità europea della nazione tedesca). Toccava insomma allo Stato (nella fattispecie alla Prussia) esprimere tutti i valori etico-ideali della nazione, superiori ai valori e diritti individuali. Le ultime opere di Fichte avevano inaugurato, seppur nel contesto della resistenza antinapoleonica, questa tendenza statalistica, ma sarà con la Filosofia del diritto di Hegel ch'essa raggiungerà la massima espressione. Dal 1806-7 la Prussia era diventata il vero centro della lotta antifrancese, ed essa era anche il maggior centro di formazione della cultura nazionale. Le sorti della nazione tedesca parvero identificarsi con quelle di uno specifico Stato tedesco, il quale riuniva nel suo composito territorio tutta la grande varietà di condizioni storico-sociali che caratterizzavano l'intera Germania. Mentre nelle sue regioni orientali gli junker (latifondisti di origine feudale) dominavano ancora come sovrani sui loro territori e sui loro servi, nelle regioni occidentali confinanti con la Francia emergeva una borghesia culturalmente aperta, la quale però -eccettuati alcuni gruppi radicali- continuava a vedere nella monarchia prussiana l'unico sicuro strumento per la realizzazione dello Stato nazionale, in un'alleanza con gli junker. Non dimentichiamo tuttavia che proprio la rivoluzione parigina del 1830 suscitò un'altra eco assai viva nei circoli intellettuali tedeschi (anche in virtù delle lettere che da Parigi inviavano L. Börne e H. Heine). Il movimento progressista tedesco non si era spento con il trionfo della reazione post-napoleonica. Proprio in quegli anni, ad. es., andò sviluppandosi il movimento letterario della "Giovane Germania", che aspirava a trasferire nell'arte l'interesse politico (specie per la Costituzione), a collegare letteratura e vita, a impegnarsi per l'emancipazione femminile... Nel 1835 il governo vietò la pubblicazione dei libri di coloro che aderivano a tale movimento. Iter biografico e intellettuale Georg W.F. Hegel nasce a Stoccarda nel 1770 da una benestante famiglia luterana di origine austriaca: suo padre, impiegato nell'amministrazione del duca di Württemberg, era un rigido conservatore. Dal 1788 al '93 studiò teologia e filosofia all'Istituto superiore di Tubinga (che era una fondazione protestante): qui strinse amicizia con Hölderlin e Schelling. In questi anni segue con attenzione, insieme ai compagni di studio, le vicende della Rivoluzione francese e si sente estraneo all'ambiente intellettuale di Tubinga, ove dominano i principî del soprannaturalismo, ovvero l'autorità di tutti gli scritti biblici e il carattere positivo (o rivelato) della religione cristiana, contro ogni tentativo di ricondurla a religione naturale. Tubinga è avversa al rinnovamento operato da Kant e da Fichte. Oltre a quest'ultimi, Hegel s'impegna assiduamente a leggere Rousseau, Herder, Locke, Hume e i classici greci. [ Periodo di Berna ] Dal 1793 al '96 soggiorna a Berna in qualità di precettore privato. Qui continua a leggere testi dell'Illuminismo e a seguire le vicende politiche europee. Scrive, senza pubblicarli, tre volumi: Religione di popolo e cristianesimo, Vita di Gesù e La positività della religione cristiana. Il giovane Hegel pensa di diventare uno scrittore politico, un riformatore di coscienze e immagina d'inserire il proprio lavoro in una futura, auspicata, rivoluzione tedesca, sul modello della francese, che sia la realizzazione nella vita pubblica di un quadro filosofico illuministico tedesco che partito da Kant (critico della religione), aveva trovato in Fichte la prosecuzione più felice. L'autonomia razionale dell'uomo, la sua creatività intellettuale e il suo slancio morale appaiono al giovane Hegel fattori sufficienti per determinare un nuovo modo di essere socialmente: la fine del dispotismo vetero-feudale, la creazione di una società di cittadini liberi in uno Stato costituzionale fondato sul patto o contratto sociale e guidato politicamente da una volontà generale. Come ogni scrittore politico di orientamento democratico-illuminista che lavori in Germania, Hegel reperisce il suo oggetto critico nell'unico elemento - la religione - che è di fatto un "universale sociale" e che quindi appare come il tessuto connettivo della vita pubblica: ciò da cui sembra dipendere la stagnazione o la modifica della società. Il giovane Hegel ha l'immediata percezione che la religione cristiana sia l'elemento culturale fondamentale per abituare gli uomini a credere che la conservazione dello status quo (all'interno del quale la stessa religione goda di un regime di privilegio) sia la soluzione migliore. Essendo quindi una religione che predica l'obbedienza e tutela il dispotismo, soltanto una serrata critica ai suoi fondamenti pare ad Hegel condizione indispensabile per far nascere una coscienza razionale all'altezza dei tempi. Nei tre scritti di Berna, Hegel non ha concezioni ateistiche esplicite, ma semmai agnostico-deistiche, come la maggior parte degli illuministi anglo-francesi. Egli infatti accetta l'idea lessinghiana della religione come forma di educazione popolare dell'umanità, che nasce dalla necessità di realizzare un'etica sociale della comunità (la religione del popolo per il popolo). Però, essendo egli un illuminista, condivide anche la concezione (di tradizione kantiano-fichtiana) secondo cui la moralità si può costituire secondo criteri puramente razionali, senza che intervengano elementi religiosi. In altre parole, la religione popolare (e qui Hegel ha in mente il mondo greco) adempie ad una necessità morale che, in seguito, può essere gestita dalla sola ragione (almeno nell'ambito degli intellettuali). Da notare che il giovane Schelling parlava addirittura della necessità di una "mitologia" della ragione, per dare a quest'ultima la stessa forza sociale di una religione popolare: sul modello dei culti rivoluzionari francesi. Il modello tipico di religione popolare, quella che realizza col sentimento (non colla ragione) un fine morale, è la religione delle antiche città-stato greche e della Roma repubblicana, che per Hegel è una sintesi di moralità sociale, costume politico, vita associata, certezza dell'individuo nei valori della collettività, partecipazione a un comune cerimoniale. La religione cristiana non soddisfa queste esigenze perché impone un universo di dogmi, comandi e divieti ad un soggetto ritenuto passivo. La "positività" del cristianesimo (in antitesi a religione "naturale") starebbe appunto nell'accettazione fideistica del corpus dottrinale, nel ricorso al principio di autorità, tradizione, miracoli come prova della verità. L'analisi che Hegel fa dell'origine storica del cristianesimo è in linea con la storiografia illuministica: il cristianesimo è sorto nel periodo della decadenza classica, quando scomparvero le virtù dell'eroe repubblicano e subentrò la tirannia politica. Il cristianesimo si afferma quando lo Stato perde consistenza spirituale. Ecco perché esso isola l'uomo dalla comunità terrena, mettendolo solo davanti a Dio. Privo di personalità sociale, lo schiavo è il tipico credente cristiano, per il quale la vita eterna diviene un risarcimento di una vita senza valore. Le violenze delle crociate, la colonizzazione dell'America e la tratta degli schiavi sono per Hegel una diretta conseguenza del fatto che il cristianesimo è una religione dispotica. Il Cristo dei Vangeli è per Hegel il predicatore di una "religione del dovere" (alla Kant), cioè di una morale naturale terrena: la divinità da lui predicata non era che l'esigenza di una ragione libera da ogni limite. Le sue idee sarebbero state strumentalizzate da un ambiente legalistico fondato socialmente sulla schiavitù. In questi anni Hegel matura anche la convinzione che lo Stato sia superiore a qualsiasi ceto sociale, nel senso che gli interessi di un ceto possono essere sacrificati per il bene comune. Da notare che l'abolizione dei ceti come corpi separati fu uno dei risultati della Rivoluzione francese. [ Periodo di Francoforte ] Agli inizi del 1797 Hegel andò a Francoforte a svolgere il mestiere di precettore privato. Vi resterà sino al 1800. Qui maturerà una profonda crisi esistenziale, che lo porterà a modificare radicalmente le sue prospettive politiche e le sue esigenze teoretiche. Da scrittore-saggista inizia a diventare un sistematico: all'istanza di realizzare praticamente la ragione subentra quella di comprendere la realtà secondo l'ordine della ragione. Hegel rifletteva la crisi della Germania di allora, incapace di fare una storia conforme alle idee illuministiche e rivoluzionarie di Francia e Inghilterra, eppur consapevole della sua necessità. La frustrazione oggettiva di questa mancata realizzazione si sublimava, nei circoli intellettuali, nella costruzione della ragione che comprende la totalità dell'esperienza. L'impossibilità del fare diventava il comprendere secondo una necessità universale. La filosofia che Hegel immaginava d'essere una pedagogia sociale era destinata a diventare una scienza universitaria: proprio attraverso questa sua istituzionalizzazione essa, ch'era nata come scissione nei confronti della realtà socio-politica, si riconciliava con questa stessa realtà. Tale involuzione politica e insieme evoluzione filosofica caratterizzerà l'itinerario intellettuale non solo di Hegel ma anche di tutti i filosofi idealisti tedeschi. A Francoforte i problemi politici, nel quadro delle riflessioni di Hegel, perdevano molta della loro importanza e cominciavano ad essere trattati con un linguaggio esclusivamente filosofico. Lo Stato democratico e nazionale ora appare ad Hegel come un obiettivo non immediatamente realizzabile. Di conseguenza il filosofo non è più colui che si pensa in opposizione al reale, ma è colui che pensa all'opposizione intrinseca, oggettiva, interna al reale, che va capita e superata a livello intellettuale, nella considerazione della sua necessità e della necessità del suo superamento. Il cristianesimo ora viene visto come una religione dell'amore, che ha cercato di conciliare i temi drammatici della religione ebraica, che oppone Dio come "Signore" al popolo ebraico come "servo" (l'influenza di Schiller qui è notevole). I concetti fondamentali de Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798-99) sono "destino", "amore" e "vita". Questa è la prima articolazione della filosofia hegeliana. Il concetto di destino deriva dai tragici greci. Esso permette ad Hegel di stabilire un rapporto organico, strutturale, tra l'individualità e la totalità (p.es., l'eroe tragico compie una determinata azione convinto che ad ispirarla sia la sua passione o la sua volontà: in realtà egli non sa che la sua azione era già prevista in un disegno complessivo oggettivo, sicché quanto più egli afferma la propria individualità tanto più realizza, anche senza saperlo, ciò che necessariamente deve accadere). In tal modo le contraddizioni individuali vengono ricomprese in una logica superiore. L'amore è ciò che permette di realizzare meglio questa ricomposizione: il cristianesimo è la religione che riunifica Dio e l'uomo e gli uomini tra di loro. In questo senso Kant e Fichte vanno superati, poiché permane in loro il dualismo soggetto/oggetto (Hegel qui si rifà a Hölderlin, che riconcilia natura e spirito sul modello della grecità; a Schiller che riunifica sensibilità e razionalità; a Schelling che ricompone soggetto e oggetto, in nome di una natura spiritualizzata). Tuttavia, per Hegel il cristianesimo ha fallito il suo scopo, in quanto il concetto di amore non si è obiettivamente realizzato a livello universale, per cui anch'esso va superato. L'amore infatti o è un'idealità astratta, una filantropia, una moralità che proprio mentre comanda di vivere l'amore attesta indirettamente la sua assenza, oppure è un'esperienza di pochi, che non incide sul contesto generale. Ecco perché esso va superato con il concetto di vita, che include anche gli aspetti negativi dell'esistenza umana. La vita è un concetto dialettico che consente di vedere che ogni determinatezza, come ad es. il cristianesimo, non è assoluta, ma ha un suo destino che la collega ad una unità più complessiva. A livello politico Hegel pensa ad una rifondazione organicistica dello Stato, con un monarca che sia espressione della totalità e conceda sfere di diritti particolari ai diversi ceti, che sono parti strutturate della compagine statale. Lo scritto più significativo, anch'esso inedito, è La costituzione della Germania. [ Periodo di Jena ] Morto il padre nel 1799, Hegel, grazie all'eredità toccatagli, può dedicarsi completamente agli studi. Agli inizi del 1801, chiamato da Schelling, si reca a Jena, ove consegue la docenza universitaria, tenendo corsi di libero docente dal 1801 e dal 1805 in qualità di professore straordinario (cioè pagato direttamente dagli studenti frequentanti le lezioni). Dalla facoltà di filosofia di Jena, nei 20 anni che vanno dal 1785 al 1805, era passata la parte essenziale della filosofia tedesca: i kantiani a cominciare da Reinhold e Schiller, e poi l'idealista Fichte (fino alla polemica sull'ateismo), il romantico F. Schlegel e infine Schelling. A Jena Hegel pubblica il suo primo scritto a stampa intitolato Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling nel 1801, prendendo posizione a favore di quest'ultimo. Insieme a Schelling pubblica nel biennio 1802-3 il "Giornale critico della filosofia" e matura la sua prima grande opera, La fenomenologia dello spirito che terminerà nel 1806. [ Hegel e Schelling ] In questo periodo Hegel si serve della filosofia di Schelling per emanciparsi da quella di Kant e soprattutto di Fichte, cui si sentiva fortemente attratto. In particolare egli fa propria la critica di Schelling all'intelletto che separa l'uomo dalla natura, il particolare dal generale, la libertà dalla necessità, ecc. L'esigenza di Hegel è quella di mediare dialetticamente le opposizioni cristallizzate dall'intelletto e dimostrare che il processo di unione degli opposti comprende tutti i molteplici aspetti della realtà, nessuno escluso, in quanto tutti partecipano alla costruzione della totalità. Le contraddizioni cioè non vanno esasperate ma ricomprese nel tutto. L'intelletto kantiano-fichtiano è per Hegel irrazionale in quanto parte da un'istanza contestativa che non può trovare alcuna soddisfazione. Schelling inoltre aiuterà Hegel a passare dall'interesse teologico a quello propriamente logico, anche se questo coinciderà nella sua opera con una serrata critica dell'Illuminismo europeo. Oltre all'attività di partner pubblicistico di Schelling, Hegel nei corsi universitari di Jena raccoglie ed elabora materiali (rimasti inediti per oltre un secolo) organizzati in una Logica e metafisica, Filosofia della natura e Sistema dell'eticità. Politicamente Hegel registra una notevole quantità di idee consone alle istanze socio-economiche della borghesia, ma le incorpora in una prospettiva politica di vecchio tipo: l'ideale - a suo giudizio - è una società di ceti retta da un potere monarchico ereditario, non derivato né limitato da alcuna forma di contratto sociale. Sul piano della critica della religione, Hegel la prosegue, ma ridimensionando le conquiste dell'Illuminismo, il quale, pur criticando il dogmatismo e la superstizione, non ha saputo fare altro - secondo Hegel - che porre l'assoluto al di sopra della ragione, rendendolo inaccessibile e incomprensibile (vedi Kant e Fichte). Il distacco da Schelling avviene non sul terreno politico (ove non c'era alcun vero disaccordo) ma su quello filosofico. L'opera che lo sanziona ufficialmente è la Fenomenologia dello spirito (1807). Il distacco avviene sul concetto di contraddizione, che per Schelling è una semplice "polarità" di opposti (positivo-negativo, ecc.), colta nel contesto della natura e riferibile a tutto l'universo, uomo compreso. Per Hegel invece la contraddizione è un processo in cui la libertà (soprattutto quella umana) gioca un ruolo di primo piano. Questa contraddizione, per essere superata, ha bisogno, per essere efficacemente interpretata, di un processo speculativo (la dialettica) molto più sofisticato dell'intuizione intellettuale (per la quale - dirà Hegel - l'identità è come la notte in cui tutte le vacche sono nere). Hegel esprimeva una consapevolezza più profonda dei problemi del suo tempo: a differenza di Schelling egli vedeva la contraddizione nel suo necessario sviluppo storico. [ Dagli anni napoleonici alla Restaurazione ] Nel momento in cui lascia l'università e la città di Jena nel 1806, dopo la vittoria di Napoleone sui prussiani, Hegel pensa di poter condividere i risultati della Rivoluzione francese passando attraverso l'attuazione storico-politica che di essi aveva dato Napoleone, dal quale si attendeva l'introduzione, negli Stati della Confederazione renana, sia del Codice napoleonico che di ordinamenti costituzionali (sia pur sempre di stampo cetuale) che nella Germania dell'epoca erano fortemente osteggiati dai reazionari. Con tale spirito Hegel svolse dal 1807 al 1813, prima a Bamberga come redattore di un giornale governativo, poi a Norimberga come preside del ginnasio locale, un'attività pubblica di funzionario della Baviera, Stato che faceva parte della Confederazione renana patrocinata da Napoleone. In seguito, contro il Congresso di Vienna, Hegel avrà parole di feroce sarcasmo, rifugiandosi però in una visione di filosofia della storia a tempi lunghi, la quale gli indicava sia l'impossibilità di un ritorno a prima del 1789, sia l'inopportunità di una realizzazione di uno Stato democratico tedesco. In un lungo saggio politico del 1817, Valutazione degli atti a stampa dell'assemblea degli stati territoriali del regno del Württemberg negli anni 1815-16, Hegel lodò il re di quello Stato perché aveva concesso una Costituzione, ma lo criticò perché con essa aveva permesso ai cittadini, sulla base di una semplice rendita in denaro, di poter votare e di poter così violare la gerarchia di ceti caratteristica dello Stato tedesco. Un'analoga protesta contro l'estensione della partecipazione popolare alla vita politica, verrà svolta da Hegel nello scritto del 1831, Sul progetto inglese di riforma elettorale. Vi si riflette, tra l'altro, il forte allarme suscitatogli dalla ripresa del movimento liberale europeo dopo la rivoluzione del luglio 1830 in Francia. Nel 1816 Hegel venne nominato professore di filosofia all'università di Heidelberg. Iniziava così la sua ascesa alle vette della cultura universitaria tedesca. Due anni dopo era a Berlino, dove, per oltre un decennio, rappresentò, senza alternative, la filosofia tedesca. Nel 1817, come strumento di studio per i suoi studenti, pubblica l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, che comprende la logica, la filosofia della natura e quella dello spirito. Per quanto riguarda la logica, l'Enciclopedia riassume i risultati ottenuti da Hegel nella imponente Logica, opera in 3 volumi pubblicata dal 1812 al 1816. La filosofia dello spirito non è che una rielaborazione sistematica della Fenomenologia dello spirito. Nella filosofia della natura (che è la parte meno significativa) vi sono ancora tracce dell'influenza schellinghiana, soprattutto là dove Hegel considera più significativo per la comprensione della natura l'animismo del primo Keplero e di Goethe che non il meccanicismo di Newton. [ Il periodo di Berlino ] L'inizio dell'insegnamento di Hegel a Berlino è dominato da due testi: la Prolusione del 1818 alle lezioni e i Lineamenti di filosofia del diritto del 1821. Nella Prussia restaurazionista erano confluite molte cose: l'eredità delle riforme tardo-illuministiche concesse dall'alto (1807-1810); il mito (cui lo stesso Hegel aderì nella Prolusione) di un'unità organica e idealizzata fra re e popolo, che sarebbe nata nella guerra antinapoleonica; l'eco delle aspettative costituzionali avutesi nel 1813 durante la sollevazione antifrancese e subito tradite; infine la politica autoritaria di Federico G. III e del partito aristocratico. Vi erano insomma elementi feudali e borghesi difficilmente separabili. Proprio questa forte interconnessione appariva ad Hegel come il massimo della mediazione possibile, il culmine della conciliazione degli opposti. Compito della filosofia era appunto quello di comprendere questa realtà, salvaguardandola dai tentativi di coloro che in un modo o nell'altro aspiravano a modificarla. Nei Lineamenti ciò appare in tutta evidenza: il "reale" (cioè la società civile, la nazione, lo Stato prussiano) è "razionale", cioè giusto, legittimo, e il "razionale" (la stessa filosofia hegeliana) è "reale", in quanto è l'unica che sa interpretare correttamente l'oggettività delle cose. Le contraddizioni vengono superate perché sono state relativizzate dalla dialettica che media i contrari. Ad es., nei Lineamenti Hegel caratterizza il ceto agricolo con dei connotati interclassisti applicabili tanto al nobile terriero quanto al contadino piccolo proprietario; il ceto dell'"industria", strutturato in corporazioni, accomuna strati sociali assai diversi tra loro come l'artigiano, l'imprenditore manifatturiero e il commerciante; infine il ceto "generale" comprende in pratica tutti i funzionari statali. Questo quadro sociologico è sostanzialmente pre-borghese. Certo, analizzando la società civile come il luogo del "sistema dei bisogni" (appagabili mediante il lavoro), Hegel registra parecchie nozioni della moderna scienza borghese dell'economia politica (Smith e Ricardo in particolare), ma egli continua a leggerle in un'ottica pre-capitalistica, per la quale all'industria spetta un ruolo subordinato rispetto alla proprietà terriera e al ceto dei burocrati statali. Tutti i corsi universitari tenuti a Berlino saranno pubblicati postumi, dai discepoli che seppero dare organicità agli appunti tratti dalle lezioni. Nell'ultimo decennio della sua vita Hegel aveva cercato di misurarsi con i problemi posti dalla storia umana, applicando concretamente il proprio metodo dialettico. Di qui le Lezioni sulla filosofia della storia, le Lezioni di filosofia dell'arte (o Estetica), le Lezioni sulla filosofia della religione e le Lezioni di storia della filosofia. Di questo immenso lavoro, ancora oggi non sufficientemente studiato, qui si può ricordare che sulla scena di quello che Hegel chiama lo "spirito del mondo", gli Stati, i popoli e le nazioni sembrano giocare un ruolo di comparse, impersonando essi di volta in volta le fasi di svolgimento della storia universale, nella quale appare sempre dominante quel popolo che meglio di altri incarna lo spirito di un'epoca (dapprima ad es. i popoli orientali, poi quelli greco-romani, infine quelli germanici, dove tutti gli individui sono liberi). Teoria questa che verrà strumentalizzata, probabilmente contro le stesse intenzioni di Hegel, dagli ideologi del nazionalismo tedesco imperiale dopo il 1870 e poi dal nazismo, che cercherà di vedere nel popolo tedesco una razza superiore. Hegel morirà improvvisamente di colera a Berlino nel 1831. ASPETTO SISTEMATICO Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e Schelling (1801) Hegel è per il realismo di Schelling contro il soggettivismo di Fichte. L'opposizione di Io non-Io (così forte in Fichte) non va eliminata ma ricondotta da assoluta a relativa. Lo strumento per farlo è la ragione, superiore all'intelletto, che vede solo opposizioni (cioè conflitti irriducibili), e non sa mettere il finito in relazione all'assoluto. L'unificazione include sia il momento della negazione (antitesi) che il superamento della stessa negazione (sintesi), per il recupero della positività iniziale che è la tesi (trasformatasi nel processo). Il movimento è dialettico (mediativo). Per sopprimere l'opposizione occorre che soggetto e oggetto diventino identici. Secondo Hegel, Fichte sopprime l'oggetto elevando il soggetto all'infinito, ma così l'uno resta condizionato dall'altro. [ Rilievo critico ] Hegel fa questo ragionamento nel momento in cui cerca di riconciliarsi con la società assolutistica del suo tempo, nella convinzione che un mutamento qualitativo sia impossibile e in un certo senso neppure desiderabile (visti i risultati terroristici della Rivoluzione francese). Fichte invece non voleva riconciliarsi con il governo prussiano, che gli appariva non conforme alle esigenze espresse dalla società e alle idee progressiste di Francia e Inghilterra. La sua posizione tuttavia restava velleitaria, poiché egli sperava di modificare la realtà a immagine del proprio Io, senza una vera partecipazione delle classi e dei ceti sociali progressisti. Hegel risulta alla fine più dialettico (più realista) perché tiene più conto dei limiti soggettivi e oggettivi della realtà, solo che lo è nel contesto di un'istanza di liberazione repressa, che non vuole praticamente manifestarsi, ovvero che vuole manifestarsi solo a livello speculativo. Il superamento (Aufhebung) della contraddizione avviene solo nel pensiero. Logica, metafisica e filosofia della natura (1802) La scienza che mostra i limiti dell'intelletto e i pregi della ragione è la logica, che considera la posizione (tesi) e la negazione (antitesi) momenti di una stessa attività, che va colta nella sua sintesi. La logica non è altro che la delineazione della vita nello spirito. Hegel in sostanza stava cercando una causa oggettiva, necessaria, che giustificasse la realtà a lui contemporanea. Fenomenologia dello spirito (1807) E' appunto il tentativo di delineare concretamente la vita dello spirito nelle sue manifestazioni oggettive, necessarie. Qui Hegel si distacca definitivamente da Schelling ponendo lo spirito come risultato di un processo (storico e logico) e non come un oggetto statico da contemplare. Nella Fenomenologia vengono colti i momenti ideali dello spirito attraverso le vicende storiche. La storia diventa la scienza della coscienza fenomenica, immediata, formale. Il discorso "sullo" spirito diventa un discorso "dello" spirito, fatto più che altro in maniera allusiva. Infatti il "vero" non viene semplicemente pensato come "sostanza" ma anche e soprattutto come "soggetto", cioè come una realtà vivente e spirituale che si muove nella storia, anticipando l'innalzarsi della filosofia a scienza. Il luogo del discorso è il tempo, tradizionale avversario di tutte le metafisiche pre-hegeliane. Le parti del discorso sono le varie forme (culturali) che lo spirito ha assunto nel tempo. La contraddizione è l'elemento fondamentale del movimento dello spirito: essa, compresa attraverso la dialettica, determina le varie trasformazioni delle figure fenomenologiche. Ogni figura è relativa, in quanto, ritenendo d'essere assoluta (ogni cultura infatti ritiene d'essere la verità), produce inevitabilmente la propria opposizione, che la nega e la supera. La verità in realtà per Hegel è un processo, un divenire. Il vero è l'intero, l'intero è ottenuto con uno sviluppo, l'assoluto è il risultato dello sviluppo. Hegel si richiama a Parmenide per dimostrare che l'assoluto è solo nel processo che scorre, attraverso opposizioni e riunificazioni continue. La dialettica è la struttura di questo movimento per contraddizioni. Le sue caratteristiche fondamentali sono le seguenti: 1) essa si fonda sul principio universale di contraddizione, per cui le cose hanno senso solo se contraddittorie, 2) è triadica (tesi-antitesi-sintesi), ovvero si basa sul principio della negazione della negazione, 3) afferma il passaggio dalla quantità alla qualità e dal semplice al complesso (o dal più basso al più alto), 4) afferma l'infinità di questo processo (che avviene nell'uomo, nella natura, nella conoscenza), per cui non solo la dialettica deve corrispondere a una situazione reale perché essa sia attendibile, ma essendo essa l'intelligenza delle cose dovrebbe anche saper indicare come conformarsi al loro svolgimento. Il superamento è la risoluzione (relativa) della contraddizione: è insieme negazione della vecchia forma e suo ulteriore sviluppo (quindi anche la sua conservazione nel movimento). Da cosa nasce la contraddizione? Dal desiderio, che scinde lo spirito dalla natura e che inaugura la storia, la civiltà, il tempo. Il desiderio del soggetto autocosciente si scontra col desiderio di altri soggetti. Qui - secondo Hegel - non avviene il contratto (come vuole Hobbes), ma l'antagonismo dell'uomo con l'uomo (prima figura culturale), ovvero l'assoggettamento del più debole da parte del più forte. Si stabilisce così quella relazione tra padrone e servo che ha la sua concreta espressione storica nella società antica. La decisione di chi sarà il signore e di chi sarà il servo avviene nel conflitto delle autocoscienze. Entrare in conflitto vuol dire per entrambi rischiare fisicamente la morte. Il primo che si ritira da questo rischio, mostrando così che il suo desiderio è meno forte, acquisterà un'autocoscienza da servo. In tal modo si ha la formazione dello Stato: non di quello etico, basato sul diritto, ma di quello fenomenico, basato sulla forza. Tuttavia, la vita del signore dipende dal lavoro del servo, e il servo e il signore che hanno coscienza di questo si sentiranno, l'uno, meno servo, l'altro, meno signore. Il signore ha coscienza della sua dipendenza dal servo, e il servo ha coscienza di poter trasformare i prodotti della natura, quindi ha coscienza dell'indipendenza dell'uomo dalla natura, anche se il signore gli ha tolto la proprietà delle cose. Mediante il lavoro, la coscienza del servo acquista una posizione più alta rispetto a quella precedente del signore e si rassegna, nella pratica, consapevole della propria superiorità filosofica (così ha inizio la sapienza o lo stoicismo). D'altra parte la coscienza stoica può riguardare anche il padrone - come riguardò Marco Aurelio, oltre che Epitteto: essa infatti è l'indifferenza verso la vera verità delle cose, che vengono accettate solo in quanto accettabili. [Da notare che qui Hegel ha cercato di dimostrare che sia per il servo che per il signore la contraddizione era relativa. In realtà per il servo è assoluta, in quanto egli ha consapevolezza dell'inutilità del signore e insieme dello sfruttamento cui questi lo sottopone, per cui agli occhi del servo la contraddizione non può che apparire assoluta: egli, pur avendo coscienza della propria superiorità, deve limitarsi ad affermarla solo nel pensiero.] L'autocoscienza si sviluppa attraverso le tappe successive. Anzitutto l'autocoscienza del servo sente di non essere paga di sé e diventa scettica (in quanto avverte il momento della scissione all'interno di sé, ovvero la certezza d'essere superiore filosoficamente alle contraddizioni (a quella p.es. di padrone e servo) comincia ad apparire come una magra consolazione), per cui essa cerca un rapporto con l'assoluto o Dio, ma in questo rapporto (tipico dell'età medievale) essa rimane infelice poiché l'assoluto resta inarrivabile, inattingibile, essendo posto come al di là della coscienza. [Qui si riflette la crisi religiosa dello stesso Hegel.] L'infelicità viene in parte superata dal Rinascimento, allorché l'uomo pensa che la realtà, la natura, il mondo possano permettere alla ragione di realizzarsi, in quanto la realtà non è più avvertita come esterna alla coscienza. Dall'osservazione della natura (scienza della natura), l'uomo passa alla ricerca della felicità e alla realizzazione di istituzioni politiche e sociali. La ricerca della felicità è la ragione che agisce individualmente: a) dell'uomo che ricerca la felicità nel piacere, come il primo Faust, b) dell'uomo che segue la legge del cuore individuale, come Rousseau, 3) dell'uomo incorruttibile, secondo l'ideale di Robespierre. [Questo periodo corrisponde all'entusiasmo di Hegel per la filosofia di Kant e Fichte.] Tuttavia la ragione trova appagamento quando si riconosce nelle forme storiche che disciplinano la vita degli individui, non quando è preoccupata di sottoporre la realtà al suo volere. La moralità deve diventare oggettiva nella famiglia, nella società e nello Stato, per essere vera. Hegel ammira Richelieu, protagonista della costruzione dello Stato, e critica sia il potere della ricchezza mercantile (che allenta l'eticità oggettiva dello Stato), sia l'Illuminismo che, condannando l'assolutezza dello Stato, ha condotto al terrore giacobino, al quale però ha posto rimedio il realismo di Napoleone. [Qui si consuma il distacco di Hegel da Fichte.] Ma la Fenomenologia prospetta, nella sua conclusione, un distacco anche dalle forme obiettive dell'eticità e un passaggio allo spirito che, autocosciente di sé, si svolge nella religione e nella filosofia. La religione è autocoscienza dell'assoluto nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del concetto, ed è quindi più alta della religione, benché entrambe abbiano lo stesso oggetto. La religione più perfetta è quella cristiana: nei dogmi fondamentali di questa religione (Incarnazione, Trinità, Processione dello spirito, ecc.) egli vede i concetti-cardine della propria filosofia. La filosofia più perfetta è quella che raggiunge il sapere assoluto. [Qui si chiarisce il suo distacco dalla filosofia di Schelling e il lato "conservatore" della propria filosofia.] [ Rilievo critico ] Per Hegel la libertà è possibile solo nel pensiero non nella realtà. La contraddizione viene superata relativizzandola con la speculazione filosofica. La Fenomenologia è una sorta di romanzo (autobiografico) di formazione filosofica, in cui il vero protagonista è la coincidenza voluta dall'autore dello sviluppo della storia con il proprio iter intellettuale. L'individuo, incontrando una serie di difficoltà che lo mettono alla prova, modifica le proprie originarie convinzioni (che ora ritiene illusorie), nella consapevolezza che attraverso di esse doveva necessariamente passare per poter giungere alla verità che rende liberi. Nell'ambito della cultura tedesca questo tipo di romanzo ha dei precedenti in Goethe, Novalis, Hölderlin... Logica (1812-16) La Scienza della logica è un testo completamente diverso dalla Fenomenologia dello spirito: infatti l'unica cosa che qui viene presa in esame sono le modalità con cui il pensiero si rapporta alla realtà e interpreta se stesso. Quindi è un testo sulle idee, le categorie, i concetti che usiamo. Prima di questo testo ve ne sono stati molti altri, dall'Organon di Aristotele alla Critica della ragion pura di Kant, ma Hegel è convinto di aver posto le basi di una logica senza precedenti. Il testo è stato scritto mentre egli era rettore e docente di filosofia nel ginnasio di Norimberga, ed è stato pubblicato in tre volumi separati: dottrina dell'essere (1812), dottrina dell'essenza (1813) e dottrina del concetto (1816), che corrispondono alle tre sezioni dell'opera. L'ultimo volume precede di un anno la pubblicazione dell'Enciclopedia delle scienze filosofiche, che colloca la Logica, in forma sintetizzata, nella prima sezione. Quindi si può dire che la Logica, pur essendo stata la seconda parte della Fenomenologia dello spirito (in quanto per entrambe pensiero ed essere coincidono), in realtà diventa nell'Enciclopedia la prima parte (definita da Hegel “idea in sé”), seguita dalla Filosofia della natura (“idea per sé”) e infine della Filosofia dello spirito (“idea in sé e per sé”). Tutte le Logiche precedenti, che Hegel ha intenzione di superare, vengono suddivise in tre gruppi: a) quelle in cui si è convinti che possa esistere un mondo indipendente dal soggetto, il quale quindi deve conoscere una verità esterna a lui (logiche teologiche e metafisiche del mondo greco e medievale, ma anche quelle razionalistiche del mondo moderno, ancora influenzate dalla Scolastica); b) quelle che negano una verità oggettiva alle cose e la fanno dipendere unicamente dalle rappresentazioni soggettive, le quali quindi affermano la relatività della verità (logiche empiristiche, soprattutto quelle inglesi); c) quelle che vogliono sì collegare la soggettività del pensiero all'oggettività della realtà, ma lo fanno usando l'intuizione (Schelling) o la fede (Jacobi) e non la ragione (come se il collegamento potesse essere fatto in maniera immediata). Per Hegel la realtà della cosa (la verità) e la realtà del pensiero (la certezza) devono assolutamente coincidere e di tale coincidenza si fa carico appunto il pensiero, che deve saper cogliere razionalmente nella realtà quelle leggi oggettive (universalmente valide) da cui non si può assolutamente prescindere. Ma perché la Logica di Kant non soddisfa questa ricerca? Hegel riconosce a Kant il merito d'aver individuato delle forme a priori della conoscenza umana, con cui è possibile conoscere oggettivamente i fenomeni; ma non accetta il limite ch'egli ha posto riguardo alla “cosa in sé”. Per Hegel infatti tutta la realtà non è che lo sviluppo razionale dell'Idea, per cui non ci può essere qualcosa (il noumeno) che sfugge a una comprensione razionale. La Logica di Hegel vuole essere giustificazionista di tutta la realtà. In Kant la metafisica non è scientifica perché la cosa in sé resta inconoscibile: essa è solo un presupposto della morale. In Hegel invece la metafisica diventa scientifica proprio in quanto i suoi contenuti possono essere razionalizzati dalla logica, senza ricorrere alla teologia. La Logica di Hegel non vuole infatti essere una teologia (la quale vede la divinità come qualcosa di perfetto in sé e per sé), ma vuole essere una filosofia che determina la verità delle cose mediante un processo dialettico in cui il momento di partenza, essendo indeterminato, ha bisogno di qualcosa che lo neghi. In tal senso il processo dialettico deve cogliere il modo stesso di essere della realtà, e non solo il nostro modo di pensare e di conoscere la realtà. E il modo di essere della realtà è principalmente quello della contraddizione, perché è solo questa che fa davvero muovere le cose in maniera significativa (la concordanza le fa semplicemente sussistere). Le cose hanno davvero un senso solo se contraddittorie e solo se, superandosi all'infinito, si conservano (Aufhebung). Il senso della realtà sta quindi nella negazione della negazione, cioè nel processo di tesi-antitesi-sintesi e la Logica s'incarica di dimostrarlo nelle determinazioni del pensiero puro (del sapere assoluto), senza agganci alla realtà concreta. Nella Fenomenologia vi era lo svolgimento della coscienza (individuale e storica) che diventa tale come risultato d'un processo; nella Logica invece si risale all'origine dello stesso processo, alle fonti dell'essere, dal cui sviluppo procede tutta la realtà determinata (inclusa la coscienza). Si tratta d'indicare il cominciamento assoluto delle cose, del reale. La Logica, in tal senso, è la scienza dell'idea pura, astratta, in sé. A detta di Hegel, la logica studia razionalmente Dio prima della creazione del mondo, un Dio che si viene perfezionando attraverso la sua estrinsecazione nella natura e nello spirito umano. La logica è dunque una metafisica, scienza dei concetti originari, dei modelli ideali che hanno fin da principio una loro realtà. Nella Fenomenologia il luogo in cui accade il movimento dialettico è il processo storico della cultura; nella Logica questo luogo è il pensiero. Le sezioni della Logica sono tre: essere, essenza e concetto. a) La logica dell'essere prende in esame i concetti più astratti, primo dei quali è quello di "puro essere indeterminato", che è principio di tutto, ma che per poterlo essere deve prima trasformarsi nel suo contrario: il "non-essere" o "nulla". L'essere di per sé non produce nulla, se non il suo contrario; il vero cominciamento sta nell'unità di essere e nulla, essendovi anche nell'essere primordiale un antagonismo. Dunque l'essere vero, che produce realtà, corrisponde al divenire. L'essere di Hegel non corrisponde minimamente al Motore Immobile di Aristotele né al Nous plotiniano né al Dio agostiniano, poiché esso acquisisce completezza solo quando diviene spirito. In questa sezione Hegel critica Fichte, dicendo che la sua prosecuzione del finito (IO) nell'infinito è un "cattivo infinito", così come lo è l'infinito (natura) accanto al finito (IO) di Schelling: in realtà finito e infinito coincidono nell'essere. b) La logica dell'essenza prende in esame le radici dell'essere nella loro concretezza, in quanto l'essenza si esprime nell'esistenza. L'essenza è l'essere che riflette su di sé. Hegel qui critica Kant dicendo che il fenomeno può essere logicamente compreso solo come il manifestarsi dell'essenza, per cui una cosa in sé e il fenomeno vanno posti in unità. Hegel critica anche i principi di identità e di non-contraddizione di Aristotele, dicendo che l'identità include le differenze: l'identità sta nelle distinzioni e queste in quella ("A" dunque è anche "non-A"), poiché tutte le cose sono in se stesse contraddittorie (anzi la contraddizione è più essenziale dell'identità, essendo questa cosa morta senza quella). Infine Hegel difende la prova ontologica (a priori) dell'esistenza di Dio (di Sant'Anselmo) contro Kant, dicendo che pensare Dio senza pensarlo esistente è impossibile: l'assoluto esiste appunto perché il finito non è. c) La logica del concetto prende in esame la realtà come sviluppo vivente in se stessa, come divenire. Il concetto è più importante dell'essere e dell'essenza, perché ne è la sintesi, racchiude ogni contenuto di entrambi, è l'assoluto, è il principio di ogni vita, e in tal senso esso è anche negazione di ogni determinazione e finitudine. Caratteristiche fondamentali del concetto soggettivo sono il "giudizio" e il "sillogismo". Nel "giudizio" il predicato (che esprime l'universale) è più importante del soggetto (che esprime l'individuale), mentre la loro identità è espressa dalla copula "è". Nel giudizio è appunto la copula "è" che garantisce l'identità dell'individuale coll'universale (per Hegel è impossibile spiegare in anticipo la distinzione di soggetto e predicato, in quanto un giudizio è vero in proporzione alla coincidenza dei momenti in esso distinti con il loro contenuto, in proporzione cioè al rappresentare la conformità di una cosa con la sua nozione). Giudicare significa distinguere parti che si appartengono reciprocamente in maniera indissolubile. L'identità è presente, non posta nella copula, poiché è veramente presente solo nel sillogismo. Il giudizio emerge quando vi è una ragionevole dose di dubbio ed è soprattutto presente in questioni di ordine morale ed estetico. Quando non vi sono dubbi si formulano proposizioni, non giudizi. Il "sillogismo" è la forma universale, logica, triadica, di tutte le cose (il che per la logica pre-hegeliana era un assurdo). Il sillogismo mostra la stretta interdipendenza di tre momenti: individualità, specificità e universalità (individuo, specie e genere; libertà, moralità e ragione; spirito, natura, idea). Hegel fa di ogni oggetto un sillogismo (tesi, antitesi, sintesi). In particolare egli evita di considerare i sillogismi che enunciano connessioni non-essenziali: il sillogismo infatti non è solo "logica" ma "logica necessaria", oggettiva. Nel concetto oggettivo Hegel svolge categorie che fino a lui erano rimaste estranee alla logica, essendo proprie della filosofia della natura: meccanismo, chimismo e teleologia. Nell'ambito di quest'ultima si manifesta l'astuzia della ragione, che persegue i suoi fini usando come mezzi oggetti, processi, fenomeni che invece appaiono fini a se stessi: concetto questo che diventerà fondamentale nella sua filosofia della storia. L'idea infine è il concetto compiuto in sé e per sé. Essa supera definitivamente la differenza fra soggettivo e oggettivo. Ecco lo schema della Logica: I) Essere, suddiviso in: a) Qualità, b) Quantità, c) Misura [la Qualità - che è il concetto più importante - include: a)essere (cioè puro essere, nulla e divenire), b) essere determinato, c) essere per sé]; II) Essenza, suddivisa in: a) essenza, b) fenomeno (o apparenza), c) realtà in atto; III) Concetto, che si divide in: a) soggettivo (concetto-giudizio-sillogismo), b) oggettivo (meccanismo-chimismo-teleologia), c) idea. [ Rilievo critico ] Hegel aveva sicuramente capito che, più importante dell'essere, è l'essenza. Tuttavia sbagliò nel dire che il concetto è più importante dell'essenza. Si sarebbe dovuto limitare a dire che il concetto è un'espressione dell'essenza, ma non l'unica. Mettere il concetto al di sopra di tutto vuol dire fare della metafisica. L'essenza invece deve restare indicibile, non concettualmente definibile, proprio per salvaguardare l'infinita alterità, che non consiste nel fatto che in origine le cose si sdoppiano nel loro contrario, come se l'antitesi che nasce (necessariamente, non liberamente) dalla tesi serva soltanto per potenziare o migliorare quest'ultima. Lo sdoppiamento c'è, ma gli elementi che compongono l'uno sono paritetici, anche perché più originari, più primordiali. In principio c'è non l'uno bensì il due, la dualità, che si esprime in tutte le cose, appunto differenziandole. E la comprensione di questa dualità incontra un limite nel fatto che noi stessi ne facciamo parte e non possiamo guardarla dall'esterno. Essa è il fondamento della libertà e della nostra stessa coscienza, la cui libertà è insondabile. Giustamente però ha detto che l'essere in sé è solo un'astrazione, che, per divenire essenza, ha bisogno del suo opposto, cioè il nulla o il non-essere. Il che significa che, per poter esistere, si ha bisogno di una mediazione, di una alterità, di un divenire, altrimenti si resta totalmente privi di determinazione e quindi del tutto incomprensibili. Tuttavia non è esatto - come Hegel ripete più volte - che ciò che differenzia l'uomo dall'animale è il pensiero. Certamente la profondità e la vastità dei nostri pensieri sono impossibili per qualunque animale. Ma ciò che davvero ci differenzia è ancora più profondo e più vasto di qualunque pensiero: è la libertà di coscienza, che resta irraggiungibile nella sua concettualizzazione. Che la dialettica, in Hegel, sia abbastanza formale è dato proprio dal fatto che essere e non-essere (o tesi e antitesi) non sono equivalenti, non hanno pari dignità, in quanto il secondo elemento serve solo per perfezionare il primo. L'opposizione non sconvolge mai l'esistenza di una posizione data: la obbliga soltanto a migliorarsi, a rettificarsi là dove è manchevole di qualcosa. E tutto ciò avviene secondo necessità, come se la libertà fosse costretta a comportarsi così. Resta interessante il fatto che Hegel, pur non avendo mai nascosto il proprio teismo, arrivi a paragonare l'essere indeterminato con dio, dopo aver dato dell'essere una definizione piuttosto restrittiva, in quanto, a suo parere, l'essere - così come venne delineato dagli Eleati - è un concetto molto povero di contenuto, praticamente equivalente al nulla. La vera opposizione all'essere è data in realtà dal divenire, che rappresenta il continuo confronto dell'essere col non-essere. Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817) Comprende tra parti: Logica, Filosofia della natura e Filosofia dello spirito. A) Filosofia della natura E' la parte più debole di tutto il sistema hegeliano. E' l'antitesi dell'idea (che è la parte finale della Logica). E' cioè l'idea che si dispiega nell'esteriorità, dando origine alla natura. E' la mediazione fra idea e spirito. Hegel non mostra alcuna simpatia per la natura. Non apprezza le concezioni rinascimentali né quelle illuministiche (sperimentalismo, meccanicismo, ecc), mentre di quelle romantiche di Goethe, Hölderlin e Schelling si serve solo quel tanto che gli basta per criticare Galileo, Bacone e soprattutto Newton, i quali a suo giudizio non sanno cogliere l'organicità della natura, ma solo singoli aspetti fra loro separati. Nella natura per Hegel la contraddizione rimane insoluta, perché qui la libertà si esprime solo come negazione dell'idea, ovvero come necessità e accidentalità, non libertà. Ecco perché perfino il male che l'uomo compie, essendo frutto di libertà, è infinitamente superiore a ciò che la natura può far comprendere all'uomo (contro la concezione del Vanini secondo cui si può arrivare a Dio passando per la natura). Il concetto, nella natura, non si può assolutamente realizzare. Questa parte si suddivide in tre sezioni: meccanica, fisica, fisica organica. B) Filosofia dello spirito E' l'ultima fase dello sviluppo dell'idea, che, astraendo da ogni esteriorità, rientra in se stessa per prendere coscienza della propria razionalità e giungere alla perfezione dell'autocoscienza, che è libertà. Si suddivide in: A) spirito soggettivo che include: 1) antropologia (studio dell'anima), 2) fenomenologia (studio della coscienza che diventa autocoscienza e ragione), 3) psicologia (che studia lo spirito teoretico, pratico e libero); B) spirito oggettivo che include: 1) diritto (proprietà, contratto, diritto), 2) moralità (proponimento/colpa, intenzione/benessere, bene/male), 3) eticità (famiglia, società civile e Stato); C) spirito assoluto che include: 1) arte, 2) religione, 3) filosofia. Le parti più interessanti sono la terza e soprattutto la seconda, che troverà un notevole approfondimento nella Filosofia del diritto e nelle lezioni di Filosofia della storia. Qui vediamo la sezione "C". Essa in pratica rappresenta la libertà che la ragione ritrova in se stessa dopo aver usato gli strumenti della natura e della storia, soggettivi e oggettivi. Lo spirito assoluto è quello che riconosce nella storia la realizzazione dei propri contenuti, ma questo riconoscimento avviene nell'arte, nella religione e soprattutto nella filosofia. Hegel infatti è un filosofo non un politico. Per quanto riguarda l'arte, essa ha il compito di rendere manifesta l'idea in forma sensibile, per intuizione immediata, con la fantasia. Hegel esclude il principio dell'imitazione della natura, e il concetto di "bellezza naturale" gli pare un controsenso, poiché la vera bellezza non è natura ma spirito che si adegua alla forma sensibile. Non è la natura che ispira l'artista, ma lo spirito attraverso la natura. La natura non ha autonomia o personalità. Il distacco da Schelling è evidente. La bellezza artistica perfetta è nell'arte classica, la quale adegua perfettamente la forma al contenuto spirituale che vuole esprimere. Lo spirito qui è conciliato con la natura. Ma l'arte romantica le è superiore, poiché essa ha consapevolezza che qualsiasi forma esterna non è in grado di esprimere compiutamente lo spirito (ciò infatti avviene solo nella filosofia), per cui l'interiorità spirituale di quest'arte è più importante della sua figurazione esterna (la poesia è l'espressione artistica suprema). Tuttavia, questa interiorità viene meglio espressa dalla religione, ma solo da quella cristiana, ove avviene la rivelazione dello spirito. Qui però la forma in cui lo spirito viene compreso è quella della rappresentazione (sentimento + immagine) non quella del concetto, poiché ancora si pongono delle differenze tra Dio creatore e mondo creato, tra spirito finito e infinito, ecc., lasciando che l'assoluto resti un "aldilà". Religione e filosofia hanno lo stesso contenuto, ma solo la filosofia è l'autocoscienza assoluta dello spirito. E' vero, anche la filosofia ha una propria storia, non potendo essa esprimere che la verità del suo tempo, ma Hegel ha la piena consapevolezza di rappresentare, con la sua filosofia, la sintesi di tutte le filosofie precedenti. Egli infatti riteneva che non avrebbe potuto esserci dopo la sua filosofia un'altra che la superasse restando nel medesimo campo filosofico. Con lui, quindi, in un certo senso, si chiudeva una parabola il cui inizio risaliva alle origini della filosofia greca. Rilievi critici Hegel non riconosce alla realtà un vero essere, perché ne vede solo l'aspetto negativo, di finitezza e caducità, di contraddizione insoluta. Il vero essere sta nel pensiero che concettualizza l'idea, che media i contrari risolvendoli astrattamente, e che si sforza di trovare nella realtà il divenire dell'idea. La realtà infatti ha senso nella misura in cui corrisponde a un'idea precostituita. Leggi fondamentali della dialettica hegeliana
1- Tutti gli oggetti o fenomeni dell'universo tendono a sdoppiarsi in aspetti contrastanti e rappresentano delle unità di opposti, che si trovano in costante stato di contraddizione, di lotta. Unità degli opposti significa che tra le tendenze opposte di funzionamento e di sviluppo di un qualunque sistema vi è interconnessione o interdipendenza organica, nel senso che la diversità delle forze o delle qualità degli elementi di un sistema favorisce l'unità di questi elementi. Tuttavia, poiché è una unità dinamica, contraddittoria, che include sia il momento dell'unità che quello dell'opposizione, è sempre possibile che col tempo si formi un nuovo tipo di aggregazione, che genera un nuovo sistema di relazioni. Infatti il momento dell'opposizione ha un carattere assoluto, in quanto ineludibile, mentre quello dell'unità ha invece un carattere relativo, può essere cioè un fenomeno temporaneo, relativo al tipo di risposta che si dà alla contraddizione. Ovviamente la contraddizione non è l'unica forma di interconnessione degli elementi: vi sono anche rapporti di concordanza o di corrispondenza. Tuttavia è solo la contraddizione che è fonte di movimento, poiché è quella che costringe a fare delle scelte quando ci si accorge che lo sviluppo dei bisogni o dei problemi richiede una nuova risposta. Le contraddizioni irrisolvibili, restando entro il sistema che le produce, sono quelle di tipo antagonistico, per le quali occorre un ribaltamento sostanziale delle relazioni. 2- L'accumulo di mutamenti quantitativi porta, ad un certo livello (oltre una certa misura), a una inedita trasformazione qualitativa, la quale, a sua volta, retroagisce sugli stessi elementi quantitativi. I mutamenti quantitativi avvengono gradualmente, lentamente, incessantemente; quelli qualitativi avvengono invece bruscamente, apertamente, a salti, interrompendo una continuità, passando da uno stato a un altro (i vecchi elementi scompaiono). I salti possono essere evolutivi (la nuova qualità si forma nel quadro di una determinata essenza) o rivoluzionari (quando la trasformazione dell'essenza di una cosa è radicale). 3- La dialettica è la teoria dello sviluppo e la negazione dialettica rappresenta il passaggio dal vecchio stato qualitativo a uno nuovo, condizionato dallo sviluppo delle contraddizioni interne di un fenomeno. Tale negazione rappresenta una forma universale di connessione da uno stadio inferiore a uno superiore. In genere vengono soppresse solo le cose o i rapporti che non corrispondono più alle mutate esigenze: si tende cioè a conservare quanto di positivo è stato acquisito in precedenza, ma occorre sempre una riflessione critica sull'effettivo valore delle precedenti acquisizioni. Un tratto specifico della negazione della negazione è la ripetizione del passato su base nuova, in quanto il movimento storico non è lineare ma a spirale. Filosofia del diritto (1821) Nasce per rispondere all'accusa di astrattezza che veniva mossa alla sua filosofia (da parte soprattutto dei discepoli di Kant). Nella Premessa Hegel si preoccupa di dire che la filosofia non ha il compito di trasformare il mondo, ma solo quello d'interpretarlo. E nell'interpretarlo, la filosofia deve porre una precisa coincidenza di "realtà" e "razionalità" (ovviamente in riferimento al suo tempo storico, che nella fattispecie era quello dello Stato prussiano). La filosofia serve per giustificare il presente e nel fare questo essa giustifica anche se stessa. Nella Filosofia del diritto si esprime il lato più conservatore della filosofia hegeliana, ovvero la sua profonda ambiguità, in quanto la scoperta del metodo dialettico veniva a scontrarsi con l'esigenza di salvaguardare il sistema (filosofico e politico). La Filosofia del diritto sviluppa la sez. dello "spirito oggettivo" delineata nell'Enciclopedia, che è sicuramente la parte più importante dell'hegelismo, anche perché quella che ha prodotto più risultati: marxismo, storicismo, sociologia, politologia, ecc. Essa è divisa in tre parti, esattamente come nell'Enciclopedia. L'unica differenza sta in questo, che nell'Enciclopedia il diritto è il primo momento della triade (seguito da moralità ed eticità), nei Lineamenti invece è il diritto "astratto", mentre la società civile e lo Stato rappresentano il diritto vero e proprio. La differenza non è di poco conto, poiché con essa Hegel fa capire che l'individuo è un'astrazione che va superata nei momenti superiori della società e dello Stato. Viceversa, lo spirito oggettivo nell'Enciclopedia faceva dello Stato la sintesi cosciente per l'individuo: fra individuo e Stato la differenza non stava nell'eticità ma nella consapevolezza di sé. Nei Lineamenti invece l'individuo deve annullarsi per affermare la ragione e la volontà dello Stato. Hegel attacca violentemente nella Prefazione un discepolo di Kant e suo collega all'Università di Berlino, J. Fries, che nel 1817 aveva partecipato ai movimenti studenteschi contro il governo prussiano. L'anti-individualismo di Hegel si esprime qui nel senso che il problema non è quello di "costruire uno Stato come deve essere", ma quello di "intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in sé". Ora vediamo i Lineamenti di filosofia del diritto. La prima manifestazione dello "spirito oggettivo" è la sfera del diritto astratto, nel senso che la libertà del singolo cerca una prima realizzazione di sé appropriandosi di cose esterne ed escludendo gli altri (qui la proprietà privata è pensata in termini tradizionalmente lockiani). In tal modo egli si sente libero poiché si dà un'esistenza nelle cose. Ma perché altri possano sentirsi liberi come lui, occorre che vi sia un reciproco riconoscimento dei rispettivi diritti: di qui i diversi istituti giuridici (contratto, torto, delitto, vendetta, pena - Hegel è favorevole alla pena di morte -, costrizione...) Hegel critica sia la dottrina del diritto naturale che l'invenzione dello "stato di natura", per i quali si sosteneva che l'individuo, entrando in società, andava incontro ad una limitazione della libertà e quindi a una rinuncia del suo diritto. Per Hegel invece l'uomo, fuori della società, è esposto solo alla forza e all'arbitrio: lo stato di natura è quello della prepotenza e del torto. Da esso quindi bisogna uscire, disciplinando i rapporti umani con la legge. La moralità è però superiore al diritto astratto, perché non essendo immediatamente legata alla proprietà, ha meno probabilità di cadere nell'egoismo. In altre parole, essa pur restando legata alla proprietà, obbedisce alle norme per convinzione interiore non per interesse o perché obbligata esternamente. La proprietà è per la moralità indifferente, mentre la volontà soggettiva, che si dà delle regole universali (secondo l'etica kantiana), diventa interiorità. Hegel, tuttavia, polemizza con il moralismo formale di Kant, poiché questi - a suo giudizio - avrebbe rinchiuso l'individuo in se stesso, dandogli come unica preoccupazione quella di raggiungere da solo il bene: cosa che poi non si realizza mai - dice Hegel -, in quanto il bene resta separato dall'io nella contraddizione di essere e dover essere, tanto è vero che il bene kantiano è un dovere che l'uomo pone in antitesi al bene della società. In tal modo il dovere kantiano è vuoto, senza contenuto, meramente intenzionale, staccato dalle condizioni reali dell'esistenza (bisogni, desideri, passioni). Una vera determinazione del bene la si ha solo in rapporto al contesto sociale. Le formazioni sociali che costituiscono l'eticità sono la famiglia, la società civile e lo Stato. Qui la libertà oggettiva diventa il volere razionale universale in sé e per sé, il quale ha la sua attuazione nel costume dell'ethos, ovvero nello spirito di un popolo (essere e dover essere coincidono). Lo spirito del popolo è l'universale (non in senso atemporale, ma riferito ad un particolare momento storico), è il senso della realtà socio-culturale in cui l'individuo si può riconoscere. Nella Famiglia si realizza l'amore e il sentimento: qui si giustificano le relazioni sessuali, la proprietà comune e l'educazione dei figli; quest'ultima però determina il superamento della stessa famiglia, in quanto i figli sono destinati a diventare persone autonome e ad abbandonare la famiglia. Nella Società civile il legame è determinato dai bisogni, che vengono soddisfatti attraverso la proprietà, il suo scambio e il lavoro. L'intelletto dà luogo alla divisione del lavoro, la cui organizzazione, con la conseguente distribuzione delle ricchezze, costituisce la differenza delle classi. Il sistema sociale emergente viene tutelato dall'amministrazione della giustizia. Gli ordinamenti di polizia garantiscono la sicurezza della persona e della proprietà, mentre le corporazioni garantiscono la sussistenza e il benessere del singolo. Qui Hegel - sulla scia di A. Smith - intende per "società civile" la società economica e non quella politica, come invece voleva il giusnaturalismo del XVIII sec. Tuttavia, egli non usa il concetto di società civile in rapporto alle contraddizioni della società borghese. Ad es., l'analisi della distribuzione della ricchezza - mutuata dall'opera dell'economista inglese Ricardo - riguarda le classi tradizionali della società tedesca, non quelle che partecipano al modo di produzione capitalistico. Peraltro la vera classe "generale", "pensante" -secondo Hegel- è solo quella burocratica, intellettuale, cioè dei funzionari statali. Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé, che media tutte le contraddizioni della società civile, che conferisce un significato universale alla vita sociale di ogni persona. Nella società civile vi è lo scontro degli interessi, nell'ambito dello Stato invece si realizza l'unità dell'individuo e della società con lo spirito universale, di cui lo Stato è appunto l'incarnazione storica. Hegel non accetta la concezione contrattualistica dello Stato, perché non vuole far dipendere quest'ultimo dalla volontà degli individui. Lo Stato cioè non è una mera garanzia della società civile (come volevano le teorie liberali), ma ne è il superamento ideale, che dà significato a tutto. Lo Stato è autonomo, in quanto ricava la propria sovranità e il proprio potere da se stesso, non dal popolo, che senza lo Stato è "massa informe", priva di personalità e determinazione. Il cittadino infatti esiste solo in quanto membro dello Stato. L'indipendenza e la sovranità dello Stato è il fine assoluto cui ogni individuo deve tendere. Hegel arriva addirittura a dire che "l'ingresso di Dio nel mondo è lo Stato"! In sintesi: Hegel sostiene una monarchia ereditaria e corporativa, cioè dotata di un'assemblea delle rappresentanze delle classi (che sono: agricoltura, industria/commercio e professioni liberali), autoritaria (cioè con prevalenza del potere esecutivo su quello governativo e legislativo) e confessionale (nel senso che la chiesa dev'essere subordinata allo Stato). Per "costituzione" Hegel intende non la determinazione dei fondamentali diritti civili e politici codificata in una legge, ma l'organizzazione reale dello Stato conforme allo spirito del popolo. Essendo la sovranità assoluta e illimitata, lo Stato è in un certo senso esente dalla morale e dal diritto, sia all'interno che nelle relazioni internazionali con gli altri Stati; tanto è vero che Hegel giustifica ed anzi esalta la guerra, utile a muovere la storia e a rinnovare i popoli e le nazioni. Infine Hegel non ammette un ordinamento giuridico internazionale. Naturalmente i singoli Stati sono limitati e molteplici, spiriti particolari nello svolgimento universale dell'Idea. Essi determinano la storia del mondo, nella quale si realizza la ragione. La progressiva manifestazione dell'assoluto avviene nei popoli che hanno saputo affermare meglio la loro egemonia: asiatico (in cui la libertà è solo del despota), greco-romano (in cui la libertà è di pochi), germanico (in cui la libertà è di tutti). Gli altri popoli sono senza storia e senza diritti. Per Hegel la storia costituisce una sorta di tribunale in cui avviene un "giudizio universale", in virtù del quale i popoli che sono riusciti a imporsi saranno sempre giustificati, perché, nonostante i loro limiti, essi hanno oggettivamente portato avanti il progresso storico, che è sempre progresso della ragione, anche se di questo potevano non essere pienamente coscienti (vedi il concetto di "astuzia della ragione", che risente della tradizionale concezione provvidenzialistica della storia). La storia universale è dunque essenzialmente di tipo politico-militare, in cui le grandi individualità "cosmico-storiche" (come Alessandro, Cesare, Napoleone...) non hanno fatto altro che incarnare meglio le esigenze della ragione. Sulle premesse mistiche della Scienza della logica La massima astrazione possibile sul concetto di "dio", trattato in maniera non espressamente teologica, bensì soltanto logica, operando una sorta di laicizzazione metafisica della teologia, è stata fatta - come noto - da Hegel, i cui discepoli della cosiddetta "Sinistra" trassero delle conclusioni così ateistiche che ancora oggi costituiscono un punto di non ritorno. Cioè il massimo sforzo compiuto dalla filosofia di salvaguardare un contenuto religioso all'interno di una forma di tipo logico e metafisico, venne ad un certo punto considerato come l'anticamera più favorevole per inserire all'interno di quella forma un contenuto del tutto opposto. E i tempi erano così maturi che non si usò neppure quella stessa forma in maniera "pura", esattamente com'era stata ereditata, nel senso che i discepoli più progressisti non si misero affatto a elaborare una nuova "Logica" che mirasse a dimostrare razionalmente l'inesistenza di dio, ma preferirono affrontare l'argomento dell'ateismo partendo da campi d'indagine del tutto diversi da quelli della logica astratta (rendendosi forse conto che, in tale campo, non avrebbero potuto proporre qualcosa di più originale o d'importanza equivalente alla grande opera del loro maestro). E così vediamo Feuerbach interessarsi di filosofia della natura e di analisi psico-antropologica dei dogmi cristiani; vediamo Bauer e Strauss rileggere in chiave ateistica tutto il Nuovo Testamento; vediamo Stirner porre le basi dell'anarchismo; vediamo soprattutto Marx ed Engels interessarsi di economia politica, sociologia e filosofia del diritto, dando per scontato che socialismo democratico e umanesimo laico marciano sullo stesso binario, favorendosi a vicenda. Verso la metà dell'Ottocento i filosofi tedeschi erano giunti a quella stessa forma di ateismo che i filosofi francesi avevano elaborato un secolo prima, le cui tracce si potevano già intravedere in Inghilterra (con gli empiristi e gli scettici) e in Olanda (con Grozio e Spinoza) già da due secoli, per non parlare dell'Italia, dove i primi tentativi di affermare l'ateismo, seppur in forma criptica o mascherata, risalivano addirittura alla riscoperta accademica dell'aristotelismo e alla diffusione della filosofia nominalistica. Una qualunque "scienza della logica" che parta dalla "dottrina dell'essere" - come p. es. quella hegeliana, la più sviluppata di tutte - è una scienza viziata in partenza da tutti i difetti del misticismo. Infatti un essere astratto o metafisico che pretende di sussistere "in sé", deve per forza avvalersi di un supporto religioso, come fa appunto Hegel, là dove dice che le "definizioni dell'assoluto sono le definizioni metafisiche di Dio" (in Scienza della logica, & 85, ed. Utet 2010). E la sottolineatura è sua. Il motivo di questa caduta mistica sta proprio nell'esordio della dottrina dell'essere: "l'essere è il concetto soltanto in sé" (& 84). In tutti i suoi testi Hegel non parte mai dalla realtà ma dal pensiero, e questo, nella Logica, deve per forza porre un'astrazione, che è appunto l'essere. A dir il vero anche la realtà concreta avrebbe potuto essere definita "essere", ma, poiché Hegel non fa alcuna analisi concreta (di tipo p. es. socio-economico), è giocoforza per lui porre un essere del tutto astratto, metafisico, somigliante a una divinità. La differenza tra Hegel e il cristianesimo sta, qui, nel fatto ch'egli parte, appunto, da un'astrazione metafisica - come avrebbero fatto Parmenide, Platone o Aristotele -, mentre il cristianesimo, erede dell'ebraismo, ha bisogno d'essere più concreto, per cui identifica l'essere con una divinità paterna. Hegel era convinto di aver superato la religione, ereditandone la teologia trinitaria in chiave metafisica. Propriamente parlando a lui non interessava tanto l'essere, né l'essenza (cioè il mondo fenomenico), quanto piuttosto il concetto, che è la sintesi di entrambi gli elementi, come se la filosofia, scienza di tutte le scienze, fosse l'unica titolata a comprendere l'universo (sostituendosi, in questo compito, alla vecchia teologia medievale). Essere ed essenza non li considerava neppure veri se presi isolatamente: essi hanno senso solo come aspetti di un processo, di un movimento dialettico che deve giungere al concetto, il quale può considerarsi "puro" solo dopo essere giunto alla conclusione che tutto quanto è separato da dio è "non vero" (& 83). Lo spirito assoluto, cioè dio, viene conosciuto non per "rivelazione" (come dicono i cristiani, che, anche in questo, somigliano agli ebrei), ma per "negazione", cioè obbligando il pensiero a considerare vero solo quel che resta dopo un processo di continua mediazione e soprattutto di superamento di quella tendenza oppositiva (intellettualistica) che separa i contrari. La verità non è né un'evidenza (alla maniera greca), né il frutto di un'interpretazione oggettiva della realtà materiale, ma una sorta di processo evolutivo, in cui la ragione gioca un ruolo decisivo, rispetto sia alla fede religiosa che all'intelletto. Sotto questo aspetto le critiche che gli fecero i vari Schopenhauer (di non aver tenuto conto degli aspetti irrazionali dell'essere), Kierkegaard (di aver misconosciuto il primato dell'esistenza umana), Feuerbach (di non aver posto la natura a fondamento dell'essere) e di Marx (di non aver capito che la filosofia è solo una sovrastruttura di una base socio-economica) pescano tutte nel vero. Testi di Hegel
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