Giovanni Scoto Eriugena o Ioannes Scotus Erigena

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SCOTO ERIUGENA

I - II

Giuseppe Bailone

Con Carlo Magno, incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nel Natale dell’800 dal papa, il potere politico in Occidente torna ad interessarsi della cultura, sopravissuta in parte nei monasteri benedettini, e a promuoverla. Rinasce, così, una cultura di corte che gli storici chiamano “rinascita carolingia” e che ha in Alcuino il suo artefice e in Agostino e in Boezio le autorità antiche di riferimento.

Questa rinascita dura il tempo breve dell’impero carolingio. In essa s’impone la figura eccezionale di Giovanni Scoto Eriugena.

Di origine irlandese, arriva in Francia nell’847. Le radici classiche in lui sono molto profonde: risalgono, probabilmente, alla cultura importata in Irlanda al tempo delle invasioni barbariche degli Unni, dei Goti e dei Vandali, che spinsero molti uomini di cultura della Gallia a cercare rifugio al di là del mare. Conosce bene il greco. Traduce gli scritti dello Pseudo-Dionigi, arrivati come dono dell’imperatore di Bisanzio a Ludovico il Pio, e altri padri orientali della Chiesa, ravvivando i rapporti culturali col mondo greco e orientale in un momento in cui Oriente ed Occidente si vanno sempre più separando.

Convinto del profondo accordo di ragione e fede, pensa che l’accordo tra le autorità della fede e la ragione si fondi sulla comune origine divina.

“La vera autorità non ostacola la retta ragione né la retta ragione ostacola l’autorità. Non c’è dubbio che entrambe emanano da un’unica fonte, cioè dalla sapienza divina”.1

La sacra scrittura costituisce la massima autorità in verità di fede, ma non può essere presa alla lettera: va interpretata. Nel lavoro d’interpretazione vanno tenute presenti anche altre autorità, come i testi dei Padri della Chiesa. Quando, però, si manifesti disaccordo tra le autorità, tocca alla ragione far valere la sua autorità e decidere.

“La ragione è prima per natura, mentre l’autorità lo è nel tempo. Infatti sebbene la natura sia stata creata con il tempo, tuttavia l’autorità non ha cominciato a esistere con l’inizio della natura e del tempo, mentre la ragione è nata da principio con la natura e il tempo”.

L’autorità deve essere riconosciuta e fondata dalla ragione, non viceversa.

“L’autorità è derivata dalla vera ragione; mai invece la ragione è derivata dall’autorità. Ogni autorità che non viene confermata dalla vera ragione è debole, mentre la vera ragione, poiché ferma e immutabile si avvale delle sue virtù, non ha bisogno di essere corroborata dall’apporto di alcuna autorità. La vera autorità non è altro che la verità scoperta dalla forza della ragione e tramandata dalle opere dei santi Padri per utilità dei posteri”.2

Via, dunque, alla libera ricerca razionale: “Noi dobbiamo seguire la ragione che cerca la verità e non è oppressa da alcuna autorità e in alcun modo impedisce che sia pubblicamente diffuso ed esposto ciò che i filosofi assiduamente cercano e laboriosamente giungono a trovare”.3

Libera espressione di libero pensiero: un lampo illuministico in alto medioevo!

La fiducia nella ragione è parte di una più generale fiducia nell’uomo.

Scoto Eriugena ha in Agostino una sua importante autorità di riferimento, ma nella sua filosofia non c’è il pessimismo agostiniano sulla natura e sul destino dell’uomo. C’è, invece, ottimistica fiducia ed esaltazione delle sue capacità. Scrive: “Non immeritatamente l’uomo è stato chiamato l’officina di tutte le creature: difatti tutte le creature si contengono in lui. Egli intende come l’angelo, ragiona come uomo, sente come l’animale irragionevole, vive come il germe, consiste di anima e di corpo e non è privo di nessuna cosa creata”.4

Neanche il peccato originale ha sostanzialmente compromesso la perfezione umana: con esso l’uomo ha perso la felicità, non la bontà della sua natura:

“Bisogna dire che la natura umana, che è fatta ad immagine di Dio, non perdette mai la forza della sua bellezza e l’integrità della sua essenza e non può perderli. Una forma divina, com’è l’anima, rimane sempre incorruttibile; al più diventa capace di sopportare la pena del peccato”.5

L’alta considerazione dell’uomo ispira anche la concezione della libertà e del male. Come Agostino, parte dalla concezione neoplatonica del male come non essere. Da questo presupposto e dal principio che la conoscenza di Dio è creatrice egli deduce che in Dio non c’è prescienza del male né predestinazione. Ecco il suo ragionamento:

  • La conoscenza divina è immediatamente creatrice: Dio non conosce le cose che sono perché sono, ma le cose sono perché Dio le conosce.
  • Attribuire a Dio la prescienza del male significa fare del male un pensiero divino.
  • Se il male fosse un pensiero divino sarebbe reale.
  • Ma il male non è reale, non è nulla di sostanziale e le stesse apparenze seducenti che sembra avere non sono cattive di per sé. Infatti una cosa bella e preziosa ispira la cupidigia dell’avaro e l’ammirazione del saggio. Il male sta, quindi, nella disposizione soggettiva verso l’oggetto, non nell’oggetto.
  • Nella mente divina c’è solo l’essere e il bene.
  • Pertanto, del male non c’è prescienza n’è predestinazione divina.
  • Neanche la pena cui va incontro chi pecca è presente nella mente di Dio: essa è mancanza, non è realtà positiva, e segue il peccato come se gli fosse legata da una catena.
  • Quando le sacre scritture parlano di predestinazione o di prescienza divina del male, bisogna intendere queste espressioni nel senso che noi diciamo di sapere che, dopo il tramonto del sole, vengono le tenebre, che il silenzio viene dopo il clamore e la tristezza dopo la gioia. Ma le tenebre, il silenzio e la tristezza sono solo nozioni negative, indicano solo l’assenza di realtà positive corrispondenti.

Anche sul concetto di libertà Scoto Eriugena diverge da Agostino.

Se per Agostino la volontà libera è soltanto la volontà del bene, per Scoto Eriugena è la capacità di orientarsi sia al bene che al male.

Una volontà che potesse muoversi solo nel senso del bene sarebbe parziale, non libera. Una libertà limitata non è libertà: un libero arbitrio che zoppica non sta in piedi. A chi dicesse che un libero arbitrio zoppicante avrebbe giovato all’uomo, occorre ribattere che solo un libero arbitrio completo, capace di peccare e di non peccare, permette alla giustizia divina di esplicarsi e mette l’uomo in grado di usufruire liberamente dell’aiuto offertogli dalla grazia divina.

Essendo il peccato un atto della libera volontà, è la volontà ad essere punita, non la natura: come i giudici umani, se non son mossi da spirito di vendetta, mirano alla correzione dei rei e puniscono non la loro natura ma solo il loro delitto; così la punizione divina riguarda solo la volontà che ha peccato, ma lascia integra la natura del peccatore, che rimane capace di ritornare a Dio nel trionfo finale. A questo trionfo l’uomo è aiutato insieme dalla sua natura e dalla grazia divina.

Scoto Eriugena sostiene queste tesi in un’opera 6 di polemica con il monaco Gotescalco, sostenitore della tesi della doppia predestinazione.

Non è difficile vedere in questo pensiero elementi di quanto Agostino ha combattuto nella polemica con Pelagio. Anche il trionfo finale del bene rimanda all’idea di Origene che anche il demonio alla fine si salvi.

Nel 1225 il papa Onorio III condanna il suo De divisione naturae e ordina la distruzione, non del tutto riuscita, delle copie.

Benedetto XVI, il 10 giugno 2009, in piazza S. Pietro, nelle sue lezioni di catechesi, parla di Scoto Eriugena e lo riabilita: “Non solo la fine dell’era carolingia fece dimenticare le sue opere; anche una censura da parte dell’Autorità ecclesiastica gettò un’ombra sulla sua figura. In realtà, Giovanni Scoto rappresenta un platonismo radicale, che qualche volta sembra avvicinarsi ad una visione panteistica, anche se le sue intenzioni personali soggettive furono sempre ortodosse”.

Il papa fa bene ad appellarsi alle sue “intenzioni personali soggettive sempre ortodosse”. In base ai suoi scritti, infatti, il suo logos, cioè la sua ragione, risulta più greco pagano che cristiano. La sua fiducia nelle possibilità umane risente molto dell’influenza stoica e neoplatonica: c’è in essa più Pelagio che Agostino.

Note

1 De divisione naturae, I, 66.

2 De divisione naturae, I, 69.

3 De divisione naturae, II, 63.

4 De divisione naturae, III, 37.

5 De divisione naturae, V, 6.

6 La predestinazione divina.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 10 aprile 2010

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


Agostino d'Ippona - Dionigi Areopagita - Scoto Eriugena - Anselmo d'Aosta - Anselmo d'Aosta tra Kant ed Hegel - Tommaso d'Aquino - Guglielmo di Occam - Abelardo e gli Universali - Abelardo ed Eloisa - Duns Scoto - Eresie medievali - John Wicliffe - Scisma cattolico-ortodosso

Vedi anche Alle radici dell'ateismo in ambito cattolico: Gotescalco e Scoto Eriugena

Fonti

Testi


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015