PROGETTO DI SOCIETA' ECOLOGICA

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PROGETTO DI SOCIETA' ECOLOGICA

Le cose vengono, di necessità, continuamente trasformate per poter essere utilizzate. Più la trasformazione è lenta e più lento e duraturo è il riutilizzo di un determinato prodotto.

Noi quando parliamo di "prodotti" intendiamo soprattutto quelli dell'uomo: in realtà lo stesso essere umano è un prodotto della natura, è frutto di progressive, sempre più complesse trasformazioni della natura.

L'uomo compie processi di trasformazione che prima di lui ha già compiuto la natura, la quale anche oggi li compie con o senza la presenza dell'uomo. L'intera vita terrestre e persino cosmica è tale solo come conseguenza di continue trasformazioni indipendenti dalla volontà umana.

Noi siamo abituati a pensare che la natura si muova in relazione al movimento degli uomini: in realtà è esattamente il contrario, anche se è vero che l'azione dell'essere umano influenza quella della natura. Ma la natura non ha bisogno dell'essere umano per esistere e riprodursi, sicché bisogna dire che quando l'essere umano influenza la natura il più delle volte lo fa in maniera negativa.

L'ideale sarebbe che l'uomo influenzasse il meno possibile i processi naturali, cioè che si accontentasse di quanto la natura spontaneamente gli offre e che usasse la tecnologia (i mezzi che lo aiutano a sopravvivere) in forme e modi essenziali, sufficienti appunto a permettere all'uomo di riprodursi.

Con questo non si vuol dire che un essere umano debba vivere, perché la natura sia sicura di sé, come una sorta di animale; si vuol semplicemente dire che se una persona vuole p.es. coltivare l'arte o la letteratura, non dovrebbe farlo a scapito di altri o a scapito di beni naturali. Non ha senso che esistano persone addette all'arte e altre addette a procurare il cibo. E non ha senso che per leggere un libro si debbano abbattere alberi il cui tempo di riproduzione è infinitamente superiore a quello che occorre per leggere il medesimo libro.

Ogni trasformazione infatti è soggetta a produrre scorie e quelle prodotte dall'essere umano, quando la tecnologia è troppo avanzata, rischiano di non essere riciclabili. E questo danneggia i processi riproduttivi della stessa natura. Noi saremo sommersi dai nostri stessi rifiuti.

Da sempre la natura dimostra che il concetto di "scoria" è relativo, se esso è frutto di processi naturali, non artificiali. Ogni cosa infatti può essere riciclata e riutilizzata. Ogni cosa prodotta come scoria rientra nel ciclo della riproduzione.

Questo significa che nella natura esistono dei tempi ben precisi da rispettare. Cioè la natura non si è semplicemente organizzata in modo da riutilizzare le scorie ottenute dai suoi processi produttivi e riproduttivi, ma si è data anche dei tempi utili in cui poterlo fare.

Non esiste solo un "tempo socialmente necessario" per la realizzazione di un prodotto umano (che è poi il suo valore), esiste anche un "tempo naturalmente necessario", che è quello che permette alla natura di riprodursi e che è poi quello che permette a tutti gli altri suoi prodotti: animali, vegetali, minerali e umani, di riprodursi, in un determinato tempo, che ci appare indefinito, ma che non lo è. Infatti ogni cosa su questa terra ha un inizio e una fine.

Ogni riciclo di scorie ha i suoi tempi determinati. Tutto ciò avviene da sempre in maniera naturale, necessaria, indipendente dalla volontà umana. Tutta la materia animata e inanimata si attiene da sempre a questa legge, a questa condizione di vita.

Anche l'uomo, fino alla nascita delle civiltà vi si è attenuto, sentendosi egli parte di processi naturali, oggettivi, ch'egli avrebbe sì potuto modificare con la sua azione sulla natura, ma soltanto fino a un certo punto, ed egli è sempre stato consapevole che questo "punto" altro non era che il tempo utile alla natura per riprodursi.

All'essere umano, naturalmente, occorrono nove mesi per riprodursi e ancora molti anni prima di diventare adulto: i tempi della riproduzione umana, essendo l'uomo un ente complesso di natura, non sono brevi.

Questo tempo naturale, oggettivo, strettamente collegato alla riproduzione umana, non poteva non essere messo in relazione, dall'uomo primitivo, al tempo di riproduzione dei processi naturali. In altre parole, non avrebbe avuto senso per l'uomo primitivo agire in modo tale da poter fare in minor tempo le stesse cose. Non avrebbe avuto senso "anticipare i tempi", come noi oggi siamo soliti fare.

Se i tempi di riproduzione umana vengono concepiti come tempi di riproduzione naturale, il rispetto delle leggi di natura è la regola del rispetto delle leggi umane. Sostenere, sotto questo aspetto, che l'uomo primitivo abbia vissuto in maniera istintiva, selvaggia, senza l'uso della ragione, non ha senso. La vera razionalità sta proprio nel vivere secondo natura.

Che cosa sono in fondo le civiltà se non il bisogno innaturale di fare le stesse cose in minor tempo? Il tempo qui non viene "rispettato" ma "risparmiato", "guadagnato", "bruciato", "accelerato". Oggi noi diciamo che "il tempo è denaro", ma ogni civiltà l'avrà detto (prima del denaro c'era l'uso dell'oro, dell'argento, del rame, del bronzo ecc.).

Gli uomini che non sanno (perché non li conoscono) o non vogliono rispettare i tempi utili alla natura per riprodursi, costituiscono una minaccia alla salvaguardia non solo della natura ma anche del genere umano.

Quella popolazione che non sa rispettare le leggi di natura, va assolutamente isolata e messa in condizione di non nuocere, affinché capisca l'importanza di un rapporto equilibrato coi processi naturali.

A una popolazione del genere non può essere mossa alcuna guerra, poiché proprio le guerre costituiscono il danno maggiore alla natura. L'unica cosa che si può fare, in senso negativo, è isolarla economicamente. In senso positivo invece si può usare l'informazione o la stessa formazione, nonché tutte quelle cose che servono per persuadere le coscienze, senza usare forme di violenza fisica o materiale.

Per poter isolare una popolazione irrispettosa delle leggi di natura, occorre sviluppare il concetto di "autonomia alimentare". Infatti, se c'è una cosa che le popolazioni cosiddette "civili" non sopportano, è proprio quella di avere a che fare con altre popolazioni del tutto autonome, cioè indipendenti dalla loro presunta superiorità tecnologica, scientifica, militare, culturale ecc.

Chi non rispetta la natura non rispetta neppure il vicino di casa. Chi vuole dominare la natura vuole dominare anche gli uomini. L'unico modo di evitare questo dominio è quello di sviluppare l'autonomia alimentare e, progressivamente, l'autonomia anche nella gestione di tutti gli aspetti della vita quotidiana.

Quanto più è forte l'autonomia, tanto più le popolazioni abituate a dominare faranno ricorso all'uso della forza, finché loro stesse non si renderanno conto del grande valore dell'autonomia.

Per rendersi conto di questo le strade in genere sono tre:

  • subire dei tracolli economici, cioè patire contraddizioni insopportabili sul piano socio-economico, il che porta alla lotta di classe, ai conflitti sociali e spesso alle guerre vere e proprie tra popolazioni o nazioni o Stati;
  • subire sconfitte militari da parte delle popolazioni rispettose della natura ("naturali"), capaci di difendersi dagli attacchi delle popolazioni cosiddette "civili" (purtroppo la storia su questo è molto avara di esempi);
  • lasciarsi persuadere con la ragione, imitando l'esempio delle popolazioni "naturali" (la storia di tutte le civiltà finora esistite non ha in tal senso esempi da far valere).

Quando l'autonomia sarà reciproca, gli scambi commerciali tra le popolazioni si baseranno esclusivamente sul surplus e saranno sotto forma di baratto. Il baratto infatti è l'unico modo di valorizzare adeguatamente il tempo socialmente e naturalmente necessario per produrre un determinato bene.

Una comunità si svilupperà tanto più quanto più la sua produzione e riproduzione riuscirà a essere compatibile con le leggi di natura. Ogni altra forma di sviluppo andrà considerata come una forma di regressione, in quanto violazione di leggi naturali.

Lo sviluppo non può essere legato a parametri relativi al prodotto interno lordo, ma soltanto alla capacità che una popolazione dimostra di saper utilizzare questo prodotto senza generare scorie che la natura non è in grado di riassorbire in tempi utili.

Una popolazione non deve produrre ciò che non è in grado di smaltire. Una generazione che delega il problema dello smaltimento dei propri rifiuti alla generazione successiva, compie un crimine contro l'umanità e contro la natura.

ESISTE UN FINALISMO DELLA NATURA?

Che l’essere umano sia un prodotto finale della natura, nel senso che non esisterà mai un prodotto più perfetto, pare cosa in cui si possa credere con relativa facilità.

È vero che gli uomini, nel corso dei secoli, hanno compiuto cose particolarmente vergognose, ma è anche vero che hanno saputo porvi rimedio con un’energia non meno grande. E comunque, il fatto stesso di poter andare “contronatura”, è un segno indiscutibile, seppur negativo, della libertà umana, che è infinitamente superiore all’istinto animalesco.

Se anche dovessero esistere altre forme di vita nell’universo, non diverse dalla nostra, noi non le conosceremo mai, almeno fino a quando la terra sarà il nostro specifico luogo di esistenza.

Vi sono stati dei filosofi che, al cospetto dell’infinità dell’universo, hanno creduto possibile l’esistenza di “extraterrestri”, ma così facendo essi hanno semplicemente dedotto una nuova “qualità” da una considerazione di tipo “quantitativo” (spaziale): il che non è logico.

Si può anche ammettere l’esistenza di forme vegetali, minerali o anche animali diverse da quelle che conosciamo (o da quelle presenti sulla terra), ma non possiamo ammettere l’esistenza di altri esseri umani, senza cadere in una speculazione astratta. L’essere umano è un prodotto naturale estremamente complesso: che possa esisterne da qualche parte dell’universo una copia identica (senza che la si conosca!), è un’ipotesi del tutto fantascientifica.

E con questo non si pensi che si può avere una migliore considerazione dell’essere umano solo accettando l’ipotesi che nell’universo non siamo soli. L’umanesimo va sempre concretamente dimostrato.

Bisognerebbe piuttosto riflettere sul fatto, in sé poco spiegabile, che la natura ha generato un elemento - l’essere umano - dotato di un senso della libertà così forte e di una consapevolezza di sé così elevata che non trova riscontri in alcun altro essere animale. Cioè è stata generata un’entità in grado di superare le caratteristiche migliori che la natura sia in grado di esprimere.

Osservando la natura dal punto di vista dell’essere umano, si può essere indotti a credere ch’essa sia dotata di “finalismo”, ma se la osserviamo dal suo stesso punto di vista, dobbiamo escluderlo categoricamente. L’unico finalismo della natura “in sé” (e non “per l’uomo”) è il suo stesso equilibrio, cioè la capacità, apparentemente infinita, di riprodursi.

Se l’essere umano è il fine della natura, allora nella natura c’è un’intelligenza che ci sfugge. Non riusciamo a capirla appunto perché ne siamo un prodotto, ma è probabile che lo scopo finale della natura sia quello di farci comprendere l’origine di questa intelligenza.

I tempi di questa comprensione non possiamo conoscerli, però possiamo conoscerne le modalità, che sono appunto quelle di vivere umanamente e secondo natura.

Questo significa che l’essere umano deve concepirsi come un ente in attesa di comprendere l’origine delle cose, cioè dell’universo, della materia e anche di se stesso. Molto probabilmente l’essere umano conoscerà l’origine dell’universo soltanto quando avrà piena consapevolezza di sé, cioè quando si accorgerà che la sua origine e quella dell’universo hanno una matrice comune.

Naturalmente è impossibile impedire che questo ragionamento finisca col fare gli interessi della religione. Ma è forse logico pensare che quando qualcosa rischia di fare gli interessi della religione, è sempre meglio sostenere il contrario?

Il torto della religione sta nell’aver usato le proprie intuizioni per sostenere dei regimi sociali oppressivi, ma ciò non significa che quelle intuizioni, debitamente depurate dalle incrostazioni ideologiche, non possano ancora oggi suscitare un certo interesse.

Peraltro, se osserviamo le cose alla luce di quello che potremmo chiamare “ottimismo storico”, la morte di ogni singolo individuo viene a perdere quel carattere di tragicità che comunemente le si attribuisce. Il fatto che l’essere umano sia oggetto di un finalismo della natura, va per l’appunto inteso nel senso che ogni singolo individuo partecipa a questo progetto complessivo.

CHE COSA VUOL DIRE "TRASFORMARE LE COSE"?

Noi "occidentali" siamo capaci solo di distruggere. Infatti tutto quello che costruiamo implica la distruzione irreversibile di qualcosa che appartiene all'ambiente naturale. La differenza fondamentale tra la nostra civiltà e quelle basate sull'autoconsumo è che queste si limitano a trasformare la natura, senza distruggerla.

Per trasformare la natura bisogna usare mezzi naturali, ricavati dalla stessa natura. Questo significa che dovremmo accontentarci di ciò che ci offre la superficie terrestre: non ha alcun senso "umano" o "naturale" andare a scavare troppo in profondità. Quando si è fatta una buca e si è piantato un seme, questo è sufficiente per l'alimentazione.

L'uomo deve vivere di ciò che gli offre la natura in superficie: caccia, pesca, allevamento, agricoltura... Le primissime popolazioni vivevano soprattutto di raccolta di cibo selvatico: tuberi, radici, frutti, funghi, miele, erbe, foglie, uova, insetti... La caccia venne dopo.

Quando si vanno a cercare risorse nel sottosuolo, la comunità originaria non esiste più: al suo posto sono subentrate le differenze di genere, di casta o di classe e quindi la necessità di avere eccedenze alimentari da controllare. Le civiltà antagonistiche sono nate proprio dall'esigenza di controllare queste eccedenze. Si pensava al futuro distruggendo tradizioni millenarie.

Noi dovremmo nutrirci di prodotti visibili a occhio nudo, che non richiedono particolari trasformazioni, al pari delle tribù che vivevano a contatto delle foreste. Invece di difendere queste popolazioni nell'habitat ove esistono, facciamo di tutto per "civilizzarle", per farle diventare come noi.

Ma la nostra esistenza è del tutto artificiale e quindi innaturale. Non si conciliano le trasformazioni ottenute artificialmente con le esigenze riproduttive della natura. Esiste artificio là dove il prodotto che si ottiene non è facilmente riciclabile, cioè non si reintegra velocemente coi meccanismi riproduttivi della natura.

Non si può assegnare alla natura il compito di smaltire i nostri rifiuti e i nostri strumenti di lavoro in un lasso di tempo di molto superiore alla nostra esistenza. Se con la fine della nostra vita, tutto quello che abbiamo usato rimane, vorrà dire che noi avremo obbligato qualcuno, a prescindere dalla sua volontà, a smaltire quanto ci apparteneva. Un tempo i beni ch'erano appartenuti alla persona, venivano deposti nella sua tomba, vicini al suo corpo, nell'ingenua credenza che potesse averne bisogno anche nell'aldilà. E i morti si seppellivano in posizione fetale, perché avrebbero dovuto rinascere in una nuova dimensione, che non poteva essere molto diversa da quella già vissuta.

Una comunità o una generazione non può far pagare a un'altra comunità o alla generazione successiva il proprio impatto ambientale. Vivere un'esistenza naturale vuol dire che la natura è preposta a darci i mezzi necessari alla nostra sussistenza. Questi mezzi possono essere trasformati, ma rispettandone le caratteristiche di fondo. Dal ramo di un albero posso ricavare l'arco e la freccia con cui cacciare, ma se taglio il tronco per fare legna da ardere, sono già un anti-ecologista, a meno che io non sia in grado di garantire che nell'arco della mia vita tutti gli alberi da me tagliati potranno essere sostituiti con altri nuovamente piantati.

L'essere umano, all'interno del suo clan di appartenenza (poiché per un'esistenza naturale è da escludere qualunque individualità isolata), deve usare ciò che gli serve per sopravvivere: tutto quanto eccede questo scopo, va rifiutato.

Si possono catturare degli animali selvatici, addomesticarli e utilizzarli per la sopravvivenza. Ma tenere questi animali come reclusi, in appositi stabilimenti o, peggio ancora, negli zoo, o usarli come cavie, inseminarli artificialmente, riprodurli in laboratorio, obbligarli a gare sportive o a combattimenti o a comportamenti per loro del tutto innaturali, è immorale.

Noi dovremmo alimentarci con quanto la natura ci offre spontaneamente e con quanto produciamo nel rispetto delle sue esigenze riproduttive. Se vogliamo dare un senso alla nostra umanità, dobbiamo anzitutto accettare ch'essa si lasci fare dalla natura.

Il vero problema è come far accettare delle verità che dovrebbero essere evidenti e che millenni di cosiddetta "civiltà" han reso assurde.

L'ecologia contemporanea

Manuale d’uso su come risparmiare energia e difendere l’ambiente (pdf-zip)

Bibliografia


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018