STORIA MODERNA
Dall'Umanesimo alla fine dell'Ottocento


LA FORMAZIONE DEGLI STATI INDIPENDENTI LATINO-AMERICANI

I - II

All'inizio del XIX sec. la maggior parte dei paesi dell'America latina era costituita da colonie di due Stati assolutistico-feudali europei, la Spagna e il Portogallo.

I possedimenti spagnoli erano costituiti dal vicereame di Rio de La Plata (attuali Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia), dalla Nuova Spagna (Messico e parte dell'America centrale), dalla Nuova Granada (Colombia, Panama, Venezuela, Ecuador), dal Perù (attuali Perù e Cile). I possedimenti della Spagna si estendevano anche alle isole di Cuba, Portorico e a una parte di S. Domingo. A capo di ogni vicereame vi era un governatore nominato dal re spagnolo e tutta una serie di alti funzionari, tra cui p.es. i giudici dei grandi tribunali.

Al Portogallo apparteneva il Brasile, che occupava quasi metà di tutto il territorio dell'America meridionale.

La popolazione delle colonie spagnole ammontava a circa 16 milioni di abitanti, di cui 7-8 milioni di indios (1), in ripresa demografica dopo lo sterminio della prima fase di colonizzazione, 5-6 milioni di persone nate da matrimoni misti tra bianchi, indios e negri (2), e 3-4 milioni di creoli (3). Gli abitanti originari della madrepatria erano in tutto 200 mila. Inoltre vi erano 700-800 mila negri, in massima parte nelle Antille e sulle coste meridionali del Mar dei Caraibi, provenienti dall'Africa in qualità di schiavi.

Nel 1818 la popolazione del Brasile era di 3,8 milioni, di cui 1,7 milioni schiavi negri e 585 mila di mulatti e negri liberi. Dal 1549 al 1850 furono portati in Brasile circa 8-9 milioni di africani. Il traffico si estinse di fatto nel 1850 ma giuridicamente la schiavitù verrà abolita soltanto nel 1888. Dopo Haiti, il Brasile fu il paese col maggior numero di rivolte schiavili.

I creoli erano latifondisti, sia agricoltori che allevatori, ma potevano essere anche proprietari minerari e commercianti. Di regola gestivano le amministrazioni municipali, essendo esclusi dalle alte cariche politiche ed ecclesiastiche, riservate a personalità inviate direttamente da Spagna e Portogallo. Tendevano a violare le leggi commerciali della madrepatria, caratterizzate da forti restrizioni doganali, trafficando coi contrabbandieri inglesi.

La situazione economico-sociale

La stragrande maggioranza della popolazione dell'America latina lavorava nell'agricoltura. In Brasile e nelle isole delle Indie Occidentali immense estensioni erano occupate da piantagioni di caffè, canna da zucchero, cotone, indaco e altre colture. Nella Nuova Spagna, in Perù e in Brasile si estraevano metalli preziosi che venivano inviati alla madrepatria.

Nell'America latina dominavano i rapporti feudali, che si erano sviluppati nelle specifiche condizioni del regime coloniale. La maggior parte delle terre apparteneva alla corona, ai latifondisti e alla chiesa; quest'ultima era il maggiore proprietario terriero: nelle sue mani era concentrato un terzo delle terre e nella Nuova Spagna la metà. La chiesa possedeva anche miniere e piantagioni e svolgeva grosse operazioni monetarie e usurarie.

Gli abitanti indigeni, gli indios, lavoravano nella loro maggioranza per i latifondisti o come affittuari senza terra che pagavano l'affitto con prestazioni di lavoro, oppure come discendenti di debitori schiavi (peones). Una parte delle tribù indigene viveva nelle montagne e nelle foreste tropicali, conservando fondamentalmente un regime comunistico primitivo.

Nelle piantagioni del Brasile, delle Indie Occidentali e della Nuova Granada era largamente sfruttato il lavoro degli schiavi negri. In alcune regioni esistevano contadini liberi che si occupavano in prevalenza dell'allevamento del bestiame: il "gaucho" nel sud del Brasile e nella pampa de La Plata, il "llanero" nelle pianure del Venezuela.

Per costringere gli indios a lavorare nelle miniere, nei campi, nella costruzione di edifici, ponti, strade ecc. le autorità coloniali avevano instaurato l'obbligo di prestazioni forzate di lavoro gratuito. Il lavoro nelle miniere era talmente pesante che dopo il compimento della corvée su cinque operai ne tornava a casa solo uno, gli altri soccombevano. Perciò i destinati al lavoro nelle miniere erano considerati dei condannati e i parenti li salutavano alla partenza con cerimonie funebri.

Gli indios erano anche obbligati a pagare il testatico (un'imposta annuale gravante sulle persone di qualunque sesso ed età appartenenti a una comunità). Un grave peso per la popolazione delle colonie era costituito dalla decima a favore della chiesa.

I colonialisti trapiantarono nelle loro colonie americane ordinamenti particolarmente odiosi. L'arbitrio politico si collegava alla discriminazione razziale. Tutto il potere era in pratica nelle mani degli spagnoli e dei portoghesi, che occupavano quasi tutte le cariche amministrative, militari, giudiziarie ed ecclesiastiche. Anche i creoli ricchi erano sottoposti a discriminazioni e di fatto erano allontanati dai posti di direzione. Solo in via eccezionale i creoli potevano occupare cariche elevate nell'apparato amministrativo, nell'esercito e nella gerarchia ecclesiastica.

La chiesa cattolica serviva da strumento di sfruttamento dei popoli latino-americani. Essa ostacolava l'importazione e la diffusione della cultura laica e illuministica, si opponeva a qualsiasi espressione di libero pensiero; uno dei principali mezzi per soffocare le tendenze progressiste della società coloniale era l'Inquisizione.

Le premesse del movimento di liberazione nelle colonie spagnole

Le colonie americane erano per la corona spagnola una fonte di immensi guadagni; anche i grandi commercianti spagnoli ricavavano ingentissimi profitti dal commercio con le colonie. Per mantenere il monopolio dello sfruttamento delle colonie, il governo spagnolo non permetteva agli stranieri di commerciare con esse, per cui il loro ingresso era vietato. Nella stessa Spagna il commercio coi possedimenti d'oltremare era monopolio dell'oligarchia mercantile. Di questo diritto godevano pochi mercanti di Siviglia, e più tardi anche di Cadice, ma anch'essi potevano portare le loro merci soltanto in determinati porti dell'America spagnola.

Temendo la concorrenza e cercando di mantenere alti i profitti commerciali, il governo spagnolo frenava lo sviluppo economico delle colonie, vietava la produzione delle merci più indispensabili e anche la coltivazione di quei prodotti che venivano importati dalla madrepatria (olive, uva, lino ecc.).

Nonostante i numerosi divieti e le limitazioni stabilite dai colonialisti, le forze produttive nelle colonie spagnole si sviluppavano ugualmente, e alla fine del XVIII e all'inizio del XIX secolo si registrava un certo incremento dell'industria, dell'agricoltura e del commercio. I proprietari terrieri creoli e la nuova borghesia locale (in massima parte mercantile) erano interessati all'esportazione dei prodotti coloniali (indaco, cotone, zucchero, caffè e cacao) e a ricevere articoli industriali di qualità e a buon mercato.

La madrepatria arretrata non poteva né assorbire i prodotti delle colonie né rifornirle di prodotti industriali, mentre il commercio delle colonie con altri paesi era ostacolato dal monopolio dei mercanti di Siviglia e di Cadice, da enormi tasse doganali, dalle imposte e altri divieti che impedivano in qualsiasi modo alla borghesia locale di dedicarsi ad attività imprenditoriali, fossero artigianali o manifatturiere.

In tal modo la liquidazione del regime coloniale diventava una necessità sempre più evidente. Nell'ultimo quarto del XVIII sec. scoppiarono nei possedimenti americani della Spagna grandi rivolte popolari. Nel 1780 si sollevarono gli indios del Perù. La rivolta fu diretta da José Gabriel Condorcanqui, il quale prese il nome del capo degli incas Túpac Amaru, che alla fine del XVI sec. aveva diretto la lotta contro gli invasori spagnoli.

Túpac Amaru II aveva manifestato l'intenzione di restaurare lo Stato degli incas. Le truppe spagnole riuscirono con grande difficoltà a sconfiggere i reparti dei rivoltosi, e Túpac Amaru fu giustiziato. (4)

Nel 1781 nella Nuova Granada scoppiò una rivolta a causa dell'aumento delle tasse. Agli abitanti della città di Socorro si unirono gli indios dei villaggi limitrofi. I rivoltosi si avvicinarono alla capitale del vicereame di Bogotà e le autorità impaurite si affrettarono a decretare la diminuzione delle tasse. Ma i dissensi verificatisi in seguito nel campo dei rivoltosi permisero alle truppe spagnole di sconfiggerli.

Nel 1797 venne spietatamente soffocata una rivolta nella città venezuelana di Coro. Tutte queste manifestazioni delle masse popolari oppresse contro il giogo colonialista avevano un carattere spontaneo. Le autorità spagnole riuscivano a soffocarle non solo a causa della disorganizzazione dei rivoltosi, ma spesso grazie all'aiuto dei latifondisti creoli, che avevano paura di una vittoria degli indios, dei negri e dei meticci ch'essi sfruttavano.

Nello stesso tempo anche i ceti abbienti della popolazione (a eccezione degli originari della madrepatria, che rappresentavano la classe privilegiata) erano profondamente insoddisfatti del dominio spagnolo che ostacolava lo sviluppo economico delle colonie. Anche fra l'aristocrazia creola si manifestava un diffuso malcontento per l'assoluta mancanza di diritti politici della popolazione delle colonie.

L'insoddisfazione dei proprietari terrieri, dei mercanti, degli ufficiali, dei funzionari e degli intellettuali originari delle colonie trovava la sua espressione nei libri e nei pamphlet nei quali si criticava aspramente il regime coloniale, nel profondo interesse dimostrato verso le opere degli illuministi inglesi e francesi e, infine, nei numerosi complotti contro il potere dei colonialisti. Tutti questi complotti si chiusero però con insuccessi, dovuti al fatto che i cospiratori non avevano rapporti organici col popolo. Di qui p.es. l'insuccesso del tentativo intrapreso nel 1806 da Francisco de Miranda, uno dei più eminenti combattenti per l'indipendenza dell'America spagnola. Aveva partecipato alla guerra d'indipendenza delle colonie inglesi, e combattuto col grado di generale nelle file della Francia rivoluzionaria, a Valmy.

Sulle colonie spagnole ebbe una notevole influenza la guerra di liberazione nell'America del Nord. La Dichiarazione d'Indipendenza e la Costituzione degli Stati Uniti d'America divennero per i patrioti dell'America latina una bandiera di lotta. Essi conoscevano bene anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1794, emanata nella Francia rivoluzionaria. Fu tradotto persino il Contratto sociale di Rousseau.

Molto significativa per la popolazione negra dell'America spagnola fu la rivolta dei negri iniziata nel 1791 nella regione occidentale (francese) dell'isola di S. Domingo.

Anche forze esterne (Francia e Inghilterra) minacciavano il dominio della Spagna nelle sue colonie americane. In conseguenza della guerra con la Francia, la Spagna perse nel 1795 la colonia di S. Domingo (la parte orientale dell'isola). (5) Nel 1800 fu costretta a cedere alla Francia la Louisiana, un immenso territorio nell'America del Nord a occidente del Mississippi.

I mercanti francesi, americani e inglesi penetravano nei porti dell'America spagnola senza tener conto dei divieti, praticando il contrabbando; i pirati di diversi paesi attaccavano le sue coste e assalivano le navi mercantili spagnole. In particolare le mire espansionistiche degli Stati Uniti nei confronti delle colonie spagnole si manifestarono in modo molto evidente dopo che ebbero acquistato dalla Francia la Louisiana (1803) e con le pretese avanzate nei confronti della Florida. Negli anni 1806-1807 l'Inghilterra tentò di occupare La Plata, ma gli inglesi furono sconfitti dalle milizie locali.

La guerra di liberazione delle colonie spagnole negli anni 1810-1815

I

Gli avvenimenti del 1808 in Spagna (cioè l'invasione delle truppe francesi, la destituzione del re Ferdinando VII da parte di Napoleone, sostituito da Giuseppe Bonaparte) servirono da spinta diretta al movimento di liberazione delle colonie spagnole. I rappresentanti dell'amministrazione coloniale erano indecisi se riconoscere il potere di Giuseppe o se rimanere fedeli a Ferdinando VII. Di sicuro si voleva che i poteri dei governatori coloniali spagnoli passassero a organi autonomi. E per affrettare questo passaggio i patrioti cominciarono ad agire più attivamente. Nell'estate del 1809 scoppiarono rivolte nelle città di Cuquisaca, La Paz (Perù settentrionale), Quito (Ecuador). Ma esse non avevano un carattere di massa e furono rapidamente soffocate.

Le notizie delle sconfitte subite dalle truppe spagnole nel territorio metropolitano (inizio del 1810) e dell'occupazione di quasi tutta la madrepatria da parte degli invasori francesi, furono il segnale dell'inizio della rivolta nelle varie colonie spagnole dell'America.

Verso la metà del 1810 fu liquidato il dominio spagnolo nei grandi centri coloniali di Caracas, Quito, Buenos Aires e Bogotà e successivamente in altre città, e il potere fu assunto da giunte patriottiche di origine spagnola. Nel settembre dello stesso anno il movimento rivoluzionario si estese al Cile e al Messico. Ebbe così inizio la guerra d'indipendenza delle colonie spagnole.

La lotta di liberazione raggiunse la massima ampiezza nel Messico, capeggiata dal parroco Miguel Hidalgo y Costilla, il quale riuscì a riunire intorno a sé un esercito numeroso, costituito in massima parte da contadini indigeni. Hidalgo combatteva non solo per l'indipendenza del paese, ma anche per la restituzione della terra carpita agli indios, per la soppressione della schiavitù dei negri e per altre riforme avanzate. Gli insorti occuparono una serie di grossi centri del paese e minacciarono la capitale, Città del Messico. Nel 1811 furono però sconfitti. Hidalgo e altri dirigenti della rivolta furono giustiziati.

La lotta per la libertà fu portata avanti dal compagno di lotta di Hidalgo, il prete José Maria Morelos. Nel 1813, su sua iniziativa, fu convocato un congresso nazionale, che proclamò l'indipendenza del Messico e che nel 1814 approvò una Costituzione. Gli insorti riportarono diverse vittorie sulle truppe spagnole. Spesso i contadini indios giustiziavano anche i latifondisti creoli, il che spinse la maggior parte di questi ultimi a passare dalla parte dei colonialisti. Nel 1815 l'esercito di Morelos fu sbaragliato ed egli stesso fucilato dagli spagnoli.

Il 5 luglio 1811 la giunta di Caracas proclamò la repubblica nel Venezuela. I movimenti indipendentisti potevano fruire dell'appoggio della Gran Bretagna, intenzionata a subentrare alla Spagna nel ruolo di principale partner commerciale nel Sudamerica.

Francisco Miranda, tornato dall'estero, fu nominato comandante supremo delle forze armate. Nella rimanente parte della Nuova Granada operavano con successo i patrioti comandati da Antonio Nariño. Nel 1812 le truppe spagnole attaccarono la repubblica venezuelana e occuparono Caracas; Miranda fu preso prigioniero e portato in Spagna, dove morì in prigione.

Ma la lotta di liberazione in Venezuela continuò: la dirigeva Simón Bolívar (1783 1830), il più autorevole uomo politico e condottiero dell'America spagnola all'epoca della guerra per l'indipendenza.

Bolívar era nato a Caracas da una famiglia aristocratica creola; aveva ricevuto una buona educazione, ed era vissuto alcuni anni in Europa, viaggiando molto. Conobbe da vicino il modello politico inglese e l'illuminismo: aveva ideali liberal-repubblicani. Quando nel 1810 il Venezuela, su spinta delle élite creole (i mantuanos), disconobbe l'autorità spagnola, Bolívar fu mandato a Londra per chiedere aiuti. Al ritorno, entrò nella Sociedad Patriótica e contribuì alla stesura della Dichiarazione d'indipendenza del Venezuela (5 luglio 1811).

Tuttavia nel 1812 gli spagnoli e i coloni realisti riconquistarono il Venezuela. Bolívar fuggì nella Nuova Granada (Colombia) e ricominciò a combattere contro le truppe realiste, alla testa di un esercito di poche centinaia di volontari, principalmente creoli, Cercò di ottenere l'appoggio degli agricoltori e dei pastori delle Ande, delle popolazioni di colore del litorale, dell'ex movimento monarchico dei llanos (le savane a nord dell'Orinoco), e li armò.

Iniziò così la riconquista del Venezuela, alla testa di un esercito di 10.000 uomini. Il 7 agosto 1813 entrò a Caracas e il consiglio della città lo acclamò come libertador, dandogli poteri quasi dittatoriali.

Ma tra il 1815 al 1816 gli spagnoli assoggettarono di nuovo la seconda repubblica venezuelana. I reparti di cavalleria formati da llaneros (6), passarono dalla parte degli spagnoli, consentendo a questi ultimi di ottenere la vittoria. Bolívar fu costretto a riparare nella Nuova Granada, poi in Giamaica e ad Haiti.

II

Nel territorio del vicereame del Rio de La Plata, all'inizio della guerra d'indipendenza, non esistevano quasi truppe spagnole. Una funzione preminente nella lotta per l'indipendenza di La Plata fu assolta dall'avvocato Mariano Moreno e successivamente da Manuel Belgrano e José de San Martín. (7) Questa lotta fu complicata dalle dispute fra gli unionisti, che volevano trasformare tutto il territorio da vicereame in un unico Stato centralizzato, e i federalisti, che erano per una larga autonomia delle province.

I tentativi del governo di Buenos Aires di estendere il proprio potere su tutta La Plata si scontrarono con la resistenza di talune province. Nel 1811 le truppe paraguaiane sbaragliavano i reparti delle milizie di Buenos Aires mandate contro di loro.

Poco dopo scoppiò la rivolta nel Paraguay: il governatore spagnolo fu arrestato e venne formata una giunta nella quale José Gaspar Rodriguez de Francia svolgeva una funzione di primo piano. Nel 1813 fu proclamata l'indipendenza del Paraguay.

La popolazione dell'attuale Uruguay (che a quel tempo si chiamava "Banda Orienta", cioè costa orientale) dovette condurre una lunga lotta sotto il comando di José Gervasio Artigas, all'inizio contro gli spagnoli, e successivamente contro le truppe penetrate nel suo territorio dal Brasile; questa lotta era complicata dai conflitti con Buenos Aires. Infruttuosa risultò anche la campagna delle truppe di Buenos Aires nel Perù superiore, dove furono sconfitte dagli spagnoli (1813).

Nel contempo gli invasori francesi venivano cacciati dalla Spagna. Il governo di Ferdinando VII, ritornato nel 1814, dopo avere ristabilito l'assolutismo nel territorio metropolitano, indirizzò i suoi sforzi al soffocamento del movimento di liberazione nelle colonie americane, facilitato anche dalla situazione internazionale, dalla disfatta di Napoleone e dalla creazione della Santa Alleanza.

In conseguenza di ciò alla fine del 1815 il dominio coloniale era stato restaurato nella maggior parte dell'America spagnola, a eccezione di La Plata.

La politica reazionaria delle autorità spagnole, il terrore impiegato dai colonialisti nei confronti dei patrioti e di tutti coloro che simpatizzavano per la causa dell'indipendenza, la volontà di non fare la minima concessione, tutto ciò comportava necessariamente la ripresa della lotta di liberazione: cosa che avvenne nel 1816. Nello stesso tempo i tentativi del governo spagnolo di ripristinare il sistema dei divieti nel commercio delle colonie con gli altri paesi provocarono il vivo malcontento degli Stati Uniti e dell'Inghilterra.

La disfatta delle truppe spagnole e la liberazione delle colonie

I

Nel gennaio del 1817 Bolívar, con l'aiuto del presidente della repubblica di Haiti, Pétion, sbarcò coi suoi seguaci nel Venezuela, dove a lui si unirono i reparti partigiani che agivano nel paese. Con 650 soldari egli riuscì a liberare dagli spagnoli alcune regioni del bacino del fiume Orinoco. Angostura (oggi Ciudad Bolívar) divenne la capitale provvisoria degli insorti.

Ai successi dei patrioti contribuì l'appoggio di larghi strati della popolazione che subiva le crudeltà dei colonialisti. La liberazione degli schiavi negri, che entravano nell'esercito, la distribuzione ai llaneros della terra (che avrebbero dovuto ottenere dopo la fine della guerra) e altri provvedimenti presi da Bolívar, contribuirono a ingrossare rapidamente il suo esercito, che si distingueva per spirito combattivo e disciplina.

In questo esercito entrarono ora anche i combattivi llaneros agli ordini di Páez, i quali avevano compreso d'essere stati ingannati dagli spagnoli. Nell'esercito di Bolívar entrarono anche alcune migliaia di volontari inglesi, irlandesi, tedeschi, francesi ecc.: con 2500 uomini attraversò le Ande e liberò Santa Fe (Bogotà).

Il congresso apertosi nel 1819 ad Angostura annunciò la creazione della repubblica di Gran Colombia (dal nome di Colombo), nella quale entrarono il Venezuela, la Nuova Granada e la provincia di Quito (attuale Ecuador). Capo della nuova repubblica fu nominato Bolívar, al quale furono concessi poteri straordinari. Ai suoi ordini i patrioti sconfissero duramente le truppe spagnole nel Venezuela e nella Nuova Granada. L'indipendenza definitiva del Venezuela fu assicurata solo dalla vittoria di Carabobo il 21 giugno 1821. Solo allora infatti poté prendere la marcia verso sud, per unirsi alle forze di San Martín e liberare tutta l'America latina spagnola.

Nell'estate del 1822 le truppe colombiane, compiendo una marcia coraggiosa attraverso le montagne, occuparono Quito. In tal modo tutto il territorio della repubblica di Colombia era stato liberato dagli spagnoli.

II

Nel Messico la maggior parte dei proprietari terrieri, temendo i contadini, continuavano ad appoggiare i colonialisti. Tuttavia, in seguito alla rivoluzione spagnola del 1820 i grossi proprietari terrieri messicani e le gerarchie ecclesiastiche, spaventati dal ripristino della Costituzione liberale spagnola del 1812 e dai provvedimenti antifeudali e anticlericali intrapresi nel territorio metropolitano, erano orientati a staccare il Messico dalla Spagna.

Dirigente di questo movimento fu Augustín Itúrbide, ex-ufficiale dell'esercito spagnolo, che aveva attivamente partecipato alla repressione della lotta di liberazione. Nel 1821, dopo che l'esercito di Itúrbide ebbe occupato la capitale, fu proclamata l'indipendenza del Messico. La dittatura di Itúrbide, che governò sotto il nome di imperatore Agostino I, durò breve tempo: nel 1823 fu rovesciata e nel paese venne stabilito un regime repubblicano.

III

Nell'America centrale l'indipendenza fu proclamata nel 1821, contemporaneamente al Messico, ma successivamente il territorio fu annesso all'impero di Itúrbide, e solo dopo la sua caduta fu costituita una federazione repubblicana delle Province unite dell'America centrale, che rimase in vigore fino al 1839, quando si formarono Guatemala, Honduras, San Salvador, Nicaragua e Costarica.

IV

Nel 1816 il congresso della città di Tucumén proclamò l'indipendenza di un nuovo Stato, in seguito ad una sollevazione popolare: le Province unite di La Plata (che successivamente ricevettero il nome di Argentina). Nel 1817 il loro esercito, agli ordini del valente condottiero generale José de San Martín, compì un'eroica marcia attraverso le Ande ed entrò nel territorio del Cile. Insieme con i reparti dei patrioti cileni, agli ordini di Bernardo O'Higgins, l'esercito liberò il paese dagli spagnoli; nel 1818 fu proclamata l'indipendenza del Cile sotto il potere del governatore supremo O'Higgins.

Dal Cile l'esercito di San Martín giunse nel 1820 per via mare nel Perù e nel luglio del 1821 occupò la capitale, Lima, dove fu proclamata l'indipendenza del Perù. Tuttavia la maggior parte del paese, compreso il Perù settentrionale, continuava a rimanere nelle mani degli spagnoli.

Nell'autunno del 1823 Bolívar inviò il suo esercito nel Perù; il 6 agosto del 1824 le truppe spagnole furono sbaragliate presso Junior, e il 9 dicembre dello stesso anno furono sconfitte definitivamente dal generale Sucre, collaboratore di Bolívar, nella battaglia presso Ayacucho. In seguito a queste vittorie il Perù settentrionale fu liberato e nel suo territorio fu proclamata la repubblica, che in onore di Bolívar fu chiamata Bolivia. Le sconfitte di Junin e di Ayacucho significarono la disfatta definitiva del dominio coloniale spagnolo nel continente americano.

Nel 1826 capitolò l'ultima guarnigione spagnola assediata nella fortezza di Callao (Perù). Dei suoi enormi possedimenti nell'America latina le Spagna mantenne solo Cuba e Portorico. La monarchia spagnola cercò di ottenere l'aiuto delle potenze della Santa Alleanza. Ma questo piano fallì per l'opposizione dell'Inghilterra; la borghesia inglese non voleva la restaurazione in America del sistema coloniale spagnolo coi suoi monopoli e divieti e sperava di ricavare grossi vantaggi dall'apertura del mercato latino-americano. Il predominio della flotta inglese sul mare escludeva qualsiasi possibilità di invio di truppe dall'Europa in America senza il consenso dell'Inghilterra. Anche gli Stati Uniti erano contrari all'intervento europeo nell'America latina.

V

Nel 1822 il governo di Washington, desiderando stabilire vantaggiosi rapporti commerciali con le giovani repubbliche ispano-americane, e quindi sottometterle alla sua influenza economica e politica, riconobbe l'indipendenza di questi Stati. Nel dicembre del 1823 il presidente degli Stati Uniti, Monroe, inviò un messaggio al Congresso in cui si prendeva posizione contro i possibili piani d'ingerenza delle potenze monarchiche d'Europa negli affari degli Stati americani per liquidare in quei paesi il regime repubblicano e restaurare con la forza la monarchia. Era quindi evidente che con la "dottrina di Monroe" gli Stati Uniti perseguivano fini espansionistici. La proclamazione del principio "l'America agli americani" significava in realtà "l'America agli Stati Uniti". (8)

Nel 1824 l'Inghilterra riconobbe l'indipendenza dei nuovi Stati. Nel 1826 anche la Francia stabilì con essi regolari rapporti commerciali; il suo rifiuto di riconoscere ufficialmente la loro indipendenza era solo un tributo formale al principio del legittimismo.

VI

Bolívar, el Libertador, fu proclamato presidente in tutti i nuovi Stati. Nel dicembre 1824 convocò a Panama un congresso per promuovere forme di cooperazione tra i nuovi paesi sudamericani, ma il Trattato di unione, lega e confederazione perpetua (1826) non fu mai ratificato. Nella Grande Colombia si rafforzarono le spinte separatiste provenienti dal Venezuela. Al progetto unionista di Bolívar si opponeva quello federalista del suo vice, Francisco Santander. Nell'agosto 1828 Bolívar emanò una nuova Costituzione con cui voleva estromettere Santander dal governo. Costui si vendicò compiendo un attentato contro Bolívar, che però riuscì fortunatamente a evitarlo.

Tuttavia nel gennaio 1830 il Venezuela si staccò dalla Colombia. Bolívar lasciò ogni carica e dovette anche andarsene dal Venezuela, ove era stato dichiarato fuorilegge, lui che aveva sottratto alla Spagna un impero cinque volte più vasto dell'Europa. Morì in Colombia di tubercolosi il 17 dicembre 1830.

Il fallimento del suo progetto panamericano, cioè di un continente americano formato da pochi grandi Stati, riuniti in una confederazione, capace di contrapporsi all'Europa e di non lasciarsi fagocitare dagli Stati Uniti, che avevano già espresso le loro intenzioni egemoniche nel 1823, con la "dottrina Monroe", comportò la perdita di tutti territori settentrionali del Messico, inglobati negli Usa e comportò l'instabilità politica di tutti i singoli paesi latinoamericani, sempre esposti a sollevazioni militari e a colpi di Stato e a continue tensioni tra di loro.

Il Messico di Benito Juárez

Nel 1862 Francia e Gran Bretagna invasero il Messico, perché il governo repubblicano di Benito Juárez, dovendo fronteggiare una gravissima crisi finanziaria, ereditata dal precedente governo, aveva iniziato a incamerare dei beni ecclesiastici, già nazionalizzati qualche anno prima, aveva innalzato delle imposte e sospeso per due anni il debito estero messicano verso le potenze straniere. Questo atto provocò l'immediata reazione di Inghilterra, Francia e Spagna, le quali, per proteggere i loro interessi, decisero di intervenire negli affari interni del Messico. Nel gennaio del 1862 le flotte inglese, francese e spagnola giunsero nel porto di Veracruz, seguite in marzo da un corpo di spedizione francese. Il presidente riuscì a far desistere Londra e Madrid dalla continuazione dell'impresa con gli accordi di Orizaba, ma i francesi, appoggiati dai reazionari e dai clericali, ostili alle riforme del presidente, rimasero fermi nella loro intransigenza. Nel frattempo Juárez, ottenuto un prestito dagli Stati Uniti e i pieni poteri dal Congresso, riuscì a debellare gli oppositori interni, sentendosi abbastanza in grado di resistere all'invasore francese. L'esercito messicano riuscì a ottenere una prima vittoria militare a Puebla il 5 maggio 1862, ma quando l'imperatore francese Napoleone III inviò cospicui rinforzi e le truppe francesi ripresero l'offensiva, Juárez fu costretto, il 31 maggio 1863, ad abbandonare la capitale e a rifugiarsi a San Luis Potosí, portando con sé il tesoro dello Stato.

Città del Messico cadde in mano francese il 7 giugno: per volontà di Napoleone III, il 10 luglio un'assemblea di notabili messicani proclamò il Secondo Impero Messicano, offrendo la corona imperiale al granduca austriaco Massimiliano d'Asburgo, che giunse il 28 maggio 1864, mentre l'esercito francese guadagnava terreno, conquistando le principali città e vari porti messicani. Di fronte all'incalzare delle truppe d'invasione, Juárez dovette rifugiarsi, nell'agosto del 1864, a El Paso del Norte (l'odierna Ciudad Juárez), alla frontiera con gli Stati Uniti, con il cui governo rimase sempre in contatto.

Nel corso del 1865 avvenne la riscossa repubblicana, quando, dopo la fine della guerra civile americana, il governo di Washington si schierò apertamente col Messico, facendo manovre militari lungo il confine del Rio Bravo e chiedendo alla Francia, il 12 febbraio 1866, il ritiro delle truppe. La minaccia d'intervento da parte degli americani intimorì Napoleone III, che annunciò il ritiro del proprio contingente a partire dal 31 maggio. Seguirono diversi successi dell'esercito messicano, guidato dal generale Porfirio Díaz, che riconquistò tutti i territori occupati dai francesi: privo dell'appoggio francese, Massimiliano nel febbraio 1867 abbandonò la capitale e si rifugiò a Santiago de Querétaro, ma fu fatto prigioniero e condannato a morte da una corte marziale messicana, malgrado gli appelli in suo favore da parte di molti sovrani e personalità politiche europee (come p.es. Victor Hugo e Giuseppe Garibaldi). Città del Messico capitolò il giorno successivo. Appena ripreso possesso della sua capitale, il presidente messicano convocò il Congresso federale, che ripristinò la Costituzione del 1857.

Dopo la liberazione del Paese, Juárez riprese il suo programma di riforme liberali: concesse una larga amnistia, decretò una legge sulla libertà di stampa, combatté i privilegi del clero e dell'esercito, ridusse le spese militari e favorì l'istruzione pubblica. Nel febbraio del 1870 il presidente dovette far intervenire l'esercito per sedare delle rivolte in alcune province interne, mentre il 20 settembre 1871 venne rieletto alla presidenza. La sua rielezione provocò una rivolta organizzata da generali dell'esercito avversi a Juárez, che per alcuni mesi non riuscì a prendere il controllo della situazione, essendo il Paese piombato in preda all'anarchia. Proprio quando la situazione stava per normalizzarsi, il presidente del Messico morì improvvisamente, il 18 luglio 1872, nel palazzo presidenziale di Città del Messico, a causa di un attacco cardiaco.

La separazione del Brasile dal Portogallo

In quel periodo diventò indipendente anche la colonia portoghese del Brasile. Qui, come nelle colonie spagnole, il dominio della metropoli era un grave peso per lo sviluppo economico e politico del paese.

Già alla fine del XVII sec. in Brasile era stato organizzato un complotto, diretto da Joaquim José da Silva Xavier, soprannominato Tiradentes. I congiurati si ponevano l'obiettivo della conquista dell'indipendenza. Ma le autorità scoprirono il complotto, presero Tiradentes e lo giustiziarono.

Nel 1808 giunse in Brasile il viceré Giovanni, fuggito dal Portogallo dopo la sconfitta nella guerra contro la Francia napoleonica. Nel 1815 egli fece del Brasile un "regno" (unito col Portogallo) e nel 1816 prese il titolo di re Giovanni VI, facendo diventare Rio de Janeiro una capitale con pari dignità rispetto a Lisbona.

Durante il regno di Giovanni crebbe il malcontento nel paese. Il blocco continentale e la diminuzione del commercio con l'Europa, la guerra contro le Province unite di La Plata per la conquista dell'Uruguay e le nuove difficoltà economiche da essa derivate, peggiorarono ancora la situazione del paese.

Nel 1817 scoppiò una rivolta nella provincia di Pernambuco, che si proclamò repubblica. Dopo la partenza di Giovanni per l'Europa (1821) il movimento d'indipendenza del Brasile continuò a rafforzarsi. A ciò contribuì la politica delle Cortes di Lisbona, le quali si rifiutarono di concedergli l'indipendenza.

Nel 1822, il viceré Pedro, che si trovava sul posto, proclamò il Brasile impero indipendente dal Portogallo, con tanto di Costituzione e di appoggio inglese. Le truppe portoghesi furono cacciate. I piantatori divennero la forza dominante del paese. Il Brasile fu l'unico paese latino-americano a evitare la frammentazione politica. La fine della monarchia avverrà nel 1891, adottando la Costituzione federale. La famiglia imperiale poté comunque in tutta sicurezza tornare in Europa.

I risultati e il significato della lotta d'indipendenza dei popoli dell'America latina

  1. Nel continente americano sorsero 18 nuovi Stati: Messico, Bolivia, Colombia (di cui fino al 1830 fecero parte anche il Venezuela e l'Ecuador), Cile, Perù, Brasile, Argentina, Paraguay, le Province unite dell'America centrale (divise successivamente in cinque repubbliche: Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua e Salvador). L'Uruguay, occupato nel 1817 dalle truppe di Giovanni VI, si liberò dal dominio brasiliano solo nel 1825, e conquistò definitivamente l'indipendenza nel 1828, dopo una guerra di tre anni fra Brasile e Argentina.
  2. In conseguenza della debolezza e della inconsistenza numerica della borghesia coloniale, la direzione del movimento di liberazione si trovò nella maggior parte dei casi nelle mani dei latifondisti creoli. In generale essi riuscirono a realizzare i loro obiettivi. I latifondisti creoli, e sotto la loro influenza anche la maggioranza dei dirigenti del movimento di liberazione, mentre lottavano contro i colonialisti, cercavano di conservare le loro grandi proprietà terriere, le forme feudali di sfruttamento e la loro posizione di superiorità giuridica sulle masse lavoratrici, impedendo la trasformazione della lotta d'indipendenza in rivoluzione sociale.
  3. Le repubbliche nate dalla dissoluzione dei vicereami coloniali furono da subito caratterizzate da una diffusa instabilità politica, dovuta alla mancanza di una tradizione istituzionale democratica e soprattutto dalla non volontà, da parte delle classi dirigenti, di risolvere la questione agraria e quella sociale. Una ristretta classe agiata di proprietari terrieri di origine europea si contrapponeva a masse contadine poverissime e analfabete. Ciò favorì l'ascesa dei cosiddetti caudillos, leader in genere provenienti dall'esercito, che ottenevano il consenso popolare promettendo riforme sociali ed economiche in favore delle classi marginali. Dopo aver conquistato il potere con un colpo di stato, il caudillo si faceva eleggere presidente della nazione con un plebiscito e governava con metodi autoritari, spesso in stretta alleanza con quelle stesse classi agiate contro cui aveva affermato di voler lottare. Il suo potere quindi si concludeva solo con la sua morte o con il sorgere di un nuovo caudillo. In un certo senso si può dire che furono i caudillos a realizzare i progetti dei libertadores, seppure in formato ridotto: le nazioni al posto degli imperi.
  4. In quasi tutti i paesi dell'America latina si stabilì un regime repubblicano. In una serie di paesi fu completamente o parzialmente eliminata la schiavitù e furono limitati i diritti della chiesa, la popolazione locale fu esentata dal pagamento del testatico e dal lavoro obbligatorio gratuito, fu eliminata l'Inquisizione, furono soppressi i titoli nobiliari ecc. La liberazione delle ex-colonie dalle limitazioni in campo economico, da cavillose e forzate regolamentazioni, e la liquidazione dei monopoli spagnoli aprirono la strada a un più rapido sviluppo capitalistico della loro economia.

NOTE

(1) Come noto "indio" è un termine che sul piano etnologico non ha senso, in quanto fu attribuito nel 1500 alle popolazioni indigene dell'America sulla base del fatto che, al tempo di Cristoforo Colombo, si era convinti d'essere approdati nelle Indie, ossia in Asia. Anche quando si scoprì l'errore, si continuò a parlare di Indie orientali e Indie occidentali.

(2) Venivano definiti "meticci" i figli di un bianco e di una india, "mulatti" i figli di un bianco e di una nera, "zambos" i meticci indios-neri.

(3) "Creoli" erano chiamati così dagli spagnoli quei bianchi nati nelle colonie, benché molti creoli che si ritenevano di "sangue puro" fossero in realtà di sangue misto. Oggi vengono detti così anche i figli di un genitore bianco e di uno di colore.

(4) José Gabriel Condorcanqui era nato verso il 1742 nell'Alto Perù (attuale Bolivia). Fin da giovane aveva rivendicato la discendenza diretta dall'ultimo grande sovrano inca della storia peruviana: di qui il suo nome anticoloniale di Tupac Amaru II, scelto al posto di quello anagrafico. Era stato educato dai gesuiti, prima che, nel 1767 un ordine del re spagnolo Carlo III ne provocasse dell'espulsione dall'America. In un primo momento gli spagnoli lo tennero buono, concedendogli il titolo di marchese di Oropesa, ma lui rifiutò il favore e la rendita inclusa; anzi si mise a fare il mulattiere nei sentieri delle Ande, prendendo coscienza delle miserrime condizioni degli indigeni. Spedì al viceré di Lima molte lettere in cui chiedeva di porre fine agli abusi degli amministratori locali, ma quando si accorse che con le buone maniere non otteneva nulla, passò ai fatti. Il 4 novembre 1780 si alzò dalla mensa di un banchetto in onore del re di Spagna, Carlo III, tenuto a Tungasuca, per dire al corregidor di Tinta, don Antonio Arrìaga, che era in stato d'arresto a motivo delle sue prevaricazioni ai danni della popolazione indigena. Dopo un processo istruito da un tribunale rivoluzionario, con tanto di prove e di testimonianze a carico dell'accusato, quest'ultimo su condannato a morte. Nel giro di poche settimane scoppiò la rivolta in tutto il Perù e in Bolivia. Su una popolazione di un milione di abitanti, circa 70-80 mila si era mobilitata dietro la bandiera di Tupac Amaru II, armata soltanto di attrezzi agricoli e lance. I pochi comandanti spagnoli che avevano cercato di resistergli, erano stati travolti. Verso la fine del 1781 egli si sentiva abbastanza forte da poter muovere direttamente contro Cuzco, quartier generale degli spagnoli nel Perù meridionale. Ovunque il clero incitava i bianchi ad armarsi contro di lui. Il viceré era riuscito ad attrarre non pochi meticci, negri e cacicchi, che avrebbero dovuto essere i naturali alleati degli indigeni. L'esercito di Tupac Amaru II venne sconfitto due volte sotto Cuzco, ma solo grazie al tradimento di un suo seguace, egli fu catturato: dopo orribili torture, fu condannato a morte, insieme alla moglie, ai figli e ai suoi principali collaboratori. La causa principale della debolezza di questa insurrezione fu, oltre alla mancanza di un programma organico relativo alla nuova società che si voleva realizzare, l'incapacità di stabilire alleanze con altre componenti sociali non meno discriminate degli Inca.

(5) François-Dominique Toussaint Louverture (1743-1803), è stato il leader della rivoluzione haitiana. Il suo genio militare e l'acume politico trasformarono l'intera società di schiavi nello Stato indipendente di Haiti, scuotendo l'istituzione della schiavitù in tutto il Nuovo Mondo. Egli iniziò la sua carriera militare come leader, nel 1791, della rivolta degli schiavi nella colonia francese di Santo Domingo. Inizialmente alleato con gli spagnoli, Toussaint preferì stare coi francesi quando Robespierre abolì la schiavitù. Durante i suoi anni al potere restaurò il sistema delle piantagioni con manodopera salariata, i trattati commerciali con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e mantenne un esercito ben disciplinato. Nel 1801 promulgò una Costituzione autonomista per l'ex-colonia, con se stesso come governatore a vita. Nel 1802 fu costretto a dimettersi dalle forze inviate da Napoleone Bonaparte per ristabilire l'autorità francese nella ex-colonia e persino la schiavitù. Fu deportato in Francia, dove morì nel 1803. La rivoluzione haitiana continuò sotto il suo luogotenente, Jean-Jacques Dessalines, che dichiarò l'indipendenza nei primi mesi del 1804. I francesi avevano perso due terzi delle forze inviate nell'isola nel tentativo di sopprimere la rivoluzione.

(6) Persone oriunde dei Llanos, le savane della zona intertropicale della parte nord del bacino del fiume Orinoco che comprende i due Paesi del Nord dell'America Meridionale: Colombia e Venezuela. Erano dediti, generalmente, alla cura del bestiame nei grandi latifondi della regione.

(7) José Francisco de San Martín y Matorras (1778–1850) era nato in Argentina da una famiglia aristocratica spagnola. Le sue campagne militari furono decisive per l'indipendenza di Argentina, Cile e Perù. Compì gli studi militari in Spagna e, una volta entrato nell'esercito di tale Paese, combatté in Nordafrica contro Napoleone, impegnandosi poi nella guerra d'indipendenza spagnola nelle battaglie di Bailén e dell'Albuera. Assegnato con il grado di tenente colonnello a un reggimento di Buenos Aires, concepì il piano di emancipazione delle colonie sudamericane dalla madrepatria; realizzò l'indipendenza argentina e successivamente combatté per quelle del Perù e del Cile. Considerato insieme a Simón Bolívar tra gli artefici più importanti della fine della colonizzazione spagnola in America Latina, morì in Francia nel 1850. Già nel 1825, accusato di cospirazione monarchica, era stato costretto a fuggire in Europa. Non riuscì mai infatti a trovare un accordo con Bolívar, che voleva per l'America latina una grande federazione di repubbliche unite. L'Argentina lo onora come Padre della Patria e lo considera eroe nazionale; il Perù gli riconosce il titolo di liberatore del Paese nonché di "Fondatore della Libertà del Perù", "Fondatore della Repubblica" e "Generalissimo"; l'esercito del Cile gli riconosce il grado di Capitano generale.

(8) La dottrina del presidente americano James Monroe (1823) stabilì i capisaldi della politica estera americana almeno sino alla prima guerra mondiale. Gli Usa si opponevano alla colonizzazione del Sudamerica da parte dell'Europa occidentale, che pur era già presente con le sue basi commerciali inglesi, francesi e olandesi in Guyana, Honduras, Haiti ecc. Monroe giustificava il diritto di "proteggere" gli interessi dell'intero continente americano, dicendo che gli Usa non interferivano nelle questioni economiche e nelle guerre delle potenze europee. In altre parole gli Usa affermavano che qualunque intervento coloniale europeo compiuto in Sudamerica veniva considerato ostile nei loro stessi confronti. D'altra parte giudicavano impossibile che i latinoamericani si potessero liberare dei colonialisti europei senza il loro aiuto.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia Moderna
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Aggiornamento: 13/11/2014