STORIA ROMANA


Roma, l'apogeo della forma statale schiavile

I - II - III - IV
Le due vie della nascita dello Stato nelle società antiche
Introduzione

Lo Stato sorge dalla necessità di un gruppo sociale di organizzarsi per tenere sotto controllo l’intera struttura della società. Ciò che è decisivo e primario è sempre la produzione. Non appena sorgono differenze sociali (di classe o di casta) sorge lo sfruttamento, che determina la natura dell’epoca:

"the particular form of exploitation ultimately determined the whole structure of society"[1].

Le necessità e la fisionomia della produzione decidono delle forme politiche, sociali, culturali e ideologiche prevalenti. In questo senso occorre ricordare che le forze produttive sono sempre specifiche di un modo di produzione:

"ogni produzione è appropriazione della natura da parte dell’individuo entro e mediante una determinata forma di società"[2]

non si tratta di un rapporto meccanico, di "recipiente" (rapporti di produzione) a "contenuto" (forze produttive), ma dialettico. Lo Stato, i rapporti tra le classi, sono assieme parte dei rapporti di produzione ed espressione delle forze produttive.

Per mantenere la pace sociale e allargare l’estensione del proprio dominio, la classe o casta dominante si serve della forza militare, a cui in ultima analisi si riduce ogni Stato. La forma militare è un riflesso della forma sociale che la produce. Questo si vede con estrema chiarezza nelle trasformazioni che hanno avuto gli eserciti delle città Stato greche e poi di Roma.

In questo scritto descriveremo le due vie attraverso cui l’umanità superò la società gentilizia: il modo di produzione antico (schiavile) e il modo di produzione asiatico. Quest’ultimo ha un particolare interesse storico e politico. Infatti, sotto il profilo storico, si tratta di una formazione sociale in cui la nascita dello Stato precede quella delle classi. Sotto il profilo politico, lo studio di questo modo di produzione può fornire alcune indicazioni sull’estinzione dello Stato nella società postcapitalista.

L’umanità ha vissuto per gran parte del suo tempo in società senza classi, senza Stato e senza proprietà privata all’interno di strutture tribali e familiari in cui era garantita una piena e sostanziale uguaglianza sociale.

Le antiche strutture gentilizie si dissolsero attraverso due vie: la nascita delle classi (come in Grecia e in Italia); la cristallizzazione di alcune loro caratteristiche in una formazione sociale nuova, il modo di produzione asiatico.

In un primo tempo, il marxismo ha analizzato esclusivamente l’esperienza "europea" di nascita dello Stato, e con un errore di prospettiva storica l’ha considerata il caso "generale". Col tempo si è capito che la transizione allo Stato avvenuta in Europa (e forse in Giappone) è abbastanza rara mentre il modo asiatico è la norma. Nella storia la situazione tipica è rappresentata da una struttura in cui una casta e non una classe fa sorgere lo Stato.

D’altronde, le classi sociali in un certo senso esistono solo nel capitalismo, l’unico modo di produzione in cui i rapporti sociali sono puri, non "contaminati" da aspetti religiosi, etnici, ideologici. Non solo, ma la funzione produttiva della classe determina nel capitalismo ogni altra sua caratteristica, soprattutto nel campo dei rapporti politici. Le classi sono classi in campo economico, politico, sociale. Lo Stato è il capitalista collettivo. Questa simbiosi si rompe quando lo Stato assume una forma bonapartista, ovvero quando l’espressione politica del dominio borghese si estrania dal controllo della classe capitalista e diviene un potere autonomo avente lo scopo di riportare l’ordine nella società. Nell’epoca antica, lo Stato ha quasi sempre connotati bonapartisti, in quanto è più indipendente dalla sua struttura sociale, e non c’è piena coincidenza tra classi economiche, sociali e politiche. Ad esempio gli schiavi sono una classe economica (producono plusprodotto), ma non politica. L’indipendenza della casta dominante, che fa sorgere lo Stato, dalle classi produttive, è maggiore ecc.

Il percorso più o meno comune dei popoli del Mediterraneo prima della storia antica è questo: tribù nomadi si appropriano di un territorio (spesso con la forza). Laddove la terra è più fertile, la crescita della popolazione spinge all’allevamento e all’agricoltura. All’inizio si tratta di attività svolte su proprietà collettive (seppure in modalità diverse: i tre "casi" analizzati da Marx nelle Forme che precedono la produzione capitalistica). La proprietà della terra è comune ma il possesso a volte è privato. Col tempo, si sviluppa una casta di gestori delle terre collettive (perché queste devono essere attribuite, o perché ve ne sono di nuove); inoltre, all’espandersi del villaggio, il capo militare acquista un peso crescente: la guerra diviene un attività decisiva per lo sviluppo delle forze produttive. Infatti, il basso sviluppo tecnico, se unito ad una crescita demografica, rende l’espansione territoriale una condizione di sopravvivenza della comunità. C’è una tendenza ineliminabile di queste due caste (sacerdoti, guerrieri) ad estraniarsi dalla proprietà collettiva per farne una proprietà individuale. In questo senso, il modo di produzione asiatico o "palaziale" ha una tendenza a farsi feudale. Ciò che lo distingue, tra le altre cose, dalla società schiavista classica è che in tale contesto il lavoro schiavile non ha mai un peso preponderante. Gli schiavi per debiti o i prigionieri di guerra, sono aiutanti di chi lavora la terra o domestici.

Il modo di produzione asiatico ha attraversato la storia di ogni paese. In alcuni durando pochi secoli, in altri giungendo fino alle soglie dell’epoca contemporanea.

Le modalità con cui si passa dal modo di produzione asiatico alla società antica da cui nasce lo Stato di tipo greco-romano sono diverse. Vi si conservano vestigia "asiatiche" più forti in alcune zone, impercettibili altrove. Ad esempio, in Attica l’invasione dorica portò alla fusione con le popolazioni preesistenti con la completa scomparsa dei villaggi gentilizi, base del modo di produzione asiatico. A Sparta, l’oligarchia dorica dominava una popolazione di servi che coltivava terreno pubblico, come poi accadrà con la plebe romana: "Gli Spartiati, tra i quali era diviso il terreno coltivato dagli iloti, non attendevano che ad attività militari"[3]. Il caso particolare di Sparta deriva dal fatto che l’invasione dorica non portò alla fusione con le popolazioni autoctone ma alla loro totale e permanente sottomissione. Gli Spartiati erano collettivamente proprietari di tutta la terra coltivata dagli iloti, un residuo della società asiatica che spiega l’arretratezza politica e culturale di Sparta ma anche il fatto che gli Spartani fossero gli unici guerrieri professionisti dell’Ellade, il che era anche necessario, dato che le dure condizioni degli iloti producevano continue rivolte.

In tutti i casi, l’evoluzione delle strutture politiche gentilizie verso società "statali" avviene a partire dalla democrazia assembleare classica, tipicamente con l’emergere di un gestore della proprietà collettiva e un capo militare. Il nomadismo cede a poco a poco alla più produttiva vita stanziale. Ben presto sorge la necessità di superare le condizioni produttive date (appropriazione semplice) e nasce un vero modo di produrre queste condizioni, principalmente tramite l’agricoltura e dunque i canali per l’irrigazione. Questo conduce alla strutturazione sociale: senza centralizzazione niente irrigazione. I lavori pubblici implicano una casta di tecnici. La guerra implica un capo. Il processo aggregativo conduce a città Stato che conquistano le regioni limitrofe creando imperi, pur con tempistiche molto diverse. In Egitto si costituiscono presto due regni poi unificati da un re assistito da un corpo di funzionari. In Mesopotamia troviamo invece ancora a lungo città Stato che poi evolvono verso l’impero (Sargon sembrerebbe essere stato il primo imperatore vero e proprio). In Grecia le città Stato resistono, pur nella forma di leghe e con il predominio di Atene o di altre città, sostanzialmente fino all’ingresso nella storia ellenica della Macedonia e in realtà, sino alla conquista romana.

L’evoluzione verso la gestione della proprietà pubblica da parte di una casta avviene in tutti i luoghi. Solo che in alcuni questo conduce rapidamente alla nascita di classi e dunque a uno Stato classista (come quello greco), mentre in altri paesi l’evoluzione viene come congelata dal basso livello di sviluppo delle forze produttive, e il modo di produzione asiatico sopravvive fino a quando non si scontra con una società più avanzata, tipicamente il capitalismo[4].

Come detto, il ruolo della guerra è decisivo nello sviluppo di questo modo di produzione. Gli imperi come quello persiano avevano un esercito fatto di popoli soggetti, mercenari ecc., gente che era in qualche modo al di fuori del tessuto sociale, ad eccezione della cavalleria o dei carri, di pertinenza nobiliare. Questo permetteva lunghe campagne lontano dalla propria città, guerre di conquista. Ma è chiaro che un simile esercito non poteva sorgere in Grecia. Le poleis non avevano infatti popoli soggetti, né erano così ricche da reclutare miliziani. Inoltre, armare gli schiavi (peraltro pochi) era assai rischioso. Non rimaneva che reclutare gli stessi cittadini per la difesa dello Stato. Per secoli, la guerra tra le città Stato si ridusse ad uno scontro di falangi oplitiche di durata assai limitata e di conseguenze (in termini di morti e feriti) ridotte. Le guerre persiane cambiarono tutto. La democrazia greca, ovvero il dominio dei latifondisti per il tramite di assemblee popolari, si dimostrò assai più vitale dell’autocrazia orientale. Gli opliti sconfissero eserciti dieci volte più numerosi. Per quanto riguarda Atene, la sua ampia democrazia può farsi risalire essenzialmente all’importanza della flotta (e dunque alla massa di cittadini necessari per la navigazione). Ad ogni modo, le guerre persiane dimostrarono quanto la società greca fosse superiore al modo di produzione asiatico: l’esercito permanente, per necessità nutrito dal surplus creato da altri, e dunque insieme causa ed effetto della guerra permanente, si dimostrò inferiore al popolo in armi[5], così come il metodo di selezione dei quadri militari (politici che dopo la guerra tornavano ad essere oratori o addirittura a coltivare la terra come Cincinnato, rispetto ai nobili persiani). Ma anche nella polis, quando le campagne belliche cominciarono a durare anni, il condottiero e l’oplita divennero soldati di professione e addirittura mercenari (si pensi all’Anabasi di Senofonte, ai precettori spartani di Annibale). Questo pose le basi per la crisi delle democrazie oplitiche greche e romane. Il modo di produzione asiatico invece, rimase pressoché immutato nei secoli e nei millenni conservando le sue caratteristiche.

1. L’umanità prima del modo di produzione asiatico

Per la stragrande maggior parte del suo tempo, da che è divenuto un animale cosciente attraverso il lavoro associato, l’uomo ha vissuto in formazioni sociali prive di qualunque gerarchia sociale o sessuale, dove la divisione del lavoro tra i sessi o la presenza di un capo non comportava l’accumulo di alcun privilegio.

Usando le definizioni di Engels, la storia dell’uomo prima della società divisa in classi può suddividersi così:

a) Stato selvaggio

l’uomo si stacca dagli altri ominidi; vive di raccolta e di caccia di piccoli animali in orde di ridotte dimensioni che all’inizio non sono molto diverse dai branchi degli altri primati. Le sue capacità produttive si sviluppano con la scoperta del fuoco e l’uso di armi più efficienti; questo permette la sua diffusione per tutta la Terra. In questo periodo, ad eccezione di grandi scoperte (come il fuoco), la vita procede senza cambiamenti, nella completa eguaglianza sociale.

b) Barbarie

lo sviluppo delle forze produttive comincia con l’allevamento e la coltivazione delle piante nei luoghi in cui ciò è possibile (Mesopotamia, ecc.). Qui avviene la prima grande differenziazione dell’umanità: i popoli di pastori si accrescono di numero spingendo le tribù di cacciatori in terre sempre peggiori. In seguito, l’agricoltura permette un aumento della densità della popolazione di dieci e anche cento volte. Ad essa si aggiungono le altre innovazioni che accompagnano l’ultima fase della barbarie: la fusione del ferro, la scrittura alfabetica ecc. Come ormai noto, l’agricoltura porta con sé, oltre al formidabile aumento delle forze produttive, nuovi rapporti di produzione, nuove relazioni tra gli uomini, inevitabili proprio per questo aumento. La donna, forza-lavoro ormai di secondo piano, viene ridotta a madre e domestica, i costumi sessuali si fanno rigidi. Sorge un’ideologia a difesa della famiglia monogamica. L’alimentazione basata, dapprima su animali nutriti a cereali, in seguito direttamente sui cereali, peggiora enormemente la salute della popolazione. Gli agricoltori sono bassi e malati, i cacciatori, alti, forti e sani. Ma gli agricoltori sono molti di più e i cacciatori sono sterminati o cacciati[6].

La pastorizia portò con sé due elementi decisivi: la proprietà individuale e uno stabile sovrappiù. Queste due cose resero conveniente e inevitabile la subordinazione di altri uomini (e contestualmente delle donne) per badare ai greggi (che producono un sovrappiù "naturale" con la nascita di nuovi animali, il latte, ecc.). Sorse il diritto patriarcale, il potere del pater familias divenne assoluto. Le donne e i servi vennero gradualmente esclusi dalla vita pubblica, dalla politica, dalla cultura. L’accudimento della prole, un tempo l’aspetto decisivo della vita pubblica, divenne una questione privata, al di fuori dell’economia pubblica. Fu questa l’ultima epoca della società gentilizia, che abbracciò un lungo periodo di tempo e che condusse, attraverso le due distinte modalità prima citate, al sorgere dello Stato.

La democrazia gentilizia, basata sull’autogoverno dei produttori in assenza di qualunque tipo di coercizione, lasciò il posto a strutture gerarchiche. La crisi della gens venne causata, come ogni altra crisi di una società, dal successo produttivo dell’uomo. Tradizionalmente, la gens occupava un territorio ed era un’unità combattente, con il nome di un animale (totem). Lo sviluppo della popolazione condusse al moltiplicarsi dei membri della gens che diedero così vita a scissioni in gens madri e in diverse gentes figlie confederate tra loro (fratrie); l’ulteriore passo fu la fusione di queste fratrie in una tribù. La lega delle tribù fu lo stadio massimo di sviluppo della società gentilizia, così come vediamo con gli indiani d’America o con le popolazioni barbariche europee. A questo livello di sviluppo non si dava ancora uno Stato. La terra era proprietà comune della tribù, non vi erano differenziazioni sociali degne di nota, tutti erano ancora liberi ed eguali, anche le donne; non si conosceva la schiavitù.

Questo sistema ha retto per secoli, e in alcuni luoghi per millenni, ma lo sviluppo della società conduceva inevitabilmente verso la sua fine. Il suo punto debole era la mobilità territoriale. Se una gens potesse occupare a tempo indefinito lo stesso luogo, e se la popolazione variasse di poco, tutto procederebbe immutato (non per nulla questa è la situazione delle società gentilizie scoperte dall’uomo bianco negli ultimi secoli in Amazzonia, Africa, ecc.). Ma che succede se nel territorio della gens vivono non gentili? All’inizio, quando sono una piccola minoranza, li si può ricondurre all’interno della gens. Ma quando cominciarono a essere la maggioranza ciò non poté più essere fatto. Ecco che da quel momento i gentili appaiono una minoranza di privilegiati con diritti politici (gli eupatrides romani) di fronte alla massa della popolazione di "nuovi venuti".

Allo stesso modo, è proprio lo sviluppo delle forze produttive a mettere in crisi la gens. L’allevamento e l’agricoltura si prestano ad una appropriazione privata: nasce prima il possesso e poi la proprietà individuale, nasce la famiglia monogamica. Sorge un surplus che può essere scambiato al di fuori della gens, la guerra diviene conveniente, i capi militari sono sempre più importanti. In definitiva, "la gens aveva vissuto. Essa venne distrutta dalla divisione del lavoro che spartì la società in classi e fu sostituita dallo Stato"[7]. Lo Stato fornì alla classe economicamente dominante i mezzi politici per preservare ed allargare i propri privilegi economici. Questa è la storia di Roma e di Atene. In altre zone invece, si mantennero strutture comunitarie sulle quali si innestò una casta. Tale secondo sviluppo (in realtà comune anche a Roma ed Atene, seppur per breve tempo) è il modo di produzione asiatico.


[1]Brooks M., Historical Materialism. (torna su)
[2]Marx K., Introduzione a per la critica dell’economia politica. (torna su)
[3]AA VV, Storia universale, vol. 2, p. 24. (torna su)
[4]Come nota la Luxemburg: "l’elemento dominante nell’economia è la produzione per la soddisfazione dei rapporti interni…Perciò il capitalismo conduce sempre e ovunque una preventiva campagna di annientamento contro l’economia naturale in qualsivoglia forma storica gli si presenti", L’accumulazione del capitale, p. 356. (torna su)
[5]L’espressione "popolo in armi" va presa cum grano salis: solo i cittadini venivano armati veramente (non i meteci, non gli schiavi); in alcuni casi, come presso gli etruschi e gli spartani, vi erano corpi di clientes, perieci o figure simili armati alla leggera. (torna su)
[6]L’analisi materialistica dei rapporti tra le diverse popolazioni terrestri ha trovato nei recenti lavori dello scienziato americano Jared Diamond approfondimenti e conferme (si vedano in particolare Il terzo scimpanzé e Armi, acciaio e malattie). Diamond ha corroborato le idee di Engels, aggiungendovi ulteriori elementi che rafforzano la concezione materialistica della storia. L’unico rimprovero che si può muovere a questo studioso brillante e appassionato è che spesso ha ripetuto argomenti esposti da Engels o altri senza saperlo o almeno senza dirlo. Ad esempio, nell’Origine della famiglia Engels anticipa Diamond su due punti essenziali: spiega il differente ritmo di sviluppo delle zone del mondo con le "naturali differenze dei due grandi continenti" e il fatto che sul vecchio mondo c’erano la quasi totalità degli animali addomesticabili e le piante di cereali coltivabili; in secondo luogo analizza la storia del linguaggio estraendone preziose indicazioni sulla diffusione degli indoeuropei in Europa: "i nomi propri degli animali sono ancora comuni agli Ariani d’Europa e d’Asia, non così quelli delle piante coltivate". In generale, nella Seconda internazionale il determinismo geografico (Plechanov, Labriola) andava molto di moda. Ma di tutto ciò Diamond non sembra saperne nulla. (torna su)
[7]Engels F., L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, p. 211. (torna su)


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2. Il modo di produzione asiatico. Storia e caratteristiche essenziali
3. L’origine dello stato nella Grecia classica
4. Roma, l’apogeo della forma statale schiavile
Interpretazioni storiche

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014