Le contraddizioni del “Socialismo reale” in Unione Sovietica (pdf-zip)

di Cristina Carpinelli

Ricercatrice del Cespi (Centro Studi Problemi Internazionali) di Milano

 

Classi e “gruppi”

Le ricerche che erano state intraprese su alcune delle principali forme di disuguaglianza, presenti nella versione sovietica di una società socialista, riflettevano una certa “visione” della struttura sociale. Esse fornivano sostanzialmente un’immagine dell’insieme della struttura sociale in cui gli elementi primari non erano più soltanto le classi sociali - le cui differenze erano riconducibili alle diverse forme di proprietà socialista (statale e collettiva) - ma i “gruppi sociali”, che si caratterizzavano per il tipo di attività svolta. La società, secondo questo approccio, era un complesso di attività che s’incrociavano e si collegavano in un processo continuo, e ciascuna attività prendeva significato dalla sua relazione con le altre. Il gruppo sociale - prospettato dalla nuova versione sovietica - non rappresentava un insieme di individui fisici, ma piuttosto un tipo di processo, un modo d’interazione. Era una sezione di questo incrociarsi di attività che costituiva il sistema sociale. Quello di gruppo era, dunque, un concetto puramente analitico: gli individui erano definiti dalle molteplici attività a cui partecipavano, e qualunque attività creava un gruppo. La società era concepita come una sfera che poteva essere attraversata da infiniti piani (i gruppi) senza che nessuno di essi rappresentasse la totalità. Il compito maggiore nello studio della forma sovietica di vita sociale era, dunque, l’analisi di questi gruppi e delle loro attività, a cui erano connessi interessi diversi. Il processo politico era visto come una “tecnica di aggiustamento degli interessi”, e se coincideva con le attività dei gruppi, e gli interessi si manifestavano e si risolvevano in tali attività (vale a dire l’interesse di gruppo e/o individuale era in armonia con quello più generale della società), si concludeva ad una sorta di trasparenza del sistema politico: nessun interesse era ignorato o discriminato e tutti per definizione potevano esprimersi con uguali opportunità (a patto che fossero capaci di pressione). Accanto ai gruppi sociali esistevano altre aggregazioni che si definivano per la loro appartenenza “territoriale”, per la loro identità “etnico-linguistica”, “religiosa”, ecc. Tali aggregazioni, piuttosto che promuovere un’azione collettiva (o rappresentare un interesse), delimitavano uno “spazio” sociale, ed intersecavano i differenti gruppi sociali (talvolta sovrapponendosi del tutto ad essi), ai quali rimaneva in ogni caso il primato dell’analisi sociologica. Bisognava, innanzi tutto, studiare l’azione sociale, qualunque fosse il gruppo originario di riferimento a cui andava attribuita l’azione stessa. Il gruppo sociale poteva essere pure definito come “strato”, anche se in genere la nozione di “strato” - per i sociologi sovietici - richiedeva l’uso concettuale di una gerarchia delle attività (o degli interessi) e delle posizioni sociali; mentre i gruppi sociali erano teoricamente disposti lungo delle linee orizzontali, immaginando la struttura sociale come un asse cartesiano formato da molteplici punti che creavano, appunto, delle linee orizzontali sulle quali si posizionavano i vari gruppi sociali. Per tale motivo, il termine di strato sociale era più assimilabile a quello di gruppo socio-occupazionale (o di ceto sociale).

I gruppi socio-occupazionali erano gli elementi costitutivi di una struttura “infra-classi” delle classi-base (classe operaia e agricoltori delle aziende collettivizzate). L’intellighenzia tecnica delle imprese industriali di Stato era vista come uno “strato” all’interno della classe operaia, e l’equivalente categoria dei tecnici delle cooperative agricole come uno “strato” della classe rurale. Ciò sembrava una rinuncia alla nozione di un unico strato per l’intellighenzia, distinto dalle due classi-base. E proprio ciò era stato oggetto di maggiori critiche da parte dei sociologi sovietici più tradizionali: il fatto di aver “dissolto” l’intellighenzia nell’ambito delle due classi-base. Tuttavia, c’era un altro aspetto più significativo dell’approccio dei nuovi sociologi, che metteva in luce il nuovo modo d’intendere la struttura sociale sovietica. Per essi il gruppo socio-occupazionale era già l’elemento costitutivo della struttura, e per tale ragione intravedevano la possibilità di costruire un sistema senza classi, composto di soli “gruppi infrasocietari” come metodo di classificazione degli elementi strutturali della società. In considerazione dell’importanza decrescente delle differenze attinenti le forme di proprietà (che definivano le “classi-base”) e del sempre maggiore significato attribuito alla “natura del lavoro”, come fattore di differenziazione sociale, il ventaglio dei gruppi socio-occupazionali poteva essere al tempo stesso inteso come l’insieme dei componenti sia di un sistema di classi (lo schema del “2+1”), sia della società intesa come una molteplicità di strati sociali che intersecavano la suddivisione in classi. I gruppi socio-occupazionali potevano essere esaminati da diversi punti di vista. Da un lato, essi risultavano essere gruppi interni alle classi, vale a dire determinavano la struttura interna delle singole classi. Ma dall’altro, nella misura in cui le distinzioni tra le classi si attenuavano e gruppi contigui divenivano sempre più simili rispetto alla natura del lavoro svolto, essi potevano essere interpretati come gruppi infrasocietari, ovvero strati. In virtù di tale approccio alla struttura sociale, la società veniva a costituirsi come un insieme a più strati, uno dei quali era l’intellighenzia.

In tal modo il linguaggio e l’apparato concettuale della stratificazione sociale erano divenuti parte del dibattito sovietico sulla struttura della società. L’assunzione di tali concetti nel pensiero sovietico si manifestava in svariate forme. Per esempio, i pareri sulle ricerche occidentali in merito alla stratificazione sociale non avevano più un taglio esclusivamente negativo. L’approccio occidentale era stato inizialmente biasimato non perché identificava una pluralità di strati sociali all’interno della società capitalistica, ma perché trascurava le forme primarie di divisione sociale - le classi intese in senso marxista - e faceva quindi uso di caratteristiche “arbitrarie” per definire le distinzioni tra i vari strati sociali. I documenti ufficiali sulla struttura sociale interna, già dalla seconda metà degli anni ‘60, avevano sempre fatto riferimento all’esistenza di strati sociali all’interno delle classi-base e del ceto intellettuale. La sociologa Zaslavskaja aveva parlato in modo esplicito della natura stratificata, “scalare” delle divisioni sociali nell’ambito del socialismo, contrapponendola alla polarità dei gruppi sociali sotto i sistemi che sancivano la proprietà privata. Altri avevano proposto una classificazione comprendente vari gruppi socio-occupazionali in base ad un indice dello status sociale che prevedeva per ciascun gruppo una sintesi di misurazioni relative al reddito, all’istruzione e “all’influenza nell’ambito della collettività”.

Ciononostante permanevano limiti evidenti nelle ricerche “empiriche” sulla stratificazione della società sovietica. Le punte più alte della struttura sociale erano sistematicamente lasciate fuori da quasi tutte le indagini (anche le migliori), mentre gli aspetti politici e la questione del potere in rapporto alla stratificazione sociale erano per lo più ignorati. Le ricerche empiriche su una struttura sociale di cui si riconosceva il carattere gerarchico erano sostanzialmente limitate alle unità costitutive primarie dell’assetto economico, ovvero, le imprese industriali e le aziende agricole. Ogniqualvolta si prospettavano la “qualità del lavoro” o la “posizione nell’ambito della divisione sociale del lavoro”, come i criteri base della differenziazione sociale, il contesto, quasi invariabilmente, era quello del “collettivo di produzione”. I dipendenti ai più alti livelli dei ministeri governativi, gli enti di pianificazione, l’establishment scientifico, per non parlare dell’organizzazione di partito, rimanevano fuori dal continuum degli strati socio-occupazionali sottoposti ad indagine dal punto di vista del reddito, dello stile di vita e della possibilità di trasmissione intergenerazionale del proprio status. Tali gruppi, le cui scelte macroeconomiche e macrosociali controllavano la destinazione delle risorse produttive della società e la struttura della retribuzione, erano esclusi dalle indagini. Ciò non equivaleva a dire che la questione del potere rispetto alla stratificazione sociale fosse totalmente ignorata. Alcuni sociologi, per esempio, avevano dimostrato come per i diversi gruppi socio-occupazionali, all’interno delle unità economiche agricole, sussistevano differenze molto marcate rispetto alla percezione della propria influenza “sulle principali decisioni prese nell’ambito del collettivo”. In genere, l’ineguaglianza di potere era un tema legittimo d’indagine nel quadro delle ricerche empiriche sui rapporti familiari. Ma anche in questo caso, come per il reddito e la differenziazione culturale, si metteva in luce una forma di ineguaglianza che riguardava solo il livello del “collettivo” (l’impresa o la famiglia) e mai il livello sociale.

Gli strati più elevati della società sovietica, di cui si notava la totale assenza nelle indagini “empiriche” sulla stratificazione, iniziarono a comparire negli studi di carattere “teorico” sulla stratificazione sociale dalla fine degli anni ‘70. La Zaslavskaja aveva individuato un particolare strato dell’intellighenzia impegnato professionalmente a svolgere mansioni direttive, compreso il “management dei processi sociali”. Tale strato non comprendeva solo i direttori di stabilimento, ma anche quanti lavoravano negli “organi più alti del management economico” e anche negli “organi statali di direzione politico-amministrativa non direttamente collegati alla produzione”. Erano contraddistinti dal “diritto di prendere decisioni vincolanti per altri” e di farle attuare anche con la coercizione. Altri, ancora, riconoscevano l’esistenza di uno strato di “quadri esecutivi”, tra i quali figuravano membri del Partito e dell’amministrazione statale che non erano impegnati nella produzione di beni materiali, ma svolgevano “funzioni sociali corrispondenti ai bisogni della società intera vista nel suo insieme”. Questi erano i tratti essenziali della nozione di potere quali si ritrovavano in tutti i dibattiti degli studiosi sovietici. Il potere era qualcosa di cui si faceva invariabilmente uso nel pubblico interesse. Esso non appariva mai - almeno nel contesto dei fatti macrosociali - come un rapporto tra governanti e governati. Quei “quadri esecutivi”, indicati “ambiguamente” come costituenti il “management dei processi sociali”, erano proprio i gruppi sociali sulla cui posizione relativa nella distribuzione dei beni materiali e delle opportunità culturali, e riguardo al cui potere sui processi di produzione, le indagini “empiriche” non avevano mai dato ragguagli.

 

Classi e “gruppi” (1)

Un ventaglio di disuguaglianze (2)

Antagonismi e contraddizioni (3)

L’interpretazione dell’ineguaglianza (4)

Il dibattito sulle contraddizioni sociali nell’Unione Sovietica (5)


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica
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Aggiornamento: 23-04-2015