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Il realismo degli anni Trenta e il "neo-realismo" (I - II)Nel 1933 la rivista "L'universale" (1931-1936) pubblicò il Manifesto realista, che chiamava la cultura italiana a dare il proprio contributo alla 'rivoluzione fascista', un contributo critico, cioè fatto anche di dissenso antiborghese, anticapitalistico, antiidealistico e dunque realistico, fuori della logica del Concordato con la chiesa. Anche gli intellettuali che lavorano alla terza pagina de "Il Bargello", settimanale della federazione fascista di Firenze, vogliono spazi di autonomia all'interno del fascismo, in nome della cultura popolare e del rilancio degli aspetti sociali del 'primo' fascismo. Gli intellettuali che si raccolgono intorno a "L'universale" e a "Il Bargello" sono dunque fascisti, ma criticano la fisionomia che va assumendo il regime; essi sono contrari alla filosofia di Giovanni Gentile, che appare loro legata alla visione del mondo liberale, sono contro l'imborghesimento del movimento fascista, esprimono idee anticapitaliste (vorrebbero che le Corporazioni fossero un effettivo strumento di giustizia sociale), si richiamano alle origini 'rivoluzionarie' del fascismo. Non si dimentichi che Mussolini, prima di diventare il fondatore del fascismo, era stato socialista rivoluzionario, e suggestioni socialisteggianti erano presenti nel 'primo' fascismo (e ritornarono, dopo, nel fascismo della Repubblica sociale di Salò). La base sociale di tali atteggiamenti anticapitalistici era costituita dai reduci, da quelli che avevano duramente combattuto nella prima guerra mondiale e, al ritorno in patria, si trovavano a fare i conti con la miseria, con la disoccupazione, e a prendere atto del fatto che una ristretta classe di capitalisti si era invece arricchita grazie alla guerra. Insomma, intorno a "L'universale" e a "Il Bargello" si raccolgono i così detti fascisti di sinistra, che riprendono la polemica anticapitalista de "Il Selvaggio", intendono mantenere viva la dialettica all'interno del fascismo e l'autonomia della base nei confronti dei quadri dirigenti (per tali questioni si veda Contarino/Tedeschi [1]). "L'universale" e "Il Bargello", dunque, a differenza di "Solaria", sostengono l'intervento della cultura, l'influenza della cultura sulla politica. Ma esistono rapporti fra "Solaria" da una parte, e "L'universale" e "Il Bargello" dall'altra parte, ed è proprio l'interesse per il romanzo che crea contatti fra fra queste posizioni culturali.
La censura, come accennato, vietò il romanzo, giacché questo studente vive il crollo dello stato liberale non certo in maniera 'eroica', adatta alla 'Italia luminosa' fascista, ma in maniera critica e antiborghese. Quando l'Italia appoggiò il moto reazionario di Franco, Vittorini si allontanò dal 'fascismo di sinistra' e scrisse di getto Conversazione in Sicilia (pubblicato a puntate nel 1938, e poi in volume nel 1942), in cui il protagonista torna in Sicilia, suo luogo natale, e attraverso una continua 'conversazione' con la madre, con la gente del popolo, attraverso una rivisitazione del paesaggio siciliano, popolato da uomini che soffrono rassegnati, egli riscopre il valore dell'essere umano e prende atto dell'offesa che all'uomo arrecano la discriminazione sociale, la miseria, l'oppressione del potere.
Gente in Aspromonte e Conversazione in Sicilia hanno come scenario la Calabria e la Sicilia, cioè il Meridione d'Italia. E infatti i due romanzi occupano un posto di grande rilievo nella narrativa meridionalistica, la quale a sua volta ha notevole rilievo nel realismo degli anni Trenta.
Il registro stilistico di Don Giovanni in Sicilia non è lirico, come in Gente in Aspromonte e in Conversazione in Sicilia, ma fortemente ironico. Si tratta della ironica descrizione della vita in una città siciliana, delle abitudini e dei miti dei suoi abitanti piccolo-borghesi, soprattutto dei giovani, fieri della loro 'mascolinità', che sognano l'avventura o il matrimonio con la donna nordica, ma con risultati deludenti.
In un paese dell'Abruzzo i contadini, i 'cafoni', prendono progressivamente coscienza di quanto essi vengano sfruttati ed offesi dai ricchi proprietari, sostenuti dai fascisti. Il romanzo è importante per diverse ragioni. In primo luogo fu scritto nel 1930 in esilio (a Davos), al fine di testimoniare al mondo la reale condizione del popolo italiano dietro la cortina che il fascismo gli aveva calato davanti (Manacorda [2]). Il manoscritto fu letto e apprezzato da Jakob Wassermann, fu tradotto in tedesco, non poté essere pubblicato dalla casa editrice Fischer a causa della presa del potere da parte nazista, fu allora pubblicato, nel 1933, a Zurigo, fu quindi tradotto in diverse lingue, fu pubblicato in italiano nel 1934, a spese dell'autore e presso una piccola tipografia di emigrati italiani a Parigi. Circolò clandestinamente in Italia, ed infine fu pubblicato da Mondadori nel 1949 e, in edizione definitiva, nel 1958.
La lezione de I Malavoglia di Verga è evidente, come nota lo stesso Luperini, ma è possibile anche che Silone, che nel 1930 era ancora un dirigente comunista di primo piano, fosse al corrente del dibattito sul realismo che era allora in corso in URSS, e questo spiegherebbe secondo Luperini (ivi) il fatto che la problematica artistica e ideologica del romanzo appaia "assimilabile a quella del neorealismo postbellico: qui c'è già l' 'impegno' sociale, la presa di posizione esplicitamente politica, l'eroe positivo." Ma è un altro, a mio parere, il motivo di originalità del romanzo di Silone. Ha scritto Kanzog [4]:
In Fontamara la "Norm-Agitation", più che essere legata alla presenza dell' 'eroe positivo' (che pure può essere individuato in Berardo Viola, uno dei cafoni), discende soprattutto dalla coralità del racconto, dalla diegesi stessa, e trova la sua massima concretizzazione nella declinazione finale del "che fare?" ("Hanno ammazzato Berardo Viola, che fare?", "Ci han tolta l'acqua, che fare?", "In nome della legge violano le nostre donne, che fare?"). Così la lezione di Verga si salda con il bisogno di ribellione, di denuncia, di impegno.
La storia di tre operai, Teodoro, Marco, Anna, nel periodo del 'biennio rosso' (1919-1920), delle loro esperienze d'amore e di lavoro, dei loro problemi esistenziali, della loro maturazione ideologica, in una Italia meridionale (soprattutto Napoli) lontanissima dalla tradizione 'turistica', ma analizzata storicamente con particolare attenzione alle differenze nei confronti del Nord, alle difficoltà dovute alla arretratezza, alle lotte operaie (spicca il capitolo XVII, intitolato "Agosto-settembre 1921: occupazione delle fabbriche"): tutto ciò costituisce il primo motivo di originalità del romanzo. E vi è un secondo motivo. Bernari si considerava "crociano-socialista": da questa scelta ideologica derivavano l'interesse per la prospettiva storica e per il mondo operaio. Al tempo stesso egli aveva viaggiato, era stato a Parigi, era stato influenzato dal surrealismo, aveva cercato di fondare a Napoli un circolo letterario d'avanguardia. Questo secondo punto si nota nello stile dell'opera, si legga ad esempio l'inizio del capitolo XVII:
L'uso del verbo al presente, contro la classica narrazione al passato remoto, le rapide intrusioni del narratore 'nascosto', l'improvviso emergere dell'indiretto libero ("È appena finito uno sciopero, e già se ne profila un altro!": qui risuona, in forma di discorso indiretto libero, la voce dei personaggi, il punto esclamativo ne è un chiaro segno) testimoniano di una precisa volontà di sperimentazione. Sicché bene nota Luperini [6]:
(1) Contarino, Rosario / Tedeschi, Marcella, Dal fascismo alla Resistenza, in: Letteratura Italiana Laterza, LIL 64, Laterza, Roma-Bari, 1980 (torna su)(2) Manacorda, Giuliano, Storia della letteratura italiana contemporanea 1940-1965, Eiditori Riuniti, Roma, 1974, p. 264 (prima edizione: 1967) (torna su)(3) Luperini, Romano, Il Novecento. Apparati ideologici ceto intellettuale sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea, Loescher, Torino, 1981, p. 553 (torna su)(4) Kanzog, Klaus, Erzählstrategie, Quelle & Meyer, Heidelberg, 1976, p. 153 [Ma è un altro, a mio parere, il motivo di originalità del romanzo di Silone: l’impegno sociale, la critica politica, quella “Norm-Agitation” che sostituisce secondo Kanzog la caratteristica del racconto impegnato, più che essere legate alla presenza dell' 'eroe positivo' (che pure può essere individuato in Berardo Viola, uno dei cafoni), discendono soprattutto dalla coralità del racconto” ecc.] (torna su)(5) Manacorda, op. cit., p. 97 e nota 1 (torna su)(6) Luperini, op. cit., p. 561 (torna su)Stampa pagina |
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