Il fuoco nelle mani
I cento anni di Federico Garcia Lorca
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E' in modo elementare eppure totale che l'occhio di un artista si posa sulla realtà circostante, con una pregnanza d'attenzione che prelude in ogni momento alla lucida consapevolezza delle visioni estreme, per questo il senso della vita si accosta al senso della morte: "Si muero, / dejad el balcón abierto". Federico Garcia Lorca ha prefigurato il proprio Commiato dalla vita mediante l'immagine di un balcone aperto su tutti gli aspetti percettivi che consentono il contatto con l'esistente. La sensibilità artistica di Federico ha una genesi musicale, infatti le prime commozioni estetiche della sua infanzia, vissuta tra la nativa Fuentevaqueros e Granada, sono legate all'universo dei suoni e si può credere che una sorta di incantato stupore nei confronti della musica abbia accompagnato lo scrittore per tutta la vita. "Rimango meravigliato - scrive all'amico Jorge Guillén il 9 settembre 1926 - quando penso che l'emozione dei musicisti (Bach) è sorretta e avvolta da una perfetta matematica". L'incantesimo del suono che produce conoscenza si riflette a sua volta sulla magia della parola, quando a diciannove anni, nel 1917, lo scrittore pubblica Fantasía Simbólica e inizia un importante sodalizio di amicizia e ricerca dedicata alla cultura popolare iberica con il compositore Manuel De Falla. "Yo tengo el fuego en mis manos". Il fuoco che Federico Garcia Lorca sa di possedere nelle sue mani è proprio il mistero bruciante delle poesia, che, a sua volta, sfiora l'enigma di tutte le cose, in quanto è poesia "che va per le strade" , si muove e dunque deriva da radici lontane. A partire dalla consapevolezza di queste lontane radici, la sperimentazione di temi e ritmi particolari è per l'artista inscindibilmente legata alla interpretazione delle tradizioni Andaluse, che egli puntualmente ricostruisce e spiega al pubblico, durante le proprie conferenze tenute anche all'estero, ad esempio a Buenos Aires. E dunque il Poema del cante jondo (1921-'22) rappresenta la scoperta e la conoscenza personale di "un canto profondo", la cui trasmissione orale dall'India alla Spagna, nel XV secolo, ha seguito le orme delle migrazioni gitane. La poesia è una figura in movimento, popolata da sentimenti che hanno fisionomie molto umane: siguiriya, la passione trascinante, ha sembianze di fanciulla bruna dal cuore d'argento, soledad, solitudine, è invece una donna vestita a lutto. Ed in modo folgorante certe sinestesie svelano i colori dei suoni: "la voce viola di Lola" o "il trillo giallo del canarino". Poiché la genesi poetica si configura quale enigma, ovvero percezione profonda, intuitiva ed estemporanea del mondo, essa elude ogni pretesa critica di interpretare in modo rigorosamente razionale il testo. Le composizioni comprese nel Diván del Tamarit (1931) segnano invece il recupero della cultura araba, che rappresenta un altro importante filone della coiné andalusa. Diván è infatti un termine arabo che significa canzoniere. La suggestione della cultura nomade si riflette anche nel richiamo ai generi compositivi: le gacelas, ossia le gazzelle che cantano le grazie della donna, e le struggenti casidas dei beduini del deserto, alla ricerca dell'accampamento dell'amata. Nel linguaggio di Garcia Lorca, la casida si carica di una connotazione malinconica, quale disperata attesa della morte, simboleggiata dall'autunno, che urta i tronchi delle piante "con passo d'elefante". Ogni aspetto della natura riverbera le paure dell'uomo e ne rispecchia la drammatica biografia. È quanto accade in De los ramos, dove il poeta reinterpreta il mitologema dell'albero che soffre in modo umano: "Il Tamarit ha un melo / con una mela di singhiozzi". La personificazione è infatti la figura retorica più adatta, della quale il poeta si vale per cifrare una sequenza del proprio destino in termini quasi profetici: "son venuti i cani di piombo / ad attender che cadano i rami". E la rivelazione finale della metafora arborea, in stretta analogia al vissuto personale, ha carattere predittivo, perché i giorni che tramontano "Sono molti bimbi dal volto velato / ad attender che cadano i miei rami". Peraltro la ricerca delle fonti tradizionali non comporta affatto una sospensione d'indagine nei confronti della attualità: Poeta en Nueva York rivela una straordinaria inclinazione "alla comprensione simpatica dei perseguitati", siano essi gitani, ebrei o negri, in relazione appunto al contesto situazionale del viaggio americano del 1929. La scrittura di Garcia Lorca indaga sulle diverse problematiche contingenti, con percorso diacronico, alla scoperta dunque delle sotterranee parentele che ricollegano le discrasie sociali dei primi decenni del '900 a secolari modelli comportamentali. La condizione della donna in Spagna sembra dunque essere uno dei temi dominanti della ricerca, che egli svolge valendosi prevalentemente dell'intreccio teatrale, perché esso consente una messa in atto della problematica, chiamando in causa immediatamente le responsabilità del pubblico. Doña Rosita la soltera, rappresentata il 12 dicembre 1935, propone il dramma femminile della nubile, segregata tra le pareti domestiche, a causa delle proprie illusioni e delle aspettative dei familiari. Il tema della passione amorosa, controllata e repressa dal potere parentale, è ripreso con toni di denuncia ancor più violenti nel dramma rappresentato postumo: La casa de Bernarda Alba (1936). Il potere tirannico della madre, che impone alle cinque figlie un lutto di otto anni dopo la morte del padre, è simboleggiato dal bastone che Bernarda tiene tra le mani. Il poeta, in una didascalia del dramma, avverte che i tre atti "vogliono essere un documento fotografico"; d'altra parte il personaggio di Bernarda non è invenzione letteraria, ma si ispira a quello di Frasquita Alba, una vedova, effettivamente vissuta a Valderrubio, vicino a Granada, che teneva prigioniere le proprie figlie. Non vale dunque la pena di tentare una trasposizione in chiave strettamente politica del testo: La casa de Bernarda Alba non è una polemica contro la dittatura, più di quanto non sia atto di accusa contro un sistema paradossale, che annienta la libera espressione delle pulsioni vitali e genuine, in nome di un presunto perbenismo, incentrato sul rispetto delle apparenze. Il 20 agosto 1936, a 38 anni Federico è fucilato dai franchisti nel villaggio di Viznar, presso Granada, sulla strada diretta al luogo che l'antico termine arabo chiama Ainadamar: la fontana delle lacrime. Con la figurazione dei cani di piombo, los perros de plomo, la poesia ha intercettato suoni rotanti ed esplosivi come proiettili di fucile, per decifrare le percezioni della vita fino all'ultima scena. |
Fonte: digilander.libero.it/uraniaceleste/
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