TORQUATO TASSO (1544-1595)
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Nasce a Sorrento nel 1544. Nobile napoletana la madre, che però perde all'età di 8 anni; il padre, che discendeva da una nobile famiglia bergamasca, era un apprezzato uomo di lettere al servizio, come segretario, del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Quando i Tasso si trasferirono a Salerno, seguendo sempre i Sanseverino, vi fu una sollevazione popolare contro il tentativo del vicerè d'introdurre nella città l'Inquisizione. Il Sanseverino si schierò dalla parte del popolo e, con lui, il padre di Torquato. Per ragioni di sicurezza il padre trasferì Torquato a Napoli, mandandolo a scuola dai gesuiti. Ma gli eventi precipitarono e i Sanseverino, coi loro fedeli, furono costretti ad abbandonare il regno, trasferendosi a Ferrara, poi a Bergamo, in Francia e a Roma. Nel 1556 Torquato raggiunge il padre a Urbino, presso la corte dei Dalla Rovere, dove viene educato secondo il modello del perfetto cortigiano stabilito dal Castiglione: culto delle lettere, della musica, delle arti, esercizio delle virtù cavalleresche. Nel 1560-61 frequenta l'Università di Padova, seguendo gli studi di legge, filosofia e lettere. Intraprende col padre una lunga serie di viaggi presso varie corti e centri culturali d'Italia: Urbino, Venezia, Bologna, Mantova. Pubblica il Rinaldo nel 1562 dedicandolo al cardinale Luigi d'Este. A Bologna è coinvolto in una vicenda goliardica, con strascichi giudiziari, per aver scritto versi satirici che alludevano ai bassi natali e all'effeminatezza di alcuni studenti e professori. È costretto a lasciare in fretta e furia la città. Nel 1565, grazie alla fama procuratagli dal Rinaldo, entra nella corte estense di Ferrara come gentiluomo del card. Luigi d'Este, con una provvigione di 4 scudi d'oro al mese: suo compito era quello di comporre il poema annunciato col Rinaldo. Dal 1572 entra a far parte, come cortigiano stipendiato, del seguito del duca estense Alfonso II. Compone poesie per feste e matrimoni, madrigali che omaggiano dame e personaggi di corte. Ottiene un sempre più ampio riconoscimento delle sue qualità di letterato e intellettuale e viene nominato socio dell'Accademia ferrarese. Nel 1573 compone la favola pastorale Aminta. Nel 1575 porta a termine il Goffredo, iniziato nell'adolescenza (il poema diverrà famoso col titolo di Gerusalemme liberata). Tasso però è indebolito e spossato, forse l'attività letteraria troppo intensa: viene assalito da forti febbri e comincia a manifestare i primi sintomi dello squilibrio interiore che lo tormenterà sino alla morte. Avendo dei dubbi sulla conformità dell'opera alle regole aristoteliche (unità di spazio, tempo e azione) e sull'ortodossia religiosa del contenuto, egli sottopone la Gerusalemme liberata al giudizio di letterati considerati allora insigni, i quali però, influenzati dal riflusso conservatore dell'epoca, investono il Tasso di aspre critiche di forma e di merito. Egli così decide di rivedere la stesura di tutta l'opera e nel 1577 chiede addirittura di essere esaminato dall'Inquisitore di Ferrara, per dissipare ogni dubbio sull'ortodossia cattolica del suo pensiero. Viene assolto, ma non si sente soddisfatto, per cui è intenzionato a recarsi presso gli inquisitori di Roma e denunciare addirittura le tendenze filocalviniste di alcuni Estensi. Il duca Alfonso II, temendo che il papato potesse approfittarne per occupare la signoria, lo fa vigilare. Un giorno, sentendosi spiato da un servo mentre conversava con la sorella del duca, gli lancia contro un coltello ferendolo: per questo motivo il Tasso viene rinchiuso, come malato di mente, in una stanza del palazzo e poi liberato. Dopo altre manifestazioni di follia, viene rinchiuso in un monastero, da dove però riesce a evadere rifugiandosi presso la sorella, a Sorrento. Dopo qualche tempo riprende la vita errabonda e avventurosa, recandosi a Ferrara, Mantova, Padova, Venezia, Urbino, Torino. Nel 1579, vinto dalla nostalgia per la sua città, chiede il perdono del duca e torna a Ferrara. Vi giunge mentre si stava celebrando il terzo matrimonio di Alfonso. Non riuscendo a farsi accordare udienza, si abbandona in pubblico a violente accuse contro di lui. Questa volta viene segregato come pazzo nell'ospedale di S. Anna. Vi resterà dal '79 all'86. Durante questi anni continuerà a soffrire di allucinazioni e complessi di persecuzione, ma scriverà anche molte lettere ad illustri personaggi (soprattutto per ottenere la libertà), molte poesie, i Dialoghi filosofici, nei quali parla della sua sottomissione alle verità della religione, nonché della sua concezione della politica, arte, letteratura, amore, bellezza ecc., risentendo molto della filosofia platonica. Nel 1580, mentre era ancora in carcere, alcuni disonesti editori pubblicano a sua insaputa la Gerusalemme: il Tasso, per il quale il poema non corrispondeva più ai suoi criteri, ne fu molto addolorato. Tuttavia, quella pubblicazione determinò un acceso dibattito sul valore dell'opera, soprattutto perché veniva messa a confronto con l'Orlando furioso dell'Ariosto. I suoi sostenitori proclamarono che solo il Tasso, fedele alle leggi aristoteliche, aveva saputo dare il poema epico all'Italia; i denigratori invece lo accusavano di avere usato delle "impurità" dialettali e straniere, venendo così meno alla superiorità della lingua toscana. Il Tasso stesso entrò nel dibattito pubblicando un'Apologia della Gerusalemme. Nel 1586 ottiene la libertà per intercessione dei principi Gonzaga di Mantova, che lo vollero presso la loro corte. Qui compone la tragedia Torrismondo. Tuttavia, alla notizia che per l'incoronazione di Vincenzo Gonzaga sarebbero giunti a Mantova Alfonso e Margherita d'Este, fugge anche da questa città. Le sue ultime peregrinazioni riguardano città come Loreto (dove scioglie un voto), Napoli (dove cerca di recuperare la dote materna), Firenze (dove riceve grandi onori dai Medici), Roma (dove il papa gli promette una pensione vitalizia e un solenne riconoscimento del suo valore letterario: l'incoronazione in Campidoglio di poeta laureato, ma la cerimonia non avrà mai luogo). Egli conclude la nuova redazione del poema, che intitola Gerusalemme conquistata. Colpito da una grave malattia, muore a Roma nel 1595. Ideologia e poetica Il Tasso è un poeta di transizione tra il Rinascimento e la Controriforma, tra lo splendore delle corti e l'inizio della servitù politica italiana, tra Ariosto e Marino. Egli non possiede gli strumenti conoscitivi per comprendere la crisi del suo tempo, caratterizzata dal declino della cultura umanistica e rinascimentale, e dall'affermarsi di nuove correnti letterarie, artistiche e religiose (Manierismo, Barocco, Controriforma). La sua formazione intellettuale e umana si svolge ancora in ambito cortigiano e aristocratico, ma senza la fiducia e l'ottimismo della prima metà del secolo. Il Tasso anzi è molto preso dagli scrupoli di ortodossia religiosa, dalla preoccupazione di adeguarsi alle regole aristoteliche, dalla concezione della letteratura come attività privilegiata di una minoranza libera dalla necessità di lavorare, tendenzialmente contrapposta alle esigenze delle masse popolari. Per il Tasso è la corte il luogo dove s'incontrano gli spiriti eletti, superiori, in un clima di raffinata eleganza, per ottenere fama e gloria. In realtà il Tasso, che spese tutta la sua vita a ricercare una corte del genere, non la trovò mai, né avrebbe potuto trovarla in quella generale decadenza che caratterizzava gli stati italiani sopravvissuti all'egemonia spagnola in Italia. Il vero problema del Tasso fu quello di non capire il motivo della decadenza delle signorie. Egli si ostinava a pretendere dalle corti quel "gusto della vita" (inteso come godimento della natura, dei sensi, dell'arte, dell'avventura...) ch'esse non erano più in grado di dargli. Gli spagnoli e la Controriforma imponevano un mutamento di mentalità cui il Tasso avrebbe potuto adeguarsi solo con molta fatica. Il suo esordio letterario avviene col poema epico-cavalleresco, Rinaldo. L'opera è mediocre, ma è servita al Tasso come esercizio stilistico. Vi si cantano le imprese giovanili del paladino Rinaldo di Montalbano che, bramoso di amore e di gloria, imita Orlando, riuscendo a conquistarsi con duelli e gare di abilità, tutti gli strumenti del perfetto cavaliere (cavallo, scudo, lancia e spada). Rinaldo si invaghisce della principessa Clarice, sorella del re di Guascogna, e, dopo un'avventura appassionata ma passeggera con la giovane Floriana, la sposa. Autentico capolavoro invece è l'Aminta (1573), una favola pastorale drammatica in cinque atti (metro: endecasillabi e settenari), in cui si narra l'amore non corrisposto del pastore Aminta (il Tasso stesso?) per la ninfa-cacciatrice Silvia (Leonora d'Este?). La coppia di giovani è assistita da due "esperti" d'amore, Tirsi (lo stesso Tasso?) e Dafne, che, a seconda dei momenti, li incoraggiano e li rimproverano. Aminta si uccide quando viene a sapere che Silvia era stata sbranata dai lupi: notizia che poi si rivelerà falsa. Pentita e commossa nel vedere un amore così esclusivo e integrale, Silvia sente fortemente di amare Aminta e vuole uccidersi anche lei: mentre sta per farlo, le giunge la notizia che Aminta era stato miracolosamente salvato da un fascio di sterpi, quando si era buttato dal dirupo. Alla fine si sposano. L'ambiente che caratterizza questi personaggi è la natura, ma il Tasso vi proietta l'atmosfera della corte: ninfe-pastori-satiri raffigurano allusivamente, nella favola, i personaggi reali della corte estense. Il Tasso però, nel suo dramma, s'immagina una corte "ideale" in cui i rapporti sono semplici e genuini, cioè appunto naturali, senza i formalismi o le falsità della corte "reale". L'amore (anche sensuale) e la bellezza vengono percepiti senza quel senso di colpa-rimorso-angoscia esistenziale che caratterizzerà l'opera posteriore. Tirsi, come poeta, si muove tanto nel regno rustico-pastorale che in quello di corte, ed afferma che emulando l'eleganza e la perfezione del suo protettore (il duca Alfonso), ha acquisito nuova eloquenza per cantar le lodi della sua selvatica terra natìa. Quindi un certo equilibrio regna tra la libertà della campagna e le formalità della vita cortigiana. Al polo opposto dell'Aminta è il Torrismondo (1586), re dei Goti che sposa senza saperlo la propria sorella. Scoperta la cosa egli si uccide dopo il suicidio di lei. La trama ricorda da vicino Edipo re di Sofocle. Torrismondo rappresenta il momento della delusione del poeta, del suo sentimento di sconfitta e solitudine. La sensualità dei protagonisti, infatti, è sì forte ma anche accompagnata da una profonda angoscia, perché avvertita come colpevole. L'uomo si rivela fragile di fronte alla sua passione. Da sottolineare che con quest'opera il Tasso voleva dare all'Italia la "tragedia" (secondo i precetti di Aristotele), che ancora mancava, ma il tentativo fallì per diverse ragioni: 1) manca la dinamica dei sentimenti contrastanti (la trama è fredda); 2) il motivo del "fato" non ha più nell'epoca rinascimentale la potenza di orrore che aveva nella tragedia greca. OPERE LETTERARIE La Gerusalemme liberata. Stesura conclusa nel 1575. Esperienza precedente del Tasso, nell'ambito del genere cavalleresco: il Rinaldo. Scopo dell'opera: conciliare i valori rinascimentali con quelli del cristianesimo cattolico-romano, contro l'islam e il protestantesimo. L'Europa di quegli anni, sotto la minaccia dei Turchi, ricordava con nostalgia l'entusiasmo religioso con cui aveva partecipato alcuni secoli prima alle Crociate. Peraltro lo spirito crociato sembrava essere risorto nella grande battaglia di Lepanto (1571), vinta dai cristiani, con cui la chiesa romana mirava a ostacolare non solo gli "infedeli" extraeuropei, ma anche gli assai più pericolosi riformatori del vecchio continente. Il poema, dunque, trae spunto, per i suoi argomenti, dalla storia religiosa (l'Ariosto invece aveva puntato di più sulle avventure romanzesche), senza però possedere la compatta architettura ideologica della Commedia dantesca. In tal senso la libertà d'invenzione del poeta sembra spesso sfidare l'autorità ecclesiastica, come quando al termine del poema mette in bocca alla pagana Armida le parole della Vergine: "Ecco l'ancilla tua". Proprio la maga Armida, bellissima seduttrice dei cavalieri cristiani e amante di Rinaldo, rappresenta il piacere sessuale che attrae ma va combattuto. Il suo lussureggiante giardino nelle Canarie, al di là delle Colonne d'Ercole, lontano dagli scontri politico-militari, è il luogo dove si rinnova l'età dell'oro, dove un esotico pappagallo esalta l'immediatezza del godimento. Inoltre, volendo dare all'Italia un poema epico o eroico, che si ricollegasse al poema epico greco-latino (Iliade-Odissea di Omero, Eneide di Virgilio), seguendo le regole aristoteliche (che l'Ariosto aveva tralasciato), il Tasso mira anche a superare la fama dell'Orlando Furioso dell'Ariosto. A tale scopo egli si serve anche di uno stile e di un linguaggio enfatico, retorico, artificioso, alla ricerca di un effetto che colpisca il lettore. Comunque i suoi modelli preferiti restano Virgilio e Petrarca. Il Tasso sceglie come argomento le vicende conclusive della Ia Crociata in Palestina. Fonte principale del poema è l'opera di uno storico vissuto a Gerusalemme nel sec. XII, Guglielmo di Tiro. In conclusione, la materia trattata dal poema è incredibilmente varia, ricca di eroici cavalieri, di amori, di magia bianca e nera, di repentini capovolgimenti, epico e lirico, drammatico ed elegiaco, mortuario e sensuale, religioso ed erotico… Il Tasso ha una grandissima capacità di creare scenari naturali improvvisamente sconvolti da tempeste e tuoni provocati da potenze infernali; di descrivere l'arsura che soffoca uomini e animali seguita da una pioggia ristoratrice; di fissare (secondo il collaudato modello petrarchesco) l'eterna primavera del giardino incantato; di rappresentare la ferocia degli scontri militari con la precisione di chi conosce anche i trattati di arte bellica. (Si veda la sua opera Discorsi dell'arte poetica). Il poema è in 20 canti, ha come metro l'ottava rima (che è narrativa per eccellenza, facilmente memorizzabile) ed è dedicato al duca Alfonso II d'Este. Il linguaggio è spesso ellittico, concentrato, spezzato (l'enjambement fa la parte del leone), fatto di coppie di antitesi e di anafore, di fraseggio sia prezioso che prosaico. Trama Goffredo di Buglione, duca di Lorena, accetta l'esortazione di Dio, fatta tramite l'arcangelo Gabriele in un sogno, a riprendere la lotta contro i saraceni, cercando di espugnare Gerusalemme. Durante l'assedio della città, una piccola schiera di saraceni capeggiata da Clorinda esce dalle mura e ingaggia un duello coi cristiani guidati da Tancredi. Questi, dopo essersi accorto che Clorinda era una donna, se ne innamora. Clorinda però viene ferita da un altro cristiano. Tancredi sospende il duello e insegue il feritore. Intanto un concilio di diavoli, capeggiato da Plutone, cerca di ostacolare i cristiani con vari inganni. Argante, il campione dei turchi, sostiene con Tancredi un aspro duello, che s'interrompe di notte senza vincitore. Tancredi resta però ferito. Erminia, principessa di Antiochia, vorrebbe curarlo, avendolo amato quando in precedenza era stata fatta prigioniera dai cristiani, ma i cristiani la scoprono e la inseguono: lei si rifugia presso una comunità di pastori. Tancredi la cerca, pensando che fosse Clorinda (poiché Erminia ne aveva indossato l'armatura), ma viene fatto prigioniero dalla bellissima maga Armida, anch'essa musulmana. Argante intanto vuole riproporre il duello a Tancredi, il quale, essendo assente, viene sostituito con Raimondo di Tolosa, la cui uccisione a tradimento, per opera di un altro saraceno, scatena una mischia generale dalla quale i cristiani si salvano a fatica, ritirandosi nell'accampamento. Qui giunge la notizia che Solimano, capo dei predoni arabi, ha sbaragliato una guarnigione cristiana uccidendone il capo, Sveno principe di Danimarca. Un'altra notizia (questa però falsa) annuncia la morte di Rinaldo, un grande cavaliere. Italiani, Inglesi e Svizzeri sospettano che l'autore sia stato lo stesso Goffredo. Questi però riesce a domare la rivolta. Solimano intanto attacca i cristiani nell'accampamento e ne fa una gran strage. Tancredi, con 50 cavalieri, aiutato dall'angelo Michele, impedisce all'ultimo momento una disfatta totale. Ripreso vigore, i crociati decidono di assalire le mura della città. A tal fine costruiscono una grande torre mobile. Clorinda interviene ferendo Goffredo di Buglione e incendiando la torre, ma non fa in tempo a rientrare in città. Tancredi, senza riconoscerla, la ferisce mortalmente. Prima di morire Clorinda chiede e ottiene da lui il battesimo. I crociati però non riescono a ricostruire la torre perché un mago saraceno ha incantato la selva. Una grande siccità sembra piegare le loro forze, ma una provvidenziale pioggia li salva. Goffredo, in sogno, si sente indotto a far ricercare Rinaldo, anche lui tenuto prigioniero dalla maga Armida, di cui però si era innamorato. Rinaldo si convince a riprendere guerra contro i turchi. Spezza l'incantesimo della selva, permettendo così la costruzione di nuove macchine da guerra. I crociati entrano finalmente a Gerusalemme. Argante viene ucciso da Tancredi, Rinaldo uccide Solimano, Raimondo uccide Aladino, Armida accetta di farsi cristiana, convinta da Rinaldo. Interpretazione. Vi è una netta contraddizione nel Tasso tra l'aspirazione a mostrare da un lato un mondo perfetto e ideale, fatto di sentimenti raffinati e generosi, di personaggi superiori alla media, e dall'altro un profondo senso di delusione, di sconfitta, che si nota laddove egli tende a esasperare le situazioni sentimentali, ponendo in rilievo gli inganni della vita. Cioè da un lato il Tasso afferma l'esigenza di una idealità superiore (i suoi eroi hanno tutti un grande coraggio, fierezza, energia, lealtà...), dall'altro afferma l'impossibilità di realizzare questi ideali (in quanto l'amore e la felicità vengono avvertiti come un "peccato"). Le grandi storie d'amore del poema sono tutte impostate sulla fatale incomunicabilità, sulle dolorose separazioni: Erminia e Tancredi, Tancredi e Clorinda, Armida e Rinaldo... La passione si mescola con l'amarezza. L'amore è più un desiderio-dolore che un piacere o una certezza. Esso sembra rivelarsi solo in prossimità della morte. Nei suoi personaggi vi è un forte destino di solitudine, una tormentata psicologia che li rende incapaci di comunicare i loro sentimenti. Il fato o la fortuna dominano molte vicende umane (vedi ad es. gli interventi degli angeli e dei demoni). Tutti sembrano cercare nell'amore un diversivo alla guerra, ma è come se inseguissero un fantasma, dato che non riescono mai a realizzare i loro desideri. Il famoso combattimento fra Tancredi e Clorinda è rimasto nel subconscio di tutta la letteratura europea come un simbolo della felicità impossibile. La conquista finale di Gerusalemme è un aspetto irrilevante rispetto alla drammaticità di tutto il resto. Fra i personaggi maschili, Goffredo appare troppo perfetto per essere vero; Rinaldo è l'eroe vero della Crociata (lo strumento della giustizia divina): egli ha sete di gloria, ma il suo carattere è un po' volubile; Tancredi (che rappresenta il dovere religioso) è l'eroe della cavalleria e dell'amore segreto e infelice: innamorato fino alla disperazione: egli coglie la sua inafferrabile felicità (Clorinda) solo sul punto di morte; Argante è l'eroe violento e impulsivo, ma non privo di nobile generosità. Tra i personaggi femminili, Armida è la seduttrice, che diventa sedotta, quando s'innamora di Rinaldo; Erminia è l'eroina dell'amore timido e infelice; Clorinda è l'eroina enigmatica, poco femminile, anche se l'episodio della sua morte preannuncia alcuni motivi lirici del Romanticismo. La Gerusalemme liberata per tre secoli tenne banco nella cultura europea, tra i ceti colti e tra quelli popolari. Tradotta continuamente, fu amata dai poeti barocchi, da Rousseau e Baudelaire, ispirò Goethe (che scrisse una tragedia intitolata Tasso), fu esaltata dai Romantici (Leopardi, a Roma, andò addirittura a piangere sulla sua tomba), che costruirono il mito del martire perseguitato dalla società e dalla chiesa… Ha ispirato anche tanti pittori e incisori come nessun'altra opera dopo la Divina Commedia. |
Lezioni sul Tasso - Rinaldo e Armida
Opere del Tasso
La critica