COSA SIGNIFICA EDUCARSI A ESSERE "MASCHI E FEMMINE"?

Negli anni Sessanta e Settanta l'ideale per una donna era la taglia 40 per 1,70 cm di altezza: Twiggy, Jane Shrimpton, Audrey Hepburn ecc. Nel periodo del fascismo l'ideale del corpo femminile implicava, p.es., avere seni materni, abbondanti e glutei evidenti. Oggi da molti queste caratteristiche sono considerate persino un difetto. Allora il modello standard di mascolinità era quello che evidenziava la muscolatura; oggi le donne apprezzano anche l'efebo, cioè l'individuo fragile, che stimola il loro senso di protezione.

Nella pittura e nella scultura la stessa cosa: ai tempi di Michelangelo la mascolinità non poteva prescindere da un consistente pene e da grossi testicoli (vedi il David a Firenze). Un secolo dopo era il contrario: gli attributi sessuali maschili o erano piccoli o addirittura coperti.

Abbiamo visto che sul piano fisiologico i concetti di "maschio" e "femmina" sono relativi, poiché l'uno presuppone l'altro. Sul piano psicologico questo è ancora più vero. Oggi non ha più senso dire che per essere "uomini" bisogna essere attivi, forti, decisi, astuti, aggressivi, ecc. Queste qualità devono averle anche le donne se vogliono farsi strada in una società basata sulla competizione. Sempre che queste caratteristiche siano necessarie per costruire una società democratica.

Semmai è sempre meno vero che gli uomini debbano avere le caratteristiche tradizionalmente attribuite alle donne: dolcezza, pazienza, comprensione, emotività ecc. In una società competitiva infatti queste qualità aiutano a fare ben poca strada, anche se poi la loro mancanza si fa sentire in maniera decisiva nei rapporti interpersonali. Non a caso i maschi risultano sempre in netta prevalenza nelle statistiche che si riferiscono a droga, alcol, criminalità, incidenti stradali ecc.

Gli stessi concetti di "maternità" e "paternità" non si riferiscono più a un sesso particolare. La possibilità di accedere al lavoro ha trasformato il ruolo della donna, obbligando l'uomo a rivedere il proprio. Lo stesso fatto che in una società come la nostra non si abbia più bisogno della forza fisica per farla funzionare, ha inevitabilmente reso più flessibili i tradizionali ruoli attribuiti ai due sessi.

QUANDO SI COMINCIANO A FARE LE DISTINZIONI BASATE SUL SESSO?

Le distinzioni basate sul sesso sono sempre state una prerogativa più degli adulti che dei bambini. Cioè è più una caratteristica culturale del mondo degli adulti che un aspetto istintivo dei bambini.

All'età di un anno è impossibile distinguere un maschio da una femmina: i gesti, il pianto, il ridere sono identici.

Solo all'età di 18 mesi il bambino comincia a distinguere una persona sulla base del sesso. Ma non vedrebbe una differenza "culturale" se non gliela imponessero i genitori. Uno psicologo francese, da un'indagine fatta su 100 bambini maschi, ha mostrato che nessuno di loro preferiva essere una femmina, mentre su 100 femmine ben 15 volevano essere un maschio. Perché? Perché era stato insegnato loro che la caratteristica principale del maschio è la forza, con la quale possono imporsi nella società. Non molto tempo fa i figli maschi venivano criticati di più se piangevano o esprimevano i loro sentimenti. E comunque ancora oggi sono più indotti dagli adulti alla competizione, rispetto alle femmine.

E pensare che fino a 4-5 anni sia i maschi che le femmine giocano con qualsiasi giocattolo: un maschio, p.es., può tranquillamente giocare con le bambole se ha una sorella maggiore.

Sono gli adulti che, differenziando i giocattoli a seconda del sesso, incoraggiano quei comportamenti che ritengono più adatti.

Un esempio: una ditta straniera di giocattoli fece un esperimento. In una stanza lasciò liberi di giocare maschi e femmine, permettendo loro di scegliere i giocattoli che volevano. La loro attenzione si concentrò soprattutto su un estintore, con cui era possibile giocare ai pompieri. La ditta, nella sua pubblicità, considerò il giocattolo del tipo "unisex", ma i genitori lo comprarono solo per i maschi. La ditta così fu costretta a cambiare pubblicità. A proposito di pubblicità: è molto facile notare come essa sia convenzionale e stereotipata riguardo alle differenze di sesso.

Dunque, ecco perché a 5-6-7 anni i bambini assumono gli stereotipi di "genere" (maschile e femminile) a loro imposti dall'ambiente, sociale e familiare. Si pensi p.es. alla scelta dello sport: già all'età di 12-13 anni le differenze sono piuttosto nette. Al massimo i genitori possono accettare di più una figlia che partecipa a giochi maschili, che non un figlio cui piacciono giochi tradizionalmente femminili.

I BAMBINI DEVONO ESSERE LASCIATI STARE QUANDO GIOCANO AL "DOTTORE"?

Fra i 4 e i 9 anni i bambini, in genere, fanno le loro prime esperienze eterosessuali, cioè fra maschio e femmina, imitando, in questo, gli adulti.

Normalmente i giochi sessuali mettono in evidenza i ruoli tradizionali di coppie come quelle di padre e madre, di dottore e malato, di malato e infermiere. E qui si può andare dallo spogliarello alla visione ed esplorazione reciproca, sino alla simulazione del coito.

Queste attività diventano pericolose solo quando vi è la partecipazione di un adolescente o di un adulto. Esse servono per dare un'identità al proprio sesso.

E' FACILE DARE UN'IDENTITA' AL PROPRIO SESSO?

Oggi i giovani ci mettono più tempo a identificarsi col loro sesso, perché hanno nei genitori dei modelli più flessibili in cui riconoscersi (ruoli redistribuiti). Ecco perché il gioco della "bisessualità" adolescenziale si prolunga nel tempo, al punto che spesso scandalizza gli adulti, che possono richiedere assunzioni di identità più precise. Non a caso si verificano sempre più spesso casi di omosessualità tra gli adolescenti.

Tuttavia la maturità non sta tanto nell'acquisire il più velocemente possibile un ruolo determinato a priori, imposto dagli adulti, sulla base della differenza sessuale. La maturità sta piuttosto nella capacità di assumersi responsabilità sempre maggiori, a prescindere in un certo senso dal proprio sesso. Un ruolo imposto dagli adulti non è meno frustrante dell'assenza di un ruolo specifico.

IN CHE SENSO GLI UOMINI E LE DONNE SONO VERAMENTE DIVERSI?

Gli scienziati dell'Ottocento notarono che il cervello dell'uomo è più grande di quello della donna e, pur sapendo che il corpo dell'uomo è generalmente più pesante, si lasciarono vincere dai loro pregiudizi, sostenendo che l'uomo era più intelligente della donna. Solo col tempo ci si rese conto che potevano esistere degli uomini geniali con un cervello piccolo.

Una differenza reale invece riguarda i due emisferi cerebrali. Oggi si sa che in entrambi i sessi la metà di sinistra è specializzata nel linguaggio e nelle funzioni logiche, mentre quella di destra è specializzata nelle funzioni emotive, affettive e percettive. I due emisferi sono collegati da un ponte di fibre nervose, che consente ai due emisferi di scambiarsi le informazioni.

Oggi molte ricerche hanno dimostrato che questo ponte è nella donna più voluminoso: il che comporta una maggiore integrazione tra le funzioni dei due emisferi e quindi una loro minore reciproca autonomia. La donna cioè tende a mutare più facilmente i propri punti di vista e a interagire meglio con l'ambiente.

ESISTE IL SESSO DEBOLE?

Volendo parlare di "differenze" tra i due sessi, quali possiamo definire probabili, possibili o del tutto false?

DIFFERENZE PROBABILI

- Peso e altezza: in media gli uomini sono più alti e pesano di più.
- Muscolatura: l'uomo ha una maggiore massa muscolare rispetto al peso totale.
- Resistenza: l'uomo è più vulnerabile della donna nei confronti delle malattie e delle carenze nutrizionali.
- Aggressività: la donna è più adattabile alle circostanze.
- Apprendimento: i maschi imparano a parlare, leggere e scrivere più lentamente delle femmine e hanno maggiori problemi nella vita scolastica.
- Emotività: per l'uomo è più difficile risolvere i problemi emozionali.

DIFFERENZE POSSIBILI

- Dinamismo: l'uomo, in genere, svolge maggiore attività fisica.
- Dipendenza: le donne ritengono, di solito, d'essere meno indipendenti degli uomini.
- Fiducia: le femmine mostrano più prudenza dei maschi.
- Curiosità: il maschio ha più curiosità e spirito d'avventura.
- Ansietà: il maschio affronta con minore sicurezza i conflitti familiari e interpersonali.
- Intelligenza: i maschi hanno, in genere, maggiori capacità matematiche e di sintesi; le femmine più capacità linguistiche, più intuività e creatività.

DIFFERENZE FALSE

- Apprendimento: i maschi hanno più capacità di apprendimento visivo e le femmine uditivo.
- Autostima: le donne hanno minor stima di sé.
- Socievolezza: gli uomini sono meno socievoli delle donne.
- Influenzabilità: le donne sono più influenzabili dell'uomo.

MASCHILE E FEMMINILE

Maschile e femminile sono due categorie naturali dell'universo. Infatti là dove esiste attrazione (per l'unità) e repulsione (per la diversità), oppure attrazione per la diversità e bisogno di rifare l'unità, lì esiste il maschile e il femminile, e quindi possibilità di riproduzione, fisica e spirituale.

Nell'essere umano la sessualità ha acquisito una profondità per così dire metafisica, poiché connessa non solo alla biologia ma anche alla cultura, ai valori della coscienza. Come ciò sia potuto avvenire resta un mistero.

Freud, mettendo a nudo, non senza esagerazioni, le contraddizioni della vita privata nella società borghese, è stato uno dei massimi teorizzatori del rapporto che lega l'etica alla sessualità.

Bisognerebbe proseguire le sue ricerche in maniera più filosofica e propositiva, allargando il campo d'indagine dalla vita privata alla dimensione dell'universo.

Nella donna p.es., rispetto all'uomo, vi è una sorta di accentuazione della terrestrità della vita, cioè di un legame più stretto o più visibile della sua natura alla natura dell'universo. In lei la naturalità ha bisogno di estrinsecarsi quasi in maniera fisica, con ritmi, cicli e biologie ben precisi, che caratterizzano chiaramente tutta la sua persona. Le donne senza ciclo (p.es. le anoressiche, le astronaute, le speleologhe, le detenute nei lager nazisti...) non sono più "vicine" all'uomo: semplicemente sono "meno donne". Il concetto di "fertilità" sembra avere una caratterizzazione molto più femminile che maschile, tanto che nelle antiche religioni una donna infertile veniva considerata al pari di una maledizione vera e propria.

La donna sembra che rappresenti l'esigenza di concretezza di un uomo che, ad un certo punto, per difetto, tende alla vuota astrazione. In tal senso essa sembra favorire una sorta di compensazione a un vuoto che l'uomo, da solo, non riesce a colmare.

Conseguentemente la donna tende molto meno dell'uomo alla speculazione astratta, concettuale. Per natura la donna soffre meno alienazione e quella che soffre o è strettamente legata alla terrestrità della vita (p.es. la riproduzione), oppure alla violenza che l'uomo le impone (l'uso prevalente della forza è tipico delle civiltà basate sull'antagonismo sociale).

Nell'Antico Testamento la donna mestruata veniva considerata dall'uomo impura sotto ogni punto di vista. C'è voluto il racconto fantastico dell'emorroissa per dimostrare l'assurdità di quella discriminazione. In una società naturale un disagio non è sofferenza se non viene avvertito come peso, come fonte di diversità.

La donna è più condizionata dell'uomo dai limiti dell'ambiente naturale: lo si vede dagli indici di malattia del suo apparato riproduttivo. Ecco perché essa rappresenta un'efficace spia delle modificazioni ecosistemiche, esattamente come i bambini e gli anziani.

Uomo e donna sono due lati dello stesso homo humanus. L'essere umano è nel contempo maschile e femminile. Un uomo che non si rapporta al genere femminile, cioè che non fa i conti con questa realtà, che è poi una necessità (visto che non c'è uomo che non nasca da una donna), non è ancora sufficientemente maturo oppure è un deviato.

L'identità di genere, infatti, è data anche dal rapportarsi al genere opposto, proprio perché il bisogno di avere un opposto o, se si vuole, un complemento, è intrinseco alla natura umana, maschile o femminile che sia. In origine non vi è l'uno ma il due, ovvero l'uno che si sdoppia in elementi opposti e, nello stesso tempo, equivalenti, complementari.

Una storia in mano ai soli uomini porterebbe l'umanità alla catastrofe, proprio perché un uomo che si concepisce autosufficiente, rispetto alla donna, è sempre pericoloso. La presenza della donna responsabilizza l'uomo che vuole superare i propri limiti e che nel farlo vorrebbe relegare la donna a un ruolo marginale. La donna è una necessità di cui l'uomo deve assolutamente tener conto, se vuole diventare "umano".

Nel momento in cui si pone l'essere femminile, sorge una diversa identità rispetto a quella maschile, che l'uomo non può comprendere, servendosi unicamente del proprio intuito. Per conoscere la donna occorre rapportarsi concretamente alla sua persona. Ciò significa che la donna va al di là di ciò che l'uomo può pensare di lei.

La donna è un mistero, in ultima istanza, non meno profondo di quello che caratterizza l'uomo, e la sua natura non si svela neppure quando essa accetta di concepirsi come "complemento dell'uomo".

L'acquisizione dell'identità è un lento processo di maturazione personale, in cui l'aspetto della complementarità (che peraltro è reciproco tra i sessi) è soltanto uno dei tanti aspetti della vita sociale.

LA DIVERSITA' TRA UOMO E DONNA

Perché la donna viene definita "sessualmente debole"? Non bastava dire "fisicamente debole"? In quell'avverbio "sessista" c'è dell'evidente maschilismo. Ma ci sarebbe stato anche usando l'altro, di cui infatti andrebbe specificato il senso.

La donna può essere debole in certi lavori di fatica, ma sappiamo anche che la fatica, per poterla quantificare, va sempre rapportata a una determinata forza. Mettere insieme, in una stessa gara sportiva, un uomo e una donna, non ha senso, in quanto la massa muscolare è abbastanza diversa, anche se ovviamente le eccezioni sono sempre possibili.

In ogni caso anche se si fossero specificati gli ambiti cui si può riferire l'avverbio "fisicamente", l'espressione sarebbe stata fuori luogo, proprio perché a una donna può non piacere che venga usata come "espressione verbale". Al solo sentirla, potrebbe obiettare che in tante cose, ove non occorrono i muscoli, la donna è molto più forte o, quanto meno, più resistente, non foss'altro perché ha una maggiore capacità di sopportazione del disagio, del dolore, della frustrazione, essendo sin da piccola abituata ad avere a che fare con l'autoritarismo degli uomini.

Eppure ci deve essere una spiegazione logica del fatto che la natura abbia creato due esseri così fisicamente diversi. Anzi, dal punto di vista logico sarebbe stato del tutto naturale vedere una donna con una forza fisica superiore a quella dell'uomo, proprio in quanto preposta alla riproduzione, che è certamente un onere di non poco conto. Onde evitare tentazioni maschiliste, la natura avrebbe potuto dotare la donna di una massa muscolare almeno identica a quella dell'uomo: quante donne in meno sarebbero state violentate o uccise?

Eppure se guardiamo tutto il mondo animale, è raro vedere le femmine fisicamente più robuste dei maschi. Se la natura ha voluto rendere il maschio più forte per far sì che possa combattere contro altri maschi e difendere così la propria femmina e la prole, avrebbe fatto prima a rendere la femmina in grado di difendersi da sola. La motivazione che spiega la differenza fisica tra il maschio e la femmina deve dunque essere tutta interna al rapporto di coppia.

Probabilmente la diversità è stata posta perché essa favorisce quel bisogno di "completezza" insito in ogni persona. Ma è difficile attribuire questa caratteristica psicologica al mondo animale. Sarebbe meglio dire che la diversità, sia essa fisica o di altra natura, fa parte dell'esistenza in quanto tale, cioè è una caratteristica dell'essenza di ogni cosa, di cui occorre prendere atto e tutelarla come se fosse la condizione fondamentale per la sopravvivenza di ogni specie e forse di ogni cosa naturale.

Cioè quando si parla di "identità", si dovrebbe subito precisare che l'identità è fatta di diversità, e chi non è in grado di vivere questa diversità, cioè di sentirla come propria, è necessariamente mancante di qualcosa. O meglio, poiché la diversità è strutturale all'esserci, chi non la recepisce tende inevitabilmente, in qualche modo, a riprodurla, anche quando la nega esplicitamente. Quindi tanto vale darla per scontata e assumerla consapevolmente come propria: noi siamo diversi rispetto ad altri e altri sono diversi rispetto a noi.

L'accettazione della diversità è il presupposto fondamentale per l'affermazione di una qualunque identità. Quindi non c'è un fine estrinseco alla diversità: la donna non può essere vista in funzione dell'uomo, né il contrario. Paradossalmente l'uguaglianza sta proprio nel riconoscere la diversità in qualunque aspetto della vita.

Ecco dunque spiegato perché la donna è così fisicamente diversa dall'uomo. Il motivo è che l'uomo, per potersi definire come tale, ha bisogno di mettersi in relazione alla donna, e viceversa. Una società che non aiuta a compiere questo processo di identificazione è necessariamente innaturale, cioè o è maschilista o è femminista, per quanto il femminismo possa essere considerato, storicamente, una reazione all'imperante maschilismo nato con le società schiavistiche.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Uomo-Donna
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Aggiornamento: 14/12/2018