IL FIGLIOL PRODIGO SECONDO WOJTYLA

IL FIGLIOL PRODIGO SECONDO WOJTYLA

Nell'enciclica Dives in misericordia Giovanni Paolo Il dà un'interpretazione piuttosto particolare della parabola del figliol prodigo, sintomatica -a mio parere -di un certo modo di vedere da parte di molta dell'attuale intellighenzia cattolica.

Vista alla luce dei due temi dominanti e strettamente vincolati, la misericordia e l'infedeltà, la parabola viene ad assumere nel documento un'importanza assai considerevole. A ben guardare, infatti, il figlio "degenere" non è altri che il mondo cristiano colpevole di "tradimento". Ed è facile capire in che senso: perché compromessosi con ideologie anti-religiose (quella borghese e quella proletaria).

Ora, né Dio né la sua chiesa - a dire di Wojtyla - possono lasciare i popoli cristiani in balìa del loro peccato, altrimenti verrebbero meno al loro progetto di liberazione storica integrale. Occorre invece aver misericordia del peccatore, affinché egli faccia penitenza e di nuovo si converta a Dio, della cui grazia la chiesa romana è custode, interprete e dispensatrice. Quel giovane che, ad un certo punto della sua vita, secondo il suo libero volere, decise di abbandonare il padre, dopo aver ricevuto la sua porzione di patrimonio, e che poi, accorgendosi della gravità della sua situazione morale e materiale, causata da una vita dissoluta, e ripensando alla dignità perduta, sceglie di riconciliarsi col padre supplicandone la misericordia - è un giovane che, nell'ottica di Wojtyla, simboleggia l'itinerario storico ed esistenziale di tutta la società moderna formatasi sulle rovine del medioevo.

L'"uscita di minorità" - secondo l'integralismo cattolico - non ha affatto comportato un'acquisizione di responsabilità in ordine a un compito religioso ed ecclesiale da assolvere nella storia. Al contrario, l'emancipazione borghese prima, proletaria dopo, hanno stravolto, nella critica più o meno radicale delle istituzioni e tradizioni passate, qualsiasi ordinamento autenticamente etico-religioso, e il fallimento di questo tentativo oggi sarebbe così evidente da preoccupare alquanto per le conseguenze che potrebbe avere.

Wojtyla rimprovera al figliol prodigo non solo il suo tradimento, ma anche l'uso del libero arbitrio, causa di fondo di tutto il malessere moderno e contemporaneo (un uso di fronte al quale la chiesa romana ad un certo punto ha dovuto cedere). Non c'è per t'uomo la possibilità di vivere autonomamente un'esperienza degna di lui; anzi i fatti - secondo Wojtyla -hanno dimostrato che, separandosi dalla tutela e dall'assistenza del clero, le società civili sono state incapaci non solo di salvaguardare i diritti della chiesa, ma anche di rispettare le fondamentali liberta degli uomini. Qualsiasi istanza del mondo laico, priva de placet ecclesiastico, è destinata a inverarsi nel suo contrario.

L'accusa di Wojtyla non è ovviamente così esplicita, e nell'enciclica in oggetto è relativa al pentimento di cui deve farsi carico il giovane colpevole d'infedeltà. Il documento anzi trasuda di un benevolo paternalismo, in quanto il padre, nonostante tutto, è sempre pronto a perdonare, proprio perché egli è "immutevole" (atarassico). Si condanna, è vero, il desiderio smodato dell'emancipazione, dimostrandone gli effetti negativi, ma non per questo si viene meno alla speranza di una riconciliazione.

In ogni caso, la modernità, col suo volontario e consapevole tradimento, ha perduto, secondo la chiesa romana, ogni diritto e quindi ogni vera libertà. Il traditore non può essere considerato dal padre come un figlio, ma solo come un colpevole privo dello stato della grazia. Se il padre, ovvero la chiesa, cedesse ai sentimenti o alle considerazioni personali, perderebbe in giustizia e credibilità. Ciò d'altra parte sarebbe inutile, poiché il figlio è in qualunque momento autorizzato a riacquistare tutti i suoi diritti, se solo si pente del "male" compiuto.

Nell'ermeneutica mitologica di Wojtyla il padre viene presentato come un individuo dotato della grazia "per natura", come una sorta di divinità assolutamente perfetta, infallibile, che dà al subordinato il diritto di esistere secondo un valore prestabilito. Wojtyla non è interessato ad analizzare le cause storiche che hanno portato l'epoca moderna a rompere col medioevo. La ribellione del figliol prodigo viene colta nel suo aspetto superficiale di "colpa morale" (una colpa senza valide attenuanti e che ha portato l'uomo alla perdita d'identità).

In tale contesto la chiesa romana proclama la propria innocenza: essa non ha alcuna responsabilità per il tradimento degli uomini e, come tale, resta sempre disposta a perdonare e a riammettere alla comunione. Dopo la sconfitta storica dell'impero cristiano-feudale, la chiesa ha preferito attendere in silenzio che il figlio ribelle si rendesse personalmente conto della sua follia; e ora promette, sforzandosi di valorizzare gli aspetti positivi della moderna emancipazione (1), che al traditore pentito sarà serbato un trattamento migliore di quello per il fratello maggiore (di estrazione rurale?), rimasto sì fedele ma con poca convinzione.

Per riconciliarsi coi padre, per recuperare di colpo tutti i diritti perduti, il figlio degenere deve possedere la coscienza della propria dignità. Di qui l'esigenza di lottare contro tutto ciò che impedisce la manifesta riconciliazione del figlio col padre. Si tratta di una lotta contro un nemico che non sa riconoscere o non vuole accettare la coscienza della dignità e del diritto umano, un nemico esterno ben identificabile, colui che priva la chiesa di prestigio e dignità: il comunismo insomma. Infatti, più che l'ideologia borghese, è soprattutto il socialismo democratico che suscita nella chiesa romana seri motivi di preoccupazione (2).

La chiesa non può permettersi il lusso che l'uomo, peccando, resti libero di peccare: ecco perché il padre deve fare di tutto affinché il figlio si riconverta. L'opera educativa sostenuta prima del tradimento non può andare perduta. La dimenticanza, in questo caso, non pagherebbe.

(1) Si pensi alla riabilitazione del metodo scientifico di Galileo e degli ideali della Rivoluzione francese.

(2) La recente condanna della Teologia della liberazione lo conferma.

Enrico Galavotti  www.homolaicus.com