JOSEPH RATZINGER
Le dimissioni del papa: la rivincita di Aristotele
Il cristianesimo nasce a Gerusalemme, ma arriva presto ad Atene e a Roma, per espandersi, nel corso dei secoli in tutto il mondo.
Ad Atene si scontra con la filosofia, a Roma col potere politico.
In rapporto alla sua vita bimillenaria, il conflitto dura poco: già nel corso del quarto secolo diventa la religione del potere e tenta, con successo, di piegare la filosofia greca a proprio sostegno. Nel secolo successivo, per la caduta dell’impero romano d’Occidente, comincia a svolgere funzioni di supplenza del potere politico. Nel corso del Medioevo, questa funzione s’irrobustisce e la subordinazione della filosofia al suo messaggio di fede si approfondisce, anche per il sempre più efficace controllo clericale della cultura.
Gerusalemme e Atene sono le due grandi radici del bimillenario fenomeno del cristianesimo. Atene rappresenta la filosofia, l’impostazione dell’esistenza umana singola e associata attraverso la ricerca razionale, aperta al dialogo e liberamente esposta alla critica. Gerusalemme rappresenta la fede nell’onnipotenza e nell’amore divini, lo “scandalo” della croce, il miracolo che conquista i cuori, anche i più refrattari, l’appello agli uomini di buona volontà.
La natura conflittuale di queste due radici rende molto movimentato lo sviluppo del cristianesimo. Il difficile equilibrio tra religione e filosofia, tra fede e ragione, è sempre a rischio di rottura: ora con la prevalenza del fideismo, del volontarismo, con l’esaltazione della libera onnipotenza divina, ora con la prevalenza del suo opposto, il razionalismo, con la proposta di una fede ragionevole in un Dio-ragione. La storia del cristianesimo è la storia di questo incontro-scontro tra fede evangelica in un Dio d’amore e onnipotente, che sconvolge la ragione umana mandando suo figlio sulla croce ed è capace di qualsiasi miracolo, e la ragione che, a scuola dei filosofi greci, pensa l’onnipotenza divina muoversi in limiti razionali.
Benedetto XVI è sempre stato particolarmente attento a questo equilibrio.
Esemplare, in questo senso, è il suo discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, quasi agli inizi del suo pontificato.
Rivolgendosi agli scienziati, il papa invita a “un retto uso della ragione” e denuncia i pericoli di una fede svincolata dalla ragione e di una ragione che non voglia aprirsi alla fede: senza un profondo rapporto con la ragione, la fede rischia il delirio; fuori del “contesto della fede cristiana” la ragione si perde nel positivismo e nel relativismo.
Dice che il pericolo di uno squilibrio in senso irrazionalistico non è lontano: l’Islam, ad esempio, colloca Dio nell’assoluta trascendenza e libera la sua volontà da ogni nostra categoria, anche da “quella della ragionevolezza”.
Il felice equilibrio tra fede e ragione – dice il papa – l’umanità l’ha raggiunto con il cristianesimo, che realizza l’incontro tra filosofia greca e fede biblica.
Il Vangelo “è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco”. Nel cristianesimo, la trascendenza divina è temperata da una “vera analogia” tra Dio e la nostra ragione. La Chiesa non ha mai perso la bussola del logos e l’incontro “tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale”.
Va però detto che l’integrazione del “patrimonio greco, criticamente purificato” nella fede cristiana, non si realizza rapidamente e stabilmente, come sembra suggerire il papa. Ci sono ondate successive di ellenizzazione della fede cristiana, dopo la scrittura in greco del vangelo. E tutte incontrano forti resistenze, che generano fideismi e irrazionalismi di vario genere.
La prima grande ondata, in Occidente, porta Ambrogio e Agostino a fruire dell’ultima sintesi della filosofia greca, il neoplatonismo.
La più possente ondata di ellenizzazione avviene nel bel mezzo del Medioevo, con l’arrivo delle opere di Aristotele, il filosofo greco più lontano dal mondo cristiano. Essa provoca un rigetto virulento e durevole, fino a quando Tommaso d’Aquino non riforma profondamente, in senso neoplatonico, la metafisica di Aristotele, rendendola compatibile con la fede cristiana. Un’impresa il cui successo pieno, però, arriva solo con la Controriforma che fa di Tommaso il filosofo più autorevole della Chiesa. Da allora, la filosofia greca, in particolare quella aristotelica, è tenuta a servizio della fede e della teologia. Nel frattempo in Occidente sono arrivate anche le opere di Platone, che consentono un rapporto diretto col suo pensiero, prima conosciuto quasi soltanto nella mediazione neoplatonica.
Il pericolo di sbandamenti irrazionalistici non c’è, però, solo nell’Islam: nel Medioevo cristiano – ammette il papa – “iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica”, che nei suoi sviluppi propose l’idea di un “Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene”.
Ma, è in età moderna – dice il papa – che l’integrazione del “patrimonio greco, criticamente purificato” nella fede cristiana, è messa in pericolo.
E il papa denuncia tre ondate di “deellenizzazione”.
La prima ondata, al tempo della Riforma, libera la fede dal pesante sistema filosofico scolastico che sembra condizionarla dall’esterno e perde il logos.
“Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà”.
La seconda ondata, quella della teologia liberale del XIX e del XX secolo, volendo “riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna”, fa sua “l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali”.
Infine la terza ondata: “si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture”. Questa tesi è “sbagliata”, “grossolana ed imprecisa”, sentenzia il papa, che spiega: “Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura”.
Insomma, il Vangelo va letto in greco anche in quelle parti del mondo che non hanno avuto rapporti coi Greci.
Benedetto XVI, dopo un papato che, col formidabile carisma di Giovanni Paolo II, ha piuttosto scompaginato la delicata sintesi di fede e ragione, lavora con impegno al restauro del tomismo, al recupero, cioè, della filosofia greca, in particolare di Aristotele, in funzione di servizio della fede.
Il servizio, però, come insegna Hegel, può, col tempo e proprio attraverso il servizio, rovesciarsi in signoria sui signori: l’asservito Aristotele ha servito così bene il suo signore, il papa, che ne è diventato il signore nel momento più importante del suo ministero e ne ha orientato la coscienza davanti a Dio.
Se, infatti, il suo predecessore non volle scendere dalla croce neppure nei momenti ultimi e più difficoltosi del suo pontificato, Benedetto XVI, non solo ha deciso di scendere dalla croce, ma ha prima stabilito che quel passo, in certe condizioni, si può e, addirittura, si deve fare. E lo ha fatto con argomenti molto ragionevoli, umani, largamente condivisibili, in buona sostanza, molto aristotelici (è Aristotele, infatti, il filosofo greco che ha concepito una morale molto consapevole dei limiti umani, equilibrata, non eroica, lontana dall’idealismo platonico). All’immagine del precedente pontefice che resiste sulla croce per fede, anche contro ogni ragionevolezza, subentra quella del papa ragionevole, aristotelico, che non solo va in pensione come le persone normali, ma fa del papato un ministero che, per quanto affidato dal Signore, può essere abbandonato per ragionevole consapevolezza dei propri limiti.
Torino 15 febbraio 2013
Giuseppe Bailone