FRIEDRICH NIETZSCHE
|
|
|
IN MARGINE ALL'ANTICRISTO DI NIETZSCHE (Si fa riferimento al volume edito da Newton, Roma 1992) La filosofia degli istinti Nietzsche deve essere considerato un idealista quando, contrapponendo gli istinti alla ragione borghese e alla fede cristiana, fa degli istinti un idolo da adorare, indipendentemente dal modo in cui vengono vissuti. D'altra parte questi "istinti primordiali", per essere veri, non devono - secondo Nietzsche - rendere conto a nessuno. Inutile dire che così facendo Nietzsche obbliga gli istinti a isolare il soggetto dalla società, facendogli perdere il criterio che legittima le istanze degli stessi istinti. Per Nietzsche la società è tutta malata, per cui gli istinti non hanno interesse a contrapporsi a una parte di essa. In tal senso Nietzsche è molto vicino a Stirner, il capostipite dell'anarchismo filosofico moderno. Politicamente il miglior Nietzsche dovrebbe anzi essere considerato un anarchico; il peggior Nietzsche un nazista. La differenza sta nel fatto che il nazismo vuole porsi un compito politico-istituzionale e vuole imporlo con ogni mezzo a tutta la società e addirittura al mondo intero. Nietzsche invece era prigioniero del proprio individualismo. Che molta parte della verità (se non tutta) stia nell'istinto, anche Rousseau l'aveva detto e lo dirà anche Freud, col suo concetto di "pulsione", e a dir il vero l'hanno supposto anche tutti coloro che, in maniera più velata, hanno voluto privilegiare l'intuizione sulla ragione (Schelling, Bergson ecc.). Tuttavia nessuno s'era mai sognato, prima di Nietzsche, di porre risolutamente l'istinto in netta antitesi alla ragione, di fare cioè dell'istinto una "seconda ragione". L'essere umano può essere definito prevalentemente istintivo o quando non ha un'adeguata età cronologica o quando, avendola, non ha la corrispettiva maturità mentale. Neppure l'uomo primitivo può essere definito "meramente istintivo". Recuperare il giusto valore dell'istinto, specie in una società intellettualistica come quella occidentale, è possibile solo in una forma sociale che non neghi valore alla ragione. Se la ragione dominante è - come vuole Nietzsche - in décadence, non è certo col solo istinto che la si può rinnovare. Occorre una nuova ragione, che sappia ovviamente tener conto delle istanze emancipative dell'istinto. L'istinto può apparire più vero perché più primordiale, ma di per sé l'istinto non racchiude tutta la complessità della specie umana (come invece avviene per quella animale). E' inutile illudersi che una vita istintiva sia da considerarsi più felice di una vita riflessiva o etica. Quando lo è, lo è alla maniera animale, cioè in forme del tutto inconsce. L'animale non si chiede come dover essere felice. Ogniqualvolta l'essere umano vuol porre l'istinto in antitesi alla ragione cade in una contraddizione insolubile, poiché il voler porre qualcosa contro qualcos'altro fa già parte di un'operazione della coscienza razionale. Il non rendersi conto di questo porta l'uomo a vivere i propri istinti peggio che gli animali. Nietzsche ha ragione quando afferma che la cultura dominante censura gli istinti vitali semplicemente perché li teme, cioè ha ragione nel sostenere che tale cultura, in sé contraddittoria, non ha alcun diritto di negare l'esistenza all'istinto, ma ha torto quando crede che in virtù degli istinti repressi si possa creare una controcultura. Il primato degli istinti sulla ragione porta sempre alla nascita di una subcultura. In tal senso Nietzsche rappresenta, al pari di Freud, l'anticipazione di quella parte più anarchica del movimento studentesco del '68 (che poi ha trovato sviluppi nel pansessualismo, in certi generi artistici autoreferenziali, fino alla tragedia del terrorismo politico). Anche in Marx esiste qualcosa di analogo sia nel primato assoluto concesso all'economia (su ogni altro aspetto della vita sociale), sia nel concetto di "spontaneità rivoluzionaria del proletariato", conseguente al gap tra forze e rapporti produttivi. Questo a testimonianza della grande difficoltà che caratterizza la civiltà occidentale nel trovare una valida alternativa alla prassi borghese. Nietzsche in sostanza può essere sì considerato un filosofo radicale, estremista, ma è anche un filosofo superficiale, poiché ogni posizione unilaterale, che dell'essere umano valorizza solo alcuni particolari aspetti, diventa necessariamente limitata. Il più grande "filosofo" della civiltà europea di tutti i tempi, orientale e occidentale, resta Hegel, almeno sino a quando Marx non arrivò a dire che la realizzazione della filosofia hegeliana equivaleva al suo superamento da parte del proletariato: cosa che s'incaricò di dimostrare politicamente, in maniera conseguente, solo Lenin. Lenin non fece dell'istinto un modo per riaffermare il valore di un'ideologia borghese in declino (come invece è accaduto nel corso delle dittature nazifasciste), per quanto nel suo concetto di "primato assoluto della politica" (primato non solo sull'economia, com'era giusto che fosse, ma anche sull'uomo in generale) egli non vada del tutto esente dai limiti di un'ideologia a sfondo irrazionalistico. E' una caratteristica tipica di quest'epoca decadente quella di attribuire all'istinto o all'inconscio l'ultimo barlume di verità che alberga nell'essere umano. La sfiducia nei confronti della ragione è così grande che si preferisce guardare con simpatia tutto ciò che la precede o che la nega: appunto i sensi, l'istinto, l'immediatezza, l'intuizione - l'inconscio, direbbe Freud. Anche in Schelling c'è questa tendenza, ma essa viene mitigata dallo scrupolo religioso. Se vogliamo la tendenza è presente anche in Fichte, ma resta mediata dall'impegno politico-intellettuale. Solo in Nietzsche essa è presente senza religione e senza politica. Sotto questo aspetto Nietzsche ha anticipato lo stile di vita di buona parte della gioventù contemporanea, ma anche lo stile di vita delle società civili che portarono alla prima e alla seconda guerra mondiale. Nietzsche anticipa ogni tipo di dittatura reazionaria e ogni forma di anarchismo ribellistico. Egli non avrebbe mai accettato l'idea di conferire "verità" ai sensi in un contesto in cui anche la ragione ha la propria "verità", con la quale questa pretende di giudicare la verità dei "sensi". A suo giudizio, infatti, i sensi acquisiscono la "verità" contrapponendosi alla "verità" della ragione. Non c'è possibilità di compromesso: la ragione "ufficiale", "istituzionale" deve necessariamente cedere il passo alla "ragione" dei sensi. Nietzsche voleva l'uomo a "una dimensione", come un adolescente che vede il mondo in bianco e nero, che usa l'istinto come criterio di verità o al massimo l'intelletto per "dividere" e mai la ragione per "unire". Nietzsche è rimasto bloccato a uno stadio adolescenziale, quello in cui si vagheggia la purezza dell'ideale assoluto (vedi ad es. il superomismo) e, nel contempo, si lotta con acredine contro tutto ciò che sembra contraddire tale obiettivo. Il risultato è che Nietzsche nega l'evidenza di cose tipicamente umane, che non dipendono da alcuna particolare religione (come p.es. il senso di colpa, l'autocritica...). E' vero, tanti principi morali sono stati completamente inventati o distorti, ma tanti altri traggono la loro origine recondita proprio nella coscienza del limite, ossia nella capacità di distinguere il bene dal male. Nietzsche avrebbe voluto un uomo che andasse al di là di tale distinzione, cioè che non si ponesse, prima di agire, il problema di dover compiere un'azione giusta o ingiusta. Nietzsche voleva un uomo "tutto istinti", che agisse sempre conformemente alla propria natura, senza dover rendere conto a nessuno. Un uomo del genere, se mai esisterà, potrà essere il frutto di una società molto matura, che abbia già superato i conflitti sociali antagonistici. Prima di allora, la teoria istintuale di Nietzsche fa solo il gioco del sistema borghese, che, per sopravvivere, ha bisogno di cittadini che non pensino. Nietzsche è così astratto quando critica il concetto di "compassione" che non si rende mai conto quanto possa essere nichilista anche il concetto di "istinto" (che lui chiama "volontà di potenza", "affetto tonico", "sentimento vitale" ecc.). Infatti se all'istinto non si dà un fine politico o sociale anti-borghese (ma anche anti-aristocratico), il suo porsi non farà che gli interessi delle classi dominanti, esattamente come la compassione. La differenza starà nel fatto che l'istinto si pone in maniera egoistica e la compassione in maniera altruista (astrattamente parlando), ma di fatto né l'una né l'altro, prese in sé, servono alla causa dell'emancipazione. Promuovendo la compassione o aiutando il cristianesimo a svilupparla, i governi borghesi vengono da sempre incontro alle esigenze delle persone "di coscienza", quelle che soffrono di fronte al dolore altrui. Favorendo invece l'istinto i medesimi governi appagano le esigenze di coloro che vogliono "godersi" la vita e che credono nel darwinismo sociale. Sono due facce della stessa medaglia, che nella storia si alternano continuamente. La compassione può avere un senso se nel contempo si lotta per la giustizia; l'istinto può avere un senso contro l'ipocrita morale borghese se nel contempo si lotta per una morale alternativa, veramente sociale. Il non aver capito, da parte di Nietzsche, che la compassione è stata usata da Schopenhauer per rifiutare anche l'altruismo sociale della compassione cristiana, è stato grave. Nietzsche ha rischiato di lottare semplicemente contro il cristianesimo dei filosofi e del clero, ignorando del tutto l'esistenza del cristianesimo sociale. |