NIETZSCHE La formazione del cristianesimo primitivo

FRIEDRICH NIETZSCHE
Dall'ateismo all'irrazionalismo


IN MARGINE ALL'ANTICRISTO DI NIETZSCHE

(Si fa riferimento al volume edito da Newton, Roma 1992)

La formazione del cristianesimo primitivo

Nietzsche ha in sostanza invertito il processo logico che ha generato l'elaborazione dei vangeli. A suo giudizio, infatti, Cristo non era un rivoluzionario ma una sorta di Buddha. Siccome però morì in croce, che era il patibolo - dice Nietzsche - dei malfattori (singolare che qui egli non abbia scorto la natura politica del processo e della condanna), i discepoli pensarono di addebitarne la causa all'"ebraismo al potere" (par. 40). Così, in sostanza, i discepoli divennero "rivoluzionari" contro le intenzioni originarie del Cristo-Buddha.

Essi cioè rifiutarono la morte in croce perché non si sentivano in grado di seguire gli insegnamenti del Cristo: non riuscivano ad essere "buddisti" come lui. Quando cominciarono a predicare il "regno dei cieli", facendo del Cristo un polemista antigiudaico e l'unico vero figlio di dio, privandolo quindi di ogni caratteristica umana, non si rendevano conto che il "regno" era già venuto con la morte in croce, accettata dal Cristo in maniera stoica, senza risentimenti di sorta.

Queste tesi oggi sono incredibilmente superate e per una semplice ragione: il Cristo era anzitutto un politico, non un filosofo. I discepoli non lo trasformarono in "teologo" perché non lo capirono come "filosofo", ma perché lo tradirono come "politico", in quanto non riuscirono a proseguire il suo messaggio di liberazione.

Nietzsche, anche quando evidenzia un ateismo "progressista" nella filosofia del Cristo, non riesce mai a collegarlo a un'istanza politica rivoluzionaria. Egli non ha mai considerato l'idea che la divinizzazione del Cristo, operata dal cristianesimo, sia stata una risposta all'esigenza che la comunità primitiva aveva di dare un senso alla propria incapacità di proseguire politicamente il messaggio originario del nazareno.

Viceversa, Nietzsche ha perfettamente ragione quando considera una "risposta spaventosamente assurda" (par. 41) quella che i cristiani diedero al dilemma della croce: "Dio offrì suo figlio come vittima per la remissione dei peccati" (ib.). Nel senso cioè che la morte in croce, essendo gli uomini irrimediabilmente traviati a causa del peccato d'origine, non poteva che essere vista come una necessità ineluttabile.

Dunque la croce non come ipotesi possibile (peraltro molto probabile per gli schiavi ribelli), ma come unica garanzia per rimuovere dalla coscienza di un dio vendicativo l'ira dovuta alla disobbedienza adamitica. Come noto, il responsabile principale di questa colossale falsificazione dell'interpretazione della croce del Cristo è stato Paolo. Nietzsche tuttavia ha dimenticato di precisare che Paolo poté formulare questa tesi proprio perché trovò in qualche modo il terreno già pronto, quello preparato dalle incertezze politiche dello staff dirigenziale del movimento nazareno. Non dimentichiamo che Pietro svolgerà sino alla definitiva consacrazione delle tesi paoline il compromesso tra il nazionalismo politico-religioso degli ebrei (nettamente ostili ai romani) e l'universalismo etico-religioso di Paolo, disposto all'intesa col potere dominante. Non a caso sarà Paolo che trasformerà una volta per tutte il concetto laico-umanistico di "figlio dell'uomo", usato dal Cristo, nel concetto teologico di "figlio di dio", che inizialmente verrà usato contro quello ebraico di "popolo eletto" e che dopo il 70 verrà usato contro la divinizzazione romana della figura dell'imperatore.

Nietzsche non ha visto nella falsificazione di Paolo, che quand'era fariseo lottava per il nazionalismo politico-religioso contro quei cristiani che, dichiarando Gesù il messia morto in croce, demoralizzavano le masse, il dramma di una coscienza che non poteva continuare a sostenere l'obiettivo di una liberazione nazionale senza riuscire in alcun modo a conseguirlo. Paolo -come molti seguaci del nazareno- si rendeva certamente conto che la liberazione nazionale non sarebbe potuta dipendere da una guerriglia sparuta, da stragi terroristiche, dall'estremismo degli zeloti... Occorreva un coinvolgimento delle masse, che però di fatto non ci fu.

Nietzsche ha ragione quando afferma che il cristianesimo falsificò la storia di Israele considerando l'ebraismo un'anticipazione del cristianesimo. Tuttavia qui bisogna precisare: dal punto di vista politico (che a Nietzsche però non interessa) il cristianesimo va considerato come una sorta di tradimento dell'ebraismo, anche se da un punto di vista etico ne è un superamento, poiché ha tolto il concetto di dio dagli angusti confini nazionali che aveva.

Come avrebbe dovuto realizzarsi il vero superamento dell'ebraismo? Compiendo la liberazione nazionale, ma slegando la politica dai lacci della religione: in tal modo il messaggio politico avrebbe potuto essere recepito anche dai non-ebrei.

Ai tempi del Cristo, mentre i galilei riuscivano a opporsi ai romani senza per questo considerare le tradizioni ebraiche (relative al sabato, al tempio, alle abluzioni, ai cibi ecc.) come assolutamente intoccabili, e in questo mostravano una certa propensione al cosmopolitismo, i giudei invece erano convinti che per resistere meglio ai romani occorreva accentuare il rispetto formale della legge e delle tradizioni orali e scritte, sicché la sudditanza politica dell'ideologia nazionalista e integralista nei confronti dell'imperialismo romano veniva sentita con un'esasperazione assai maggiore.

I giudei in sostanza si trovavano a dipendere non solo da Roma ma anche dai sacerdoti collaborazionisti, i quali s'illudevano di poter conservare l'integrità delle leggi e delle tradizioni culturali nonostante il progressivo avanzare dei romani sul terreno politico-militare. Il popolo più combattivo della storia rischiava di diventare il più autolesionista.

Dai vangeli si comprende molto bene che solo i galilei riuscivano a coinvolgere nella lotta antiromana anche quei gruppi e ceti sociali che in Giudea invece sarebbero stati considerati indegni di considerazione, perché "impuri", "peccatori" ecc. Un rabbino, uno scriba, un fariseo non si sarebbero mai sognati di pranzare insieme ai pubblicani, o di farsi lavare i piedi o ungere il capo da una ex-prostituta. Ciò che noi consideriamo relativamente normale, allora doveva suscitare tra i fanatici integralisti uno scandalo incredibile.

E' vero che nella fase iniziale il cristianesimo ha raccolto - come dice Nietzsche - "tutti i malriusciti, tutti quanti rimuginano la rivolta, ecc." (par. 43) - si noti, en passant, l'equazione di "feccia" e "rivoltosi" -, ma è anche vero:
1. che il cristianesimo paolino poteva andar bene solo alla schiavo rassegnato (vedi la Lettera a Filemone), che sa comprendere e accettare giustificazioni di tipo religioso sulla propria condizione servile;
2. che il cristianesimo primitivo non poteva chiedere agli schiavi la rassegnazione senza offrire, nel contempo, un certo miglioramento per la loro situazione sociale (comunione dei beni, solidarismo fraterno);
3. che il cristianesimo, in generale, si presenta come una religione più per i ceti medi che per quelli bassi, poiché la sua teoria consolatoria dell'aldilà può essere accettata, in ultima istanza, solo da chi non ha bisogno di particolari soddisfazioni sulla terra, in quanto conduce un'esistenza relativamente tranquilla.

Questo ovviamente non significa che il cristianesimo non venisse percepito come una teoria eversiva. Il potere politico-economico dell'impero romano ci mise tre secoli prima di capire che la teoria dell'uguaglianza delle "anime" e quella della disuguaglianza dei "corpi", cioè delle condizioni di vita materiale, potevano tranquillamente coesistere.

Un ritardo di questo genere fu dovuto, oltre al fatto che le origini del cristianesimo erano del tutto popolari, anche al fatto ch'esso si presenta come una religione ambigua, che dietro la predicazione dell'uguaglianza astratta non solo tende a salvaguardare il regime del privilegio, ma può anche nascondere degli elementi a favore dell'uguaglianza concreta: che sono poi quegli elementi cui si aggrappano, di volta in volta, i ceti più marginali quando vogliono contestare le istituzioni. La svolta costantiniana fu, in tal senso, decisiva: i ceti dominanti erano divenuti perfettamente consapevoli che per conservare i loro privilegi dovevano rischiare di concedere al cristianesimo l'egemonia culturale.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015