TEORICI
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I - II - IIIJEAN MESLIER L'UOMO - LA VITA Jean Meslier è nato nel 1664 a Mazeny (Champagne) da una famiglia benestante di mercanti di stoffe. Adolescente, frequenta con profitto la scuola parrocchiale di Mazeny e poi la famiglia, su suggerimento del parroco, lo iscrive al seminario di Reims, ove rimane per cinque anni. Non era esattamente quello che il giovane avrebbe voluto ma Jean, ragazzo intelligente, tranquillo e posato, non se la sente di opporsi al desiderio dei parenti ed accetta di essere avviato alla carriera ecclesiastica. Dal seminario esce nel 1689, ordinato sacerdote. Jean, che ha ora 25 anni ed un curriculum scolastico di tutto rispetto, lodato dagli insegnanti del seminario, viene subito nominato curato presso la parrocchia di Ètrèpigny e Balaives, situata nelle Ardenne (Champagne), nei pressi di Mésières. Ci resterà per tutta la vita, sino al giorno della sua morte, avvenuta il 30 Giugno 1729, all'età di 65 anni. Viene sepolto nel parco del Castello di Ètrèpigny. Quarant'anni non sono pochi ma, tutto sommato, don Jean li trascorre alquanto tranquillamente, se si escludono due episodi di poco rilievo che hanno turbato, ma non molto, la sua serena esistenza. Appena dopo essere giunto a Ètrèpigny, alcuni parrocchiani fanno maliziosamente notare che il giovane prete si è sistemato in canonica con una "perpetua" di appena 18 anni. Il vescovo, opportunamente informato, gli chiede conto della cosa, senza però darle troppo peso e, alla fine, il caso si sgonfia e la perpetua rimane al suo posto; si disse che era una di famiglia, una cugina. Il secondo episodio accade nel 1716: un battibecco con monsieur Antoine de Touly, signorotto di Ètrèpigny, uno sfruttatore privo di scrupoli della manodopera salariata locale. Il signor De Touly, ritenendosi offeso dai rimbrotti del prete, chiede l'intervento del vescovo, monsignor De Mailly, che commina a Meslier una piccola punizione e tutto finisce lì. Per il resto Meslier conduce una vita tranquilla, se non agiata, considerato che la parrocchia è situata in una zona agricola abbastanza ricca e i parrocchiani non hanno troppi problemi a versare alla chiesa le decime allora dovute; e poi Meslier non accampa in proposito troppe pretese. I tre, quattro vescovi che si sono succeduti, in quel periodo, nel vescovado di Mézières, hanno sempre lodato Meslier per come esercitava il suo ministero e lo ritenevano un prete affidabile, probo e del tutto degno di fiducia. Nulla lasciava presagire lo scandalo che sarebbe scoppiato dopo la morte del parroco. L'OPERA Alcuni autori hanno sostenuto l'ipotesi che Jean Meslier avesse già maturato il suo ateismo ai tempi del seminario, cosa del tutto plausibile trattandosi di persona dotata di non comune intelligenza e di un acuto spirito critico. Costretto a studiare a fondo i testi canonici sui quali venivano formati i preti dell'epoca, avrà in seguito ben 35 anni di tempo per rimeditarli e reinterpretarli in chiave razionale, essendo la stesura del suo "testamento" iniziata nel 1724. Ci si domanda quali letture abbia avuto la possibilità di fare nell'ambito ristretto e circoscritto della sua parrocchia, durante i 35 anni che hanno preceduto la stesura della sua opera. Certamente conosceva, se non tutti, almeno parte dei lavori di scrittori quali Epicuro, Lucrezio, Montaigne, Malebranche, Fenelon, Spinoza, Cartesio ed altri che vengono da lui citati nel suo testo. Non è invece chiaro se abbia avuto la possibilità di consultare i numerosi testi anti religiosi ed atei che, all'epoca, circolavano clandestinamente e in forma manoscritta per tutta l'Europa, specialmente presso le Corti e la nobiltà. Dopo la sua morte non si è trovato nulla nel suo studio che possa farlo supporre. E poi, bisogna tenere conto che tali testi erano costosissimi da acquistare, certamente fuori dalla portata dei mezzi finanziari di un curato di campagna. Altra domanda che molti si sono posta è questa: Jean Meslier era un giansenista? A tale domanda nessuno ha potuto dare una risposta soddisfacente. Se non era un giansenista, certamente era al corrente delle dispute che hanno imperversato, nell'ambito della chiesa cristiana, per tutto il 1600 e sino ai primi decenni del 1700. Quasi certamente era giansenista qualche prete delle parrocchie vicine alla sua, visto che ha voluto affidare a loro le copie del suo testo, dopo la morte. (v. Giansenismo) In effetti Jean Maslier, se si esclude la sua opera fondamentale, come uomo non ha lasciato nulla di sé che possa essere utilizzato per ricavarne una biografia men che superficiale; ha trascorso la vita nella sua parrocchia schivo di riconoscimenti, in tutta modestia ed umiltà, senza alcun segno di quelle che potevano essere le sue ambizioni e i suoi desideri. Siamo nel 1724, Meslier ha 60 anni e, cosciente che la sua vita è ormai sulla via del tramonto, pone mano al suo testamento, affidando alle carte ciò che aveva meditato in silenzio per quasi tutta la sua esistenza: la più completa e spietata critica di tutte le religioni in generale e di quella cristiana in particolare. L'opera che ne risulta è tale che lo scandalo non poteva essere più sensazionale. Nessuno, in quell'epoca, aveva mai osato giungere a tanto. Lavorando di notte, al fioco lume di una candela, Meslier mette insieme 366 fogli densi di una scrittura minuta e precisa, mettendo a nudo tutte le storture, le menzogne e le iniquità che sono alla base delle religioni allora conosciute. Il titolo ridondante che inizia il lavoro è del tutto esplicativo:
Terminata la stesura dell'originale, Meslier si rende conto che una sola copia può essere facilmente fatta sparire. Si arma quindi di infinita pazienza e per quasi un anno intero ricopia l'originale ottenendone altre due copie. Per queste ricopiature si stima abbia impiegato non meno di 1000 ore di lavoro, tenuto conto che la prima edizione stampata, realizzata molti anni dopo, ha dato origine ad un volume di ben 1200 pagine. Il testamento di Meslier si articola in otto parti fondamentali:
Meslier, con citazioni precise tratte dalla traduzione ufficiale della Bibbia proposta dalle comunità cristiane, aveva evidenziato contraddizioni interne ai passi evangelici. Esse riguardavano, tra l'altro, il numero e i nomi degli apostoli, il racconto della nascita ed infanzia di Gesù secondo Matteo e Luca, l'esistenza di una persecuzione da parte di re Erode, la durata della predicazione di Gesù, giorni e luogo dell'Ascensione; dunque eventi fondamentali della vita del Messia. Facciamo alcuni esempi: Nazaret e Betlemme I racconti di Luca e Matteo dicono che Gesù nacque a Betlemme. Spesso Gesù è detto "Gesù di Nazaret": sulla carta geografica Nazaret dista diversi giorni di cammino da Betlemme. Nazaret è anche un nome comune che ha tutt'altro significato. La dicitura Gesù il Nazareno in realtà avrebbe un'ortografia diversa: "Gesù il nazareno", con la minuscola per riferirsi non a Nazaret (che non è la città nativa) ma al nome comune nazaret. Non esiste un passo biblico che citi Nazaret. I fratelli di Gesù Controversa è l'interpretazione del passo biblico in cui si parla dell'apostolo Giacomo. Per le Chiese evangeliche e altre si tratta di uno dei fratelli di Gesù; per la Chiesa cattolica di un cugino, cosa conciliabile con il dogma di Maria Vergine secondo il quale la madre di Gesù concepì il figlio per mediazione dello Spirito Santo e non consumò in unione carnale il matrimonio con Giuseppe. La parola greca Adelphos come è nel testo biblico, nei vocabolari moderni (Rocci e altri) ha il solo significato di "fratello" con l'avvertenza che per i testi biblici (essendo della tarda grecità e traduzioni in una lingua popolare non sempre corretta) i significati nei passi biblici sono evidenziati a parte con riferimento alla fonte. Tuttavia, l'ebraico, allora come oggi, usa una sola parola per indicare "fratello" e "cugino" perché negli usi di questo popolo conta il legame con il clan familiare e fratello e cugino comportano un legame di sangue ugualmente stretto, per cui non è necessario distinguere (come era tipico di una società patriarcale). Barabba e Gesù Barabba, per la Bibbia proposta dalla Chiesa, era un ladrone qualunque di cui la folla avrebbe chiesto la liberazione a Pilato al posto di Gesù, come usava nella Pasqua. Barabba in realtà significa "Figlio del padre" (in alcuni passi della Bibbia ufficiale Gesù dice "Abbà", Padre!, che sarebbe la traduzione del termine ebraico; in quegli anni i romani sedarono una rivolta per un tale Bar Kochba, ossia "Figlio della Stella", che gli ebrei considerarono il Messia di cui parlavano i profeti dell'Antico Testamento). La Giudea era soggetta a continue rivolte ed era una delle regioni più difficili da controllare dell'impero romano. Gli ebrei attendevano un Messia inviato da Dio per liberare il Popolo Eletto dalla dominazione romana. Gesù aveva deluso le loro aspettative e la folla era inferocita perché non aveva trovato in lui un liberatore. Barabba era il Messia - secondo una parte degli Ebrei - esattamente come altri che si dicevano Messia durante la vita di Gesù. Anche ad essi si riferiscono i passi in cui Gesù raccomanda di guardarsi dai falsi profeti. Gli ebrei erano divisi in sette che divergevano su chi fosse il vero Messia, quale uomo sostenere come Liberatore del popolo ebraico. I Vangeli spiegano questo fatto dicendo che il Regno di Gesù non era su questa terra, ma nei Cieli. Gli ebrei attendevano quel Regno su questa terra come un riscatto dalle condizioni materiali in cui viveva la Giudea. La guarigione del sordomuto Un altro riferimento diretto a passi evangelici, riguarda l'episodio della guarigione del sordomuto. A proposito, Meslier chiosa: "durante la guarigione del sordomuto, di cui si parla in san Marco, è stato detto che Gesù agì in un modo quanto meno bizzarro; dopo avergli messo le sue dita nelle orecchie, e averlo sputato, gli tirò la lingua; poi volgendo gli occhi al cielo, fece un gran sospiro e gli disse: epheta". Il passo a cui si fa riferimento è nel Vangelo di Marco (Mc 7, 31-37): <<Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effatà" cioè: "Apriti!". E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente>>. Le due citazioni mostrano in un certo senso l'importanza della traduzione. Nel secondo caso, la traduzione non pone un accento "grottesco" su quei particolari che portano Meslier a questo giudizio. Tra l'altro, non compare il particolare della "tirata di lingua", che forse era presente nelle traduzioni bibliche al tempo di Meslier. GLI ULTIMI MOMENTI DI MESLIER Quando sente prossima la sua fine prende ancora carta e penna e redige due messaggi. Il primo è indirizzato al suo futuro successore, di cui non conosce naturalmente il nome:
Il secondo messaggio, che verrà unito al primo in una stessa busta, recita:
L'estrema prudenza di Meslier, che lo ha indotto a rendere nota la sua fatica solo dopo la morte e l'esortazione agli altri curati a non esporsi troppo, ha dei solidi motivi. Conosceva benissimo la sorte di Lefèvre bruciato vivo a Reims, di Guillaume curato di Fresnes, di Pietro Giannone e di tanti altri anticlericali messi sbrigativamente a tacere. Per quello che personalmente poteva riguardarlo si era espresso più che chiaramente:
Peraltro Meslier non era solo anticlericale ma anche antimonarchico. Proprio lui, nel suo Testamento, aveva lanciato l'appello più violento, forte e disperato in favore di una rivoluzione, incitando il popolo ad unirsi per scuotere il giogo tirannico dei principi e dei re. Per questo oscuro curato di campagna "la salvezza del popolo non dipende che dal popolo stesso". Così scriveva, rivolgendosi al popolo: "la vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione dipenderebbe solo da voi se riuscirete a mettervi d'accordo. Unitevi dunque uomini se siete saggi, unitevi tutti se avete coraggio per liberarvi dalle vostre comuni miserie. E' da voi, dalla vostra laboriosità, dal vostro lavoro che nasce l'abbondanza di beni e delle ricchezza della Terra... E' il lavoro dell'uomo che permette di trasformare la natura, creando ricchezza che il popolo deve tenere per sé: teneteveli per voi e per i vostri simili (i beni prodotti), non date niente a questi superbi e fannulloni. Non si vedono più ormai, fra coloro che detengono le più alte cariche dello Stato, se non meschini adulatori pronti ad approvare i loro turpi disegni ad inseguirne gli ingiusti ordini e le ancor più ingiuste ordinanze. Tali sono nella nostra Francia i giudici e i magistrati del Regno... i quali sono capaci solo di giudicare le cause private e di sottoscrivere ciecamente tutte le ordinanze dei loro Re che non oserebbero contrastare. Intendenti delle Province, governatori delle città, comandanti militari, ufficiali, soldati che non servono che a sostenere l'autorità del tiranno. Impiegati, controllori, gabellieri, sbirri, guardie, ufficiali giudiziari che come lupi affamati mirano soltanto a divorare la preda, saccheggiando e tiranneggiando il popolo oppresso, avvalendosi del nome e dell'autorità del Re". LO SCANDALO Il 30 Giugno 1729 Jean Meslier muore e il 9 Luglio seguente arriva il curato sostitutivo inviato dal vescovo, l'abate Guillotin. L'ignaro abate prende visione dei due messaggi nonché delle tre copie del testamento e allibisce. Non sa quale comportamento tenere. Alla fine prevale il buon senso e, visto che le volontà di un defunto vanno sempre rispettate, convoca i curati del vicinato e li mette al corrente della situazione. Prima di informare della cosa l'autorità ecclesiastica, i curati decidono di prendere visione del testamento; la sua lettura comporta un certo tempo e intanto la voce si diffonde. Che un prete, dopo quarant'anni di ministero rinneghi la propria fede, spiegandone puntigliosamente i motivi, è una cosa enorme anche per un secolo dai costumi abbastanza rilassati, quale era il Settecento. La notizia dilaga velocemente e giunge a Parigi, alla Corte e ai circoli nobiliari, destando grande scalpore e un vasto interesse e anche il desiderio di entrare in possesso, a qualunque prezzo, di almeno una copia del lavoro. Quando il grande vicario Le Bêgue giunge sul posto per arginare lo scandalo è ormai troppo tardi per ordinare la consueta distruzione dei testi; l'interesse pubblico è enorme e quindi è giocoforza scendere ad un compromesso: quello di affidare le copie del testamento agli Uffici Giudiziari di Mézières, di Rethel e di Saint Menehould dove, teoricamente, avrebbero dovuto essere occultate. Questa decisione salverà i manoscritti dalla distruzione e dall'oblio, in quanto, presso le dette cancellerie, copisti ben retribuiti dalla nobiltà e dalla ricca borghesia, cominceranno alacremente a produrre le prime copie, matrici di molte altre, che dilagheranno in Europa, giungendo presso tutte le Corti dell'epoca, a prezzi incredibili. Si parla, ma probabilmente è un'esagerazione, di 50 Luigi d'oro per una copia manoscritta; il prezzo più attendibile pare fosse 10 Luigi d'oro, comunque non poco se si tiene conto che, a quei tempi, 10 Luigi equivalevano al salario di un operaio, per 7, 8 mesi di lavoro. DIFFUSIONE DEL TESTO Nei primi anni seguenti la morte di Jean Meslier il Testamento, malgrado la fama che lo circonda, è noto solo a pochi privilegiati, quelli che sono in grado di acquistare una copia manoscritta. In seguito diventa lentamente di pubblico dominio in tutta l'Europa, sia in maniera diretta che indiretta tramite la divulgazione, in forma sintetica, fatta da Voltaire.
Nota IL GIANSENISMO
Per giansenismo s'intende una
serie di dibattiti teologici, anche aspri, sorti nel XVI secolo, in materia di
"Grazia Divina". - quella dei "molinisti" (ispirata dal gesuita Molina - 1535/1606) che riteneva appartenere alla natura umana un maggior potere di libertà individuale per quanto concerne la possibilità di conseguire meriti di natura divina; - quella dei "giansenisti" (ispirata da C. Jansen - 1585/1638) che, basandosi sugli scritti di S. Agostino, privilegiava invece l'iniziativa divina nei confronti della libertà dell'uomo. Proveniente dall'Università di Lovanio, Cornelius Jansen si stabilisce in Francia (1604) diventando vescovo di Ypres. Negli anni dal 1604 al 1614 lavora alla redazione del suo trattato sulla grazia divina, intitolato Augustinus, che verrà pubblicato solo nel 1640, due anni dopo la sua morte. La pubblicazione, densa di precetti di austerità, in netto contrasto con le teorie dei gesuiti, scatena interminabili polemiche destinate a durare quasi un secolo. In Francia Jansen trova validi sostenitori in Pascal, presso la facoltosa famiglia Arnauld, nell'abate di Saint-Cyran nonché presso tutti i membri della congregazione che fa capo all'abbazia di Port-Royal. Nel 1653 il papa Innocenzo X, istigato dai gesuiti, dichiara eretiche le tesi sostenute dai giansenisti e questo, dopo reiterati ammonimenti, provoca l'occupazione militare dell'abbazia di Port-Royal, ordinata da Luigi XIV nel 1669. Seguono 10 anni di calma apparente, poi nel 1679 il giansenismo si risveglia (con Pasquier Quesnel), più battagliero che mai e con connotazioni apertamente politiche e parlamentari. In realtà il giansenismo si era trasformato, da semplice bega teologica, in un movimento di austerità e di anti-assolutismo, apertamente critico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche e del potere assoluto della monarchia francese. Ne consegue l'ordine perentorio di Luigi XIV di radere al suolo l'abbazia di Port-Royal. L'ultimo colpo al movimento verrà poi dato (1713) dalla bolla Unigenitus di Clemente XI. Fonte: www.alateus.it/Meslier.htm - it.wikipedia.org/wiki/Jean_Meslier
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